Qualcuno pensi alla bandiera

 

Di Carmelo Di MarcoIn questi giorni di “crisi di governo” del Notariato ho pensato molto alla frase di Nico De Stefano che Arrigo Roveda ha ricordato nel suo primo editoriale da direttore di Federnotizie: “quello che conta non è chi porta la bandiera; quello che conta è la bandiera”.

Questo insegnamento e lo spessore della persona che ce lo ha trasmesso potrebbero incoraggiarci a pensare che il CNN e la categoria tutta abbiano le risorse per superare le difficoltà che si collegano alle dimissioni del Presidente e alle ragioni di questa sua decisione; e che sia sufficiente, per questo, l’avvio di una nuova presidenza. Ma non basterà.

Se è vero che una vicenda giudiziaria chiama in causa la responsabilità personale di chi vi è coinvolto, la scelta compiuta da Cesare Felice Giuliani non deve indurre a concentrare solo su di lui la responsabilità politica di una consiliatura fino ad oggi fallimentare.

La sua elezione a Presidente fu un atto collegiale frutto di un accordo raggiunto nella consapevolezza dell’esistenza di una vicenda giudiziaria in corso, al quale aderirono Consiglieri che avrebbero potuto anch’essi ambire al ruolo ma che capirono di non avere abbastanza consensi per riuscirci; un accordo che fu rinnovato quando – pur essendo noto il complicarsi di quella vicenda giudiziaria – si decise collegialmente di rinnovargli la fiducia.

Da quell’accordo e dal suo rinnovo deriva, in merito agli esiti della consiliatura, una responsabilità politica collettiva che l’atto individuale delle dimissioni non può cancellare. La volontà del Presidente di dimettersi è stata resa nota al Consiglio Nazionale molto prima di quando è stata formalizzata, quando si ebbe la notizia del rinvio a giudizio: in quel momento il CNN avrebbe dovuto, per iniziativa unanime di tutti i suoi componenti, porre al proprio ordine del giorno la nomina di un nuovo Presidente, affrontando la questione politica con un atto – appunto – di responsabilità collettiva anziché trattarla come se fosse risolvibile anch’essa con una scelta di coscienza individuale.

Perché non è successo? Credo che i membri del CNN si siano concentrati solo sulle sorti dell’accordo originario: i Consiglieri di maggioranza, preoccupati di come riuscire a mantenerlo in essere; quelli di minoranza, intenzionati a farlo venir meno ma incapaci di costruirne uno alternativo. Al contrario, avrebbe dovuto essere il momento per sostituire a quell’accordo – che aveva per oggetto solo i ruoli da assegnare alle persone – un progetto politico degno di questo nome.

Se fino ad oggi non ne è stato elaborato alcuno, la responsabilità è dell’intero Consiglio Nazionale: della maggioranza, che si è formata ed è rimasta tale esclusivamente in base al rispetto di quel compromesso sull’affidamento delle cariche; e della minoranza, che ha lamentato spesso la mancanza di una visione politica ma non ne ha mai illustrata una propria portandola all’attenzione dei notai in esercizio.

Nessuno dei due gruppi ha, e credo non abbia mai avuto, una identità politica riconoscibile basata su idee e programmi condivisi da chi vi appartiene: per due anni entrambi si sono concentrati esclusivamente su chi dovesse portare la bandiera e su chi non dovesse (o dovesse smettere di) portarla.

Il fatto che l’elezione di Valentina Rubertelli (che faceva parte del gruppo di maggioranza) quale Presidente e di Edoardo Bernini (che invece era parte della minoranza) quale suo Vice abbia avuto luogo a maggioranza e non all’unanimità fa pensare non al superamento delle contrapposizioni sulla base di un progetto politico condiviso, ma solo ad uno spostamento degli equilibri interni.

Scandalizzarsi o stupirsi non serve e sarebbe ingenuo, perché il CNN è espressione di una intera categoria che – da ben più di due anni – non riesce a darsi un progetto e una linea politica chiari: non sappiamo in quale direzione la bandiera sventoli, non sappiamo neanche quali simboli vi siano raffigurati e cosa significhino.

Non basta indignarsi per il fatto che la fisionomia della nostra categoria sia confusa, incerta, a volte persino contraddittoria: è tempo di impegnarsi perché sia chiara, coerente e riconosciuta.

Per riuscirci dobbiamo considerare non solo legittimo, ma doveroso, che il Notariato assuma un ruolo politico nel rapporto con le altre Istituzioni e con la collettività. Che non significa esprimere posizioni schierate a “destra” o a “sinistra” secondo una logica partitica: significa essere partecipi ai processi di creazione e di applicazione del diritto; fare pesare la nostra capacità di dare concreta applicazione, ogni giorno, a decine di norme e di principi costituzionali; interpretare il significato della nostra funzione e dei nostri atti alla luce dei cambiamenti sociali e valoriali che abbiamo il dovere di conoscere e di accompagnare; inserire i concetti cardine di “indagine delle volontà” e di “adeguamento alla legge” in una logica evolutiva e non statica.

Penso ad un Notariato che non si accontenta di raggiungere successi parziali a fronte di un proprio impegno notevolissimo. E che quindi spiega a chi compra una casa in costruzione che la norma che impone le tutele proprie del preliminare notarile sarà sempre aggirabile fino a quando si consentirà al costruttore di stipulare preliminari in forma privata in assenza del titolo abilitativo edilizio. O che denuncia lo scandalo della frammentarietà e della disorganicità della riforma del Terzo Settore.

Un Notariato col coraggio di assumere un ruolo politico fa finalmente propri gli strumenti tecnologici che semplificano, velocizzano e rendono più economiche le transazioni, portando all’attenzione del legislatore e dell’opinione pubblica la propria capacità (che nessun altro intermediario ha) di aggiungere a tutto questo la certezza e la sicurezza di quelle stesse transazioni.

E’ anche un Notariato che – libero da nostalgie inutili e dannose e consapevole del fatto che il diritto dell’Unione Europea precede il diritto interno nella gerarchia delle fonti – riforma le proprie regole deontologiche ispirandosi ad una interpretazione lineare e non interessata del diritto della concorrenza, anziché abortire questa riforma a causa di considerazioni corporative.

Un Notariato “politico” studia i cambiamenti della struttura delle famiglie e la crisi della famiglia nucleare per promuovere la diffusione degli accordi di convivenza e matrimoniali; per affermare l’importanza dei patti successori nei casi di famiglie plurigenitoriali o che presentano profili di transnazionalità; per proporre all’opinione pubblica una riforma radicale (se non l’abrogazione) delle norme sulla successione necessaria.

Una categoria sensibile ai fenomeni legati all’invecchiamento e alla solitudine accompagna i cittadini (lavorando a fianco dei medici) nella formazione di una cultura del consenso relativo ai trattamenti sanitari, in modo che la decisione di sottoscrivere (o di non sottoscrivere) una DAT sia davvero rispettosa dei principi legislativi e inconciliabile con l’utilizzo di moduli standard.

Un Notariato immerso nella realtà sociale grida che la legge sul “dopo di noi” è gravemente difettosa perché non contiene nessuna misura a sostegno del “durante noi”, e che è sostanzialmente discriminatoria poiché non prevede alcuna norma a sostegno delle (tantissime) famiglie per le quali la disabilità di un parente è sinonimo di povertà e di emarginazione, ma solo strumenti riservati alle (poche) famiglie in cui questa equazione non si realizza, le quali non avrebbero avuto alcun bisogno di questa legge per provvedere al futuro del parente meno fortunato.

Un Notariato consapevole del fatto che dalla sua funzione pubblica discende direttamente la funzione politica di attenuare le asimmetrie informative e di limitare le condizioni di debolezza contrattuale si oppone pubblicamente all’applicazione dei troppi strumenti contrattuali introdotti nel nostro ordinamento negli ultimi anni tali da creare una sorta di “diritto civile privilegiato” a vantaggio delle banche. E fa fronte comune in questo impegno con le associazioni di consumatori, anziché diffondere guide operative sul funzionamento di quegli istituti.

Ancora, per dare pienezza al proprio ruolo di tutore della legalità, quel Notariato sostiene una riforma della disciplina urbanistica degli atti immobiliari che identifichi in modo finalmente  uniforme per tutto il territorio nazionale un ristretto numero di irregolarità tali da causare incommerciabilità e imponga di segnalare negli atti le altre rendendone obbligatorio il superamento entro termini temporali certi.

E’, infine, un Notariato libero dalla paura di affrontare le proprie imperfezioni organizzative, gli anacronismi, i difetti di un sistema disciplinare che sanziona le irregolarità formali quanto e più di quelle sostanziali, i conflitti generazionali e di genere presenti al suo interno; capace di migliorare i contenuti della formazione permanente, di adottare una strategia seria per la diffusione dei dati contenuti negli atti, di pretendere il trattamento migliore e la massima trasparenza da parte di chi gli offre servizi in ambito assicurativo.

Sono possibili contenuti di una prospettiva politica. Sono frutto delle mie opinioni e come tali sono criticabili, ma attengono ai temi sui quali è necessario, se si vuole guidare il Notariato, maturare una posizione ed esprimerla. Fino a quando non lo si farà, e non lo si farà con la responsabilità dell’intero CNN, continueremo a non avere un progetto e, conseguentemente, nulla da comunicare né all’interno né all’esterno della categoria.

Cosa, da troppo tempo, impedisce che questo succeda? Più che nella volontà e nelle attitudini di coloro che hanno fatto e fanno parte del Consiglio Nazionale, individuo la causa nel “personalismo” e nel “localismo” che da sempre ispira il nostro sistema elettorale, la selezione dei candidati e il voto degli elettori.

La scelta dei nostri rappresentanti avviene troppo spesso in base ai rapporti personali, al prestigio che deriva dall’aver ricoperto altre cariche, ad accordi di turnazione tra distretti appartenenti allo stesso collegio elettorale. Ancora una volta, sarebbe ingenuo stupirsi o scandalizzarsi perché è del tutto comprensibile che la politica si nutra di relazioni, ma è giusto sapere che questo sistema – fin quando i candidati non sentiranno il dovere di spiegare cosa intendono fare una volta eletti e insieme a chi, e fin quando gli elettori non pretenderanno di saperlo in anticipo – ostacolerà sempre la capacità del nostro Consiglio Nazionale di esprimere progetti e visioni.

Assumere una responsabilità politica collettiva è possibile solo per chi coltiva, fin dal momento della propria candidatura, l’obiettivo di rappresentare tutti i notai italiani e non solo quelli del proprio collegio, né questi ultimi con precedenza rispetto agli altri. Chi si candida a far parte del CNN senza conoscere la realtà in cui operano i colleghi di altre aree geografiche, senza promuovere – prima delle elezioni – la condivisione di idee e programmi con i candidati di altri collegi, considererà normale non solo rispettare un vincolo di mandato verso i soli notai della sua area di provenienza, ma anche partecipare alla maggioranza o alla minoranza dei Consiglieri Nazionali sulla base di considerazioni basate solo sulla identità delle persone e sulla loro provenienza geografica, anziché sui progetti di cui esse sono portatrici.

Poiché questo tratto genetico e questi criteri di suddivisione tra maggioranza e minoranza caratterizzano il Consiglio Nazionale in carica persino più di altri che lo hanno preceduto, è difficile credere che esso – nell’ultimo anno del suo mandato, che per alcuni mesi coinciderà con la campagna elettorale – riesca improvvisamente dare prova della progettualità politica che non ha voluto né saputo esprimere nei primi due.

Merita molto più entusiasmo l’idea che nella categoria si faccia tesoro di questa esperienza fallimentare per coltivare una prospettiva completamente diversa: un percorso che cominci oggi e che veda affermarsi, in occasione dell’elezione del futuro CNN, una visione della politica di categoria di respiro nazionale, che nasca dalla condivisione di idee tra venti donne e uomini, che faccia valere l’identità della squadra e non quella del singolo, e che sia simboleggiata da una bandiera dal significato chiaro e riconoscibile.

 

Qualcuno pensi alla bandiera ultima modifica: 2021-02-10T08:30:29+01:00 da Carmelo Di Marco
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