Una recente e articolata sentenza della Cassazione (n. 7051 del 18/11/2020 depositata il 12 marzo 2021) riforma parzialmente un’ordinanza della Corte d’Appello di Milano depositata il 6 aprile 2018 che aveva confermato la decisione Coredi 12-26 gennaio 2017.
A cura di Arturo Brienza
La vicenda: nel corso di un precedente procedimento disciplinare deciso con ordinanza della Corte d’Appello di Milano, depositata l’11 luglio 2016, il notaio incolpato aveva depositato a scopi difensivi ben 260 documenti con due distinte memorie del 3 e del 23 giugno 2016; tutti questi documenti, che presentano “la forma e la struttura di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio”, contengono dichiarazioni dei clienti (rectius: parti) che autorizzavano il notaio a trascrivere nei registri immobiliari “entro un termine più ampio (nella quasi totalità dei casi indicato in 30 giorni)...” ovvero “attestavano che il notaio…prima della stipula aveva provveduto a contattare i dichiaranti, accertandosi della loro volontà e degli scopi che si erano prefissi, fornendo altresì agli stessi in tale occasione informazioni e chiarimenti, ed inoltre che in sede di stipula, durante la lettura dell’atto, il notaio si era soffermato sulle clausole più importanti fornendo chiarimenti ed accertando gli intendimenti delle parti”.
Definito quel precedente procedimento il Consiglio Notarile apriva un’istruttoria ritenendo che la redazione, non la produzione a fini difensivi, di quei documenti costituisse un diverso ed autonomo illecito disciplinare e depositava presso la Coredi richiesta di apertura di un procedimento disciplinare in data 20 ottobre 2016; la Coredi riconoscendo la fondatezza degli addebiti applicava la sanzione della sospensione per un mese, decisione confermata in appello.
La Cassazione in rassegna è stata investita di ben nove motivi di censura tutti rigettati tranne il settimo e il nono e pertanto, per questi ultimi, ha rinviato per il riesame ad una diversa Sezione della Corte di Appello; per chiarezza riportiamo i passaggi più significativi delle motivazioni della Coredi e della Corte d’Appello per poi commentare le relative censure della Cassazione.
Il settimo motivo
Coredi:
“Non può essere accolta poi l’eccezione formulata nella prima memoria difensiva del notaio incolpato in ordine alla eccessiva dilazione temporale dell’iniziativa disciplinare da parte del Consiglio Notarile di Milano, in violazione dell’art. 153 della Legge Notarile che impone che l’azione disciplinare sia assunta dall’organo procedente senza indugio. E’ pacifico infatti che tutti i termini della fase amministrativa del procedimento disciplinare innanzi alle Commissioni Amministrative Regionali di disciplina abbiano natura ordinatoria e che in presenza di iniziative anche in ipotesi tardive (ciò che non è nel caso di specie) non si abbia decadenza o estinzione dell’azione disciplinare”.
Corte d’Appello:
“Il ricorrente solleva poi l’eccezione di intempestività dell’azione disciplinare sostenendo che l’espressione <senza indugio> dell’art. 153 L.N. non può che voler dire immediatamente e che i sette mesi trascorsi per l’inizio dell’azione disciplinare sarebbero incompatibili con la lettera e lo spirito della legge.
Rileva la Corte che <tutti i termini della fase amministrativa del procedimento disciplinare nei confronti dei notai sono ordinatori, in mancanza di un’espressa qualificazione legislativa di perentorietà, sicché non è ravvisabile alcuna decadenza di estinzione per intempestività dell’azione disciplinare (Cass. 5 maggio 2016, n. 9041)>.
Va aggiunto che, per quanto la celerità dell’accertamento disciplinare risponda a criteri di buona amministrazione, l’inosservanza del disposto dell’art. 153 L.N. deve comunque concretizzarsi nell’accertamento della violazione del diritto di difesa e della verificazione di un qualsiasi altro pregiudizio connesso al tempo d’avvio dell’azione disciplinare.
Niente di tutto ciò, nella fattispecie, risulta allegato e provato da parte del Notaio…”
Cassazione:
La Cassazione pur confermando il precedente indirizzo e cioè che il disposto di cui all’art. 153 L.N. (“Il procedimento è promosso senza indugio…”) se inosservato non comporta alcuna decadenza e che ha quindi natura ordinatoria e non perentoria, puntualizza:
“Epperò la circostanza che i termini siano ordinatori non equivale ad affermare che l’azione disciplinare possa essere iniziata in ogni tempo, ad libitum, anche a distanza di anni dall’avvenuta conoscenza del fatto disciplinarmente rilevante.
Una tale estrema interpretazione, oltre a contrastare la ratio legis, colliderebbe con il diritto a conoscere in un tempo ragionevole, anche al fine di potersi ben difendere, l’accusa disciplinare formalizzata.
L’immanenza del principio trova conferma nella disciplina processuale penale (artt. 405 e 406 cod. proc. pen.) la quale, nonostante si tratti di esercitare obbligatoriamente l’azione penale, che, com’è ovvio, concerne fatti di ben maggiore disvalore sociale, impone al pubblico ministero di esercitare l’azione (se del caso anche chiedendo l’archiviazione) in un tempo predeterminato dalla legge, a seconda del tipo e della gravità del reato perseguito.
Pur vero che la chiusura del sistema è presidiata dalla prescrizione (art. 146 l.n. 89/1913, siccome riformulato con il d.lgs. n. 259/2016), ma la necessità che le indagini e le valutazioni propedeutiche alla determinazione di esercitare l’azione disciplinare a prescindere dall’estinzione dell’illecito per effetto del decorso della prescrizione, debbano essere concluse in un tempo ragionevole, cioè giustificato dalla natura dell’illecito e dagli approfondimenti da svolgere, assolve a una finalità che, sibbene affine, è peculiare. La pendenza di una tale fase, infatti, produce, ex se, un inevitabile pregiudizio indiretto sulla vita e sull’esercizio della professione del notaio assoggettato, oltre a rendere via via più difficile per quest’ultimo (il quale ancora non conosce i termini esatti della futura incolpazione) approntare adeguata difesa.
Di conseguenza, la Corte d’Appello, pur avendo correttamente affermato la derogabilità del termine, avrebbe dovuto accertare se il tempo impiegato per avviare il procedimento disciplinare, tenuto conto di ogni elemento utile a un tale giudizio, potesse considerarsi adeguato, in relazione all’esigenza di celerità, indubbiamente imposta dall’espressione <senza indugio>.
Ciò posto la decisione deve essere cassata….”
Occorre innanzitutto precisare che l’espressione “Il procedimento è promosso senza indugio” ha una sua precisa delimitazione temporale che esclude qualsiasi possibilità di dilatare i tempi dell’istruttoria “ad libitum” poiché l’art. 153 L.N. deve essere coordinato con l’art. 2, 2° comma della legge 241/90, stante il rinvio fatto a questa legge dall’art. 160 L.N.: “Per quanto non espressamente previsto dalla presente legge, ai procedimenti amministrativi disciplinati dal presente titolo si applicano le norme di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”.
In virtù di questo richiamo torna applicabile il disposto del citato art. 2., 2° comma: “Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni”.
A questo punto si impone una prima precisazione temporale sui tempi impiegati dal Consiglio Notarile per chiudere la fase istruttoria; la difesa afferma, e stupisce che non sia stata smentita, che questa fase si è protratta per sette mesi. Non riusciamo a comprendere il calcolo effettuato. Infatti il procedimento disciplinare istruito dal Consiglio aveva per oggetto ben 260 documenti depositati a scopi difensivi da parte del Notaio incolpato in un altro e diverso giudizio disciplinare deciso dalla Corte d’Appello con la citata Ordinanza depositata l’11 luglio 2016. Stante la particolarità di quei documenti (aventi tutti forma e struttura di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio) il Consiglio ha aperto un autonomo procedimento disciplinare deciso con i provvedimenti in rassegna. Come ricordato il deposito di quei documenti è avvenuto nel corso di quel diverso procedimento in due date e cioè: il 3 giugno 2016 e il 23 successivo. Per non investire in quel giudizio la Corte sulla ammissibilità e rilevanza di quei documenti e soprattutto per non comprimere i diritti della difesa, il Consiglio non si è opposto alla loro produzione e molto opportunamente ha rinviato l’apertura dell’istruttoria sulla redazione di quei 260 documenti alla conclusione di quel diverso procedimento definito, come detto, con Ordinanza depositata l’11 luglio 2016. La scelta del Consiglio di non procedere con un nuovo addebito mentre ancora si svolgeva il precedente procedimento disciplinare, risulta opportuna e rispettosa della Coredi e risulta certamente anche nell’interesse del Notaio incolpato.
Il Consiglio al termine dell’istruttoria ha promosso il procedimento in rassegna con richiesta depositata in Coredi il 20 ottobre 2016; dunque il calcolo deve essere effettuato con riferimento a queste date: 11 luglio 2016 (deposito ordinanza Corte d’Appello) – 20 ottobre 2016 (richiesta apertura) e pertanto risulta che la durata totale dell’istruttoria è stata di 99 giorni cioè poco più di tre mesi ma non di sette mesi come lamentato dalla difesa del Notaio incolpato; rispetto al termine di trenta giorni fissato dall’art. 2 legge 241/90 il Consiglio ha “sforato” di 69 giorni. Se poi si volesse ritenere applicabile anche alla fase istruttoria la sospensione feriale dei termini, il “ritardo” del Consiglio nel chiudere l’istruttoria si riduce a 39 giorni.
In ogni caso il “ritardo” sembra che sia ampiamente giustificato dalla mole dei documenti da esaminare, dai tempi di risposta del Notaio all’invito a presentare le sue giustificazioni e soprattutto dal tempo necessario al Consiglio per ponderare e valutare la fondatezza delle giustificazioni e l’eventuale rilevanza disciplinare.
Da rilevare anche che la sentenza che dispone il rinvio non abbia dichiarato quale sia stato il lasso di tempo impiegato dal Consiglio per promuovere il procedimento e quindi da giustificare, così consentendo alla Corte d’Appello in sede di rinvio di poterlo definire.
Molte perplessità suscita un’altra affermazione della Cassazione: “La pendenza di una tale fase, infatti, produce, ex se, un inevitabile pregiudizio indiretto sulla vita e sull’esercizio della professione del notaio assoggettato, oltre a rendere via via più difficile per quest’ultimo (il quale ancora non conosce i termini esatti della futura incolpazione) approntare adeguata difesa”.
Dunque aver superato il termine ordinatorio per la conclusione del procedimento avrebbe creato un grave pregiudizio sia sotto il profilo della lesione del diritto alla difesa sia, sembra intendere, sotto un profilo del danno morale e/o biologico (disagio, stress, incapacità di attendere adeguatamente alle occupazioni…). Per quanto riguarda il primo profilo non ci è dato sapere se il Notaio incolpato ha esercitato il diritto di accesso agli atti o se si è presentato spontaneamente o se è stato convocato per esporre le sue giustificazioni; tuttavia è prassi nota e non smentita che nella fase istruttoria il Consiglio ha sempre consentito il diritto di accesso agli atti ed ha sempre consentito al notaio di esporre personalmente le sue giustificazioni in fase istruttoria e sempre gli ha consentito di farsi assistere da un legale.
Quindi è palesemente assurdo ritenere che il “ritardo” nel promuovere l’azione disciplinare abbia prodotto una lesione dei diritti della difesa o comunque del diritto ad un “giusto procedimento”. Anche se si considerassero come termini a quo il 3 e il 23 giugno 2016 (depositi dei 260 atti), comunque il lasso di tempo intercorso sarebbe del tutto ragionevole e certamente non ha menomato la facoltà di difesa del Notaio che comunque ha potuto depositare nella fase dibattimentale due articolate e robuste memorie in data 11 novembre 2016 e 5 gennaio 2017.
Il mancato rispetto dell’osservanza del termine di trenta giorni per chiudere l’istruttoria è rilevante solo se si traduce in un ostacolo che non consenta un’adeguata difesa; il profilo delineato dalla Cassazione, e cioè obbligo di motivazione sulla durata dell’istruttoria, è accettabile solo di fronte a macroscopici ritardi e comunque spetta all’incolpato dimostrare di aver subito una menomazione o compressione del suo diritto a difendersi in relazione alla ritardata chiusura dell’istruttoria avanti il Consiglio. Solo un lungo ed apprezzabile ritardo può pregiudicare all’interessato il reperimento delle prove a discarico o la sua serenità personale e professionale. Inoltre la Cassazione non indica quali elementi o punti di fatto siano stati omessi e che avrebbero potuto essere utili a valutare la congruità del tempo impiegato in relazione alle esigenze istruttorie; molto chiaramente la Corte d’Appello aveva affermato: “…l’inosservanza del disposto dell’art. 153 L.N. deve comunque concretizzarsi nell’accertamento della violazione del diritto di difesa e della verificazione di un qualsiasi altro pregiudizio connesso al tempo d’avvio dell’azione disciplinare.
Niente di tutto ciò, nella fattispecie, risulta allegato e provato da parte del Notaio…”
Per quanto riguarda il secondo profilo, il pregiudizio alla serenità della vita personale e professionale dell’incolpato, che dire dei tempi della Cassazione? La difesa del Notaio incolpato ha presentato il ricorso nel termine di 60 giorni[1] dal deposito dell’Ordinanza della Corte d’Appello (6 aprile 2018), essendo stato rubricato al n. 17150/2018 R.G.N.; la decisione è stata resa con sentenza del 18 novembre 2020, depositata il 12 marzo 2021. Dunque la Cassazione ha impiegato circa due anni per restituire al Notaio incolpato la serenità compromessa dai 69 giorni di ritardo del Consiglio nel chiudere l’istruttoria!
Inoltre la Cassazione per avvalorare la sua tesi, e cioè che il termine di trenta giorni è ordinatorio e se sforato deve essere motivato, ha evocato, “per affinità”, anche la disciplina processuale dell’attività del Pubblico Ministero (artt. 405 e 406 CPP) che deve rispettare termini predeterminati di chiusura delle indagini fissati in relazione alla natura del reato.
Pertanto il superamento del termine di trenta giorni per la conclusione della fase istruttoria di competenza del Consiglio Notarile è ordinatorio e per essere superato occorre una motivazione:
“Di conseguenza, la Corte d’Appello, pur avendo correttamente affermato la derogabilità del termine, avrebbe dovuto accertare se il tempo impiegato per avviare il procedimento disciplinare, tenuto conto di ogni elemento utile a un tale giudizio, potesse considerarsi adeguato, in relazione all’esigenza di celerità, indubbiamente imposta dall’espressione senza indugio”.
La Cassazione nel riconoscere che il riferimento a quella normativa penalistica “concerne fatti di ben maggiore disvalore sociale” si contraddice ed opera una surrettizia integrazione del sistema (analogica? per interpretazione estensiva?) che però si scontra con il citato disposto dell’art. 160 L.N.:”Per quanto non previsto dalla presente legge, ai procedimenti amministrativi disciplinati dal presente titolo si applicano le norme di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241, e successive modificazioni”.
E’ un dato ormai acquisito che per colmare eventuali lacune procedurali del sistema disciplinare si debba far ricorso al codice di rito civile e al sistema penale solo per quanto riguarda le garanzie del “giusto processo”. Pertanto per i termini di chiusura di un procedimento ammnistrativo occorre fare solo riferimento all’art. 2, 3° comma, della più volte citata legge 241/1990, riformulato dall’art. 7, 3° comma della legge 18 giugno 2009 n. 69; con questa disposizione il legislatore si è fatto carico di sburocratizzare e accelerare l’attività degli Organi della Pubblica Amministrazione, predeterminando la durata di ogni singolo procedimento, in omaggio ai principi di efficienza ed economicità. In virtù del nuovo testo della suddetta norma diverse Amministrazioni dello Stato, individuate con il D.P.C.M. 5 maggio 2011 n. 109, possono concludere il procedimento nel maggior termine di 90 giorni. In alcuni casi quest’ultimo termine può essere superato fino al limite massimo dei 180 giorni.[2]
A questi parametri temporali il Consiglio Notarile potrebbe ispirarsi per un futuro Regolamento che disciplini in linea di massima i tempi di gestione della fase istruttoria fermo restando la necessità di motivare in concreto la durata della singola istruttoria modulando i tempi da un minimo di trenta giorni ad un massimo di 180 giorni, il tutto nel rispetto della disposizione del 2^ comma dell’art. 1 della suddetta legge:
“La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”.
Certo non è un compito facile tipizzare la durata delle istruttorie ma è invece possibile elaborare delle linee-guida desunte dall’esperienza fino ad oggi maturata; così ad esempio se si tratta di infrazioni di natura formale, il termine non può che essere breve; all’opposto se l’istruttoria è di particolare complessità poiché richiede l’acquisizione di documenti presso gli uffici pubblici, l’audizione di chi ha presentato un esposto, la convocazione del Notaio per ascoltare le sue giustificazioni, la valutazione di memorie, un laborioso esame dei documenti fiscali e contabili, ecc., il termine sarà necessariamente molto più ampio.
Il nono motivo
COREDI:
“In ordine alla sanzione da applicare per la violazione dell’art. 147 lettera a)….stante la gravità della condotta ascritta al suddetto notaio, questo Collegio ritiene appropriato infliggere la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, non ricorrendo nel caso di specie circostanze attenuanti generiche in quanto il notaio non ha mostrato resipiscenza nel comportamento… E tuttavia tenuto conto che gli illeciti disciplinari…non hanno provocato danni ai clienti e considerata altresì l’assenza delle responsabilità penali dei sottoscrittori ex art. 495 c.p. stante la mancanza dell’autentica della firma dei clienti in calce alle dichiarazioni stesse, si ritiene adeguati applicare al notaio incolpato la sanzione della sospensione nella misura di un mese”.
CORTE D’APPELLO:
In sostanza si limita a prendere atto della mancata concessione delle attenuanti generiche tenuto conto del contesto generale della vicenda e della posizione del notaio incolpato.
CASSAZIONE:
“Ora, non è dato comprendere che condotta resipiscente avrebbe potuto tenere il notaio in relazione ai fatti che in questo processo gli sono addebitati, non constando che egli avrebbe potuto compensare il danno al decoro suo e alla dignità della professione in qualche apprezzabile modo.
In definitiva la statuizione della Corte di Milano intende la resipiscenza avere un contenuto diverso da quello predefinito dal legislatore, il quale premia la successiva condotta utilmente riparatoria del notaio …”
In via preliminare osserviamo che la concessione delle attenuanti è disciplinata dall’art. 144 L.N.:
“Se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l’infrazione, si è adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria è diminuita di un sesto e sono sostituiti l’avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall’ articolo 138-bis, comma 1, alla sospensione e la sospensione alla destituzione”.
E’ stato ritenuto che questa disposizione abbia tipizzato l’applicazione di alcune circostanze attenuanti ma che il Collegio giudicante abbia, similmente al disposto dell’art. 133 C.P., “il potere di qualificazione di specifiche circostanze che possono concernere rispettivamente, se oggettive, la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione, nonché la gravità del danno e del pericolo o ,se soggettive l’elemento intenzionale della condotta, le condizioni e le qualità personali del colpevole”. [3]
La concessione delle attenuanti rientra nel potere discrezionale del Collegio giudicante; però quando ricorrono le circostanze tipizzate dall’art. 144 L.N. si è di fronte ad una discrezionalità vincolata: la sanzione di grado inferiore è obbligatoria e la mancata concessione deve essere motivata. Altrettanto doveroso è l’obbligo di motivazione del rifiuto delle attenuanti nel caso in cui l’incolpato ne abbia fatto richiesta. In ogni caso la motivazione del Collegio giudicante non è necessariamente analitica, ben potendo giustificare il mancato accoglimento con motivazione sintetica desumendo dalla vicenda processuale le ragioni di tale rifiuto.
Ebbene l’art. 144 L.N. sopra riportato prevede due situazioni per la concessione delle attenuanti: un comportamento attivo diretto ad eliminare le conseguenze dannose o il risarcimento del danno prodotto. Esempio tipico: atto di convalida di un negozio annullabile e risarcimento dell’eventuale danno
La Cassazione ritiene fondato il nono motivo di reclamo poiché alla luce delle incolpazioni formulate non è possibile comprendere quale condotta riparatoria il Notaio avrebbe potuto porre in essere per riparare la lesione dell’immagine del notaio e della classe notarile.
In effetti la Corte d’Appello avrebbe potuto motivare la mancata concessione delle attenuanti ancorandola più solidamente ad altri parametri tutti risultanti dalla ricostruzione della vicenda e rilevanti sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello oggettivo.
Sotto il profilo soggettivo:
- l’intensità della colpa per aver predisposto ben 260 documenti sotto forma di dichiarazioni sostitutive di atto redatte nel proprio interesse ed aventi gli scopi descritti all’inizio di queste note: non si tratta evidentemente della distrazione nella redazione di un singolo atto;
- la radicata convinzione di poter assumere prove testimoniali in modo irrituale e cioè con dichiarazioni sostitutive;
- la improbabile giustificazione, a fronte delle contestazioni, di aver redatto quegli atti per ottenere la certificazione di qualità dello Studio, giustificazione che da sola costituisce mancata “resipiscenza” cioè assenza di qualsiasi dubbio attinente proprio alla correttezza della propria condotta professionale;
- la recidiva: il Notaio incolpato era già stato riconosciuto responsabile della violazione del medesimo art. 147 lettera a) L.N.
Sotto il profilo oggettivo:
- la gravità del fatto per aver compromesso la sua dignità e reputazione nonché il decoro e il prestigio della classe notarile:
- la durata dell’illecito consistente nella redazione di plurimi atti reiterata, organizzata e protratta nel tempo.
Non abbiamo, dunque, dubbi che la Corte d’Appello in sede di riesame possa superare agevolmente le censure della Cassazione.
Note
[1] Art. 158ter L.N.: “Contro la sentenza della corte d’appello è ammesso ricorso per cassazione nei casi previsti dai numeri 3) e 5) dell’articolo 360 del codice di procedura civile. Si applica l’articolo 366-bis del codice di procedura civile. Il ricorso deve essere proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della decisione, ovvero, in difetto di notifica, nel termine di un anno dal deposito. La sentenza della corte d’appello è immediatamente esecutiva, fatta salva l’applicazione dell’articolo 373 del codice di procedura civile. La Corte di cassazione pronuncia con sentenza in camera di consiglio, sentite le parti”.
[2] Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri … sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali.
Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza.
Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i … termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione.
[3] Tenore-Celeste, La responsabilità disciplinare del Notaio, Giuffrè Milano 2008, pagg. 9 e ss.
AUTORE

La Redazione di Federnotizie è composta da notai di tutta Italia, specializzati in differenti discipline e coordinati dalla direzione della testata, composta dai notai Arrigo Roveda e Domenico Cambareri.