Responsabilità amministrativa tributaria dell’amministratore di fatto

Con la sentenza numero 10975 del 18 aprile 2019 la Cassazione ha ribadito che, in via di principio, in presenza di violazioni delle norme fiscali commesse da un amministratore di fatto di società di capitali, l’unico soggetto cui è ascrivibile la responsabilità amministrativa è l’ente (confermando così un consolidato orientamento giurisprudenziale: ex multis Cass. nn. 19716/2013, 4775/2016, 25284/2017 e CTR Lazio 6192/2017).

di Edoardo Maria Moroni e Beatrice Maria Ratti di Desio Levi, notai

L’art. 7 del D.L. 269/2003, nell’affermare che “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica” esclude chiaramente ogni forma di (co)responsabilità amministrativa dell’autore materiale dell’illecito fiscale, sia esso formalmente investito del potere di amministrazione o mero gestore di fatto.

           Tuttavia, senza cadere in contraddizione con la norma testè riportata, a diversa conclusione deve giungersi ove la società sia stata costituita artificiosamente con la sola finalità di frode fiscale.

Se la persona giuridica si presenta come una mera “scatola vuota”, la sanzione amministrativa connessa alla violazione della norma tributaria non può non colpire l’autore materiale dell’operazione illecita.

Come si evince da quanto espresso dalla Suprema Corte, il citato art. 7 si riferisce all’ipotesi in cui “vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente e, in particolare, all’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima, ma non nel caso in cui la persona fisica sia esclusivo beneficiario delle violazioni contestate”.

Il principio ricavabile dalla sentenza in commento, già enunciato in precedenti pronunce (Cass. nn. 19716/2013, 5924/2017, 28331/2018 e CTR Lazio 1434/2019), secondo cui la responsabilità amministrativa tributaria colpisce il contribuente effettivo – e non il mero autore materiale della violazione – si pone in perfetta coerenza con quello che pare essere lo spirito sotteso alla riforma della responsabilità fiscale degli enti dotati di personalità giuridica.

Con l’entrata in vigore dell’art. 7 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, il legislatore si è parzialmente discostato dai princìpi propri del diritto penale, e, volendo semplificare il regime di responsabilità, ha adottato un criterio “oggettivo” di imputabilità.

Dal combinato disposto degli artt. 2, comma 2°, 9 ed 11, comma 1°, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, originava un sistema volto principalmente a reprimere la persona fisica – agente o concorrente nella violazione – in via diretta, e, in via indiretta e solidale, l’ente  che si è materialmente avvantaggiato del risparmio fiscale. L’approccio aveva, perciò, una forte connotazione “soggettiva” e “personalistica” con conseguente duplicazione di responsabilità.

L’art. 7 D.L. 269/2003 (senza abrogare il D.lgs. 472/1997 che, in quanto compatibile con la novella, rimane in vigore) ha sancito – con esclusivo riferimento agli enti dotati di personalità giuridica – la traslazione della responsabilità amministrativa tributaria, dal soggetto agente, a colui che si è effettivamente avvantaggiato dell’illecito fiscale, ovverosia, secondo l’id quod plerumque accidit, l’ente medesimo.

La sanzione mira a reprimere non il trasgressore in quanto tale, bensì il titolare del rapporto tributario quale beneficiario finale della violazione (come affermato a chiare lettere dall’art. 2 comma 1 lettera l della Legge 7 aprile 2003, n. 80, con la quale il Parlamento delegava al Governo una riforma del sistema fiscale).

Tuttavia, solo nella normalità dei casi il vantaggio derivante dall’illecito commesso dai suoi rappresentanti giova alla società. Ed esclusivamente questa circostanza ha indotto il legislatore a limitare testualmente la responsabilità amministrativa alla persona giuridica.

Ne consegue che, in perfetta linea con la ratio sottesa all’articolo 7 in parola, ove ci si discosti dal giudizio di normalità espresso dallo stesso, è inevitabile giungere ad una rilettura adeguatrice del dettato normativo. In presenza di una trasgressione compiuta da persona fisica che non sia portatrice di un interesse sociale, ma di un mero interesse individuale, viene meno la necessaria dualità tra autore materiale e beneficiario: l’autore dell’illecito è l’unico effettivo contribuente.

In estrema sintesi: la sovrapposizione di trasgressore e contribuente, in presenza di un ente costituito artificiosamente col solo intento di aggirare la normativa fiscale, determina il “superamento” della persona giuridica. E la Suprema Corte giustifica questa rilettura proprio solo laddove la società sia una “una mera fictio” utile unicamente a frodare la normativa fiscale.

Pertanto, la sanzione amministrativa irrogata nei confronti dell’amministratore, deve ritenersi illegittima (ipotesi normale) salvo che sia provato che la persona giuridica sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo dominus dell’operazione (lettura adeguatrice).

 E tale conclusione non riguarderà solo l’amministratore di fatto (oggetto dell’analisi fattuale), ma anche l’amministratore di diritto e ogni altro soggetto che si provi essere celato dietro il fraudolento “mantello” societario.

 

 

 

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Responsabilità amministrativa tributaria dell’amministratore di fatto ultima modifica: 2019-11-20T09:00:12+01:00 da Redazione Federnotizie
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