Il problema della divisione tra legittimari fatta dal testatore con beni non presenti nell’asse ereditario

L’utilizzo di conguagli sotto forma di legati obbligatori (che non trasferiscono cioè la titolarità di beni presenti nell’asse, ma fanno sorgere obbligazioni a carico degli onerati di cui all’art. 662 c.c.) aventi ad oggetto denaro non esistente nell’asse, a scopo divisionale, è assai frequente nella prassi, soprattutto in casi in cui vengano divisi beni non facilmente valutabili e suscettibili di variazioni di valore in conseguenze di eventi che intervengano tra il momento della redazione del testamento e quello dell’apertura della successione (si pensi a vicende societarie che incidano sulla valutazione delle azioni attribuite)[1]: il debito da conguaglio è un debito di valore[2], non liquido, che occorrerà liquidare (tenendo conto della svalutazione nel frattempo intervenuta) nel momento in cui si darà esecuzione alla disposizione testamentaria.

del Prof. Umberto Stefini

Il problema, alquanto delicato, è se sia possibile comporre in tal modo la quota riservata ai legittimari, e ciò discende dall’analisi della natura della legittima, e del tipo di intangibilità che il nostro ordinamento prevede per questa quota. È ormai superata la tesi che vede nella legittima una pars bonorum (e quindi nella successione necessaria un tipo di successione a titolo particolare, in diritti specifici su singoli beni), mentre è comunemente accettato che si tratti di una quota ereditaria, da calcolarsi tuttavia su un valore netto del “patrimonio ereditario” che si ricava attraverso l’operazione, meramente contabile, della c.d. “riunione fittizia” di cui all’art. 556 c.c. (relictum meno debiti più donatum)[3]: una volta calcolato questo valore della “porzione legittima”, rapportandolo alla misura effettiva del relictum al netto dei debiti otteniamo la quota di eredità riservata ai legittimari.

Questo, in parole povere, significa che il legittimario non ha propriamente diritto a un “valore” monetario, ma a una vera e propria quota di eredità, e, se ci sarà la necessità di ridurre disposizioni lesive dei suoi diritti, la quota di riserva resterà uguale rispetto a quella calcolata al momento dell’apertura della successione, ma il valore concreto potrà aumentare o diminuire, in conseguenza dell’aumento o della diminuzione di valore dei beni oggetto di disposizioni lesive; se invece non ci sono lesioni di legittima, gli aumenti o diminuzioni di valore dei beni di cui il testatore ha disposto per donazione, legato, institutio ex re certa (o, potremmo aggiungere, assegnazione divisionale, come nel caso che si sta esaminando) andranno a vantaggio o svantaggio del beneficiario, senza influire sul valore della riserva.

Nonostante tuttavia la quota riservata ai legittimari sia come detto una quota di eredità (nel senso che il legittimario pretermesso, se esperisce vittoriosamente l’azione di riduzione, diventa erede a tutti gli effetti, risponde dei debiti ereditari, e via dicendo) il nostro legislatore ha accordato a questa quota una intangibilità solo quantitativa, non qualitativa: significa che il legittimario non ha diritto di conseguire questa quota sempre e soltanto “in natura”, cioè come diritto pro quota su ciascuno dei cespiti ereditari, ma l’importante è che gli si diano beni per un valore pari alla quota che gli spetta. Questo si ricava dal fatto che il testatore può benissimo dargli beni specifici in funzione di quota attraverso l’institutio ex re certa (art. 588, 2° comma), può dividere lui stesso i suoi beni comprendendo nella divisione anche la porzione non disponibile (art. 734, 1° comma, c.c.), può dettare norme per la futura divisione anche riguardanti la riserva (art. 733 c.c.), può tacitare i diritti del legittimario con donazioni o legati che andranno imputati alla sua quota. Del resto, anche l’articolo generale sull’intangibilità della legittima (art. 549 c.c.) fa salve espressamente le disposizioni in materia di divisione ereditaria.

Questa idea della intangibilità quantitativa della riserva è stata portata alle estreme conseguenze da una parte minoritaria della dottrina, che ritiene possibile soddisfare i diritti del legittimario anche attraverso denaro non ereditario, per esempio attribuendo tutti i beni agli altri coeredi e riconoscendo al legittimario un credito nei loro confronti, che rispetti per valore la sua legittima[4]: il testatore, nel dividere i suoi beni, avrebbe cioè gli stessi poteri che avrebbero i coeredi nel procedere a una divisione convenzionale.

La dottrina prevalente[5], tuttavia, resta legata all’idea della riserva come quota di eredità, e ritiene sia un principio inderogabile quello secondo cui il legittimario ha diritto comunque ad essere soddisfatto con beni dell’asse, non con ragioni di credito verso i coeredi[6]: questa impostazione ha finito col prevalere anche nella giurisprudenza consolidata, che ritiene nulla l’intera divisione per preterizione del legittimario, ai sensi dell’art. 735, 1° comma, c.c., nel caso in cui il patrimonio sia attribuito interamente agli altri e a lui si attribuisca solo una ragione di credito verso i coeredi[7]. Unica possibilità ammessa per realizzare una divisione di questo tipo, è quella di prevedere un legato obbligatorio in sostituzione di legittima ai sensi dell’art. 551 c.c., che, se accettato, impedisce al legittimario di diventare erede e gli attribuisce il credito, in sostituzione appunto della legittima a lui spettante.

Se questo appare ormai acquisito, la soluzione è molto più possibilista quando il testatore si limiti a prevedere conguagli, ovvero lasci qualcosa al legittimario e, per completare la sua quota di legittima, gli attribuisca un legato obbligatorio divisionis causa a carico di tutti o alcuni dei coeredi: in questo caso, anche reputando invalida tale disposizione, la divisione non sarebbe nulla ex art. 735, 1° comma, c.c., per preterizione di un legittimario, ma semplicemente riducibile ai sensi dell’art. 735, 2° comma (il legittimario potrebbe impugnare la divisione per lesione della quota, ed il giudice, riconoscendolo erede in una quota maggiore, reintegrerebbe la sua quota andando a separare dai lotti formati dal testatore una porzione di beni corrispondente alla quota riservata al legittimario leso[8]).

In realtà la dottrina e la giurisprudenza prevalenti ammettono che si possa attribuire un credito nei confronti dei coeredi alla stregua di conguaglio, per perequare il valore dei beni attribuiti a ciascuno rispetto alle quote riconosciute in astratto, a mezzo di legati obbligatori a scopo divisionale: certo le posizioni in giurisprudenza sono alquanto variegate, e spesso poco meditate e basate più che altro sulla ripetizione di formule tradizionali, per cui è necessario procedere con cautela.

La giurisprudenza, quando tra i condividenti ci sono legittimari, tende ad ammettere legati obbligatori di conguaglio, aventi ad oggetto beni non esistenti nell’asse, solo quando ciò sia strettamente necessario per arrivare a formare i lotti divisionali (nel senso che ci sono beni non esattamente divisibili in natura, che impongono di ricorrere ai conguagli per arrivare a una divisione, ovvero ci si vuole mettere al riparo da possibili variazioni di valore che possano frustrare il programma divisorio, che possono intervenire tra il momento della redazione del testamento e quello della apertura della successione)[9], e non invece quando ci sia una semplice volontà in tal senso del testatore, al fine di meglio programmare la sorte dei suoi beni, in un’ottica di valorizzazione dell’autonomia testamentaria[10].

La dottrina, in tema di conguagli, è invece più permissiva[11]: si ritiene liberamente componibile la quota anche con crediti verso gli altri condividenti, attraverso legati obbligatori con funzione divisoria, che quindi trovano la loro causa nel più complesso programma divisionale, indipendentemente da una stretta necessità.

Questa posizione, a mio avviso condivisibile, rispecchia la tendenza, negli ultimi decenni, a dare sempre maggior peso all’autonomia testamentaria, e più in generale a riconoscere la possibilità per un soggetto di programmare, nella massima autonomia, la sorte dei suoi beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere: si pensi ai progetti di riforma del diritto delle successioni nel senso di un’abrogazione del divieto dei patti successori e dei diritti dei legittimari; al recente cambio di rotta della Cassazione in materia di diseredazione; all’introduzione del patto di famiglia agli artt. 768-bis ss. c.c., che in effetti infrange il dogma dell’intangibilità della legittima, proprio per consentire di attribuire l’azienda a qualcuno dei discendenti, tacitando in denaro i legittimari.

In realtà questo orientamento va a mio avviso attentamente meditato, tenuto conto della natura giuridica dei legati obbligatori divisionali.

Certa letteratura notarile sostiene la perfetta legittimità, allo stato attuale della nostra legislazione e valutando ciò che il legislatore ha previsto nel 2006 con il patto di famiglia, dei legati con funzione divisionale, aderendo nuovamente alla vecchia tesi, diremmo iper-quantitativa, di Azzariti: l’importante è far pervenire al legittimario il valore in denaro, non importa se ereditario o meno, e la quota di eredità può ben essere composta con denaro ottenuto, di fatto, scambiando a titolo oneroso la quota in natura con il denaro degli altri coeredi. Oltretutto, si dice, il testatore potrebbe realizzare lo stesso progetto divisorio alienando a uno solo dei legittimari una parte dei beni dietro corrispettivo in denaro, che a quel punto, all’apertura della successione, sarebbe denaro ereditario e potrebbe tranquillamente essere attribuito ad un altro legittimario[12].

Questo atteggiamento iperliberale può in realtà avere un senso in una prospettiva de jure condendo, in ipotesi di modifica dei diritti oggi riconosciuti ai legittimari nel nostro ordinamento. Ma non si può trascurare il fatto che il diritto dei legittimari, oggi, è il diritto a una quota di eredità, da calcolarsi sul patrimonio ereditario al netto dei debiti, e non può essere tacitato con beni estranei all’asse senza il loro consenso. Nella divisione contrattuale i condividenti accettano di essere tacitati mediante i conguagli dell’art. 728, e così pure il patto di famiglia si fonda sull’accordo con i legittimari che ottengono denaro al posto dell’azienda, che devono partecipare al contratto (art. 768-quater): il testatore non può eliminare unilateralmente questo diritto che è riconosciuto dal nostro sistema di successione necessaria, oltre che dal concetto stesso di divisione come distribuzione-attribuzione di porzioni dei beni comuni.

Mi sembra pertanto ancora attuale la vecchia tesi di Mengoni: è possibile, in sede di divisione fatta dal testatore, attribuire ai legittimari dei legati in conto di legittima con funzione divisionale, e non solo come conguagli, ma pure per tacitare in toto le loro pretese successorie, con la consapevolezza che qui si esce dal concetto di divisione in senso stretto di beni comuni, e soprattutto con un’importante precisazione.

Se il legato di cosa non esistente nell’asse è disposto come conguaglio indispensabile per procedere all’apporzionamento voluto dal testatore, questo legato dovrebbe reputarsi irrinunziabile, a meno di non rinunciare all’eredità, perché strettamente collegato alle porzioni create dal de cuius: la divisione fatta dal testatore sarà  perfettamente valida, perché non c’è alcuna preterizione del legittimario né attribuzione di beni inferiori alla quota (si ripete, perché i beni non sono precisamente divisibili in natura). In sostanza, la divisione realizzerà appieno il suo effetto attributivo-distributivo, anche senza il consenso del legittimario, che matura, oltre all’attribuzione divisionale, un credito verso uno o più coeredi[13]. È il normale meccanismo dei conguagli previsto in generale, in sede di divisione ereditaria, all’art. 728 c.c., e probabilmente qui l’obbligazione da conguaglio è più accostabile a un onere che non a un legato obbligatorio: è cioè un’obbligazione posta dal testatore nel suo stesso interesse ad addivenire ad una divisione del compendio ereditario, e non una liberalità testamentaria a favore dei legittimari.

Nelle altre ipotesi, in cui il legato divisionale non è strettamente necessario, questo mi sembra perfettamente legittimo (anche se assorbe l’intera attribuzione fatta al legittimario), ma conserva la sua natura appunto di legato in conto di legittima. Sarà pertanto rinunziabile ai sensi dell’art. 649 c.c., e solo in quel caso il legittimario potrà impugnare la divisione, a seconda dei casi facendo valere la nullità per totale preterizione (art. 735, 1° comma), oppure agendo in riduzione per ottenere quanto gli spetta dalla riduzione delle porzioni attribuite agli altri (art. 735, 2° comma)[14].

[1] Cfr. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 719 s.; Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 2000, 112; un’ottima ricostruzione del tema della divisione fatta del testatore si trova in C. Romano, op. cit., 77 ss., spec. 81 s.

[2] V. per tutte Cass., 16 gennaio 2007, n. 862, in Vita notarile, 2007, 1, 205.

[3] Per la ricostruzione della quota di legittima, anche in chiave storico-comparatistica, si rinvia alle fondamentali pagine di Mengoni, op. cit., 43 ss.

[4] V. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 260 ss.

[5] Cfr. Mengoni, op. cit., 71, nota 77, 103, 112; Capozzi, Successioni e donazioni, I, cit., 468 ss.

[6] Essendo il diritto del legittimario un diritto alla quota, e trovandosi egli, per un istante logico antecedente alla divisione, in comunione ereditaria – anche se, a dire il vero, tale comunione non si verifica in concreto nella divisione fatta dal testatore –, opera il principio generale della divisione convenzionale, per il quale a nessuno possono essere attribuiti beni estranei al compendio da dividere, almeno senza il suo consenso. Se infatti si legge attentamente quanto detto dalla dottrina più autorevole, si vede che l’eventuale legato in conto di legittima con funzione divisionale non è invalido di per sé: solo se rinunziato, ai sensi della norma generale dell’art. 649 c.c., consente poi al legittimario pretermesso di impugnare la divisione ai sensi dell’art. 735, 1° comma, c.c., in quanto non lo contempli tra gli attributari di diritti presenti nell’asse ereditario (così Mengoni, op. cit., 75, nota 84). Da ciò si ricava che, secondo l’Autore, se il legittimario acconsente a ricevere beni non presenti nell’asse non si pone nessun problema di validità della disposizione.

[7] In questo senso già Cass., 6 aprile 1963, n. 886, in Foro it., 1963, I, 1748; Cass., 2 ottobre 1974, n. 2560, in Foro it.,1975, I, 82; Cass., 23 marzo 1992, n. 3599, in Rass. dir. civ., 1994, I, 819; Cass., 12 marzo 2003, n. 3694, in Giust. civ., 2004, I, 471, con nota di Lisi; Cass., 22 giugno 2005, n. 13380, in Riv. not., 2006, 3, 777; da ultimo, Cass., 11 agosto 2015, n. 16698, consultabile su De Jure.

[8] Così Mengoni, op. cit., 75; Cass., 22 giugno 2005, n. 13380, cit. Ma già, in questo senso, Cass., 22 novembre 1996, n. 10306, in Giust. civ. Mass., 1996, 1570.

[9] In generale, sulla possibilità di prevedere legati divisionis causa nella divisione fatta dal testatore, v. Cass., 23 giugno 1972, n. 2107, in Giust. civ., 1972, I, 1503; Cass., 24 ottobre 1981, n. 5568, in Riv. not., 1982, 135 (“Il conguaglio in danaro previsto dal prestatore nella divisione dei beni ereditari da lui fatta ai sensi dell’art. 734 c.c. costituisce, non assegno divisionale in senso tecnico, ma legato “divisionis causa”, avente, oltre al fine di correggere le ineguaglianze in natura nelle quote già esistenti all’epoca della formazione del piano di ripartizione da parte del “de cuius”, anche la funzione di assicurare alle quote, sino alla maturazione del diritto al conseguimento delle medesime, il valore originario rispetto agli eventuali squilibri dovuti alla fluttuazione dei prezzi di mercato o ad altri non prevedibili eventi, sicché, ove nel testamento sia disposta l’attribuzione del conguaglio in questione in un momento successivo a quello di apertura della successione, è a tale momento che va riferita la rivalutazione del conguaglio stesso, avuto riguardo alla sua indicata funzione ed allo scopo della rivalutazione”). Per l’ipotesi di presenza di legittimari, si vedano: Cass., 22 novembre 1996, n. 10306, cit., che sembra addirittura aprire a posizioni di maggior favore (“Invero, il testatore che proceda direttamente alla divisione dei beni ereditari, ben può far ricorso allo strumento del conguaglio in denaro, sia per correggere le ineguaglianze in natura delle quote ereditarie che già si presentino all’atto della formazione del piano concreto di ripartizione, sia per assicurare alle quote stesse, sino alla maturazione del diritto al conseguimento, il loro valore originario rispetto agli eventuali squilibri dovuti alla fluttuazione dei prezzi di mercato o di altri non prevedibili eventi, sia per integrare la quota di riserva del legittimario. Tale conguaglio, che non può essere considerato né come assegnazione, perché non si tratta di bene ereditario, né come assegno divisionale in senso tecnico, perché non costituisce norma per una futura divisione, è, secondo costante orientamento di questa Corte (Cass. 24.10.1981 n. 5568; 23.6.1972 n. 2107), un legato obbligatorio divisionis causa. Sicché, ove nel testamento sia prevista l’attribuzione di tale conguaglio, poiché si tratta di legato divisionis causa con effetti obbligatori, ciò che l’assegnatario (legatario) acquista immediatamente, senza bisogno di accettazione e salva la facoltà di rinuncia (art. 649 c.c.), è il diritto di credito nei confronti dell’onerato. Ne consegue che l’azione, di natura personale, diretta ad ottenere il conguaglio, con specificazione del suo ammontare, si prescrive nell’ordinario termine di dieci anni a decorrere dal giorno in cui il diritto poteva essere fatto valere (art. 2935 c.c.)”); Cass., 22 giugno 2005, n. 13380, cit., che invece torna a limitare questa possibilità alla stretta necessità di correggere le diseguaglianze in natura o mettersi al riparo da fluttuazioni nel valore delle quote. Nello stesso senso Amadio, La divisione del testatore, in Successioni e donazioni, II, a cura di Rescigno, Padova, 1994, 77 s.

[10] V. Amadio, L’intervento del testatore nella divisione, in I. Le successioni e le donazioni, in Diritto civile. II. Successioni, donazioni, beni, diretto da Lipari e Rescigno, Milano, 2009, 298; C. Romano, op. cit., 80 ss.

[11] V. Mengoni, La divisione testamentaria, Milano, 1950, 148 s.; C. Romano, loc. cit. In senso fortemente critico, tuttavia, Forchielli-Angeloni, Della divisione. Art. 713-768, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2000, 216 ss., sul rilievo che nella divisione fatta dal testatore manca l’accordo tra tutti i condividenti, a differenza che nella divisione ereditaria contrattuale, e che, ammettendo l’ipotesi dei conguagli, si avrebbe una disposizione a titolo universale di beni non ereditari.

[12] Per queste riflessioni, cfr. C. Romano, op. cit., 86.

[13] Cfr. Mengoni, Successione necessaria, cit., 112; Id., La divisione testamentaria, cit., 149; Amadio, la divisione del testatore, cit., 77.

[14] V. già Mengoni, La divisione testamentaria, cit., 145 s. Sulla rinunziabilità del legato a scopo divisionale, nei limiti – visti sopra – in cui la giurisprudenza lo ammette, cfr. Cass., 22 giugno 2005, n. 13380, cit.

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Il problema della divisione tra legittimari fatta dal testatore con beni non presenti nell’asse ereditario ultima modifica: 2018-02-21T11:20:37+01:00 da Redazione Federnotizie
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