Visure ipotecarie e catastali: responsabilità professionale del notaio

Sommario: 1. Premessa. – 2. Natura giuridica dell’obbligazione e della responsabilità professionale del notaio. – 3. Fonte dell’obbligo di effettuare le visure ipocatastali. – 4. Soggetto legittimato al risarcimento del danno. – 5. Inammissibilità di un concorso di colpa del danneggiato. – 6. Dispensa del notaio dall’obbligo delle visure: l’esonero è ancora possibile dopo la Legge n. 52/1985? – 7. Illecito e responsabilità disciplinare del notaio. – 8. Obbligo di effettuare le visure ipocatastali anche nelle scritture private autenticate. – 9. Azione di responsabilità nei confronti del notaio: termine di prescrizione. – 10. Estensione temporale dell’obbligo di visure ipocatastali.

  1. Premessa

Con ordinanza del 29 agosto 2019 n. 21775 la terza sezione civile della Suprema Corte di cassazione è ritornata sul tema della responsabilità civile del notaio per omesse visure ipocatastali, affermando il principio, già ribadito in molte pronunce, secondo cui rientra tra gli obblighi del notaio richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare e, in particolare, nell’obbligo di buona fede oggettiva, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, precisamente, il compimento delle c.d. visure catastali e ipotecarie, allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da altre ragioni.

Avendo la Suprema Corte con la predetta ordinanza, nell’esaminare i motivi denunziati dal ricorrente, richiamato espressamente la sua giurisprudenza in tema di responsabilità professionale del notaio, con le presenti brevi note si cercherà, con riguardo al sopra citato tema, di fare una sintetica ricognizione dell’attuale quadro giurisprudenziale e delle principali posizioni in dottrina.

  1. Natura giuridica dell’obbligazione e della responsabilità professionale del notaio.

Come già affermato dalla Suprema Corte, superato l’orientamento formatosi sotto la previgente codificazione – in base al quale era da escludersi l’obbligo per il notaio rogante, in assenza di espresso e specifico incarico al riguardo, di effettuare le visure ipocatastali –, si è da epoca ormai risalente affermato che il notaio, ove richiesto della stipulazione di un contratto di trasferimento immobiliare, è tenuto al compimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, ad effettuare le visure catastali ed ipotecarie, perché siano assicurate la serietà e la certezza del negozio giuridico ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti stipulanti (vero e proprio obbligo derivante al notaio dall’incarico ricevuto dal cliente e, quindi, parte integrante dell’oggetto della prestazione d’opera professionale) (Cass., 28 luglio 1969, n. 2861; Cass., 24 settembre 1999 n. 10493; Cass., 18 gennaio 2002, n. 547; Trib. Torre Annunziata, 11 luglio 2019; Trib. Napoli, 20 maggio 2019; App. Napoli, 28 febbraio 2019; Cass., 18 gennaio 2002, n. 547).

Secondo l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente, il notaio, incaricato di ricevere o autenticare un atto, avente ad oggetto diritti immobiliari, ha l’obbligo di eseguire le c.d. visure ipotecarie e catastali per un periodo comprensivo del ventennio anteriore alla data dell’atto.

L’ispezione catastale ha – oltre all’evidente finalità di assicurare l’esatta individuazione dell’immobile, e la corretta esecuzione delle formalità di trascrizione, iscrizione e voltura catastale – anche la funzione di “seguire” le vicende dell’immobile nel ventennio, consentendo, quindi, un corretto esame delle risultanze degli atti di provenienza, delle formalità pregiudizievoli ed in genere delle formalità pubblicitarie relative all’immobile nel suddetto periodo. Una corretta visura ipotecaria presuppone, quindi, una diligente ispezione storica catastale.

Giurisprudenza e dottrina sono generalmente concordi nel ritenere che dal contratto d’opera intellettuale derivi, in particolare, in capo al professionista un’obbligazione di “facere, di natura essenzialmente personale, per così dire infungibile, da eseguirsi nel rispetto degli standard di diligenza, cui fa riferimento il secondo comma dell’art. 1176 c.c., da integrare, alla luce del principio di buona fede, con una serie di obblighi ulteriori ed aggiuntivi, ma non meno importanti, primo tra tutti quello di informazione.

In conformità alle regole generali sull’adempimento delle obbligazioni (art. 1228 c.c.) e sull’esecuzione dell’opera professionale (art. 2232 c.c.), il notaio potrà delegare a terzi la materiale esecuzione degli accertamenti ipocatastali, non essendo tale delega incompatibile con l’oggetto della prestazione, come dimostra anche la prassi finora seguita. Il notaio dovrà però curare che l’accertamento sia effettuato diligentemente, ed in modo da assicurare il perseguimento del risultato che gli è proprio.

A tale “attività accessoria e successiva” del notaio è stata attribuita dalla prevalente dottrina la natura di vera e propria “obbligazione” e precisamente, quanto alla species, in un primo tempo, di “mezzi”, da ultimo, in dottrina, di “risultato” (Cass., 9 ottobre 2012, n. 17143; Cass. SS.UU., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass., 13 aprile 2007, n. 8826; Cass. SS.UU., 28 luglio 2005, n. 15781).

Conseguentemente, l’inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità (Cass., 28 novembre 2007, n. 24733), salvo quanto meglio infra precisato.

Tra il notaio e il cliente intercorre un rapporto professionale inquadrabile nello schema del mandato, in virtù del quale il primo è tenuto a fare tutto quanto è nelle sue possibilità per la realizzazione del risultato pratico che il secondo si prefigge (Cass., 18 marzo 1997, n. 2396) .

Come sopra già affermato, la costante giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto alla responsabilità del notaio per omesse visure ipocatastali natura contrattuale e non extracontrattuale (o aquiliana), proprio perché il notaio, pur essendo tenuto ad una prestazione di mezzi e di comportamenti e non di risultato, è tuttavia tenuto a predisporre i mezzi di cui dispone, in vista del conseguimento del risultato perseguito dalle parti, impegnando la diligenza ordinaria media rapportata alla natura della prestazione (Trib. Milano, 7 maggio 2019), cosicché la sua opera non si riduce ad una mera attività di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma si estende a quelle attività, preparatorie e successive, necessarie in quanto tese, appunto, ad assicurare la serietà e certezza dell’atto giuridico posto in essere, e ciò, in conformità a quanto stabilito dall’art. 1 l. not. (Trib. Arezzo, 23 gennaio 2018; Cass., 13 giugno 2013, n. 14865; Cass. SS.UU., 31 luglio 2012, n. 13617; Cass. n. 264/2006; Cass. n. 13825/2004; Cass. n. 1330/2004; Cass. n. 547/2002; Cass., 24 settembre 1999, n. 10493).

Nei dicta giurisprudenziali centrale è il richiamo ai canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, 2° comma, c.c. per l’adempimento della prestazione professionale.

La giurisprudenza, ha, quindi, allargato l’oggetto della prestazione professionale del notaio, nell’adempimento della quale, per andare esente da responsabilità, al professionista è richiesta una diligenza media qualificata, la cui soglia è sempre più alta.

Come ha affermato autorevole dottrina (M. Palazzo, La responsabilità civile del notaio. Note in tema di responsabilità civile del notaio, in Giur. t., 2017, 2523), l’alta specializzazione professionale della categoria notarile, unita alle funzioni pubblicistiche, ha reso il notaio, nei modelli di decisione e nelle aspettative dei clienti, un professionista poliedrico (documentatore, interprete qualificato e consulente delle parti), al quale ci si rivolge per la redazione di atti sempre più complessi, il cui regime di responsabilità si differenzia da quello di altre figure professionali. L’avvocato, il medico, l’ingegnere sono tenuti a prestare la loro diligentia-peritia in funzione di un interesse predeterminato di una parte; e dunque del raggiungimento di un interesse auspicato come “il più favorevole” per il soggetto che ha conferito l’incarico e che riveste il ruolo di creditore della prestazione; diversamente, nell’esercizio della funzione notarile – mediante la quale lo Stato realizza attraverso il notaio – persona fisica uno dei suoi compiti fondamentali (la sicurezza dei traffici e la certezza dei rapporti giuridici) – al pubblico ufficiale spetta il compito di garantire non solo la equilibrata composizione degli interessi delle parti ma anche la certezza giuridica dei traffici giuridici, con aumento esponenziale della sua responsabilità.

Occorre, infine, precisare, come statuito dalla Suprema Corte, che l’inosservanza dell’obbligo di effettuare le visure ipocatastali non è riconducibile a imperizia, cui trova applicazione la limitazione di cui all’art. 2236 c.c., ma a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del comma 2 dell’art. 1176 c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve, stante l’inapplicabilità dell’art. 2236 c.c.

La Suprema Corte (Cass., 27 ottobre 2011, n. 22398) ha statuito che il notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall’art. 2236 c.c. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (nella specie per l’arretrato in cui versavano le Conservatorie all’epoca della stipula e per la necessità di esaminare le annotazioni provvisorie di cui ai c.d. mod. 60), in quanto tale inosservanza non è riconducibile ad un’ipotesi di imperizia, cui si applica quella limitazione, ma a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’incarico professionale ricevuto in occasione di un trasferimento immobiliare, il notaio è tenuto all’obbligo di accertare, visionando i registri immobiliari, la presenza o meno di trascrizioni, iscrizioni o gravami pregiudizievoli, pena la violazione del dovere contrattuale di normale diligenza professionale di cui all’art. 1176 c.c., senza alcuna possibilità di invocare, a propria discolpa, la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c.

Sempre secondo la Suprema Corte (Cass., 28 settembre 2012, n. 16549), la responsabilità del notaio per non avere rilevato l’esistenza di un’iscrizione ipotecaria pregiudizievole, in occasione di una compravendita immobiliare, deve escludersi quando l’errore sia stato causato da una condotta negligente del conservatore dei registri immobiliari, che abbia reso di fatto impossibile l’individuazione dell’iscrizione ipotecaria con l’uso dell’ordinaria diligenza professionale. Poiché la trascrizione sui registri immobiliari è informata al criterio della ricerca per nome (“rubrica dei cognomi” sulla “tavola alfabetica”) del soggetto a cui si riferisce, essendo le modalità pratiche di attuazione della pubblicità immobiliare impiantate su base personale, che consente di effettuare le visure delle note di trascrizione solo sulla base degli esatti dati di identificazione delle persone, qualora, per errore della Conservatoria, la trascrizione, ancorché la nota sia stata correttamente redatta, venga registrata a carico di altra persona diversa dall’effettivo alienante dell’immobile, e quindi imputata in un diverso conto individuale, va esclusa la responsabilità del notaio che a seguito delle visure effettuate non rinvenga la trascrizione stessa.

  1. Fonte dell’obbligo di effettuare le visure ipocatastali.

La giurisprudenza ha ritenuto, in un primo momento, che la fonte di un siffatto obbligo, con riferimento ad una fattispecie di compravendita di beni rivelatisi soggetti a pignoramento, potesse essere rinvenuta nel combinato disposto degli artt. 2913 c.c. e 28 l. not. (Cass., 28 luglio 1969, n. 2961; Cass., 1° agosto 1959, n. 2444), aventi ad oggetto, rispettivamente, l’inefficacia delle alienazioni del bene pignorato e il divieto di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico. Dunque, secondo questo orientamento giurisprudenziale, oramai superato, poiché l’atto di compravendita di un bene soggetto a pignoramento è invalido (rectius inefficace), e poiché il notaio, nella sua veste di pubblico ufficiale, non può ricevere atti espressamente proibiti dalla legge, si ha come risultato che, se quest’ultimo non consulta i registri immobiliari, rischia di violare il divieto con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano disciplinare.

La sussistenza di tale obbligo è stata poi giustificata sulla scorta del combinato disposto degli artt. 4 (secondo cui alle domande di voltura dovevano essere acquisiti i certificati catastali) e 14 (il quale prevedeva l’obbligo del notaio di chiedere la voltura) D.P.R. n. 640/1972, in base al quale il notaio era tenuto ad espletare l’attività di verifica catastale ed ipotecaria volta ad accertare la condizione giuridica ed il valore di un immobile, da tenersi distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la stipulazione dell’atto (Cass., 23 luglio 2004, n. 13825).

Successivamente altra dottrina – ma tale tesi è rimasta invero priva di seguito nella giurisprudenza di legittimità – ha ricondotto tale obbligo all’uso negoziale ex art. 1340 c.c., da provarsi da colui che l’invoca. La fonte dell’obbligo per il notaio di compiere le visure ipocatastali andrebbe, dunque, ricercata nella prassi costante e generalizzata diffusa tra i notai di consultare i registri immobiliari affinché l’atto redigendo raggiunga l’efficacia desiderata dalle parti.

Oggi, secondo la tesi dominante, sia in dottrina che in giurisprudenza, poiché l’opera professionale di cui è richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, ma si estende in attività preparatorie e successive volte ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti (Trib. Milano, 24 giugno 2019; Cass. SS.UU., 31 luglio 2012, n. 13617), la fonte dell’obbligo in argomento viene ravvisata nella diligenza che il notaio è, comunque, tenuto ad osservare nell’esecuzione del contratto d’opera professionale ex art. 1374 c.c. (Cass., 20 agosto 2015, n. 16990; Cass., 5 dicembre 2011, n. 26020; Cass., 27 novembre 2012, n. 20991; Cass. SS.UU., 31 luglio 2012, n. 13617; Cass., 28 settembre 2012, n. 16549; Cass., 27 ottobre 2011, n. 22398; Cass., 28 novembre 2007, n. 24733; Cass., 2 marzo 2005, n. 4427; Cass., 23 ottobre 2002, n. 14934; Cass., 25 ottobre 1972, n. 3255).

La fonte di tale obbligo deve, invero, propriamente ravvisarsi non già nella diligenza professionale qualificata del notaio (la quale non può essere comunque intesa nel senso di una limitazione della responsabilità professionale in caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto l’art. 2236 c.c. non contempla un’ipotesi di responsabilità attenuata e non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse, ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza, sicché la diligenza esigibile dal professionista nell’adempimento delle obbligazioni assunte nell’esercizio delle sua attività è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta: cfr. da ultimo Cass., 25 settembre 2012, n. 16254), bensì nella clausola generale (chiamata anche “principio” o “criterio”) di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1175 c.c. (Cass., 20 agosto 2015, n. 16990; Cass., 2 marzo 2012, n. 16754; Cass., 11 maggio 2009, n. 10741).

Come osservato anche in dottrina, oltre che regola di comportamento (artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c.), quale dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost. (Cass., 10 novembre 2010, n. 22819; Cass., 22 gennaio 2009, n. 1618; Cass. SS.UU., 25 novembre 2008, n. 28056), che trova applicazione a prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità (Cass., 27 aprile 2011, n. 9404; Cass. SS.UU., 25 novembre 2008, n. 28056; Cass., 24 luglio 2007, n. 16315; Cass., 13 aprile 2007, n. 8826; Cass., 27 ottobre 2006, n. 23273; Cass., 20 febbraio 2006, n. 3651; Cass., 24 settembre 1999, n. 10511; Cass., 20 aprile 1994, n. 3775), e regola di interpretazione del contratto (art. 1366 c.c.: cfr. Cass. SS.UU., 8 marzo 2019, n. 6882; Cass., 6 maggio 2015, n. 9006; Cass., 23 ottobre 2014, n. 22513; Cass., 23 maggio 2011, n. 11295; Cass. SS.UU., 18 febbraio 2010, n. 3947; Cass., 25 maggio 2007, n. 12235; Cass., 20 maggio 2004, n. 9628), la buona fede oggettiva o correttezza è infatti anche criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte – altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c. (Cass., 27 novembre 2012, n. 20991) che da quella cogente ex art. 1339 c.c. (Cass., 10 luglio 2008, n. 18868; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1689; Cass., 22 maggio 2001, n. 6956; Cass., 9 novembre 1998, n. 11264) – di integrazione del comportamento dovuto (Cass., 30 ottobre 2007, n. 22860), là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici: v. Cass., 30 marzo 2005, n. 6735; Cass., 9 febbraio 2004, n. 2422; come ad esempio in caso di specifica tutela giuridica, contrattuale o extracontrattuale, non potendo implicare un’azione giudiziaria: Cass., 21 agosto 2004, n. 16530; anche a prescindere dal rischio della soccombenza: Cass., 15 gennaio 1970, n. 81).

L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va, poi, correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti (Cass., 30 ottobre 2007, n. 22860).

L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è, infatti, da valutarsi alla stregua della causa concreta dell’incarico conferito al notaio dal committente (Cass. SS.UU., 31 luglio 2012, n. 13617; Cass., 28 gennaio 2003, n. 1228; Cass., 13 giugno 2002, n. 8470; Cass., 28 novembre 2007, n. 24733; Cass., 5 dicembre 2011, n. 26020), e cioè con lo scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione, o, in altre parole, con l’interesse che l’operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare (Cass. SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26973; Cass., 7 ottobre 2008, n. 24769; Cass., 24 aprile 2008, n. 10651; Cass., 20 dicembre 2007, n. 26958; Cass., 11 giugno 2007, n. 13580; Cass., 22 agosto 2007, n. 17844; Cass., 24 luglio 2007, n. 16315; Cass., 27 luglio 2006, n. 17145; Cass., 8 maggio 2006, n. 10490; Cass., 14 novembre 2005, n. 22932; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20816; Cass., 21 ottobre 2005, n. 20398; Cass., 7 maggio 1998, n. 4612; Cass., 16 ottobre 1995, n. 10805; Cass., 6 agosto 1997, n. 7266; Cass., 3 giugno 1993, n. 3800; Cass., 25 febbraio 2009, n. 4501; Cass., 12 novembre 2009, n. 23941; Cass. SS.UU., 18 febbraio 2010, n. 3947; Cass., 18 marzo 2010, n. 6538; Cass., 9 marzo 2011, n. 5583; Cass., 23 maggio 2011, n. 11295; Cass., 27 novembre 2012, n. 20991).

In tale contesto, la Cassazione ha, quindi, affermato che l’eventuale omissione da parte del notaio di assolvere all’obbligo di eseguire le visure catastali e ipotecarie è fonte di responsabilità per violazione non già dell’obbligo di diligenza professionale qualificata, ma della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della parte acquirente (Cass., 30 gennaio 2019, n. 2525: “Il notaio che, incaricato della stipulazione di un contratto di compravendita di una quota ideale di bene in comunione ereditaria, ometta di accertarsi della sussistenza della trascrizione di una domanda di divisione, viola gli obblighi di buona fede ex art. 1175 c.c., finalizzati a garantire la più ampia tutela possibile alla libertà negoziale delle parti, incorrendo in responsabilità professionale per non aver posto l’acquirente in condizione di valutare pienamente opportunità e convenienza dell’affare all’esito della ponderazione della situazione di litigiosità della res).

Tale orientamento, che riconosce il fondamento dell’obbligo delle visure nel dovere di diligenza connesso all’esecuzione di un contratto d’opera professionale inquadrabile nello schema del mandato, si è consolidato oramai nel tempo.

In base a quanto detto in precedenza, l’obbligo del notaio di effettuare le visure ipocatastali non risulterebbe da alcuna norma giuridica esplicita, derivando dal contratto di prestazione d’opera professionale. Tale obbligo non avrebbe, pertanto, fonte normativa ma solo contrattuale.

Detta affermazione risulta, oggi, non essere più corretta, o meglio esserlo solo in parte.

A seguito dell’emanazione del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in l. 31 luglio 2010, n. 122, le ricostruzioni e le argomentazioni sopra esposte valgono unicamente nei confronti delle visure ipotecarie, atteso che, con riguardo alle visure catastali, l’art. 19, comma 14, del predetto decreto ha introdotto, inserendo il comma 1-bis dell’art. 29 l. 27 febbraio 1985, n. 52, l’obbligo di procedere da parte del notaio alla verifica della conformità oggettiva e soggettiva dell’immobile da alienare, stabilendo che “prima della stipula dei predetti atti (vale a dire atti pubblici e scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali su fabbricati già esistenti) il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

Ne consegue che l’obbligo di eseguire le visure catastali e (nei limiti dei fini di cui alla norma predetta) ipotecarie trova, oggi, indubbia fonte legale, per cui la fonte dell’obbligo risulterebbe normativa e non più contrattuale.

In tale ottica, quindi, gli obblighi di visura diventerebbero per il notaio inderogabili e non più dispensabili dalle parti.

  1. Soggetto legittimato al risarcimento del danno.

Corollario della natura contrattuale della responsabilità professionale del notaio nei confronti del cliente per inadempimento nella prestazione professionale, è che legittimato a farla valere è esclusivamente la parte che ha richiesto detta prestazione e, quindi, ha concluso il contratto di opera professionale (Cass., 23 ottobre 2002, n. 14934).

  1. Inammissibilità di un concorso di colpa del danneggiato.

Il notaio, il quale compia un atto dannoso o inutile per il cliente, non è esonerato da responsabilità per il solo fatto che sia stato il cliente a domandargliene l’esecuzione, a meno che non dimostri di avere correttamente ed esaustivamente informato il proprio cliente sulla dannosità o pericolosità dell’atto richiestogli, atteso che la soglia della diligenza minima esigibile dal suddetto professionista, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., è indeclinabile, e non si abbassa solo perché il cliente possegga specifiche competenze professionali.

Nel rapporto di prestazione d’opera intellettuale, infatti, il committente ha diritto di pretendere dal professionista una prestazione eseguita a regola d’arte, e non è perciò tenuto a controllare se l’opera stessa sia stata compiuta in modo tecnicamente corretto (Cass., 21 maggio 2019, n. 13592; Cass., 6 aprile 1983, n. 2404; Cass., 5 gennaio 1976).

Sulla base di questi rilievi, e con riferimento proprio alla prestazione dovuta dal notaio, la Cassazione ha stabilito che, in presenza di un inadempimento del notaio ai propri obblighi professionali, “non è ontologicamente configurabile il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c.” (Cass., 28 novembre 2007, n. 24733).

  1. Dispensa del notaio dall’obbligo delle visure: l’esonero è ancora possibile dopo la l. n. 52/1985?

La responsabilità del notaio rimane esclusa solamente nel caso in cui ricorra un espresso esonero di tutte le parti per motivi di urgenza o per altre ragioni, come nell’ipotesi in cui risulti acclarato che l’acquirente era, comunque, consapevole dei rischi della compravendita tanto da averne accettato le possibili conseguenze come un fatto normale e consequenziale del negozio che si apprestava a concludere (Cass., 24 ottobre 2017, n. 25111), con clausola inserita nella scrittura (Cass., 16 marzo 2006, n. 5868), da considerarsi, pertanto, non già meramente di stile, bensì quale parte integrante del contratto (Cass., 1° dicembre 2009, n. 25270; Cass., 12 ottobre 2009, n. 21612; Cass., 18 gennaio 2002, n. 547), sempre che appaia giustificata da esigenze concrete delle parti, come nel caso della sussistenza di ragioni di urgenza di stipula dell’atto addotte dalle parti medesime. In tale ipotesi, non ha rilievo nemmeno il c.d. dovere di consiglio relativo alla portata giuridica della clausola stessa, di cui meglio infra, giacché essa, implicando l’esonero da responsabilità del notaio, esclude la rilevanza di ogni spiegazione da parte del professionista (Cass., 24 maggio 2019, n. 14169; Cass., 16 marzo 2006, n. 5868).

La clausola di buona fede o correttezza ha valenza generale e trova applicazione anche in caso di esonero dalle visure ipocatastali (Cass., 20 gennaio 2013, n. 2071).

Come già in precedenza sottolineato, il notaio non è un passivo registratore delle dichiarazioni delle parti. Il notaio ha innanzitutto un obbligo di informazione e di chiarimento nei confronti delle parti, quale riflesso imprescindibile della funzione di adeguamento prescritta dall’art. 47 l. not., e degli obblighi di correttezza e diligenza nell’esecuzione del contratto d’opera professionale. Egli dovrà quindi, in primo luogo, accertarsi che le parti abbiano ben chiara l’importanza delle visure ipocatastali ventennali e le conseguenze di una loro eventuale omissione: i contraenti, una volta informati, potrebbero comunque preferire un modesto aggravio di costi (o l’allungamento dei tempi per la stipula) a beneficio di una maggior sicurezza dell’acquisto. Ove comunque le parti persistessero nella richiesta di esonero da visure, il notaio dovrebbe procedere alla stipula riportando nell’atto i dati forniti dalle parti medesime.

Sotto il profilo della correttezza deontologica del comportamento notarile, si è chiarito che è scorretto il comportamento del notaio che – prospettando alle parti un risparmio di spesa (minore onorario notarile; minore o inesistente esborso di tasse ipotecarie e tributi speciali per le visure) – suggerisca di evitare gli accertamenti ipocatastali, assumendo quindi egli stesso, in via diretta o indiretta, la “iniziativa” dell’esonero da visure. In tal senso, la presenza reiterata, negli atti ricevuti o autenticati da un medesimo notaio, di clausole di “rinuncia” alle visure ipotecarie e catastali – in assenza di ragioni di “meritevolezza” della dispensa – non potrà non costituire rilevante indizio di un comportamento scorretto del notaio, nel senso sopra evidenziato. La “meritevolezza” della dispensa dovrà essere accertata caso per caso (ragioni di urgenza, ecc.), tenendo comunque conto dell’eccezionalità che la stessa deve assumere nella prospettiva di un intervento notarile qualificato e attento alle esigenze delle parti e della sicurezza del traffico: essa deve comunque rispondere a precisi interessi delle parti (che devono emergere dalle motivazioni della “rinuncia alle visure”, espresse in atto) e mai ad interessi del notaio.

Merita infine segnalare che, in determinati casi, l’accordo tra le parti di rinunzia alle visure (ed il concomitante accordo di dispensa del notaio dal relativo obbligo) potrebbe rilevare come clausola vessatoria, laddove il cliente rivesta la qualifica di consumatore. In dottrina si discute sul punto, anche se non manca chi ritiene che l’accordo diretto unicamente a “delimitare” l’oggetto dell’incarico professionale al notaio non possa essere equiparato tout court a una clausola di esonero da responsabilità, ai fini di cui sopra.

La menzione nell’atto notarile, al fine di evitare ogni dubbio in ordine all’interesse del notaio (parte del contratto d’opera professionale) e, quindi, in ordine alla possibile violazione dell’art. 28, n. 3, l. not., dovrà essere formulata non già in termini di dispensa dall’obbligo notarile, cioè quale clausola del contratto d’opera professionale (in questo senso la “dispensa” potrà essere formalizzata, se del caso, in una scrittura a parte), bensì quale clausola del negozio stipulato tra le parti, intesa a regolare i rapporti tra queste ultime (e potrà, ovviamente, essere accompagnata da ulteriori clausole inerenti la garanzia per evizione, l’eventuale vendita a rischio e pericolo dell’acquirente, ecc.).

La dispensa da visure non potrà mai essere utilizzata al fine di eludere l’applicazione di norme imperative o di principi di ordine pubblico.

Sempre in tema di dispensa, occorre ricordare come contenuto essenziale della prestazione professionale del notaio sia anche il c.d. dovere di consiglio, con riguardo non solo alle questioni tecniche e alle problematiche dell’atto, ma anche alle conseguenze collegate a possibili rischi in caso di omesse visure ipocatastali, che persone non dotate di competenza specifica non sarebbero in grado di percepire.

Il dovere di consiglio imposto dall’art. 42, comma 1, lett. a), del codice di deontologia notarile investe solo le conseguenze giuridiche della prestazione richiesta al professionista, e non anche le circostanze di fatto dell’affare concluso, tra le quali rientrano i rischi economici dello stesso, la cui valutazione è rimessa in via esclusiva al prudente apprezzamento delle parti.

In definitiva, il dovere di consiglio del notaio, nel rispetto del principio di autoresponsabilità delle parti del contratto, non si spinge fino alla valutazione della convenienza economica dell’operazione, né tantomeno fino a valutazioni che rientrano nella normale prudenza esigibile da chiunque, trovando il proprio ambito elettivo nelle questioni di carattere “tecnico”, ossia in quelle che sfuggono di norma alla cognizione ed alla comprensibilità dell’uomo medio o comunque non dotato di specifiche conoscenze.

Quindi, solo la concorde volontà delle parti, dopo che il notaio, in ossequio al suo obbligo di informativa, le ha rese pienamente edotte di tutti i rischi e le conseguenze della mancata effettuazione delle visure ipotecarie e delle conseguenze di un possibile mancato allineamento ipotecario, può esonerare il notaio dallo svolgimento delle visure catastali e ipotecarie (Cass., 12 luglio 2018, n. 18345).

Poiché tra gli obblighi connessi alla funzione notarile rientra quello di assistere i clienti fornendo loro adeguata informazione e consulenza, posto che la consulenza va oltre l’informazione, comportando non solo la segnalazione dei possibili esiti per la via autonomamente scelta dalle parti, ma anche la proposizione di impostazioni autonome o alternative, la giurisprudenza ritiene che anche essa rientri tra i connotatati costanti e qualificanti della prassi notarile.

In tema di esonero dalle visure, la Suprema Corte (Cass., 1° dicembre 2009, n. 25270) ha affermato l’ammissibilità di una dispensa anche in forma verbale (“non rilevando, ai fini dell’esclusione della responsabilità, la circostanza che (l’esonero) non sia stato contemplato in una clausola scritta, non essendo quest’ultima necessaria per la validità e legittimità dello stesso”).

Premesso che l’omissione delle attività preparatorie da parte del notaio è fonte di responsabilità per violazione non già di un obbligo di diligenza professionale qualificata, ma della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza di cui all’art. 1175 c.c., quale criterio determinativo e integrativo della prestazione contrattuale, deve ritenersi che, in adempimento del medesimo obbligo, nasca in capo al notaio un preciso obbligo d’informazione nei confronti del cliente. Per essere utilmente invocato dal notaio l’esonero dalle visure ipocatastali non sarà, pertanto, sufficiente che la dispensa sia stata formalmente rilasciata dagli interessati, ma occorrerà che sia stata consapevolmente rilasciata, sicché non possa dirsi che da parte loro possano esservi sorprese.

Quand’anche il notaio sia stato esonerato dalle visure, si è ulteriormente sottolineato che lo stesso, che sia a conoscenza o che abbia anche solo il mero sospetto della sussistenza di un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita, deve in ogni caso informarne le parti, essendo tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. e della buona fede di cui all’art. 1375 c.c. (Cass., 18 maggio 2017, n. 12482; Cass., 2 luglio 2010, n. 15726; Cass., 11 gennaio 2006, n. 264; Cass., 6 aprile 2001, n. 5158).

In una fattispecie decisa dalla Suprema Corte in tema di acquisto di bene usucapito (Cass., 12 dicembre 2018, n. 32147), si è statuito che, se il notaio non è tenuto ad uno specifico controllo della legittimazione del disponente che si dichiari proprietario per usucapione, potendo limitarsi a prendere atto che la volontà delle parti è espressamente diretta all’effetto traslativo, anche se lo stesso sia insicuro, tuttavia, poiché lo stesso ha un obbligo di informazione e chiarimento nei confronti delle parti, anche ai fini della funzione di adeguamento nella compilazione prescritta dell’atto che gli affida l’art. 47, comma 2, l. not., il notaio dovrà accertarsi che il compratore abbia ben chiaro il rischio che assume con l’acquisto laddove l’alienante affermi che la sua proprietà si fonda sulla maturata usucapione non accertata giudizialmente. L’acquirente, infatti, solo se adeguatamente informato dal notaio, per una maggiore sicurezza del suo acquisto, in assenza delle visure ipocatastali ventennali, può richiedere specifiche garanzie, oltre quelle ex artt. 1483 e 1484 c.c., oppure preventivare un congruo risarcimento nel caso di esito infelice della vendita, ed il notaio può procedere così alla stipula, riportando nell’atto i dati forniti dalle parti.

L’art. 29, comma 1-bis, l. 27 febbraio 1985, n. 52, prescrive che gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

La giurisprudenza ritiene che la dichiarazione richiesta dalla norma anzidetta riguardi la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali, ragione per cui l’omissione determina la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi dell’art. 28, comma 1, l. not. (Cass., 20 novembre 2018, n. 29894, in cui si precisa che, nel caso in cui si proceda a sanare l’atto in forza dell’art. 29, comma 1-ter, l. n. 52/1985, introdotto dal d.l. 24 aprile 2017, n. 50, conv. con modificazioni dalla l. 24 giugno 2017, n. 96, il notaio che dimostri che la mancanza della dichiarazione di conformità in cui si è formato l’atto nullo sia dipeso da un mero difetto formale del titolo e non da una sostanziale difformità del cespite immobiliare rispetto ai dati catastali, non incorre ex post in un’ipotesi di responsabilità disciplinare; v. inoltre Cass., 3 giugno 2016, n. 11507; Cass., 11 aprile 2014, n. 8611).

Quindi, il notaio che riceve l’atto deve individuare gli intestatari catastali e verificare la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari (c.d. conformità o coerenza soggettiva). Tale verifica di conformità non ha una valenza meramente formale, limitata al riscontro della congruenza “nominale” tra le risultanze catastali e i registri di pubblicità immobiliare, ma deve essere finalizzata ad accertare la corrispondenza delle intestazioni catastali attuali con i soggetti titolari del potere di disposizione sugli immobili oggetto dell’atto. Laddove tale conformità non sussista a causa della mancata volturazione del titolo di acquisto del dante causa, il notaio è obbligato, prima della stipula, a procedere all’aggiornamento del catasto.

In conclusione, oggi la legge, richiamando le conclusioni a cui erano giunte dottrina e giurisprudenza, riconosce come esistente l’obbligo per il notaio di eseguire le visure ipocatastali, ponendosi la l. 52/1985 come fonte dell’obbligo.

Per questo, dopo l’introduzione della normativa sulla conformità catastale ci si è chiesti se sia ancora possibile che le parti dispensino il notaio dalle visure ipotecarie.

Infatti, con l’entrata in vigore del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni in l. 30 luglio 2010, n. 122, l’obbligo delle visure non è più finalizzato all’esclusivo soddisfacimento di interessi di parte, ma persegue anche l’interesse pubblico alla completezza, conservazione e aggiornamento dei registri catastali.

Ricordiamo che il notaio, nell’ambito del rapporto contrattuale con il cliente, ha l’obbligo di effettuare le visure ipotecarie e che la dispensa costituisce un fatto eccezionale, di cui il notaio deve espressamente rendere edotte le parti, evidenziando, in particolare, le conseguenze della mancata effettuazione delle ispezioni ipotecarie.

Ferma la posizione della tradizionale giurisprudenza, che ammette la dispensa, si riportano, al riguardo, le tre principali posizioni che si sono registrate in dottrina.

Da parte di alcuni (G. Rizzi, La normativa in materia di conformità dei dati catastali) si ritiene che, dopo il 1° luglio 2010, non sia più possibile per il notaio, relativamente agli atti ai quali è applicabile la normativa sulla conformità catastale, essere dispensato dalle parti contrattuali dalle c.d. attività di verifica ed accertamento (visure ipocatastali), stante la natura pubblicistica della normativa sulla conformità catastale, come in precedenza evidenziato.

Una volta ritenuto l’obbligo delle visure funzionale non solo al soddisfacimento di un interesse di parte, come tale disponibile, ma ad un interesse pubblico, ne viene meno la disponibilità da parte dei privati, con conseguente impossibilità di consentire qualsivoglia dispensa.

Il notaio, quindi, sarebbe ora sempre tenuto non solo a verificare l’attuale conformità tra intestatario catastale e intestatario dei registri immobiliari, ma anche alle visure ventennali e alla verifica della continuità delle trascrizioni.

Secondo altri (G. Petrelli, Conformità catastale e pubblicità immobiliare, Milano, 2010, 81) l’atto ricevuto senza aver eseguito le visure non sarebbe un atto vietato per il quale operi il divieto di cui all’art. 28 l. not., e il notaio non potrebbe rifiutare di riceverlo ai sensi dell’art. 27 l. not.

Secondo un’altra opinione (N.A. Cimmino, L’obbligo delle visure ipotecarie e catastali alla luce del d.l. n. 78/2010, in Notariato, 2011, 13 ss.), la dispensa resterebbe consentita soltanto relativamente alle indagini sulle formalità pregiudizievoli, che la nuova disciplina non prende in considerazione, mentre sarebbe non dispensabile l’accertamento finalizzato all’individuazione degli intestatari catastali e alla verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha continuato, invece, a seguire l’orientamento precedente.

Occorre ricordare, però, che la dispensa dalle visure ipotecarie e catastali non comporta l’esonero dalla responsabilità per l’eventuale negligenza del professionista nel compimento della prestazione oggetto del contratto d’opera professionale. Dunque, se il notaio esegue la prestazione professionale in modo superficiale, senza la diligenza del professionista e la buona fede previste dall’art. 1176, comma 2, c.c., e non si accorge del contrasto tra “quanto dichiarato negli atti allegati dalle parti”, risponderà in via sia civile che disciplinare del suo inadempimento, a prescindere dal fatto che sia stato o meno dispensato dall’obbligo delle visure (Cass., 6 giugno 2014, n. 12797).

  1. Illecito disciplinare.

Il notaio che non svolge le visure ipocatastali risponde del suo inadempimento, oltre che in ambito civile ex art. 1218 c.c., anche in ambito disciplinare.

Integra per il notaio illecito deontologico comportante responsabilità disciplinare, trattandosi di violazione prevista dall’art. 138 l. not., come sostituito dall’art. 22 d. lgs. n. 249/2006, la stipula di un atto di compravendita senza che siano state effettuare le dovute ispezioni ipocatastali, in mancanza di esonero di tutte le parti (Trib. Milano, 24 giugno 2019; Cass. SS.UU., 31 luglio 2012, n. 13617).

  1. Obbligo di effettuare le visure ipocatastali anche nelle scritture private autenticate.

L’obbligo di effettuare le visure ipocatastali incombe al notaio incaricato della stipulazione di un contratto di trasferimento immobiliare anche in caso di utilizzazione della forma della scrittura privata autenticata (Cass., 20 agosto 2015, n. 16990; Cass., 1° dicembre 2009, n. 25270; Cass., 31 maggio 2006, n. 13015; Cass., 16 marzo 2006, n. 5868).

Né, al fine di escluderne la responsabilità, può riconoscersi alcun rilievo alla circostanza che l’utilizzazione della forma della scrittura privata risponda a scelta della parte, la quale si sia rivolta al notaio per la autenticazione delle firme di una scrittura privata di compravendita in precedenza da terzi o da essa stessa redatta, posto che il controllo di legalità del notaio investe la scrittura privata autenticata anche in quest’ultimo caso (diversamente v. peraltro Cass., 23 dicembre 2004, n. 23934; Cass., 18 gennaio 2002, n. 547; Cass., 22 marzo 1994, n. 2699; Cass., 6 aprile 1995, n. 4020; Cass., 20 gennaio 1994, n. 475). La clausola di buona fede o correttezza ha infatti, come detto, valenza generale, e trova applicazione anche in tal caso (Cass., 20 gennaio 2013, n. 2071).

  1. Azione di responsabilità nei confronti del notaio: termine di prescrizione.

In base al consolidato orientamento di legittimità, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere (c.d. dies a quo) non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso (data di stipula dell’atto), bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato (momento in cui il pregiudizio si produce nella sfera patrimoniale del cliente), con la conseguenza che la relativa prescrizione non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del pregiudizio di cui si chiede il risarcimento (Cass., 22 settembre 2017, n. 22059; Cass., 22 settembre 2016, n. 18606; Cass., 18 febbraio 2016, n. 3176; Cass., 8 maggio 2006, n. 10493; Cass., 15 luglio 2009, n. 16463; Cass., 15 luglio 2009, n. 16463).

Il termine di prescrizione è decennale, stante la natura contrattuale della responsabilità. Così secondo Cass., 5 dicembre 2011, n. 26020: “In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, posto che essa, sia nel caso di responsabilità extracontrattuale che contrattuale, non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del danno di cui si chiede il risarcimento, ove il danno consegua all’accoglimento giudiziale di una pretesa altrui, la prescrizione stessa inizia a decorrere soltanto dalla data del passaggio in giudicato di detto accoglimento ovvero dalla data in cui è emesso un provvedimento giudiziale suscettibile di essere posto in esecuzione”.

  1. Estensione temporale dell’obbligo di visure ipocatastali.

Per comune prassi, legittimata anche da numerose pronunce giurisprudenziali, l’indagine ipocatastale da parte del notaio deve essere estesa al ventennio anteriore la stipula dell’atto: periodo, questo, necessario ai fini della prescrizione delle ipoteche iscritte sull’immobile e non rinnovate, nonché del compimento dell’usucapione ordinaria (Regola n. 6 del Consiglio Nazionale del Notariato).

L’estensione dell’indagine oltre il ventennio può tuttavia, in alcuni casi, rivelarsi necessaria. Ciò avviene, innanzitutto, allorché non si rinvenga un titolo di provenienza a favore dell’alienante nel ventennio, considerato il fatto che, il più delle volte, si rinvengono nel titolo di provenienza importantissime specificazioni utili per l’individuazione dello stato di fatto e di diritto dell’immobile. Si è quindi ritenuto che una prestazione notarile “di qualità” non possa prescindere, in tali casi, dall’esame dei titoli di provenienza anteriori al ventennio, ogni qualvolta ciò si renda necessario per una corretta individuazione degli immobili e del loro stato giuridico. Stanti le ragioni esposte, non costituisce evidentemente “titolo di provenienza” ai suddetti fini una dichiarazione di successione.

Il notaio, per non incappare in responsabilità professionale, deve effettuare visure ipotecarie di aggiornamento a data il più possibile vicina a quella della stipula dell’atto, tenendo comunque conto delle circostanze del caso concreto.

Dottrina e giurisprudenza prevalenti ravvisano nella nota di trascrizione, e non già nei titoli, l’essenza della pubblicità immobiliare, ritenendo conseguentemente opponibile ai terzi solo ciò che risulta dalla nota stessa (da ritenersi comprensiva, a seguito della “meccanizzazione” dei registri immobiliari, anche del “quadro D”, che ne forma parte integrante).

In realtà, l’indagine ipotecaria non può non estendersi anche al “titolo” della pubblicità immobiliare, cioè all’atto notarile o giudiziario che costituisce la fonte del mutamento giuridico oggetto di pubblicità. Ciò perché solo mediante l’esame del titolo può essere accertata la sussistenza dei requisiti (soprattutto formali) di validità e di efficacia dello stesso: si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle norme della legge notarile che statuiscono la nullità dell’atto pubblico in assenza di alcune menzioni obbligatorie (quali, ad esempio, le norme della legislazione urbanistica che richiedono, a pena di nullità, determinate dichiarazioni in ordine alla costruzione dei fabbricati, o l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica relativo ai terreni).

Aspetti, questi ultimi, cui è necessario prestare particolare attenzione nel caso di titoli di formazione non notarile, laddove è più probabile che difetti nel pubblico ufficiale rogante o autenticante una specifica competenza e preparazione sul punto. Si pensi, in particolare, ai verbali di conciliazione, di divisione giudiziale, agli accordi patrimoniali tra coniugi in fase di separazione, perfezionati dinanzi all’autorità giudiziaria, che non è istituzionalmente tenuta ad un controllo in ordine alla validità ed all’efficacia dei suddetti accordi (alle suddette fattispecie la dottrina e la giurisprudenza prevalenti attribuiscono natura negoziale, conseguendo da ciò la necessità delle formalità obbligatorie di cui sopra).

Ai fini di cui sopra non può, peraltro, non tenersi conto del fatto che l’art. 2652, n. 6, c.c. disciplina la c.d. pubblicità sanante decorsi cinque anni dalla trascrizione dell’atto, della cui nullità si tratta, senza che sia stata trascritta domanda giudiziale di nullità, e ricorrendo la buona fede del terzo sub-acquirente. In considerazione di tale disciplina e dell’esigenza di non appesantire eccessivamente le ricerche ipotecarie, con conseguente rallentamento dei traffici, il notaio – il quale ovviamente non abbia motivo, nella fattispecie concreta, di dubitare della buona fede dell’acquirente – potrà limitarsi a una verifica dei titoli di provenienza successivi al quinquennio e non dovrà quindi estendere l’ispezione dei titoli all’intero ventennio. Ciò anche in considerazione del fatto che, secondo l’orientamento prevalente, la buona fede, nella fattispecie dell’art. 2652, n. 6, c.c., non è elemento costitutivo dell’acquisto, bensì fatto impeditivo dell’opponibilità della nullità al terzo acquirente, e – come tale – si presume.

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Visure ipotecarie e catastali: responsabilità professionale del notaio ultima modifica: 2020-11-25T10:47:14+01:00 da Daniela Riva
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