Start up innovative e deroghe al diritto societario

Start up, come dice la parola stessa, tradotta direttamente dall’inglese, significa letteralmente “avvio”. Con questo termine ci si riferisce all’avvio di un’attività imprenditoriale. Le start up innovative sono società di capitali (costituite anche in forma di cooperative) che per essere denominate tali devono possedere una serie di requisiti, tra cui quello maggiormente qualificante è senz’altro rappresentato dall’essere l’attività svolta legata all’innovazione e alla tecnologia.

Non si tratta di un nuovo tipo societario, ma di una particolare qualificazione attribuita a società di nuova costituzione (o costituite da 48 mesi al massimo) a cui è connesso un regime normativo agevolato sia sotto il profilo sostanziale, sia fiscale, sia giuslavoristico.

Sommario

A – I REQUISITI

  1. Relativi alla forma e alla costituzione
    1.1 La start up innovativa in forma di Srl semplificata
  2. Gli accorgimenti in materia di governance in senso lato
  3. I requisiti relativi alla soglia dimensionale e all’attività svolta
  4. L’opportunità di inserimento delle clausole in deroga nel corpo dello Statuto sociale e loro obsolescenza programmata
    4.1 Quote munite di diritti particolari ed aumenti di capitale in itinere

B – ANALISI DELLE SINGOLE CLAUSOLE IN DEROGA AL DIRITTO COMUNE

  1. Le Deroghe per le start up Srl e Spa
    1.1 La riduzione del capitale per perdite
    1.2 Perdite superiori al terzo del capitale sociale
    1.3 Perdite superiori al terzo del capitale sociale che riducano lo stesso al di sotto del minimo legale
    1.4 Considerazioni de iure condendo e segnalazione di criticità nella disciplina
  2. Le Deroghe per le start up Srl
    2.1 Le speciali categorie di quote
    2.1.1 Categorie speciali di quote e diritti particolari del socio
    2.1.2 Introduzione o soppressione di particolari categorie di quote e diritto di recesso
    2.1.3 I quorum richiesti per creare le speciali categorie di quote o i diritti particolari del socio
    2.1.4 Decisioni che possono pregiudicare i diritti di una categoria di quote unitaria
    2.1.5 Le speciali categorie di quote in deroga all’articolo 2468, commi 2 e 3, riguardo ai diritti patrimoniali: le quote postergate nelle perdite
    2.1.6 Le speciali categorie di quote in deroga all’articolo 2479, comma 5, riguardo ai diritti amministrativi (tetto massimo, voto scaglionato, voto capitario, voto plurimo, voto maggiorato)
    2.2 Le operazioni su quote proprie
    2.3 Emissione di strumenti finanziari partecipativi
    2.3.1 La disciplina di emissione
    2.4 Il Crowdfunding (cenni e rinvio)

A – I REQUISITI

In questa sezione ci si occuperà in particolare delle tecniche redazionali di uno statuto tipo di start up innovativa in forma di Srl. Per poter comprendere al meglio le peculiarità della disciplina è consigliabile fare un piccolo passo indietro e sintetizzare quali siano le tipologie di società e, quindi, i modelli statutari attraverso cui si possano costituire le start up innovative. La disciplina “incentivante” si applica solo alle imprese in possesso di tutti i requisiti previsti dall’art. 25 del D.L. n. 179/2012.

1. Relativi alla forma e alla costituzione

La società:

  • deve appartenere al genere delle società di capitali o delle cooperative e andrà iscritta in un’apposita sezione del Registro delle Imprese (in aggiunta all’iscrizione nella sezione ordinaria). Si può trattare anche di una Società Europea, purché avente sede in Italia[1];
  • non può derivare da una fusione o scissione societaria né da una cessione di azienda o di ramo d’azienda né da un conferimento di azienda o di un ramo di azienda (interpretazione del Mise, con nota prot. 0164029 dell’8 ottobre 2013); tale norma trova la sua ratio nell’intento di evitare abusi della disciplina di favore prescritta, evitando quindi che una società preesistente possa dar vita ad una start up innovativa solo trasferendo a titolo oneroso o assegnando ad essa (in sede di scissione) o conferendo ad essa (in sede di costituzione o aumento del capitale) una parte del proprio complesso aziendale; resta al contrario ferma, sempre in base alla citata interpretazione del Mise, la possibilità che acceda al regime di favore della start up innovativa, l’imprenditore individuale il quale dia vita ad una nuova società in forma di Srl unipersonale, ivi conferendo la propria azienda (già titolare o depositaria ad es. di un brevetto industriale innovativo); in tale ipotesi il Ministero intravede non tanto un fenomeno di conferimento (normalmente ostativo, come innanzi detto) bensì un fenomeno di “trasformazione eterogenea atipica” da ditta individuale a società che, qualora impedito, determinerebbe una iniqua discriminazione nei confronti di quei soggetti che, per il sol fatto di essere, allo stato, imprenditori individuali (pur titolari di una privativa industriale) non potrebbero accedere alle agevolazioni in commento, in quanto non costituiti in forma societaria ed al contempo impediti a “trasformarsi in società”;
  • ha la sede principale dei propri affari o interessi in Italia[2];
  • se già esistente, non deve essere stata costituita né aver svolto attività d’impresa da più di 48 mesi[3].

1.1 – La Start up innovativa in forma di Srl semplificata

Resta da esaminare la questione relativa alla possibilità per una Srl semplificata. Non ci sono indici normativi contrari, posto che:

  1. da un lato, ai sensi dell’articolo 25, comma 2, D.L. 179/2012 per «start up innovativa» debba intendersi “la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia”;
  2. dall’altro, la Srl semplificata non costituisce un tipo ulteriore e diverso dalla Srl “ordinaria” e può pacificamente farsi rientrare tra le società di capitali cui fa riferimento la norma.

Il vero punto nevralgico ruota attorno alla regola secondo cui nelle Srl semplificate lo statuto è standardizzato e contiene clausole definite inderogabili proprio dal D.L. 76/2013 e ciò implicherebbe quindi che, nell’ipotesi di Srls, verrebbe costituita una start up di fatto “depotenziata”.

La ragione risiede nell’impossibilità per i soci di inserire nello statuto le clausole concepite dal legislatore delle start up, proprio in funzione incentivante, in quanto in deroga alla ‘ordinaria disciplina della materia societaria (art. 26 commi 2, 3 e 7 D.L. 179/2012): per la start up in forma di Srls non sarà possibile creare categorie di quote fornite di diritti diversi, che non attribuiscono diritti di voto o che li attribuiscono in misura non proporzionale alla partecipazione detenuta (o limitatamente a particolari argomenti) né tanto meno sarà consentita l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi.

Un’ulteriore limitazione deriverebbe dalla disciplina regolamentare dettata dalla Consob, (delibera n. 18.592 del 26 giugno 2013) in materia di “Raccolta di capitali di rischio da parte di imprese start up innovative tramite portali on-line“. E’ evidente che nello statuto di una Srl semplificata non potrà essere inserita la clausola imposta dall’art. 24, comma 1, lettera a) del regolamento indicato e ciò impedirà alla società il ricorso all’equity crowdfunding.

Ma a parte ciò, ben potrà la start up innovativa costituirsi secondo lo schema della Srl semplificata, dato che l’unico requisito richiesto dall’art. 25 che attiene alla formulazione dell’atto costitutivo è quello dell’oggetto sociale, il quale rappresenta di per sé la parte “variabile” del modello standard; gli altri elementi richiesti, di natura strutturale e dimensionale dovranno essere comprovati mediante autocertificazione dai legali rappresentati della società in sede di iscrizione nella sezione speciale, per accedere al regime di favore, ma la loro sussistenza non dipenderà da un’indicazione nell’atto costitutivo ovvero nello statuto sociale (non a caso si parla di requisiti di natura iscrizionale).

2. Gli accorgimenti in materia di governance in senso lato

La società:

  • non può distribuire utili (o se già esistente non deve averli distribuiti): la “compressione” dei diritti del socio, che vedrà preclusa la possibilità di ricevere dividendi, si giustifica perché il legislatore ha voluto andare incontro all’imprenditore offrendo risparmi e flessibilità soltanto in quanto anch’egli dimostri spirito di sacrificio. Gli utili dovranno dunque essere reinvestiti nell’attività sociale al fine di garantire il suo autonomo sviluppo e il consolidamento necessario perché superi la fase di iniziale rodaggio;
  • non può essere quotata né nei mercati regolamentati né nei sistemi multilaterali di negoziazione. La norma del tutto pacifica per le Srl, le cui partecipazioni non possono essere quotate, all’apparenza sembrerebbe contraddittoria e penalizzante per le S.p.a. in quanto limiterebbe la raccolta di capitale di rischio. La disposizione potrebbe giustificarsi con l’intento del legislatore di cercare di impedire ai soci di sbarazzarsi agevolmente della propria partecipazione inducendoli al contrario a mantenerla per almeno i primi anni di vita della società.

3. I requisiti relativi alla soglia dimensionale e all’attività svolta

La società:

  • deve essere innovativa: l’oggetto esclusivo o prevalente della società deve essere lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico.

Quando poi la start up innovativa opera esclusivamente nei settori indicati all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 (assistenza sanitaria, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale, formazione o erogazione di servizi culturali) assume connotazione diversa e viene definita “Start up a vocazione sociale”.

Il legislatore non fornisce una definizione esatta di “prodotti o servizi ad alto valore tecnologico”; sarà quindi compito dell’interprete valutare le diverse attività di volta in volta. Più precisamente considerato che, partendo da un’interpretazione letterale,  è necessario che il prodotto sia ad alto valore (e non “contenuto”) tecnologico, si può arrivare a ritenere che l’attività possa essere finalizzata anche alla realizzazione di beni o servizi tradizionali, purché realizzati con nuove tecniche sofisticate e avanzate[4]. Certamente rientreranno in tale nozione attività come la creazione di dispositivi biomedici innovativi, la creazione di nuovi materiali o di nuove soluzioni nel campo delle biotecnologie, nelle nanotecnologie o nel settore delle Ict (Information and Communication Technology), della bioedilizia e della c.d. “economia verde” (l’oggetto sociale potrebbe essere volto alla produzione e commercializzazione di soluzioni in grado di aumentare l’efficienza energetica, di abbattere i consumi di energia e di materie prime o di ridurre l’inquinamento).

Tra le attività che la società potrà sicuramente esercitare potrebbe, per esempio, essere annoverato lo studio, la progettazione e la creazione di software ovvero la gestione in outsourcing di servizi informatici (cioè mediante il trasferimento di parte delle funzioni di un’organizzazione a un partner esterno)[5] o la realizzazione di spin off accademici (vale a dire iniziative imprenditoriali, alle quali l’Università partecipa in qualità di socio con lo scopo di sfruttare i risultati della ricerca e promuovere nuovi prodotti e servizi derivati dall’attività di ricerca dell’Università).

Si potranno costituire anche le società di ingegneria (di cui all’art. 90, comma 2, lettera b) del D.Lgs. 163/06) per eseguire “studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzione dei lavori, valutazioni di congruità tecnico – economica o studi di impatto ambientale”.

Quanto ai requisiti dimensionali, la società non deve superare i 5 milioni di euro in termini di valore della produzione[6] a partire dal secondo anno di attività. Dovrà inoltre presentare anche uno tra i seguenti requisiti alternativi:

  1. le spese in ricerca e sviluppo devono essere uguali o superiori al 15% delle proprie spese (non si considerano però le spese per l’acquisto o la locazione di immobili);
  2. oppure almeno un terzo della forza lavoro (dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo) calcolata per teste e non in base alla retribuzione percepita, deve essere costituita da dottori o dottorandi di ricerca o da personale in possesso di laurea e che ha svolto da almeno tre anni attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati (anche all’estero). Ci si è chiesti se il criterio quantitativo indicato, riferito genericamente al “personale”, comprenda solo i lavoratori dipendenti e collaboratori o anche gli amministratori della società. La soluzione data proposta da Assonime (cfr. Circolare 11/2013) propende per un’interpretazione ampia della norma, tale da comprendere anche i componenti dell’organo amministrativo; tale soluzione è stata accolta dalla Direzione Centrale della Agenzia delle Entrate con propria Circolare 87/E del 14.10.2014, in base alla quale l’amministratore può essere computato nel calcolo percentuale della forza lavorativa a qualunque titolo “impiegata”, purché la retribuzione a lui spettante sia collegata alla sua specifica qualifica professionale di “impiegato” e non alla carica ricoperta: ne consegue, ad es che lo stagista viene computato nel calcolo della forza lavoro se retribuito; il consulente esterno con partita IVA no;
  3. oppure la società deve essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno un brevetto inerente l’oggetto sociale e l’attività di impresa e relativo, per esempio, a una invenzione industriale o biotecnologica.

4. L’opportunità di inserimento delle clausole in deroga nel corpo dello Statuto sociale e loro obsolescenza programmata

Tutti i requisiti innanzi descritti sono considerati di natura “iscrizionale”: in altri termini il possesso dei requisiti legali qualificatori è mero presupposto, ancorché necessario, della iscrizione della start up innovativa nella sezione speciale del Registro Imprese, non anche presupposto di validità dell’atto costitutivo o dello statuto[7]

Pur tuttavia, dovendo la costituenda società soddisfare i relativi requisiti legali qualificatori di cui all’articolo 25 comma 2 del Decreto Crescita, non è sconsigliabile farli dichiarare al legale rappresentante nel corpo dello stesso atto notarile costitutivo, ai fini della iscrizione automatica nella sezione speciale del Registro delle Imprese.

Quanto alla clausola di non distribuibilità degli utili, alcuni (Maltoni-Spada) ritengono sufficiente il divieto legale, senza bisogno che esso sia in qualche modo richiamato nello statuto sociale; altri (Alessandra Mascellaro in Federnotizie) ritiene al contrario che, costituendo una compressione non indifferente ai diritti patrimoniali spettanti ai soci, non è inopportuno che la stessa emerga a chiare lettere dal corpo dell’atto, al fine di destare maggiore attenzione al tema.

Oltre alle clausole meramente ricognitive della disciplina legale applicabile di default (si pensi alla deroga alla disciplina di riduzione del capitale per perdite), lo statuto di una Start Up Innovativa andrà a differenziarsi in modo rilevante rispetto a quello di una Srl ordinaria, quanto più i soci vorranno avvalersi della disciplina in deroga al diritto societario prevista dalla normativa in commento, mediante inserimento, quindi di clausole cd “tipologicamente aliene” (creazione di quote privilegiate; di diritti particolari riconosciuti ad alcuni soci; di strumenti finanziari partecipativi ecc.). Peraltro, quand’anche previste, esse sono per disposizione normativa destinate a durare per un tempo limitato (massimo 4 anni dalla costituzione della società) per cui è opportuno evidenziarne, per una più elegante tecnica redazionale, la durata ed efficacia meramente transitoria, mediante un meccanismo di obsolescenza programmata.

Le uniche eccezioni alla regola di detta decadenza automatica delle clausole proprie della disciplina in commento, una volta che la società abbia perso i requisiti di start up innovativa, è prevista limitatamente alle clausole attributive

  1. di categorie di quote fornite di diritti “speciali”;
  2. di categorie di quote fornite di diritti speciali “di voto”;
  3. di strumenti finanziari partecipativi.

Dette clausole mantengono efficacia limitatamente alle quote di partecipazione già sottoscritte e agli strumenti finanziari partecipativi già emessi. In altri termini la Srl (ormai non più) start up innovativa, non potrà, allo scadere dei requisiti, emettere nuove quote o strumenti finanziari, ma quelli emessi anteriormente potranno continuare ad avere giuridica esistenza ed ultrattività, con tutti i limiti e/o privilegi ad essi collegati.

4.1 – Quote munite di diritti particolari e aumenti di capitale “in itinere”

Ci si è chiesti come vada applicata la regola sopra descritta alle ipotesi in cui, allo scadere del quadriennio di valenza della disciplina “start up innovativa”, la società abbia “lanciato” un aumento di capitale con emissione di quote particolari ed alcune di esse siano state sottoscritte altre no. L’Osservatorio Fiorentino ha a tal proposito emesso la seguente massima (condivisibile) che distingue a seconda che l’emissione sia stata scindibile o inscindibile.

Venuta meno la qualità di impresa start up innovativa ai sensi dell’art. 31 comma 4 del D.L. 179/2012 (per sopravvenuta mancanza dei requisiti di legge e, comunque, per decorso del termine quadriennale), eventuali aumenti di capitale aventi ad oggetto categorie di quote “standardizzate” non possono essere ulteriormente sottoscritti. Conseguentemente, in caso di aumento inscindibile, le sottoscrizioni perfezionate prima della cancellazione della società dalla sezione speciale del registro delle imprese perdono efficacia. Qualora sia stato deliberato un aumento scindibile restano efficaci le sottoscrizioni perfezionate anteriormente alla data di cancellazione della società dalla sezione speciale valendo quest’ultima come termine finale di esecuzione dell’aumento.

Venuta meno la qualità di impresa start up innovativa ai sensi dell’art. 31 comma 4 del D.L. 179/2012 e, dunque, cancellata la società dalla sezione speciale del registro delle imprese, in caso di successiva delibera di aumento di capitale, il diritto di sottoscrizione spettante ai soci già titolari di categorie di quote “standardizzate” ha ad oggetto partecipazioni “ordinarie”.


B – ANALISI DELLE SINGOLE CLAUSOLE IN DEROGA AL DIRITTO COMUNE

In questa parte dello studio si intende circoscrivere l’analisi al rapporto tra la disciplina delle società di capitali (Spa e Srl) e la particolare disciplina di quelle che abbiano i requisiti di start up innovativa.

1. Le deroghe per le start up Srl e Spa

1.1 – La riduzione del capitale per perdite

Nell’ottica del legislatore della “iSrl”, una esigenza primaria era quella di allentare il rigido principio di tutela della integrità del capitale sociale che, da sempre, rappresenta il baluardo per tutelare al massimo i creditori sociali (che possono fare affidamento solo sul patrimonio della società) ed al contempo salvaguardare il diritto del socio di rischiare, quando costituisce una società di capitali, il solo valore conferito. Ecco che, per dare un po’ di “respiro” ad una società che parte da zero e che, presumibilmente per i primi tempi di esercizio, farà più investimenti che altro, era necessario allentare il cd “sistema del netto” e quindi la regola base (di cui agli articoli 2482 bis-2446 c.c. e 2482 ter c.c.-2447 c.c.) secondo cui se non vi è più una totale corrispondenza tra capitale nominale da un lato e patrimonio netto sottostante dall’altro, la società deve provvedere quanto prima a ridurre il primo in modo da “allertare” i creditori e non ingenerare falsi affidamenti di “facciata”.

1.2 – Le perdite superiori al terzo del capitale sociale

In materia di perdite superiori al terzo del capitale, è previsto che nelle start up innovative il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446 comma 2, e 2482-bis comma 4, del codice civile, è posticipato di un anno rispetto alla disciplina ordinaria, quindi al secondo  esercizio  successivo. Posta una Srl innovativa con capitale 10.000,00 le cui perdite ammontino a 7.000,00, l’assemblea che approva il bilancio nel quale dette perdite vengono accertate potrà rinviarle a nuovo nei due esercizi successivi, piuttosto che, come normalmente consentito, al solo esercizio immediatamente successivo.

1.3 – Le perdite superiori al terzo del capitale sociale che riducano lo stesso al di sotto del limite legale

Nelle start up innovative che si trovino nelle ipotesi previste dagli articoli 2447 o 2482 ter del codice civile, l’assemblea in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell’esercizio successivo: fino a quel momento dunque non opererà la causa di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, comma 1, punto n. 4), e 2545 duodecies del codice civile.

Se entro l’esercizio successivo il capitale non risulta reintegrato al di sopra del minimo legale, l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve deliberare ai sensi degli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile (art. 26, comma 1, D.L. 179/2012) o di ricapitalizzare, o di trasformarsi o di sciogliersi.

Tale deroga va coordinata con l’ulteriore novella normativa che, sin dall’11 agosto 2014 ha ridotto il minimo legale del capitale ad un euro. In altri termini, se le perdite sono tali da assorbire quasi l’intero capitale, lasciandolo in piedi nella misura minima di 1 euro, non scatta più la causa di scioglimento di cui sopra, in quanto, una volta azzerate le perdite, risulterà ampiamente rispettato il nuovo minimo previsto dalla legge: es capitale 10.000,00; perdite 9.999,00. Dopo aver azzerato le perdite la Srl non sarà tenuta a reintegrare il capitale a 10.000,00, in quanto la misura di 1 euro sarà sufficiente a garantirne la sopravvivenza e impedire l’operatività automatica della causa di scioglimento. Allo stesso modo in presenza di perdite pari a 10.500 euro, dopo il loro azzeramento, sarà necessario ed anche sufficiente ricostituire il capitale ad un euro, apportando danaro fresco per soli 501 euro.

Nel medesimo filone si pone l’intervento agevolativo delle start up innovative nella fase della eventuale crisi aziendale, tenendo conto dell’elevato rischio economico assunto da chi decide di fare impresa investendo in attività ad alto livello d’innovazione. Dato l’elevato tasso di mortalità fisiologica delle start up si vuole indurre l’imprenditore a prendere atto il prima possibile del fallimento del programma posto a base dell’iniziativa. La scelta è quella di sottrarre le start up alle procedure concorsuali vigenti, prevedendo il loro assoggettamento, in via esclusiva, alla disciplina della gestione della crisi da sovra-indebitamento, applicabile ai soggetti non fallibili che non prevede la perdita di capacità dell’imprenditore ma la mera segregazione del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori.

Per facilitare l’avvio di start up si prevede che, una volta decorsi dodici mesi dall’iscrizione nel Registro delle imprese del decreto di apertura della procedura liquidatoria, i dati relativi ai soci non siano più accessibili al pubblico ma esclusivamente all’autorità giudiziaria e alle autorità di vigilanza.

1.4 – Considerazioni de iure condendo e segnalazione di criticità nella disciplina

Il differimento della reintegrazione del patrimonio o della ricapitalizzazione rappresenta un’importante “concessione” del legislatore nei confronti della società appena nata, al fine di darle il tempo sufficiente per minimizzare le perdite legate all’avvio dell’attività. La norma, sembra però trattare in modo simmetrico due fattispecie profondamente disomogenee[8].

La riduzione del capitale per perdite rilevanti superiori al terzo (art 2446 c.c.) ha esclusivamente una funzione di allarme per i creditori e i terzi in genere al fine di far conoscere agli stessi che la misura del capitale è stata parzialmente erosa dalle perdite: ecco perché in questo caso è tollerato che l’assemblea, in sede di approvazione del bilancio, preso atto della situazione, rinvii la perdita e nuovo e decida di stare alla “finestra” fino all’esercizio successivo per verificare se essa viene assorbita da utili medio tempore prodotti.

Profondamente differente è, per contro, l’ipotesi in cui il minimo del capitale, che il legislatore ritiene necessario, sia stato eroso da perdite rilevanti (art 2447 c.c.): in questo secondo caso il legislatore ritiene necessario un intervento immediato secondo il dettato sintetizzabile nella regola “ricapitalizza o liquida”.

Possono sorgere dubbi sull’opportunità di derogare all’una e all’altra regola: se la scelta di consentire la continuazione dell’attività d’impresa anche in caso di perdite superiori al terzo che non intacchino il minimo legale, può avere una sua giustificazione nell’ottica di favorire la nascita delle start up, meno comprensibile appare la disapplicazione della regola “ricapitalizza o liquida”, soprattutto in un sistema normativo nel quale è addirittura favorita la sollecitazione del pubblico risparmio con sistemi di crowdfunding. Una start up che abbia perduto il capitale sociale ed anzi abbia un capitale negativo, non venendo in considerazione tale principio potrebbe continuare l’esercizio dell’attività d’impresa pur se in “stato di insolvenza” e pur in una situazione di aggravamento del medesimo, senza che i creditori possano richiedere il fallimento della stessa, almeno per il periodo in cui vale la disciplina derogatoria. Infatti le procedure previste per le crisi da sovraindebitamento, come si è già richiamato, hanno carattere facoltativo e possono essere attivate solo su domanda del debitore.

Da queste osservazioni deriva l’obbligo per gli amministratori di mantenere monitorati i rischi di liquidità al fine di verificare la sussistenza dell’equilibrio dell’esercizio. Qualora vengano individuati rischi di liquidità e solvibilità, gli amministratori, al di là dell’applicazione delle regole sul capitale, debbono adottare, gli opportuni rimedi, quali ad es constatare lo scioglimento della società per impossibilità sopravvenuta di conseguire non tanto l’oggetto quanto lo scopo sociale, per la sopravvenuta antieconomicità dell’esercizio dell’attività sociale con il conseguente passaggio ad una gestione di tipo conservativo. Certamente sia le regole in tema di start up sia anche la previsione delle Srl “a capitale simbolico” in qualche misura rappresentano un “vulnus” al ruolo ed alla rilevanza del capitale sociale nel sistema societario. In ogni caso non ne eliminano la presenza per cui acquista sempre maggior rilevanza la regola concernente il rispetto dell’equilibrio finanziario della società e che potrebbe essere tradotto nella formula “riequilibria o liquida”, che non sopprime quella tradizionale, ma del ricapitalizza o liquida, ma si affianca a essa.

2. Le deroghe per start up Srl

Per le Start up aventi forma di Srl sono previste norme simili a quelle dettate per le società per azioni (art. 26, commi 2 e 3, D.L. 179/2012):

2.1 – Le speciali categorie di quote: disciplina e finalità

In deroga all’art. 2468, comma 2 e 3 c.c. possono essere create categorie di quote fornite di diritti (patrimoniali e/o amministrativi) diversi.

In deroga all’articolo e all’art. 2479, comma 5, nei limiti imposti dalla legge, si possono altresì creare categorie di quote che:

  1. non attribuiscano diritti di voto
  2. che attribuiscano al socio diritti di voto ma in misura non proporzionale alla partecipazione
  3. che attribuiscano al socio diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati a condizioni non meramente potestative.

Dalla scelta si coglie la volontà di consentire una diversificazione delle modalità di investimento nella start up rendendo quest’ultimo più rispondente alle esigenze dei differenti potenziali finanziatori. Si tratta di un punto non trascurabile e innovativo in materia di Srl la quale a partire dalla legge di riforma del 2003 si connota – data la prevalenza dell’elemento personalistico – per una presenza attiva del socio nella vita e nella gestione della società. La creazione di quote cui siano connessi diritti differenziati (per esempio una maggiore remunerazione a fronte dell’assenza del diritto di voto) permette di considerare anche la partecipazione in Srl alla stregua di una forma di mero investimento al pari di quanto già accade nella S.p.a.. Quanto detto non viene messo in discussione dalla circostanza che, per i primi 4 anni la società, non possa distribuire utili perché ai sensi dell’art. 31, comma 4, del decreto anche quando la start up perda i requisiti necessari per considerarsi tale o decorrano i 4 anni dalla costituzione, “le clausole eventualmente inserite nell’atto costitutivo ai sensi dei commi 2, 3 e 7 dell’art. 26, mantengono efficacia limitatamente alle quote di partecipazione già sottoscritte”. Questo dovrebbe incentivare l’investimento da parte di quanti non siano interessati ad essere coinvolti nella vita e nella gestione societaria puntando invece sulla remunerazione del proprio capitale così da legittimare anche nella Srl la dicotomia tra soci investitori e soci risparmiatori[9].

Nella stessa linea strategica si pone l’ulteriore deroga al diritto comune che si analizzerà più avanti, rappresentata dalla concessione, al fine di incentivare la partecipazione dei lavoratori al rischio di impresa, della possibilità entro certi limiti:

  • di effettuare operazioni su quote proprie in funzione di piani assimilabili alle stock option;
  • nonché di emettere strumenti finanziari partecipativi a soggetti sovventori che non vogliono entrare nelle pieghe della gestione sociale (acquistando la qualità di soci), né si accontentano di svolgere il ruolo di meri creditori (come gli obbligazionisti nelle Spa o detentori di titoli di debito nelle Srl).

2.1.1 – Categorie speciali di quote e diritti particolari del socio

La disciplina in questione consente, in deroga al principio di unicità e indivisibilità delle quote, nonché di uguaglianza delle stesse, di creare, all’interno anche della Srl (come già consentito nelle Spa) delle categorie di quote diverse da quelle ordinarie e caratterizzate dall’attribuzione al proprio titolare di diritti di natura amministrativa, patrimoniale o altro, diversi rispetto alla disciplina ordinaria: tali quote “diverse”, una volta create su misura dallo statuto sociale, sono oggettivate nella loro diversità ed attribuiscono i medesimi diritti e doveri “peculiari” a chiunque ne diventi titolare. Ecco perché si parla di “golden quote” o di “quote oggettivate” o di “categorie speciali di quote” e perché esse vanno nettamente distinte dal fenomeno (non di nuova introduzione per le Srl) dei diritti particolari dei soci, di cui all’art. 2468, comma terzo, c.c.

I diritti particolari infatti sono attribuiti e riferiti ai singoli soci e non qualificano oggettivamente la partecipazione. La differenza si evidenzia in caso di cessione della partecipazione:

  • nella categoria speciale di quota o golden quota, il cessionario acquista gli stessi diritti particolari oggettivati nella partecipazione;
  • in caso di diritto particolare ex art. 2468, comma terzo, c.c., invece, la cessione della quota non comprende anche il diritto particolare, salvo che non sia diversamente stabilito nello statuto.

La possibilità di emettere categorie speciali di quote non preclude alla start up innovativa in forma di Srl di prevedere al contempo nello statuto sociale che ad uno o più soci particolari siano attribuiti particolari diritti di natura amministrativa o patrimoniale nel rispetto di quanto già previsto dall’art 2468 3° comma c.c[10].

La vera novità del Decreto Crescita, rispetto ai diritti particolari del socio di cui all’art. 2468 3° comma c.c. è la sostan­ziale atipicità del contenuto delle quote “speciali”: se infatti, nelle Srl ordinarie i diritti particolari possono vertere – secondo l’espresso disposto deli’art. 2468, c. 3, c.c. – solo sull’amministrazione della società e/o sulla distribuzione degli utili, pur nella consapevolezza che l’orientamento prevalente è assolutamente favorevole a non ritenere tassativa tale elencazione normativa[11], il Decreto Crescita è chiarissimo nel prevedere che il contenuto delle quote ‘‘speciali” (analogamente alle categorie di azioni ex art. 2348, c. 2, cc.) è liberamente determinabile e, quindi, può vedervi innestato qualsiasi diritto sociale “privilegiato’, di natura amministrativa o patrimoniale, che la fantasia dell’autonomia statutaria sarà in grado di elaborare, salvo il rispetto dei “limiti imposti dalla legge”, secondo l’espressione contenuta nel medesimo art. 26 comma 2, del Decreto Crescita.

L’espressione “limiti imposti dalla legge” va interpretata nel senso di preclu­dere all’autonomia statutaria la creazione di “golden quote” munite di diritti incompatibili, di volta in volta, con:

  • la causa societaria ex 2247 c.c.: ad es mediante creazione di golden quote che risultino del tutto esonerate dalla partecipazione alle perdite posto che il divieto del patto leonino ex art. 2265 c.c. deve intendersi principio generale di tutto l’impianto societario; sarà di rimando possibile creare quote postergate nelle perdite come si vedrà in seguito;
  • regole caratterizzanti l’impianto delle Srl ordinarie: ad es “golden quote” con diritto “privilegiato” all’ado­zione di modifiche statutarie in modalità extra-assembleare ex 2479, c. 3, c.c. (laddove l’art 2479, c. 4, c.c., prescrive per esse inderogabilmente la modalità assembleare)
  • regole proprie della iSrl: ad es “golden quote” con diritto ‘privilegiato” agli utili (essendo, come abbiamo visto, il divieto di distribuzione di utili un requisito legale, principale e necessario, ai fini della qualificazione di una Srl come impresa “start up inno­vativa”). C’è anche la possibilità, una volta constatata la contraddittorietà del sistema normativo delle imprese “start up innovative” in forma di Srl, le cui “golden quote” si vedrebbero sostanzialmente precluse i “privilegi” patrimoniali in tema di, utili (che invece dovrebbero rappresentare proprio l’incentivo per attrarre gli investitori a sottoscriverle) di poter considerare il divieto di distribuire utili solo come transitorio: in altri termini derogabile proprio mediante la creazione di categorie speciali di quote espressamente subordinando il termine iniziale del privilegio nella distribuzione degli utili al decorso del quadriennio di vigenza della disciplina di Start Up Innovativa.

2.1.2 – Introduzione e soppressione di particolari categorie di quote e diritto di recesso

Secondo l’Osservatorio Fiorentino in materia Societaria, tra le deroghe (ancorché implicite) alla disciplina ordinaria delle Srl, deve essere annoverata anche quella che esclude, in presenza di quote la cui circolazione sia esclusa o subordinata al mero gradimento di organi sociali, il diritto di recesso ai soci fintanto che la società permanga nell’alveo della start up innovativa:

“La start up innovativa costituita in forma di società a responsabilità limitata può statutariamente prevedere ai sensi dell’art. 26 comma 2 D.L. 179/2012 categorie di quote caratterizzate da intrasferibilità tout court o il cui trasferimento sia subordinato al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza che siano previsti condizioni o limiti. Con riferimento a tali categorie di quote, può essere escluso il diritto di recesso del socio finché la società mantenga la qualità di impresa start up innovativa e, dunque, finché la stessa sia iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese.”

2.1.3 – I quorum richiesti per creare le speciali categorie di quote o i diritti particolari del socio

Occorre a questo punto affrontare la questione delle modalità e delle regole riguardanti l’introduzione e la soppressione delle clausole che derogano alla proporzionalità del diritto di voto di cui all’art. 2479, comma 5, c.c. In sede di costituzione, ovviamente, non si pone problema alcuno. Successivamente ad essa, sarà necessario il consenso unanime per l’introduzione, modificazione e soppressione di tutte le clausole che danno luogo a diritti particolari ai sensi dell’art. 2468, comma 3, c.c., mentre sarà in linea di principio sufficiente la maggioranza richiesta dalla legge e/o dallo statuto per le clausole applicabili in via generale e astratta a tutti i soci. Tale ultima regola – di per sé non revocabile in dubbio sul piano generale e astratto – va ovviamente applicata nel rispetto dei principi generali di buona fede e di correttezza nell’esecuzione del contratto sociale, oltre che di parità di trattamento dei soci, in dipendenza delle situazioni di ciascun caso concreto.

2.1.4 – Decisioni che possono pregiudicare i diritti di una categoria di quote unitarie

Secondo una tesi minoritaria non sarebbe validamente adottabile la delibera che possa pregiudicare una categoria di quote, salvo che consti il consenso unanime di tutti i soci, ai sensi dell’art. 2468, comma quarto, c.c. Tale tesi, tuttavia, non è condivisibile perché, come si è spiegato in precedenza, la categoria di quote è cosa ben diversa dai diritti particolari di cui all’art. 2468, comma terzo, c.c.

Pare doversi applicare per analogia la disciplina di cui all’art. 2376 c.c., in tema di assemblee speciali di Spa, in base alla quale la delibera in questione dovrà essere approvata anche dalla assemblea speciale degli appartenenti alla categoria interessata, applicando a detta assemblea le regole di funzionamento delle decisioni dei soci modificative dello statuto sociale.

La specialità delle quote può riguardare sia i diritti amministrativi sia i diritti patrimoniali sia, contemporaneamente, gli uni e gli altri.

2.1.5 – Le speciali categorie di quote in deroga all’articolo 2468, commi 2 e 3, riguardo ai diritti patrimoniali: le quote postergate nelle perdite

La postergazione attribuisce al titolare della quota speciale il privilegio di partecipare alle perdite in via subordinata e, precisamente, solo dopo che le medesime abbiano inciso sulle altre partecipazioni.

Operativamente la postergazione si manifesta nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite: dovranno essere annullate prima le altre quote e poi quelle postergate nelle perdite.

Il grado di postergazione, fermi restando i limiti generali successivamente indicati, potrà essere variamente modulato dai soci nell’esercizio della loro autonomia statutaria.

Oltre al privilegio indicato è possibile attribuire ai titolari di dette quote anche il diritto di prelazione nel rimborso del capitale in fase di liquidazione della società (tale ulteriore privilegio deve essere comunque espressamente previsto nello statuto).

I diritti amministrativi correlati alle quote in commento potranno, poi, a ruota essere variamente modulati dall’atto costitutivo, nel senso che a fronte di un privilegio di tipo patrimoniale, si potrebbe prevedere, a titolo di contrappeso, una limitazione nell’esercizio dei (i) diritti di controllo ovvero (ii) del diritto di voto (nel senso di limitarlo o escluderlo).

  1. Limitazione dei diritti di controllo ex art 2476 comma 2° c.c.: la ammette la Massima dell’Osservatorio Fiorentino in materia societaria presentata il 31.10.2014 la quale così recita “ La start up innovativa costituita in forma di società a responsabilità limitata può statutariamente prevedere, ai sensi dell’art. 26 comma 2 D.L. 179/2012, l’emissione di categorie di quote per le quali è limitato o escluso il diritto di avere notizie dall’organo amministrativo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare anche tramite professionisti di fiducia i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione (art. 2476 comma 2 c.c.). In ogni caso spetta ai soci titolari di dette partecipazioni il diritto di ispezionare il libro delle decisioni dei soci, in quanto documenti espressione della volontà dei soci stessi;
  2. Limitazioni del diritto di voto.

Se da un lato la compressione del diritto di voto rappresenta un bilanciamento del privilegio attribuito ai soci di categoria, dall’altro non possono non rilevarsi elementi di criticità che una simile limitazione potrebbe comportare nel corso della vita sociale.

Si pensi all’ipotesi in cui, per effetto di una riduzione del capitale sociale per perdite, tutte le quote ordinarie siano annullate e, all’esito dell’operazione, dovessero residuare solo le quote postergate nelle perdite con diritto di voto limitato o escluso: in tale circostanza verrebbe violato il limite di cui all’art. 2351, comma secondo, c.c., valevole per le Spa, ma estensibile statutariamente anche alle Srl start up innovative, in forza del quale le partecipazioni con voto limitato o escluso non possono superare la metà del capitale sociale.

Tale evenienza, in tema di società per azioni, è stata risolta dalla dottrina mediante l’applicazione analogica del comma quinto dell’art. 145 t.u.f., dettato per le azioni di riSparmio.

Considerando i dubbi interpretativi sul punto e la funzione antiprocessualistica che il Notaio è chiamato ad esercitare nell’ambito della sua professione, è opportuno che lo statuto di una società a responsabilità limitata Start Upinnovativa, individui espressamente dei correttivi al riguardo anche, se del caso, riproducendo nello statuto della Srl, il disposto del 145 tuf in base al quale se, in conseguenza della riduzione del capitale per perdite, l’ammontare delle quote postergate nelle perdite e delle quote a voto limitato superi la metà del capitale sociale, il rapporto in questione deve essere ristabilito entro due anni mediante emissione di quote ordinarie da attribuire in prelazione ai titolari di quote ordinarie. Tuttavia, se la parte di capitale rappresentata da quote ordinarie si è ridotta al di sotto del quarto del capitale sociale, deve essere riportata almeno al quarto entro sei mesi. La società si scioglie se il rapporto tra quote ordinarie e quote con diritto di voto limitato non viene ristabilito entro i termini predetti.

2.1.6 – Speciali categorie di quote in deroga all’articolo 2479, comma 5, riguardo ai diritti amministrativi (tetto massimo al voto, voto scaglionato, voto capitario, voto plurimo, voto maggiorato)

L’atto costitutivo della Srl start up innovativa, anche in deroga all’articolo 2479, quinto comma, del codice civile, può creare categorie di quote che non attribuiscono diritti di voto o che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione da questi detenuta ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.

Ciò può avvenire:

a. con clausole applicabili in via generale e astratta a tutti i soci (ad esempio: tetto massimo di voto, voto scalare, voto scaglionato, voto capitario, etc.), con conseguente creazione di speciali categorie di quote

TETTO MASSIMO: ad es. uno stesso soggetto potrà esprimere fino al 10% di capitale un solo voto; oltre nulla);

VOTO SCAGLIONATO in relazione alla quantità delle quote possedute o alla percentuale di capitale detenuta da uno stesso soggetto; si pensi alla clausola statutaria che tolga il voto a pacchetti di quote superiori a una certa soglia (ad esempio, il 10 per cento, cosicché le quote eccedenti tale soglia non votino) oppure che lo diminuisca progressivamente (ad esempio: 10% del capitale=10 voti; 20% del capitale=18 voti; 30% del capitale= 24 voti, eccetera);

VOTO CAPITARIO: quest’ultimo – soprattutto nella Srl, normalmente caratterizzata da un numero contenuto di soci – di poco si discosta, sul piano fattuale ed effettuale, da una clausola di mera rideterminazione quantitativa del diritto di voto: un po’ come dire che una società con 5 soci, aventi le seguenti quote: 33%, 23%, 21%, 14% e 9%, attribuisce a tutti soci il diritto di voto in misura pari al 20% del capitale, che equivale appunto al voto capitario. Il diritto di voto, infatti, non può più essere considerato un elemento indefettibile della partecipazione sociale e, la possibilità di escluderlo totalmente (art. 26, comma terzo, D.L. in commento) non può che confermare l’ammissibilità di limitarlo sino alla fattispecie del c.d. “voto capitario”. In forza di una simile previsione statutaria ciascun socio potrà esercitare un unico voto, a prescindere dalla quota di capitale posseduta.

Le clausole applicabili in via generale e astratta a tutti i soci, da un lato, e quelle che attribuiscono a taluni soci particolari diritti che comportano una maggiorazione o una limitazione del diritto di voto, dall’altro, possono d’altronde anche combinarsi tra loro nell’ambito della medesima società. Così, ad esempio, le clausole del tetto massimo, del voto scalare, del voto scaglionato o del voto capitario, potrebbero essere destinate solo ad alcuni determinati soci oppure a tutti soci con esclusione di taluni di essi.

b. con clausole che attribuiscono a taluni soci particolari diritti ai sensi dell’art 2468 c.c. che comportano una “maggiorazione” del diritto di voto (ad esempio: voto plurimo, casting vote o voto determinante, etc.) o che lo limitano a particolari argomenti (voto limitato, voto scaglionato) o lo sottopongano a determinate condizioni purché non meramente potestative (voto condizionato).

Nei limiti dei principi generali, sarà possibile individuare i singoli argomenti e le singole condizioni, purché generalmente sospensive e non meramente potestative.

La facoltà di limitare il diritto di voto anche a un singolo argomento è una operazione legittima, considerando che l’art. 26, comma terzo, del D.L. in commento, ammette perfino la totale esclusione del diritto di voto.

In particolare, gli argomenti potranno riguardare sia materie concernenti l’approvazione del bilancio, la nomina e la revoca degli amministratori, dell’organo di controllo, del revisore legale, sia le operazioni sulle proprie partecipazioni, ai sensi dell’art. 26, comma sesto, del D.L. in commento. Inoltre, il voto potrebbe essere limitato alle deliberazioni relative alla riduzione obbligatoria del capitale sociale, agli aumenti di capitale con esclusione del diritto di sottoscrizione dei soci, alla fusione, alla trasformazione, alla nomina dei liquidatori e alla modificazione dell’oggetto sociale.

Relativamente alle “particolari condizioni” cui subordinare il diritto di voto:

  • per espressa volontà del legislatore, è previsto che esse non siano meramente potestative, ovvero non facciano dipendere l’evento condizionante dalla mera volontà del destinatario dell’esercizio del diritto: ad es sarebbe nulla la condizione che subordina l’esercizio del diritto di voto all’arbitrio degli organi cui è affidato il compito di verificare l’avveramento della condizione. In presenza di una condizione di tal fatta, la stessa si considererà come non apposta, con la conseguenza che al socio spetterà esercitare il diritto di voto senza limiti di sorta;
  • in base ai principi generali, l’evento dedotto in condizione dovrà essere possibile, lecito, futuro ed incerto e potrà dipendere:
    • o da un fatto o da un atto, interno o esterno alla società stessa, determinato in modo specifico nello statuto; un esempio di tal fatta potrebbe essere la quota attributiva del “voto intermittente”, caratterizzata dal fatto che il diritto di voto spetta solo al raggiungimento di un determinato importo di fatturato, di utile o di patrimonio netto; in questo caso il socio avrà diritto di voto a intermittenza, ossia tutte e solo quelle volte che detto importo sarà raggiunto;
    • ovvero da una particolare qualità del socio; in tal caso il suo avveramento potrà determinare l’estinzione definitiva della limitazione del voto e la conversione automatica della quota di categoria speciale in quota ordinaria.

VOTO PLURIMO: il divieto di emissione di partecipazioni con voto plurimo, di cui all’art. 2351, comma quarto, c.c., essendo stato abrogato anche per le Spa con DL 91/2014 (Decreto Competività), convertito con Legge 216 dell’11 agosoto 2014, consente di affermare che, a maggior ragione le Srl ed, ancora a maggior ragione, le Srl start up innovative, abbiano la possibilità di dar vita alla nuova categoria delle quote “a voto plurimo”, le quali consentono di esprimere un numero di voti maggiore di uno (ma, qualora si tratti di Spa non superiore a tre), e ciò – a seconda della scelta che in tal senso sia fatta nello statuto – o nella generalità delle decisioni di competenza dei soci o «anche» solo riguardo a decisioni su «particolari argomenti» (ad esempio: l’approvazione del bilancio, la nomina degli organi sociali, le operazioni straordinarie, eccetera) oppure a decisioni da adottarsi dai soci subordinatamente «al verificarsi di determinate condizioni non meramente potestative» (per esempio, al conseguimento di una certa performance economica da parte della società emittente).

Pertanto nella Srl potranno essere previste speciale categorie di quote a voto plurimo anche in multipli superiori al limite di tre (valevole come detto per le sole Spa chiuse)[12].

VOTO MAGGIORATO: se la possibilità di emettere quote “a voto plurimo” risponde all’obiettivo di ampliare la gamma di strumenti utilizzabili per permettere alle imprese di raccogliere nuove risorse nel mercato dei capitali, il meccanismo delle quote a “voto maggiorato” è invece pensato come strumento per stimolare il mantenimento di investimenti a lungo termine (al fine di favorire la stabilità degli indirizzi di gestione dell’impresa) e, dunque, la presenza di soci durevoli, non orientati al cosiddetto short-termism e dotati (appunto mediante il voto maggiorato) di un più effettivo potere di monitoraggio.

Dal punto di vista tecnico, occorre sottolineare che le azioni/quote a voto maggiorato fidelizzanti (cd loyalty shares) – (a differenza di quelle “a voto plurimo”, le quali, in effetti, vanno a comporre una speciale categoria di partecipazioni) non rappresentano una nuova categoria di quote, ma un diritto particolare attribuito alla “persona” del socio (e quindi spetta – con parità di trattamento – a tutti i soci che la “meritano”, in funzione della loro protratta permanenza nel capitale sociale).

2.2 – Le operazioni su quote proprie

Sul medesimo leit motiv della ottimizzazione e dell’ampliamento maggiore possibile della base e della struttura finanziaria – cui si ispira un po’ tutta la disciplina in oggetto – si pone l’ulteriore deroga alla disciplina della Srl ordinaria pre­vista nell’art. 26 comma 6 del Decreto Crescita, ai sensi del quale è consentito alla società iSrl di disapplicare l’art. 2474 c.c. (che prevede il divieto di operazioni sulle proprie quote) e acquistare o accettare in garanzia le proprie partecipazioni o anche accordare prestiti o garanzie per il loro acquisto o la loro sottoscrizione quando si tratti di attuare piani di incentivazione che assegnino quote a dipendenti, collaboratori, amministratori o a prestatori di opera e servizi anche professionali (in analogia a quanto già accade nelle Spa con i piani di stock option): si tratta di estendere alle Srl quella filosofia del c.d. “work-for-equity”, volta a vincolare all’andamento eco­nomico della società – in tutto o in parte – la remunerazione dei soggetti che, a vario titolo, prestano la propria opera (o forniscono personalmente un ser­vizio) a favore della società, in via o subordinata (dipendenti), o autonoma (professionisti e collaboratori senza vincolo di subordinazione) o parasubordirnata (amministratori), rendendo tali figure-chiave compartecipi del rischio d’impresa.

Una lacuna normativa in tema di operazioni sulle proprie quote è data dalla mancata indicazione delle relative condizioni e limiti legali di esecuzione, peraltro, eventualmente colmabile con la previsione statutaria della medesima disciplina prevista per la s.p.a. ordinaria (artt. 2357-2358 c.c.); pertanto è opportuno che anche nelle Srl le operazioni su quote proprie non eccedano gli utili distribuibili e le riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato e che contestualmente venga iscritta al passivo del bilancio una riserva indisponibile di pari importo.

Non è da trascurare, sempre nel medesimo filone dell’incentivazione del work for equity, l’avvenuta introduzione di un regime fiscale e contributivo di favore per i piani di incentivazione basati sull’assegnazione di azioni, quote o titoli similari ad amministratori, dipendenti, collaboratori e fornitori delle imprese start up innovative e degli incubatori certificati. Il reddito derivante dall’attribuzione di questi strumenti finanziari o diritti non concorrerà alla formazione della base imponibile, sia a fini fiscali che contributivi.

2.3 – L’emissione di strumenti finanziari partecipativi

Ai sensi dell’articolo art. 26 comma 7 del D.L. 179/2012 è inoltre possibile emettere, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci ai sensi degli articoli 2479 e 2479-bis c.c.

La possibilità di emettere strumenti finanziari partecipativi (“SFP”) rappresenta una grande innovazione per le Srl, applicando ad esse una normativa sostanzialmente a specchio rispetto a quella già prevista dall’art 2346 comma 6° c.c. per le Spa ordinarie: in altri termini chi conferisce un bene o altra entità economica alla società, non deve (come prima) necessariamente diventarne socio, con obbligo conseguente della società di imputare il conferimento a capitale, ma può conferirlo in società con assunzione da parte di questa di impegno alla restituzione entro certi limiti ed attribuzione al conferente di una posizione ibrida tra il socio ed il creditore (cd strumenti di “quasi equity”) .

Infatti, se qualificato come capitale di credito, l’apporto non verrà contabilizzato nella voce “capitale sociale” del bilancio e non si renderanno applicabili nè i limiti, né l’adempimento degli obblighi posti a tutela dell’effettività del capitale stesso.

Esemplificando, a rigore, non sarà necessaria alcuna perizia di stima a norma dell’art. 2465 c.c., per il caso di apporti aventi ad oggetto beni diversi dal denaro e, non sarà richiesta la fidejussione bancaria (o la polizza assicurativa) nel caso in cui l’apporto abbia ad oggetto una prestazione di opera o servizi.

Come si evince dalla Relazione Illustrativa al D.L. 179/2012, e come risulta altresì dalla Circolare n. 11/2013 dell’ASSONIME, solo nella Srl l’apporto delle predette prestazioni (opera e servizi), potrà avvenire, vuoi nelle forme di un conferimento tipico a capitale sociale, ai sensi dell’art. 2464, comma sesto, c.c. vuoi quale apporto a fronte di emissione di strumenti finanziari partecipativi, non imputabile a capitale.

Da quanto sopra esposto emerge altresì la possibilità di trasformare una società per azioni che ha emesso strumenti finanziari in una Start Upinnovativa Srl, purché sussistano gli ulteriori requisiti prescritti dal D.L. 179/2012.

L’innovazione normativa, seppur di grande portata per le società a responsabilità limitata con qualifica di Start Up, non prevede una dettagliata disciplina per le modalità e condizioni di emissione di detti strumenti, per i diritti che essi conferiscono, per le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, ove ammessa, per la legge di loro circolazione. Come detto in precedenza, la lacuna normativa non può che essere colmata attraverso la regolamentazione statutaria ed, in subordine, attraverso l’applicazione analogica delle norme dettate in materia di società per azioni.

L’apporto può avere ad oggetto sia entità astrattamente imputabili a capitale che non, e, tale genericità facilita la società nel reperimento di risorse economiche presso il mercato.

Sono pertanto idonei beni quali il denaro, crediti, prestazioni di opere e servizi, obblighi di natura contrattuale, obblighi di non fare, il know how ed ogni altra entità suscettibile di valutazione economica che possa essere utile alla società; con riferimento in particolare alle prestazioni di opere o servizi la previsione appare pressoché inutile in una Srl: a differenza che in una Spa (ove effettivamente detto tipo di conferimento non è ammesso se non sotto forma di prestazione accessoria) in una Srl, chi voglia conferire la propria opera lo potrà fare a titolo di capitale di rischio, assumendo la ben più “ampia” posizione di socio con diritti di voto a 360 gradi, senza doversi necessariamente accontentare di quella ibrida di titolare di SFP che neghi il diritto di voto e, quindi, di intervento in assemblea. Un altro elemento di “appesantimento”, considerata la fase iniziale del ciclo imprenditoriale proprio, per definizione, delle Srl “start up innovative” emit­tenti SFP, tale da sconsigliarne l’adozione, è la necessità di creare un’orga­nizzazione di categoria (assemblea e rappresentante comune), tranne che si ritenga emettibile un SFP unipersonale (analogamente ai titoli di debito ex art. 2483 c.c.).

Quindi, è immaginabile un utilizzo di SFP nella Srl “start up innovativa” soprattutto nei casi di apporti non di facere, ma di dare (in denaro), in cui il sottoscrittore, senza voler assurgere al rango di socio, non vuole nemmeno essere un mero creditore obbligazionista (rectius, titolare di titoli di debito), ma avere anche dei diritti, come usa dire, di voice: egli si accontenterà,, a fronte di una propria collaborazione professionale, di una ridotta partecipazione alle delibere assembleari su determinati argomenti (diversi da quelli di cui agli articolo 2479 e 2479 bis c.c.), quali la nomina dei componenti dell’organo amministrativo o dell’organo di controllo, godendo al contempo del trattamento fiscale di favore ex art 27 Decreto Crescita. Proprio per creare un clima favorevole al loro sviluppo aumentando la capacità di attrazione dei capitali privati, anche grazie alla leva fiscale, si è stabilito pertanto che per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 è consentito alle persone fisiche e giuridiche rispettivamente di detrarre o dedurre dal proprio reddito imponibile una parte delle somme investite in imprese start up innovative, sia direttamente che attraverso fondi specializzati. In particolare:

  • alle persone fisiche sarebbe consentita la detrazione dall’Irpef di un importo pari al 19% della somma investita;
  • alle persone giuridiche la deduzione dall’imponibile Ires di un importo pari al 20% della somma investita.

2.3.1 – Disciplina di emissione

La formula usata dal legislatore della novella è molto ampia e, pertanto, come sopra precisato, non solo la natura dei beni apportabili in società, ma anche il regolamento sull’emissione degli strumenti finanziari e le loro caratteristiche saranno determinate dallo statuto della società.

Nella sinteticità della norma non è dato riscontrare nemmeno quale sia l’organo competente all’emissione degli strumenti finanziari in oggetto. Alla luce della considerazione secondo la quale gli strumenti finanziari partecipativi sono dotati di diritti patrimoniali e/o amministrativi che assumono rilievo sotto il profilo endosocietario, è preferibile ritenere che spetti all’assemblea dei soci la competenza in oggetto, ferma restando la possibilità che lo statuto indichi i caratteri degli strumenti finanziari che possono essere emessi dalla società, delegando al consiglio di amministrazione gli aspetti dell’emissione relativi all’ an e al quantum. In tale ipotesi si ritiene che la delega eventuale all’organo amministrativo debba essere determinata e specifica, specie in merito ai limiti di tempo e al massimo importo di emissione degli strumenti.

Pare quindi opportuno prevenire l’incertezza interpretativa mediante una espressa previsione statutaria che individui l’organo competente all’emissione degli strumenti finanziari partecipativi, nonché specifichi quali siano i diritti patrimoniali e/o amministrativi spettanti ai sottoscrittori.

Tra i diritti patrimoniali è possibile prevedere:

  • in alternativa al diritto agli utili, l’assegnazione di un diritto di prelazione sull’acquisto di quote sociali o, un diritto di conversione degli strumenti finanziari in quote di futura emissione;
  • la restituzione dell’apporto, anche parziale, sempre che l’oggetto dell’apporto sia il denaro o un bene in natura: in tal caso all’apportante potrà essere riconosciuto il diritto alla restituzione dell’apporto in sede di scioglimento e liquidazione della società;
  • il diritto ad ottenere la liquidazione anticipata dell’apporto, qualora esista il diritto alla restituzione dello stesso.

Tra i diritti amministrativi si potrebbe assegnare il diritto di intervento nell’assemblea generale dei soci o i diritti di informazione sulla gestione sociale (ad esempio quello di consultare i libri sociali), posto che l’articolo in commento vieta l’emissione di strumenti finanziari forniti del diritto di voto nelle decisioni che spettano ai soci ai sensi degli artt. 2479 e 2479 – bis del codice civile.

Lo statuto dovrà inoltre regolare:

  • la circolazione degli strumenti finanziari, fermo restando il disposto dell’art. 2483, comma secondo, c.c.;
  • le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni cui si sono obbligati i titolari degli strumenti finanziari.

Tra i possibili rimedi, in caso di inadempimento, si potrà prevedere la risoluzione del rapporto contrattuale sottostante all’emissione degli strumenti e la sospensione dei diritti amministrativi così attribuiti.

2.4 – Il Crowdfunding

Il dato più interessante che emerge dall’analisi della normativa prevista per le start up innovative nella forma di Srl è la transizione verso modelli che consentono sia l’allargamento delle tipologie di fonti di finanziamento sotto forma di capitale di rischio con obbligo di restituzione (in tale direzione la possibilità di emettere strumenti di partecipazione finanziaria), sia l’ampliamento dei canali di raccolta dello stesso capitale di rischio (equity): in tale direzione si pone la possibilità, in deroga al divieto di offerta al pubblico delle quote sociali cui all’art 2468 1° comma, di offrire al pubblico prodotti finanziari, peraltro avvalendosi, se del caso anche di portali on line, ovvero di piattaforme operanti sulla rete che consentono ai potenzialmente infiniti utenti del web (crowd) di finanziare il progetto imprenditoriale promosso dalla start up. Di qui il termine anglosassone di “equity based crowdfunding”.

La disciplina sarà analizzata nel dettaglio in un capitolo ad essa dedicato, ma ciò che in questa sede interessa è quali siano i riflessi sulla redazione dello statuto.

Non si può a tal fine prescindere dalla lettura dell’articolo 24 del Regolamento Consob adottato con delibera n. 18592 del 26 giugno 2013, ai sensi del quale, affinché una start up innovativa possa essere ammessa alla offerta sul portale on line, il gestore del medesimo deve verificare che lo statuto della emittente contempli:

  1. un meccanismo di exit (attraverso una clausola di recesso convenzionale o di co-vendita delle proprie partecipazioni) a favore del socio di minoranza – diverso dagli investitori istituzionali – nel caso in cui i soci di controllo, successivamente all’offerta sul portale, trasferiscano il loro pacchetto a terzi; tale diritto deve essere riconosciuto per un periodo di tempo di tre anni dalla conclusione dell’offerta;
  2. la comunicazione alla società nonché la pubblicazione nel sito internet della emittente dei patti parasociali;
  3. ai fini del perfezionamento della offerta sul portale, una quota minima del 5% deve essere stata sottoscritta da investitori istituzionali, da fondazioni bancarie ovvero incubatori certificati di start up innovative.

Quanto, in particolare, al meccanismo di exit che il regolamento ammette nella formulazione alternativa del recesso o della clausola di co-vendita intesa come tag along, si consiglia di optare preferibilmente per il primo piuttosto che per il secondo. Il diritto di recesso, a differenza della clausola (atipica) di co-vendita, è oggetto di specifica disciplina normativa negli articoli 2473 c.c. e seguenti della Srl ordinaria e ciò anche sotto il profilo delle tecniche di calcolo della quota di liquidazione e dei tempi della stessa. Il diritto di co-vendita (nella declinazione del c.d. tag – along) nella sostanza è idoneo a conseguire il medesimo risultato (consentire cioè al socio di minoranza, nel caso di iniziativa del socio di controllo nel vendere il proprio pacchetto di maggioranza, di accodarsi allo stesso e di vendere anche la propria piccola partecipazione alle medesime condizioni economiche e modalità pattuite dal primo con il potenziale acquirente interessato); ma, non essendovi stato un grande sviluppo della sua applicazione pratica, né essendosi creata sufficiente giurisprudenza in materia, è consigliabile, a parità di risultato concreto, utilizzare la strada già tracciata dal codice (recesso convenzionale).


Note al testo:

[1] Così impone l’art. 25, comma 2, D.L. 179/2012 che rinvia all’art. 73 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 il cui comma 3 stabilisce “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.

[2] Secondo la Circolare di Assonime, “L’impresa start up innovativa”, in data 6 maggio 2013 n. 11, l’espressione “sede principale” non si riferisce alla sede legale indicata nell’atto costitutivo, ma alla sede effettiva in cui viene svolta l’attività innovativa. In altri termini – secondo questa interpretazione – è la sede effettiva degli affari e interessi a dover essere individuata in Italia perché è qui che dovranno essere svolte le principali funzioni strategiche, gestionali e amministrative della start up.

[3] La ragione di questa scelta si rinviene nel rapporto Restart Italia, pag. 27 “Pensiamo che 48 mesi siano un periodo giusto per la fase di avviamento di una nuova impresa innovativa. Un periodo non eccessivamente breve, che rischierebbe di strozzare la start up nella sua fase di crescita ed eSpansione. E nemmeno eccessivamente lungo, tale da invogliare la start up a cullarsi sugli allori”.

[4] Cfr. Circolare Assonime, “L’impresa start up innovativa”, in data 6 maggio 2013 n. 11, ove viene confermato che non esistono limiti a priori per definire i campi di attività, potendo una start up innovativa operare anche in settori “tecnologicamente maturi”. Verrà così presa in considerazione ogni tipo di attività economica da cui possano derivare nuovi prodotti/servizi, oltre che nuovi metodi per produrli, usarli e distribuirli.

[5] Delle 307 start up iscritte all’11 marzo nel registro delle imprese la maggior parte operava nel settore manifatturiero e in quello dei servizi di comunicazione e informazione quali software e consulenza informatica. Alla data dell’8 aprile risultavano iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese 544 start up innovative. Anche dalla seconda lettura dei dati del registro delle imprese effettuata da Infocamere è emersa una concentrazione dell’attività nel settore della produzione di software e della consulenza informatica (29% del totale) seguito dal settore Ricerca e sviluppo (21%).

[6] Il valore della produzione risulta dalla somma del fatturato e dell’incremento del valore del magazzino prodotti finiti.

[7] In tal senso l’Osservatorio Fiorentino in materia societaria: “(1) Prima dell’iscrizione nella sezione speciale delle start up innovative la Srl non può avvalersi delle esenzioni dal diritto comune e pertanto non può essere organizzata in conformità all’art. 26 D.L.179/2012.”

[8] In tal senso Oreste Cagnasso, Note in tema di start up innovative, riduzione del capitale e stato di crisi (Dalla “nuova” alla “nuovissima” Srl), Intervento al V Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale” “L’impresa e il Diritto Commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore della crisi”, Roma, 21-22 febbraio 2014.

[9] In tale ottica si muove la Massima dell’Osservatorio Fiorentino in tema di diritto societario “E’ legittimo prevedere nell’atto costitutivo di una Srl che aspiri programmaticamente alla qualificazione di “start up innovativa” la conversione automatica delle partecipazioni di alcuni soci in “quote di categoria” di valore standardizzato, oggettivamente dotate di diritti particolari, ai sensi dell’art.26 comma 2 D.L.179/2012, subordinatamente alla condizione dell’iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese ai sensi dell’art.25, comma 8, D.L.179/2012.”

[10] cfr. in tal senso, L’impresa start up innovativa, Circolare Assonime n11/2013, RS, 2013; 791.

[11] (cfr. la Massima n 39 – 19.11.2004, in CN MilanoMassime notarili in materia societaria, Milano 2010, 159); nelle Srl “start up innovative” il dato normativo (art. 26, c. 2, Decreto Crescita).

[12] Le modalità attraverso cui regolamentare statutariamente le quote a voto plurimo possono essere le più varie: rappresentano un valido spunto redazionale le Massime emesse (in materia di Spa non quotate ma applicabili con i dovuti accordgimenti anche alle ISrl) dall’osservatorio fiorentino in materia societaria.

Categorie di azioni e nomina degli organi sociali: E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata che attribuisca ad una o più categorie di azioni il diritto di nominare una componente minoritaria del consiglio di amministrazione o degli organi di controllo; ove una di tali categorie sia titolare della maggioranza dei voti esercitabili nelle deliberazioni in esame, può esserle riconosciuto il diritto di nominare la maggioranza dei componenti di detti organi.

Categorie di azioni a voto plurimo differenziato: E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata che riconosca a diverse categorie di azioni un diritto di voto plurimo, differenziandolo in relazione alle materie all’ordine del giorno (dividendo il capitale, ad es., in azioni di categoria B, con diritto di voto plurimo sulle delibere di nomina e revoca del collegio sindacale e di approvazione di specifiche operazioni sottoposte all’autorizzazione assembleare, ex art. 2364, n. 5, c.c., e in azioni di categoria A, con diritto di voto plurimo su tutte le altre deliberazioni da assumersi in sede ordinaria, riconoscendo infine a tutte le azioni un diritto di voto ordinario per le deliberazioni dell’assemblea straordinaria).

Categorie di azioni a voto plurimo e nomina delle cariche sociali

  1. E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata con sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che preveda la divisione del capitale in due distinte categorie di azioni, attribuendo a ciascuna di esse un diritto di voto plurimo sulle deliberazioni aventi ad oggetto, rispettivamente, la nomina degli amministratori e la nomina del collegio sindacale.
  2. E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata con sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che riconosca a due distinte categorie di azioni il diritto di nominare, rispettivamente, la maggioranza (o la totalità) dell’organo di amministrazione e la maggioranza (o la totalità) dell’organo di controllo, purché ciascuna di tali categorie sia titolare della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nelle deliberazioni aventi per oggetto, rispettivamente, la nomina degli amministratori e la nomina del collegio sindacale.

Categorie di azioni a voto plurimo fidelizzanti

  1. E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata che riconosca ad una categoria di azioni il diritto di voto plurimo, subordinandolo alla condizione che i titolari di tali azioni abbiano conservato continuativamente il possesso delle stesse per un arco temporale minimo, la cui durata è liberamente determinabile dallo statuto.
  2. E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata che, nel riconoscere ad una categoria di azioni il diritto di voto plurimo, contempli il diritto dei titolari di tali azioni di rinunciare al voto plurimo in occasione di ogni assemblea, prevedendo che, in caso di mancata rinuncia, le azioni per le quali sia stato esercitato il diritto di voto plurimo siano intrasferibili per un certo arco temporale, decorrente dalla data dell’assemblea, la cui durata non può superare cinque anni.
  3. E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata che, nel riconoscere il diritto di voto plurimo ad una categoria di azioni, preveda la loro conversione in azioni senza voto in caso di alienazione delle stesse; lo statuto dovrà, in tal caso, prevedere appositi meccanismi diretti a garantire che almeno la metà delle azioni sia rappresentato da azioni a voto unitario o plurimo.
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Start up innovative e deroghe al diritto societario ultima modifica: 2014-12-09T16:01:11+01:00 da Valentina Rubertelli
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