Riflessi applicativi della sentenza della Cassazione dell’8 agosto 2014 n. 17811: un nuovo ostacolo alla circolazione giuridica degli immobili?

Ruben Israel

La Cassazione con sentenza dell’8 agosto 2014 n. 17811 si è pronunciata sulla annosa questione dell’ammissibilità e dei limiti dello scioglimento volontario del fondo patrimoniale in presenza di figli minori.

Al riguardo, prima della citata sentenza, in dottrina e giurisprudenza sono state sostenute tutte le possibili opinioni.

Una prima tesi assolutamente negativa, contraria dunque allo scioglimento volontario del fondo patrimoniale in costanza di figli minori, argomentava principalmente sulla ritenuta tassatività delle ipotesi di scioglimento del fondo ex art. 171 cod. civ. [1].

Altra tesi, che potremmo definire intermedia, ammetteva lo scioglimento per mutuo consenso, previa autorizzazione del Tribunale dei Minori -oggi Tribunale ordinario- e con efficacia a decorrere dalla data del raggiungimento della maggiore età da parte del più giovane dei figli[2] .

La tesi sostenuta dal Notariato ante Cassazione del 2014 rimaneva dubitativa al riguardo, lasciando comunque alla sensibilità del singolo Notaio la scelta di aderire all’una o all’altra opinione[3] .

Ed infine, la tesi più liberale ammetteva lo scioglimento consensuale del fondo senza autorizzazione giudiziale; e detta tesi è stata posta a base dei diversi pronunciamenti per il non luogo a procedere ove richiesta l’autorizzazione[4].

La Cassazione del 2014, prendendo posizione su tale querelle dottrinale e giurisprudenziale, ritiene legittimo e possibile lo scioglimento consensuale del fondo patrimoniale, concludendo in ordine alla non tassatività delle cause di scioglimento di cui all’art. 171 cod. civ. e ponendo un distinguo a seconda che vi siano o meno figli minori (anche nascituri concepiti).

Nel caso di assenza di figli minori, il fondo patrimoniale, secondo la sentenza in commento, potrebbe essere sciolto con il solo consenso di entrambi i coniugi.

Al contrario, laddove vi fossero dei figli minori, occorre tenere in debito conto anche l’interesse di quest’ultimi alla conservazione della consistenza patrimoniale del fondo. Conseguentemente lo scioglimento del fondo sarebbe sì ammissibile in via volontaria, ma solo con il consenso dei figli minori, rappresentati da un curatore speciale debitamente autorizzato, essendo i figli in tale ipotesi in conflitto di interessi con i genitori esercenti la responsabilità genitoriale.

La Cassazione afferma poi che l’eventuale deroga all’autorizzazione giudiziale prevista dall’atto costitutivo del fondo per il caso di alienazione dei beni di cui all’art. 169 cod. civ. non possa estendersi anche alla diversa ipotesi di scioglimento. L’argomentazione principale a tale conclusione è “che del tutto diversa è l’ipotesi di alienazione di beni del fondo – che comunque nonostante l’atto dispositivo incidente sulla sua consistenza conserva la sua validità ed efficacia – rispetto a quella di cessazione dello stesso che ne determina l’estinzione”. Non pare quindi revocato in dubbio, nemmeno alla luce del maggior rigore che emerge dalla decisione del Supremo Collegio, che nel caso invece in cui i coniugi pongano in essere un atto di gestione dispositiva dei singoli beni costituenti il fondo patrimoniale, si tratterà di un atto ben diverso dallo scioglimento del fondo e non soggetto alla rigorosa disciplina dettata dalla Cassazione.

Conseguentemente la disciplina dello scioglimento e della modifica del fondo non sarà applicabile alla diversa ipotesi dell’alienazione, in quanto la medesima riguarda la formazione e la modificazione del regolamento astratto e generale della convenzione matrimoniale e non il mutamento quantitativo (accrescimento/diminuzione) dei beni vincolati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, quest’ultimo essendo l’effetto di atti gestori di tipo dispositivo, disciplinati unicamente dall’art. 169 cod. civ.[5]. E, pare agevole concludere che a nulla rileva la circostanza per la quale, a seguito dell’alienazione di un singolo bene, il fondo patrimoniale venga “svuotato”, in quanto tale conseguenza, indiretta ed eventuale, non è per sé sola in grado di modificare la causa dell’atto di alienazione che resta tale ed ontologicamente diversa da uno scioglimento o modifica della disciplina del fondo.

Sulla scia della sentenza testé commentata, la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi in sede di volontaria giurisdizione sullo scioglimento e sull’autorizzazione agli atti dispositivi dei beni del fondo, ha assunto e tende ad assumere posizioni notevolmente e vieppiù restrittive: in ordine allo scioglimento del fondo patrimoniale in presenza di figli minori segue correttamente il dictum della Cassazione, ma appare utilizzare il medesimo o analogo procedimento anche con riguardo alla fattispecie, come visto ontologicamente diversa, della alienazione dei beni in fondo.

Estendendo infatti anche a tale ultima ipotesi quanto statuito dalla Cassazione, il Tribunale di Milano con decreto del 29 febbraio 2016 ha concluso in ordine alla necessità dell’intervento del giudice al fine di valutare l’interesse dei figli a prender parte alle decisioni dei genitori in merito agli atti dispositivi del fondo, eventualmente ricorrendo alla nomina di un curatore speciale ove constati la sussistenza di un conflitto di interessi. Con l’ulteriore notevole precisazione che “sull’interesse dei figli ad interloquire sulle opzioni operative effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni facenti parte del fondo non incide la facoltà espressamente riconosciuta ai coniugi dal legislatore di derogare convenzionalmente alla previsione del divieto di alienazione dei beni del fondo, disposta in via generale”.

Ne conseguirebbe quindi la necessità del ricorso all’autorità giudiziaria in ogni caso di atti dispositivi del bene in fondo in costanza di prole minore, affinché la stessa verifichi innanzitutto l’interesse del figlio in merito all’atto da compiersi nonché proceda all’eventuale nomina del curatore speciale ove ritenga sussistente il conflitto di interessi e ciò – si noti – anche nell’ipotesi di alienazione di un bene in fondo nel cui atto costitutivo sia prevista la espressa deroga all’autorizzazione giudiziale, così come peraltro consentito dall’art. 169 cod. civ.

Tale interpretazione, non sorretta dai principi espressi dalla Cassazione, non tiene conto del disposto dell’art. 169 cod. civ. che testualmente prevede che l’atto costitutivo del fondo possa contenere la clausola di deroga all’autorizzazione giudiziale per gli atti dispositivi dei beni costituiti in fondo patrimoniale o, quantomeno riduce drasticamente la portata della autonomia negoziale volutamente concessa dal Legislatore ai coniugi, proponendo una lettura “ortopedica” della norma nel senso di considerare legittima la deroga all’autorizzazione giudiziale agli atti dispositivi solo per il caso di mancanza di figli minori[7] ovvero riferendo la “contraria volontà” solo al consenso congiunto di entrambi i coniugi e non all’autorizzazione giudiziale.

Al riguardo ed in particolare sull’oggetto della concessa deroga occorre precisare come in dottrina e giurisprudenza siano state sostenute tutte le possibili posizioni, a conferma della difficoltà interpretative delle poche e scarne disposizioni in materia di fondo patrimoniale.

Una prima tesi nega che la deroga possa riguardare il consenso congiunto dei coniugi e ritiene che la stessa possa riferirsi soltanto alla necessità dell’autorizzazione giudiziale [8].

Altra tesi, al contrario, sostiene che la deroga possa essere prevista per il solo consenso congiunto e non altresì per l’autorizzazione giudiziale stante il fatto che tale autorizzazione persegue un interesse superiore quale quello della tutela di figli minori[9].

Ed infine, la tesi più liberale sostiene la derogabilità sia del consenso congiunto di entrambi i coniugi che dell’autorizzazione giudiziale[10].

Sul punto occorre rilevare anche la presenza di un diffuso filone giurisprudenziale il quale ammette la deroga alla preventiva autorizzazione giudiziale per l’atto dispositivo di un bene in fondo purché l’interesse del minore alla permanenza del fondo stesso sia garantito dalla perpetuazione del vincolo su quanto ricavato dall’alienazione del bene ovvero su ciò che, con quel ricavato, venga acquistato (cosiddetto “reimpiego”)[11].

Su quanto sin qui esposto in merito alle diverse tesi interpretative, si impongono le seguenti considerazioni.

In primis, in un’ottica garantista della famiglia, dovrebbe escludersi la possibilità che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale possa prevedere la deroga al consenso congiunto di entrambi i coniugi. Infatti lo stesso art. 168 cod. civ. prevede quanto all’amministrazione dei beni in fondo l’applicazione della disciplina della comunione legale, la cui inderogabilità è pacifica; a meno di non voler aderire a quella tesi dottrinale che distingue fra atti di amministrazione disciplinati ex art. 168 ed atti di amministrazione di cui all’art. 169 cod. civ. Tuttavia pare alquanto anomalo che proprio con riguardo agli atti di amministrazione più rilevanti, quali l’alienazione dei beni in fondo, sia consentita la gestione disgiunta da parte dei coniugi. In secondo luogo occorre considerare che il fondo patrimoniale è comunque un regime patrimoniale fra i coniugi, conseguentemente ogni modifica dello stesso richiede il consenso congiunto di entrambi ex art. 163 cod. civ.. Ed infine, un’ulteriore argomento spendibile a sostegno di tale interpretazione sta nel fatto che il consenso congiunto dei coniugi assicura il controllo da parte di entrambi della convenienza dell’atto da compiersi rispetto ai bisogni della famiglia[12].

Con riguardo, poi al filone giurisprudenziale che sostanzialmente impone in sede di autorizzazione il reimpiego di quanto ricavato dall’alienazione del bene in fondo, merita precisare come non via sia alcuna specifica previsione normativa in tal senso. Del resto, in talune ipotesi, l’eventuale obbligo del reimpiego potrebbe contrastare ed ostacolare il soddisfacimento dei bisogni della famiglia laddove ad esempio l’alienazione del bene fosse necessaria al fine di ottenere liquidità da impiegare per bisogni familiari. In secondo luogo deve rilevarsi la difficoltà della “trasmigrazione automatica” del vincolo da un bene all’altro, posto che non tutti i beni sono suscettibili di essere costituiti in fondo patrimoniale. Ed infine contra l’obbligo del reimpiego si pone l’evidente contraddizione fra la previsione legislativa della facoltà per i coniugi di prevedere nell’atto costitutivo del fondo la deroga all’autorizzazione giudiziale per l’alienazione dei beni – avendone quindi la libera disponibilità – e l’obbligo del reimpiego del ricavato. Del resto, in tale ipotesi non ricorrendosi al giudice per l’autorizzazione, vi si dovrebbe invece di ricorrere ai fini della determinazione della tipologia del reimpiego[13].

Su tale querelle interpretativa, tuttavia, la sentenza della Cassazione in commento non ha preso posizione; al contrario l’accennata interpretazione “ortopedica” mai è stata nemmeno adombrata dal Supremo Collegio ed anzi, come sopra indicato, pare che al Collegio sia ben chiara la distinzione tra scioglimento ed alienazione del bene. Essa poi appare contraria, oltre che al testo della norma, anche al suo spirito dal quale emerge che il legislatore ha voluto rimettere in prima battuta ai costituenti non solo l’apposizione del vincolo di destinazione, ma pure la stringenza della sua disciplina, prevedendo la derogabilità del controllo eteronomo sulla alienazione. Non pare infatti di poco momento l’osservazione del rilievo che lo stesso legislatore ha voluto dare all’espresso consenso dell’atto costitutivo con cui si apre la norma.

Al riguardo si deve rilevare come, ante Cassazione del 2014, la stessa giurisprudenza di merito richiesta dell’autorizzazione de quo – nonostante la deroga alla stessa per atto costitutivo – concludeva per il “non luogo a procedere”[14].

L’interpretazione estensiva dei principi esposti dalla Cassazione anche ad una ipotesi ontologicamente diversa e che va diffondendosi, oltre che in sede onoraria anche nel mondo bancario, crea e rischia di creare un gravissimo ostacolo alla libera circolazione dei beni costituiti in fondo, considerato che l’esistenza di detto vincolo finisce con l’essere considerato un impedimento all’alienazione degli stessi. La persistenza del fondo si è talvolta tradotta, infatti, in un ostacolo all’ottenimento del credito ipotecario bancario, alla stregua di quanto accade nel caso di immobile di provenienza donativa. Più di un Istituto di credito ha infatti richiesto che per la concessione del mutuo ipotecario all’acquirente, in presenza di fondo costituito dall’alienante con clausola di libera trasferibilità, il fondo stesso venisse previamente sciolto dallo stesso alienante o quanto meno fosse comunque richiesta la (pur non dovuta) autorizzazione alla alienazione. E deve sottolinearsi che correttamente, alla luce della richiesta necessità o utilità evidente prescritta dalla norma, l’atteggiamento della giurisprudenza onoraria è assai restrittivo nel concedere l’autorizzazione con la conseguenza che molto raramente il Giudice, investito della questione di merito sulla necessità o utilità della alienazione valuterà in senso affermativo l’istanza dei coniugi.

Il notaio, dunque, richiesto dell’alienazione di un bene costituito in fondo con espressa previsione della deroga all’autorizzazione giudiziale ex art. 169 cod. civ., si trova così stretto fra l’obbligo di ricevere l’atto di cui all’art. 27 L. Not. (considerato che l’alienazione senza autorizzazione pare pienamente conforme al dettato normativo e non pare per nulla revocata in dubbio dal pronunciamento della Cassazione) e la giurisprudenza di merito nonché la prassi bancaria tra le quali, al contrario, inizia a diffondersi l’opinione della necessità di detta autorizzazione in presenza di figli minori nonostante il tenore letterale del citato art. 169 cod. civ.

Occorrerebbe dunque rimeditare sulle conclusioni cui giunge la giurisprudenza di merito ed opporsi alla prassi che solo per una malcelata prudenza tende a richiedere una autorizzazione non prevista alla alienazione; e ciò anche tenendo a mente che, sebbene il fondo patrimoniale sia costituito per i bisogni della famiglia, si tratta comunque di una convenzione matrimoniale sottoposta peraltro alla disciplina della comunione legale ai sensi dell’art. 168 comma terzo cod. civ., che col consenso dei coniugi prevede la stipula di atti dispositivi sui beni che ne formano oggetto.

Si deve altresì tenere a mente che, al netto dell’uso distorto del fondo volto più che alla tutela dei bisogni della famiglia, alla messa al riparo di beni fuori dal generale perimetro dell’art. 2740 C.C., in alcune concrete ipotesi, al fine di perseguire al meglio i “bisogni economici della famiglia“ appare necessaria l’alienazione dell’oggetto del fondo senza che questa si traduca in un ostacolo alla trasformazione del bene in fonte di reddito per la famiglia, con la conseguenza paradossale che il fondo, lungi dal soddisfare i bisogni della famiglia, li va ad ostacolare.

D’altronde il vincolo è costituito in forza della sola volontà dei coniugi nell’interesse proprio e della propria famiglia, i quali hanno – in virtù di una norma che espressamente a ciò li legittima – previsto la libera alienabilità ed è pertanto singolare come poi sfugga alla loro libera e concorde determinazione una volta venuto ad esistenza e sia destinato a sopravvivere a prescindere da una loro volontà in tal senso, almeno fino a quando vi siano figli minori.

Merita infine considerare che vi è nel nostro ordinamento un generale disfavore verso la eccessiva durata dei vincoli alla proprietà ed alla circolazione dei beni che l’autorizzazione alla alienazione, per quanto espressamente esclusa con l’accordo derogatorio, andrebbe a fortemente ostacolare, nonché un generale disfavore verso la limitazione della responsabilità patrimoniale generica di cui all’art. 2740 cod. civ.; argomentazioni ulteriormente spendibili ai fini di un “ridimensionamento” della portata applicativa della Cassazione del 2014 e comunque nella sua necessaria “cogenza” da tenere in debito conto, anche nel nostro quotidiano operare, soltanto nella fattispecie oggetto del suo intervento.

Ringrazio l’avvocato Vittoria Furfaro, mia collaboratrice di studio che, con grande intelligenza, mi ha supportato nella stesura dell’articolo sviluppando e documentando le idee da cui è nato.

Note

[1] De Paola, Il regime patrimoniale della famiglia coniugale, III, Milano, 1996, p. 128; A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, pp. 832 ss.; CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato Cicu – Messineo, II, Milano, 1984, p. 106; RUSSO, Il fondo patrimoniale, in Studi sulla riforma del diritto di famiglia, Milano, 1973, pp. 549 ss.. In giurisprudenza: Trib. Modena 1 marzo 2011; Corte di Appello di Bologna 5 agosto 2011.

[2] Cian Casarotto, Fondo patrimoniale della famiglia, in NSSDI, appendice, Torino, 1982, pp. 837 ss.

[3] Risposta a quesiti del  non trova fondamento nella norma.

[8] Risposta a quesiti del CNCNN, numero n. 5953 del 2005 a cura di A. Ruotolo, Scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale.

[4] Ex multis Trib. Venezia del 7 febbraio 2001; Trib. dei Minorenni di Venezia decreto del 17 novembre 1997; Trib. Lecce del 25 novembre 1999; Trib. Milano decreto del 6 marzo 2013.

[5] Così parafrasando la Massima del Triveneto n. 4 come revisionata nel 2015 a seguito della Cassazione in commento, reperibile al link: http://www.notaitriveneto.it/dettaglio-orientamenti-civilistici-175-strongelaborato-dalla-commissione-civile-2-coordinata-dai-notai-morandi-e-silvastrong—fondo-patrimoniale.html#inizio.

[7] Interpretazione peraltro che non trova fondamento nella norma.

[8] Risposta a quesiti del CNN, numero n. 348 del 2006 a cura di S. Metallo, Sull’amministrazione del fondo patrimoniale.

[9] Cian Casarotto, op. cit.. In tale filone dovrebbe porsi anche eventualmente il non giustificato rigore interpretativo posto a base del citato provvedimento del Tribunale di Milano del febbraio 2016, sulla scorta di quanto sopra accennato.

[10] Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia – Le successioni, Milano, 1985 pp. 135 e ss.; Gabrielli, Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, voce Enc. Dir. XXXII, p. 48; Jannuzzi-Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004 p. 563. In giurisprudenza: Trib. Roma del 27 giugno 1979.

[11] Trib. Lecco, 1 ottobre 2002, in Riv. Not., 2003, 2, p. 448 con nota di L. Donegana.

[12] In tal senso si esprime anche il notaio A. Testa nella lezione del 6 giugno 2014 tenuta presso la Scuola di Notariato “Jacopo da Lentini” di Catania, riportata nell’articolo Il fondo patrimoniale: il problema dell’alienabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale anche con riguardo alla tassatività delle cause estintive del fondo.

[13] Così anche A. Testa, op. cit.

[14] Ex multis Trib. Brescia, decreto del 9 giugno 2006.

 

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Riflessi applicativi della sentenza della Cassazione dell’8 agosto 2014 n. 17811: un nuovo ostacolo alla circolazione giuridica degli immobili? ultima modifica: 2017-03-16T08:05:04+01:00 da Redazione Federnotizie
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