Rinunzia all’azione di restituzione

 a cura di Mario Molinari

Spesso nella ricostruzione della reale funzione notarile, quella davvero espressa a ridosso delle questioni giuridiche importanti per tutti noi, mi sono trovato a individuare nel notaio la chiara figura di “creatore del diritto”, quale interprete e profondo conoscitore della materia.

Affermare questo oggi non suoni becera piaggeria, in un momento in cui la funzione è svilita anche da coloro che dovrebbero apprezzarla e difenderla, anche in considerazione degli enormi risultati che – in termini di funzionamento del sistema nel suo complesso – ha da sempre garantito.

Il ruolo che da qualche tempo interpreto, in una piazza non sempre comoda, quasi sicuramente mi mette al riparo da valutazioni che possano liquidare la mia presenza su queste pagine, come atto di cortesia, di semplice circostanza o mera opportunità tattica.

In alcuni momenti è davvero giusto affrontare argomenti complessi, non facili da gestire e – nei limiti concessi – fornire un contributo personale, sempre indirizzato ad irrobustire il sistema, mai a renderlo più incerto e meno sicuro nel suo complesso.[1]

Il diritto, come ogni cosa collegata alle manifestazioni dell’uomo, è cosa vivente, nel senso che risente del trascorrere del tempo e della mutata valutazione collettiva, e come tale ha necessità non solo di essere modificato, affinato nei suoi elementi cardine, ma anche di essere rimodulato per rimanere appunto cosa viva e di centrale rilevanza.

L’idea di questo breve personalissimo contributo mi è venuta leggendo un recente articolo sull’argomento, che ha rinnovato la voglia di un confronto[2] peraltro già avuto la scorsa estate, sulla questione “controversa” della rinunciabilità anticipata dell’azione di restituzione, con il donante ancora in vita.

Non credo che si debbano necessariamente delineare qui i contorni dell’importante questione, arcinota a tutti coloro che hanno affrontato i problemi di un bene immobile di provenienza donativa e la (im)possibilità che lo stesso possa, normalmente, essere elemento di garanzia nei confronti delle banche in ipotesi di finanziamento, senza dover ricorrere a particolari e spesso improbabili artifizi.[3]

Quello che intendo compiere qui, è una sintesi dello stato dell’arte dal punto di vista di chi deve valutare le diverse ipotesi di proposte, con particolare attenzione, appunto, alla rinunciabilità preventiva nei riguardi della sola azione di restituzione. Non vuole né potrebbe essere altro che una riflessione a voce alta, senza l’obbligo di trarre delle necessarie conclusioni organiche.

Sul presupposto condivisibile che “la norma positiva non esaurisce il diritto positivo”, rimane da definire quale sia l’orizzonte concreto entro il quale il notaio può e deve muoversi. I termini “non può” e “deve” evocano direttamente i famosi limiti interni della funzione, sinteticamente individuati negli articoli 27 e 28 della legge notarile. Ma ridurre l’intera interpretazione in merito alla pendolarità tra l’uno e l’altro articolo, con la speranza di incontrare per caso “per strada” le informazioni giuste che pongano al riparo il professionista dal golem dell’articolo 28 l.n., a mio avviso è un discorso estremamente angusto, che ricalca vecchi argomenti probabilmente non più in grado di fotografare la modificata e pressante attualità.

Che vietato e doveroso non siano – di fatto – e da molto tempo, gli unici elementi di verifica e vaglio per l’attività notarile, credo sia concetto più che accettabile, altrimenti si rischia di perdere, in quanto non rammentato, quanto di assolutamente originale – in termini operativi – è scaturito da fonte notarile in questi ultimi 10/15 anni ed oltre. Allora sono convinto che sia giusto rivendicare la qualità dell’apporto professionale, elemento questo necessario e ineludibile per focalizzare le questioni salienti, e, in assenza (cronica) di interventi legislativi positivi e chiarificatori, riuscire ad individuare strumenti e soluzioni praticabili.

Tornando all’argomento dell’azione di restituzione e della sua rinunciabilità, provo a evidenziare gli aspetti di natura generale sui quali proporre qualche riflessione (ovviamente nel loro insieme prive di una concreta sistematicità, che richiederebbe ben altro sforzo), peraltro già anticipata da coloro che l’argomento lo hanno davvero sviscerato, ormai da tempo,[4] dichiarando fin da subito l’agognato traguardo e cioè la possibilità che l’eventuale ammissibilità della rinuncia alla sola azione di restituzione, comporti per il legittimario leso unicamente la perdita del diritto ad ottenere la restituzione del bene in natura, ferma restando la possibilità di agire sul patrimonio del donatario per ottenere il valore equivalente.

Azione di riduzione e azione di restituzione, sono due azioni distinte e diverse, che si fondano su presupposti non certo identici o pienamente sovrapponibili.[5]

Su questo dato il contributo fornito dalla dottrina, sembra essere più che convincente.

Una non recente sentenza della Cassazione ha delimitato, tra l’altro, l’area di efficacia dell’azione recuperatoria, limitandola alle sole donazioni dirette[6] e d’irricevibilità dell’atto di rinunzia, inteso come atto nullo, in quanto riconosciuto espressamente contrario a norme di legge, il tutto in maniera inequivoca.[7]

 Il divieto ex articolo 557 c.c., non può essere traslato direttamente all’azione di restituzione, trattandosi di “cosa” diversa.[8]

Argomento questo che deve essere valorizzato nella sua intima natura, senza considerarlo – in ogni occasione utile – come il salvacondotto di ogni circostanza semplicemente dubbia (svalutando di fatto, il corretto criterio evidenziato ormai dal lontano 1997 dalla Cassazione).

 La non recente modifica normativa attinente all’opposizione alla donazione, di cui alla legge n. 80 del 2005, ha consentito e consente al legittimario di rinunciare alla possibile opposizione alla donazione, anche immediatamente a ridosso dell’esecuzione della liberalità e col trascorrere del ventennio, con donante ancora in vita, la conseguenza di tale scelta è la perdita – per il non opponente – dell’eventuale azione di restituzione. Sono convinto che una tale ipotesi, prevista e codificata nel nostro codice, ci metta a disposizione più di qualche oggettivo spunto di riflessione in relazione al tema che ci interessa qui. L’evento morte del donante – in questo caso – non risulta di alcun effetto o valore.

Non solo, è stato giustamente evidenziato come la modifica dell’articolo 561 c.c. (unitamente a quella del successivo articolo 563 c.c.), riguardante i pesi e le ipoteche eventualmente gravanti sul bene donato, conferma direttamente che nel caso di azione di riduzione esperita dopo il ventennio dalla donazione, tali gravami permangono totalmente, con il conseguente codificato obbligo per il donatario di soddisfare in danaro i legittimari riducenti. Si è in presenza di un’autentica mutazione (post-riforma) del diritto attribuito nel caso al legittimario leso, al quale è riconosciuto un semplice ed ordinario diritto di credito.[9]

Anche l’area dei patti successori presidiata da un divieto espresso e difficile da valicare, è sicuramente stata ridotta sia per le valutazioni conseguenti all’introduzione del Patto di Famiglia, sia per le dirette conseguenze nel nostro panorama del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 650 del 4 luglio 2012 in tema di successioni, di particolare attualità in questi giorni.

Le assolute certezze che il divieto ex art. 458 c.c., sia ancora oggi del tutto privo di incrinature o meglio di formali eccezioni, non sembrano davvero realistiche. La stessa previsione del citato articolo 458 del codice civile, smentisce tale inattuale granitica certezza, dopo la modifica connessa e determinata dall’introduzione del Patto di Famiglia.       Senza accennare oltre sugli effetti derivanti dall’applicabilità dei principi contenuti nel citato Regolamento europeo sul tema della disciplina successoria per contratto, realtà non più relegata a diritti lontani, ma oggi parte integrante – per alcuni aspetti – del panorama successorio europeo, con il quale il notaio e non solo lui si dovrà confrontare sempre più spesso.

Pur nella sinteticità proposta, gli elementi di riflessione in materia credo siano questi, ai quali è giusto associare – quale fattore dirompente – la recente presa di posizione del Tribunale ordinario di Torino[10], in relazione al rifiuto della formalità pubblicitaria relativa ad un atto di rinuncia all’azione di restituzione, ricevuto per atto pubblico, sentenza che ha rinverdito l’acceso dibattito sull’argomento.

Le valutazioni formalizzate dal Tribunale del merito piemontese hanno il pregio non solo di aver – come detto – riacceso il confronto tra i possibilisti e coloro che non ammettono la rinuncia, ma di aver condensato nella propria sentenza una serie di elementi utili da spigolare.

Non entro nel merito specifico della decisione, ma faccio miei alcuni passaggi che trovo convincenti.

La riforma del 2005, che ha ritoccato alcuni articoli del codice (561 e seguenti), ha sicuramente stabilito che la rinuncia ex 563 c.c. è diritto personale rinunciabile, rendendo con ciò evidente quello che prima – forse – era auspicato, e cioè la possibilità che detto negozio potesse trovare positiva accoglienza presso il notaio.[11]

Giustamente la stessa pronuncia evidenzia come la riforma avesse un obiettivo chiaro, di favorire anche durante la vita del donante la commerciabilità del bene oggetto di donazione, e non certo di modificare la sostanziale tutela del legittimario. Questo dato, spesso è negletto e, ove utilizzato, viene relegato a fungere da semplice comparsa nelle inquadrature delle grandi scene di massa senza alcuna incisiva autonoma utilità.

La disponibilità insita nell’atto di rinuncia non altera né modifica in maniera irreversibile il diritto del legittimario alla reintegra, lasciando impregiudicato il divieto – stavolta, ben espresso – dall’articolo 557, secondo comma, c.c..[12]

Non solo, ma allargando lo sguardo, è evidente che il risultato a cui si vuole arrivare è di eliminare l’effetto reale rinvenuto nell’azione di reintegra, come stabilito dal primo comma dell’articolo 563 c.c., ben valutando, però, anche quanto espressamente previsto dal successivo terzo comma, che – sullo stesso piano – consente al terzo acquirente avente causa dal donatario di liberarsi dell’obbligo di restituzione in natura, pagando l’equivalente  (della lesione) in danaro.[13]

Sullo sfondo rimane intatto il principio della piena tutela sostanziale del legittimario; la soggezione del donatario alle pretese del legittimario che agisce in riduzione e quale ultimo step, la posizione del terzo acquirente avente causa dal donatario, che sarà “escusso”, sul presupposto dell’incapienza del patrimonio del donatario e secondo l’ordine delle donazioni effettuate dal de cuius, eliminando però l’effetto distorsivo sulla circolazione dei beni della possibilità di restituzione in natura di cui al 563 c.c..

In merito al divieto attinente ai patti successori, anche in questo caso l’ambito generale della prescrizione ha subito fortissimi condizionamenti, tali da indurre molti a considerare tale limite non più di carattere primario o generale.

Il richiamo al Patto di Famiglia e al Regolamento europeo, credo sia particolarmente utile e appropriato e con ciò richiamando tutta l’interpretazione in materia, ormai davvero consolidata (almeno per il Patto di Famiglia), relativa alla mancata valenza assoluta del divieto ex art. 458 c.c., sempre che poi l’atto di rinuncia all’azione di restituzione violi appunto tale divieto, dato questo dai più non condiviso.[14]

Su questo punto mi approprio della valutazione proposta dall’autore di un lavoro sulla stessa materia, presente su queste stesse pagine di recente, in relazione alla non infrequente ipotesi di mancata opposizione alla donazione nel ventennio, con il donante ancora in vita; situazione questa che – ai sensi di legge – determina per il legittimario la perdita del diritto ad agire sul bene uscito dal patrimonio del donatario, il quale rimarrebbe unico soggetto obbligato a rifondere il legittimario leso nella sua quota. Sempre a proposito della necessità di posizionare tutte le tesserine al loro posto, per avere – possibilmente – un quadro d’insieme chiaro, è di particolare utilità la disciplina prevista dal più volte citato Patto di Famiglia, in relazione agli eventuali legittimari sopravvenuti dopo la conclusione del Patto, ai quali non spetta altro che un normale diritto di credito sul quantum trasferito con l’accordo. Il criterio generale di un incomprimibile diritto di natura reale a favore del legittimario leso, sembra sotto questo angolo di visuale, notevolmente ridotto, anzi del tutto eliminato.

Il presente semplice contributo, volutamente privo di riferimenti redazionali o specifiche conclusioni operative, esprime valutazioni del tutto personali che non coinvolgono né possono essere considerate come il punto di vista ufficiale dell’Amministrazione degli Archivi notarili.


Note

[1] C. Caccavale, Notariato Ipsoa 1/2015, p. 7 e seguenti. Su questo punto faccio mia la valutazione di Caccavale “Si tratta di una questione di ampio respiro e di immediata rilevanza pratica, che coinvolge, oltre agli interessi dei singoli, anche l’interesse generale alla circolazione della ricchezza, che esige un sistema di adeguate garanzie per i soggetti che vi prendono parte  e per tutti coloro che si rendono acquirenti dei beni offerti sul mercato.”

[2] La discussione o meglio il confronto – anche a distanza – con Giancarlo Iaccarino sull’azione di riduzione e l’azione di restituzione è stato – per me – un momento di seria riflessione sulle questioni sollevate. A tale proposito rinvio alle valutazione in Notariato Ipsoa 4/2012, p. 395 e seguenti.

[3] Basta ripercorrere le prime righe del lavoro di Caccavale, op. cit.  per avere in maniera sintetica i termini della questione.

[4] Solo per fare quale rinvio, cfr. Filippo Patti,  Acquisti in comunione legale e circolazione dei beni di provenienza donativa, Quaderni Notariato n. 26 del 2011, nota 2 a pag. 104.

[5] G. Bonilini, nel suo Trattato: “L’azione di riduzione non comporta, di per sé, il passaggio dei beni dal patrimonio del beneficiario a quello del legittimario. Affinché ciò avvenga, è richiesto l’esperimento di una successiva azione, detta di restituzione, la quale dovrà essere esercitata nei confronti dei terzi possessori delle liberalità (dirette) ridotte. Si tratta, di azioni che si distinguono quanto a natura, legittimazione ed effetti”. – Il certosino lavoro di G. Iaccarino in materia è noto a tutti, lavoro che ha  avuto il pregio di evidenziare con enorme lucidità i diversi aspetti della complessa questione.

[6]  E’ vero che, l’acquisto di un immobile con denaro del disponente e intestazione ad altro soggetto (che il primo intende, in tal modo, beneficiare), costituendo lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, integra una donazione indiretta del bene stesso, e non del denaro (giurisprudenza consolidata, a partire da Cass. sez. unite, 5 agosto 1992, n. 9282; cfr. ex plurimis, Cass., sez. 2, 26 agosto 2002, n. 12.486; Cass., sez. 1^, 6 aprile 2001, n. 5122).Trib. Roma  Sez. VIII 30 maggio 2011, n. 11645 – In Notariato 4/2012  – Conforma Cass. sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496. – Con commento di Rocco Cimmino. Tuttavia, alla riduzione delle liberalità indirette non si può applicare il principio della quota legittima in natura, connaturale invece all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria d’immobile(art. 560 cod. civ.); con la conseguenza che l’acquisizione riguarda il controvalore, mediante il metodo dell’imputazione, come nella collazione (art. 724 cod. civ.). La riduzione delle donazioni indirette non mette, infatti, in discussione la titolarità dei beni donati, nè incide sul piano dalla circolazione dei beni.

[7] In merito al concetto di inequivocità richiamo le lontane, ma vigenti posizioni della Cassazione in merito all’applicabilità del divieto ex articolo 28 l.n.

[8] E’ stato brillantemente sottolineato, a tale proposito, che  trattasi azioni diverse per natura, effetti e legittimazione.

[9] Su questo punto vedasi il lavoro di M.C. Andrini, Azione di riduzione nel terzo millennio, Vita Not. 3/2014, a pag. 1169, punto in cui si chiarisce il valore del richiamo all’articolo 2652, n. 8 c.c., per il quale “se sono trascorsi 10 anni dall’apertura della successione, senza che il legittimario abbia trascritto la domanda di riduzione, i terzi aventi causa a titolo oneroso che abbiano trascritto il loro acquisto fanno salvi i loro diritti”.

[10]  Decreto n. 2298 del 26 settembre 2014, rintracciabile su www.federnotizie.it con commento di M. Laffranchi.

[11] Questo almeno chiarisce i termini dell’utilizzabilità o meno dell’articolo 28 della legge notarile.

[12] M. Laffranchi, nel suo lavoro pubblicato su queste stesse pagine, riporta: “E’ la stessa legge, quindi, a prevedere una ulteriore ipotesi in cui la tutela del legittimario perde i caratteri di realità per degradare a sola azione personale nei confronti del donatario. La circostanza che tale eventualità sia espressamente prevista dal codice civile testimonierebbe del fatto che la perdita del diritto di agire sul bene donato non si pone in contrasto con i principi inderogabili del nostro diritto successorio. Con evidente riferimento alla mini-riforma attinente alle modifiche degli articoli 561 e 563 del codice civile.”.

[13] Trattasi di diritto potestativo che comporta il riscatto del bene. Cosi F. Patti ibidem p. 107.

[14] F. Patti ibidem, p. 132 afferma che l’eventuale violazione dei patti successori, nel caso di rinuncia alla sola azione di restituzione, possa individuarsi – in assenza di un dato più concreto –  solo con l’ampliamento del valore del divieto posto dall’articolo 557 c. c., non più indirizzato unicamente all’azione di riduzione, ma vada collegato ai connessi diritti accessori e strumentali in materia, nei quali far necessariamente rientrare anche l’azione di restituzione.

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Rinunzia all’azione di restituzione ultima modifica: 2015-04-13T11:33:36+02:00 da Redazione Federnotizie
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