Referendum Costituzionale: Sì e No a confronto

Siamo ormai prossimi al Referedum Costituzionale del 4 dicembre in occasione del quale saremo chiamati a decidere se approvare o meno il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della costituzione”.

Mercoledì 23 novembre, si è tenuto a Milano, presso l’Auditorium San Fedele, un dibattito organizzato dal Consiglio Notarile di Milano nel quale sono intervenuti il prof. Valerio Onida (Presidente Emerito della Corte Costituzionale) in rappresentanza delle ragioni del NO e il prof. Giuseppe Arconzo (Docente di Diritto Costituzionale presso l’Università statale di Milano), in rappresentanza delle ragioni del SI.

Arrigo Roveda con Valerio Onida e Paolo Galimberti
Una prima valutazione è stata fatta del prof. Onida il quale ha definito il referendum come un pacchetto di riforme, piuttosto che come una vera modifica alla Costituzione, criticando un modo di legiferare poco organico, basato su un’idea di tutela provvisoria, molto lontana dal senso della Legge come strumento destinato a durare e dettare regole certe e di lungo periodo. La qualità dei testi legislativi è sempre più bassa, impera un senso di incertezza e di instabilità, siamo sempre di più circondati da leggi che durano poco e non si possono sperimentare.

Ha di contro osservato il prof. Arconzo come proprio attraverso la riforma referendaria si potranno porre limiti all’uso frequente di strumenti legiferativi provvisori, come il Decreto Legge, eliminando quel senso di instabilità nel quale ci troviamo a convivere, a vantaggio di una maggiore omogeneità nei provvedimenti.

Altro punto critico della Riforma, secondo il prof. Onida è la modifica dell’art. 117 della Costituzione, che ridimensiona la suddivisione delle competenze fra Stato e Regioni. Verrebbero eliminate le competenze concorrenti che verrebbero avocate allo Stato, senza considerare proprio l’esigenza, se non addirittura la necessità delle Regioni stesse, di decidere in base alla reale situazione del territorio, con maggiore considerazione dei problemi locali.

Per il prof. Arconzo, invece, è proprio questa legislazione Regionale, spesso frammentata e disomogenea, che rende necessaria la convergenza delle problematiche e la loro risoluzione unitaria. Il titolo V è dedicato agli enti territoriali: comuni, province, città metropolitane e regioni. E’ stato già oggetto di modifica nel 2001, ma la norma ha provocato finora difficoltà nell’interpretazione delle competenze tra Stato e Regioni. Con la riforma, verrebbero modificate le materie di competenza dello Stato e definite quelle di competenza delle Regioni, eliminando del tutto le materie concorrenti (quelle su cui potevano legiferare sia Stato che Regioni). Con la riforma si introduce anche la cosiddetta di “clausola di supremazia”, cioè il principio per cui, nei casi d’interesse nazionale, le decisioni dello Stato prevalgono su quelle delle Regioni. La riforma, infine, sempre in questa ottica, prevede anche l’abolizione delle province.

Cambierà soprattutto il procedimento legislativo, in quanto verrà superato l’attuale bicameralismo paritario. Com’è noto, la nostra Costituzione oggi prevede che i due rami del Parlamento (Camera e Senato) abbiano le stesse identiche funzioni: fare le leggi (funzione legislativa) e concedere o revocare la fiducia al Governo. Ogni legge quindi deve essere discussa, approvata e votata da ciascuna Camera. Se in una Camera si apportano delle modifiche, la legge ritorna all’altra Camera per essere di nuovo discussa, approvata e votata (in termine tecnico questo processo si chiama “navetta”). Ribadisce il prof. Onida che si tratta di un sistema molto garantista. Superando il bicameralismo perfetto, la Camera dei deputati diventa in questo modo l’unico organo eletto che potrà accordare la fiducia al Governo, approvare le leggi di bilancio e le leggi ordinarie. Il Testo di legge potrà solo essere richiamato dal Senato che potrà proporre eventuali modifiche, ma la decisione finale sarà sempre della Camera. Il Senato alla fine non avrà nessun compito significativo.

Quesito Referendum Costituzionale

Il prof. Arconzo ha invece sottolineato che il superamento del bicameralismo, consentirà un iter molto più snello e rapido nelle decisioni e che la stessa Camera non potrà comunque ignorare o non tenere in considerazione quanto sollevato o proposto dal Senato. Il Senato, così come lo conosciamo ora, non esisterà più, ma diventerà una Camera espressione delle Regioni e dei Comuni italiani perché composta da 100 senatori fra sindaci e consiglieri regionali.

Ha osservato il prof. Onida che la riforma ha lasciato irrisolte molte questioni, non è stata ancora prevista una legge elettorale per il nuovo Senato, che verrà fatta solamente nel caso in cui la riforma costituzionale dovesse essere approvata. Il contenuto di questa legge è quindi ancora da definire. Per effetto della riforma il numero dei senatori passerebbe dagli attuali 315 a 100, mentre rimarrebbe invariato il numeri dei deputati.

A parere del prof. Arconzo, invece, con la riforma il Senato diventerà finalmente il luogo della rappresentanza delle Regioni e dei Comuni, che potranno così intervenire direttamente nel procedimento legislativo attraverso i sindaci e i consiglieri che ne faranno parte. Il Senato farà da “camera di compensazione” tra governo centrale e poteri locali e diminuiranno, quindi, i casi di contenzioso tra Stato e Regioni davanti la Corte Costituzionale.

Alla fine di questo piacevole e pacato dibattito, ferme le valutazioni e le opinioni di entrambi i fronti, emerge però un’unica e chiara consapevolezza: che in fondo, la capacità di governare dipende dalla capacità e coesione delle forze politiche, non tanto e non solo dai regolamenti o dall’iter legislativo. Stabilità del Governo e stabilità delle leggi dovrebbero andare di pari passo, senza mai perdere di vista cos’è davvero la Legge: norma, principio, regola, ciò che dà certezza, stabilità e che nasce per durare nel tempo.

Abbiamo chiesto, infine, a due parlamentari, il Senatore Paolo Galimberti e l’Onorevole Patrizia Toia un contributo a favore rispettivamente del No e del Sì, per offrire anche un punto di vista più politico e istituzionale.

Le ragioni del NO

NOIl nostro Paese ha certamente bisogno di nuove regole che permettano un funzionamento più efficiente dello Stato, tuttavia la Riforma Costituzionale su cui siamo chiamati ad esprimerci il prossimo 4 Dicembre non fa nulla di tutto ciò: é solo una pericolosa deformazione della nostra Carta fondamentale che tradisce lo spirito e i principi perseguiti dall’Assemblea Costituente del 1947. Sono molteplici gli elementi che lo dimostrano.

Non incarna la volontà dell’intero popolo italiano. E neanche di una larga parte dei nostri concittadini, ma solo degli elettori sostenitori del Governo. Agendo d’imperio e impedendo il confronto parlamentare, l’Esecutivo ha fatto approvare dalle Camere il nuovo articolato solo a colpi di maggioranza. La mancanza di un consenso qualificato ha, conseguentemente, reso indispensabile la consultazione popolare.

Non riduce i costi della politica. Come evidenziato dalla Ragioneria Generale dello Stato, il massimo risparmio sarà dello 0,0064% dei costi pubblici, pari a 58 milioni di euro. Ricordo che il nuovo aeromobile comprato dalla Presidenza del Consiglio in carica è costato poco meno di 200 milioni e il prossimo Referendum costerà 300 milioni. Il presunto risparmio multimilionario sostenuto dalla maggioranza non trova alcun riscontro ufficiale dagli Organi dello Stato preposti a tali analisi. Nei fatti è quindi solo uno slogan, fazioso ed inesatto, di una propaganda elettorale che non ha argomentazioni concrete a supporto della propria tesi.

Non semplifica l’iter legislativo. L’attuale bicameralismo, peraltro presente in molte democrazie occidentali, verrebbe sostituito da un sistema ibrido e complesso. Stante il nuovo articolo 70, il futuro Senato potrà intervenire su ogni provvedimento, seguendo una moltitudine di procedimenti legislativi differenti tra loro a seconda dei temi contenuti dalle proposte in esame. Evidenzio inoltre che il nostro Paese, oggi, è il terzo in Europa per tempi di approvazione di nuove leggi.

Limita la democrazia partecipativa. Il nuovo Senato non verrà eletto dai cittadini ma sarà composto, in larga parte, da parlamentari nominati dalle Regioni secondo processi ancora non conosciuti e quindi non approvati. Oltre a ciò, il numero di firme richieste per la presentazione di una proposta di legge popolare verrà triplicato e quello per richiedere un referendum passerà da cinquecentomila a ottocentomila.

Cela una pericolosa deriva autoritaria. Il combinato disposto tra la Riforma Costituzionale e l’Italicum mette nelle mani del Segretario del Partito che vince le elezioni, anche solo con il favore di un italiano su sei, uno strapotere enorme. La Camera dei Deputati sarà composta in larghissima maggioranza da suoi nominati e, come tale, a lui risponderanno. Da ciò ne deriva che tutte le più alte cariche dello Stato saranno, direttamente o indirettamente, di sua “indicazione”: dal Presidente della Repubblica ai Presidenti dei due rami del Parlamento, dal Presidente del Consiglio all’intero Governo, dalla maggioranza della Corte Costituzionale alla maggioranza del Consiglio Superiore della Magistratura, oltre ai Presidenti di tutte le Autority. Come se non bastasse, grazie al nuovo articolo 72 che prevede una corsia preferenziale per i Disegni di Legge di natura governativa, l’Esecutivo si assicura il controllo sui lavori del Parlamento stesso. Un vero e proprio premierato senza alcun bilanciamento dei poteri.

A tal proposito vorrei solo ricordare una celebre frase di Burke “Quanto più grande il potere, tanto più grande l’abuso”, ebbene è questa la minaccia dinanzi al quale ci troveremmo se dovesse passare questa riforma: una deriva autoritaria di cui non potremo conoscere la portata, un pericolo che i nostri veri padri costituenti hanno cercato di prevenire nella stesura la Costituzione del 1948.

Sen. Paolo Galimberti

Le ragioni del SI

SI'Il 4 dicembre l’Italia si troverà di fronte a un bivio: proseguire sul cammino delle riforme e diventare un Paese con governi stabili, Istituzioni efficienti con competenze chiare, capaci di affrontare le sfide del presente e di far sentire autorevolmente la propria voce a Bruxelles, oppure bocciare questa riforma costituzionale, aprire un periodo di preoccupante incertezza politica, rischiando di consegnare il Paese all’instabilità e ai populisti, per vivere sotto maggiore tutela dell’UE ed essere più esposti, perché più deboli, alla volatilità dei mercati.

In un’Europa in crisi, lacerata da divisioni e da euroscetticismi a Bruxelles le cose si vedono con chiarezza: l’Italia può essere protagonista nella soluzione dei problemi europei e costruire una strada di cambiamento per un’Europa più attenta alla crescita e al lavoro solo se sarà forte e stabile. Oggi l’Italia ha autorevolezza in Europa, ciò che le permette di avanzare molte proposte, dal cambiamento della politica economica verso gli investimenti, dal migration compact alla difesa comune. Ma questo è possibile perché l’immagine di un’Italia, capace di fare quelle riforme, da sempre promesse e tentate, ma mai condotte a termine, è stata apprezzata. Se ci fermassimo o tornassimo indietro oltre al danno per il nostro Paese ne verrebbe un danno per il futuro dell’Europa che ha bisogno di leader convintamente europeisti e concretamente impegnati su questi obiettivi. E, credetemi, in Europa di questi leader ce ne sono pochi. Ma Matteo Renzi è senz’altro tra questi.

Perché sostengo la riforma? Perché si fanno finalmente quei cambiamenti molte volte chiesti negli anni scorsi da tantissimi italiani, dal mondo delle professioni e dalle forze produttive. Il superamento del bicameralismo paritario significherà la fine di un inutile ping pong tra due Camere che fanno le stesse cose. La novità del Senato come “Camera delle autonomie”, con i rappresentanti delle istituzioni territoriali, assicurerà la voce delle istituzioni locali, in raccordo sia col livello centrale che con quello europeo. Infine il chiarimento tra le competenze dello Stato e delle Regioni potrà solo giovare a un ordinato svolgimento delle funzioni a ciascun livello e a una chiara responsabilità, col risultato di superare tanti inutili doppioni di autorizzazioni, di “permessi” e di documenti che il mondo delle imprese e delle professioni oggi devono affrontare quando vogliono agire in più Regioni, che hanno creato a volte diversità di trattamento tra i cittadini italiani, anche a livello di diritti come nel caso di certi farmaci particolari.

Un altro indiscusso merito della riforma è quello di portare maggiore sobrietà nelle istituzioni e negli apparati che le accompagnano: ridurre i parlamentari, ridurre i costi, eliminare gli enti inutili non significa diminuire la democrazia, ma togliere il “superfluo” che intorno alle istituzioni spesso si è creato. Istituzioni più semplici lavorano meglio e sono più vicine ai mondi produttivi e vitali.

Voglio inoltre ribadire che questa riforma non tocca la parte “nobile” della Costituzione, quella sui principi e sui valori, ma riguarda la seconda parte relativa all’organizzazione dello Stato, che certamente dal 1948 ad oggi ha bisogno di essere adeguata ai valori della governabilità, per dare risposte rapide ed efficaci ai cittadini.

Istituzioni più stabili possono garantire la fine dell’incertezza, delle alleanze improbabili e dal clima di campagna elettorale permanente che caratterizza da decenni l’Italia. Il rafforzamento dell’Italia e del suo Governo, oggi l’unico in grado di governare rispettando le regole europee senza per questo rinunciare a criticarle e a cambiarle in meglio, darebbe una prospettiva di azione a livello europeo nell’interesse del futuro dell’Unione. La cosa è talmente evidente, vista da fuori, che in Europa sono tutti unanimemente schierati per il Sì. Sono a favore delle riforme italiane i popolari come il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, e la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel.

La storia europea ha insegnato che le democrazie vengono travolte quando sono incapaci di decidere e, con i partiti di estrema destra in testa ai sondaggi in Paesi come la Francia, quelli che in Europa sono preoccupati per la democrazia sperano che in Italia vinca il Sì.

On. Patrizia Toia

La Costituzione riformata

Infine, lasciamo in download un documento predisposto dal Consiglio Notarile di Milano, con il testo della legge costituzionale a confronto con la Costituzione vigente.

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Referendum Costituzionale: Sì e No a confronto ultima modifica: 2016-11-27T09:24:04+01:00 da Gabriella Quatraro
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