Con la sentenza del 5 settembre 2018 n. 4055, la Corte di Appello di Napoli ha accolto le doglianze di un notaio a seguito della pronuncia di nullità da parte del Tribunale di un atto di compravendita da lui stipulato, a causa del mancato rispetto della normativa urbanistica.
Nella sentenza in secondo grado vengono affermati alcuni importanti principi, che meritano di essere evidenziati, chiarendo il perimetro della responsabilità del notaio in materia urbanistica.
Sufficienza, ai fini della validità dell’atto, della dichiarazione resa sotto ammonizione, che la costruzione dell’immobile è iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967.
Il primo aspetto da sottolineare posto alla base del ragionamento della Corte di Appello è che “ai fini della validità ed efficacia dell’atto è necessario, ma nel contempo sufficiente, che l’alienante, ai sensi dell’art. 40 della L. n. 47/85 renda, sotto l’ammonizione dell’ufficiale rogante in ordine alle responsabilità penale per le dichiarazioni mendaci, apposita dichiarazione circa i tempi di realizzazione del fabbricato oggetto di compravendita, in assenza della indicazione del titolo abilitativo per la sua edificazione”.
In sostanza la Corte ritiene che quando l’immobile sia stato edificato prima del primo settembre 1967, la dichiarazione resa sotto ammonizione escluda comunque l’invalidità dell’atto. Precisa anche che la normativa attuale non prevede, a differenza di quanto previsto dal D.L. 78/2010 in materia catastale, la nullità degli atti di compravendita immobiliare in caso di mancanza della conformità urbanistica, situazione quest’ultima che espone il venditore solo ad una richiesta risarcitoria.
La Corte, nel ricostruire la normativa succedutasi negli anni in materia urbanistica, rileva che sono nulli tutti gli atti di trasferimento degli immobili la cui edificazione è iniziata successivamente al 1° settembre 1967 in cui difetta l’indicazione degli estremi della concessione o permesso di costruire, e quelli in cui manca l’allegazione della domanda in sanatoria, corredata dalla prova dell’avvenuto pagamento delle prime due rate dell’oblazione edilizia.
In tal modo pur non prendendo posizione in merito alla nota questione della nullità formale o sostanziale (su cui si veda ampiamente Rizzi – La nullità degli atti negoziali per violazione delle norme in materia urbanistica ed edilizia su questa Rivista) afferma tuttavia che solo in assenza delle prescritte menzioni, indipendentemente dalla veridicità delle stesse, il negozio giuridico può dirsi affetto da nullità.
Invece per quanto concerne i fabbricati realizzati in data antecedente, è sufficiente che esista la prescritta menzione (anche se nella sentenza si parla del 2 settembre 1967, a causa probabilmente dell’errore del testo coordinato della legge 47/85, corredato dalle disposizioni normative di rinvio e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 1985 n. 63. Al riguardo si veda Quesito n. 194-2006/C Ufficio studi del CNN).
La Corte ritiene che non rilevi in alcun modo la mancanza dell’attestazione di conformità della costruzione alla licenza edilizia o l’esistenza di una concessione in sanatoria, considerando sufficiente ai fini della validità del negozio, l’indicazione delle menzioni, senza che la loro eventuale mendacità possa pregiudicare la validità dell’atto. A tal proposito ritiene irrilevante nel caso di specie la nota e controversa questione della nullità formale o sostanziale, per la semplice considerazione che si tratta di immobile realizzato anteriormente al 1° settembre 1967. La stessa Corte poi sottolinea che si tratta nella fattispecie concreta di interventi edilizi minori (frazionamento) che certamente non hanno incidenza alcuna sulla commerciabilità del bene.
Insussistenza della responsabilità del notaio in ordine alle dichiarazioni mendaci dell’alienante
Altro passaggio molto potente nella sentenza in commento riguarda la mancanza di responsabilità del notaio per dichiarazione mendace del venditore. Viene infatti affermato a chiare lettere che il notaio che ha stipulato l’atto non può essere ritenuto responsabile per non aver verificato gli abusi edilizi, trattandosi di un accertamento che non rientra nelle competenze né nella possibilità materiale di controllo da parte del notaio.
In sostanza il notaio deve limitarsi ad ammonire il venditore sulle conseguenze penali delle dichiarazioni mendaci. Se quest’ultimo tace sull’esistenza di abusi, pur conoscendoli, il notaio può procedere alla stipula dell’atto, dovendo dare fede alla parola del venditore, inserendo nell’atto le dichiarazioni da lui effettuate.
Ad avviso della Corte il notaio non può essere ritenuto responsabile, perché non esiste a suo carico un obbligo di verificare la veridicità delle dichiarazioni del venditore.
Criticità della Sentenza in commento
Pur trattandosi di una sentenza assolutamente favorevole al notariato, e che ristabilisce il corretto perimetro della responsabilità del professionista in merito al rispetto della normativa urbanistica negli atti notarili, proprio per mancanza delle competenze necessarie e per insussistenza di un obbligo di legge circa il controllo della documentazione indicata, la Corte in qualche passaggio motivazionale, sembra non avere ben chiari alcuni aspetti.
In primo luogo, pur affermando che non è prevista in alcun modo nel nostro ordinamento la nullità per mancanza della conformità urbanistica, poi sostiene in un successivo passaggio che il notaio è solo tenuto a “verificare che per dichiarazione dell’alienante, risulto gli estremi della conformità agli strumenti urbanistici o della concessione rilasciata in sanatoria”. In realtà sappiamo che dall’atto deve invece risultare o la dichiarazione resa sotto ammonizione, che la costruzione dell’immobile è iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967, ovvero gli estremi delle licenze, concessioni o permessi edilizi inerenti l’immobile oggetto dell’atto.
Anche in un altro passaggio della sentenza la Corte, con una certa approssimazione, sostiene che l’ufficiale rogante deve limitarsi ad “ammonire il venditore chiedendogli di dichiarare, sotto responsabilità penale, che l’immobile non presenta irregolarità edilizie”.
Altro aspetto criticabile di cui si è già detto, riguarda la confusione tra la data del 1° settembre 1967 e quella del 2 settembre 1967, in quanto la Corte afferma che i fabbricati realizzati prima del 1967 risultano liberamente commerciabili a condizione che “nel negozio risulti inserita una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967”. Sul punto si rinvia alle osservazioni rinvenibili nel Quesito n. 194-2006 sopra citato.
Infine l’affermazione per cui sono nulli gli atti in cui “difetta la allegazione della domanda in sanatoria corredata dalla prova dell’avvenuto pagamento delle prime due rate dell’oblazione edilizia” mostra una non perfetta conoscenza da parte della Corte di Appello napoletana della normativa succedutasi negli anni. E’ infatti pacifico che negli atti non sia richiesta più l’allegazione della domanda, ma semplicemente l’indicazione degli estremi della stessa.
Conclusioni
Una sentenza di tale portata non può che essere applaudita e condivisa perché riscrive i limiti della responsabilità del notaio in materia di difformità urbanistica, sottolineando come non competano al notaio accertamenti di tipo tecnico che esulano dalle sue competenze professionali.
Quanto alla vexata quaestio della nullità formale o sostanziale, continuiamo ad attendere che venga fatta definitiva chiarezza con una sentenza da parte del Supremo Collegio a Sezioni Unite che determini finalmente la portata applicativa delle norme considerate, come sollecitato con ordinanza 20061/18 dalla II Sezione Civile.

AUTORE

Valentina Varlese è napoletana con studio a Melzo (MI). Notaio dal 2001, è ancora innamorata del Notariato. Ha insegnato alla scuola notarile di Milano fino al 2011. Fa parte del comitato direttivo dell’Associazione Sindacale dei Notai della Lombardia.