“La scrittura privata non autenticata di ricognizione del debito che, come tale, abbia carattere meramente ricognitivo di situazione debitoria certa, non avendo per oggetto, prestazione a contenuto patrimoniale, è soggetta a imposta di registro in misura fissa solo in caso d’uso.”
Le Sezioni Unite, con Sentenza 16 marzo 2023 n. 7682, mettono la parola fine a una delle questioni più incredibilmente dibattute degli ultimi anni.
Per fare della massima una versione in prosa utile ai notai potremmo scrivere “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate contenenti ricognizioni di debito pure (non comportanti quindi modificazioni dell’obbligazione preesistente) sono soggette a imposta di registro in misura fissa”.
La ricognizione di debito era soggetta a imposta proporzionale in misura pari all’1,5% sotto il vigore del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269, in forza di una norma non riprodotta nell’abrogato D.P.R. 634/1972, né nel vigente D.P.R. 131/1986, che hanno via via disciplinato in modo organico l’imposta di registro.
Questa successione di regole nel tempo avrebbe già dovuto portare ad escludere l’imponibilità proporzionale delle ricognizioni di debito, ma, nonostante ciò, l’orientamento giurisprudenziale formatosi sulle reiterate pretese dell’amministrazione finanziaria è stato ondivago, come esaurientemente chiarito dalle Sezioni Unite.
Per spazzare il campo dalle diverse interpretazioni le Sezioni Unite partono da una ricostruzione “manualistica” dell’istituito, fornendo una ricostruzione che riecheggia le risposte chieste ad uno studente di diritto privato.
Si può così leggere nella sentenza, con ampio richiamo di precedenti, che “la ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina un’astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi, per la quale il destinatario della ricognizione di debito è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, il quale ultimo si presume pertanto fino a prova contraria” e che essa, riconoscendo il debitore una situazione giuridica certa, “è propriamente un atto meramente ricognitivo, come tale atto giuridico in senso stretto, dal quale, dunque, non scaturisce alcun effetto reale o obbligatorio, l’obbligazione riferita al rapporto fondamentale essendo a monte, nè potendo ad esso ricondursi un autonomo rilievo patrimoniale, derivandone solo l’agevolazione per il creditore sul piano dell’onere della prova, che, operando pertanto sul piano dell’astrazione processuale, non può qualificarsi come effetto “dichiarativo” dell’atto di riconoscimento”.
Sulla base del principio affermato devono quindi ritenersi illegittime, e si auspica vengano presto abbandonate, in quanto prive di ogni giustificazione positiva, le pretese di imposizione in misura proporzionale che erano diventate prassi degli Uffici anche se disomogenee nella misura (a volte veniva richiesto l’1% del debito riconosciuto in applicazione dell’articolo 3 della Tariffa, altre volte veniva richiesto il 3%, in applicazione della norma residuale di cui all’articolo 9 della tariffa, altre ancora lo 0.50% andando ad attingere all’imposizione prevista per le quietanze).
Post-scriptum
Oltre alla massima riportata in aperture, tra le righe di quanto scrivono le Sezioni Unite, se ne può trovare un’altra che potremmo così riassumere: “L’imposta di registro è semplice, se solo si tengono a base i principi del diritto civile”.
Abbiamo imparato che norma cardine del sistema dell’imposta di registro è l’articolo 20 del relativo Testo Unico nella parte in cui ci insegna che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione”. Se solo all’agenzia dell’entrate avessero aperto un manuale di diritto privato, avrebbero appreso con chiarezza quanto ci hanno ricordato le Sezioni Unite e cioè che la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina un’astrazione meramente processuale (della sua causa) ed è quindi priva di quel contenuto patrimoniale che è presupposto dell’imposizione.
AUTORE

Milanese di nascita, Arrigo Roveda consegue la laurea in Giurisprudenza nel 1985 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi in Diritto Civile sul contratto di leasing. Dal 1990 è notaio. Docente dal 1990 presso la Scuola di Notariato della Lombardia, è stato responsabile dei corsi “Obbligazioni e Contratti” e “Contratto in generale”. Collabora tutt’ora al Corso per i Giuristi d’Impresa tenuto dall’Università Bocconi. Nella sua lunga carriera ha svolto un ruolo attivo in importanti enti di categoria. In particolare, ha rivestito l’incarico di Presidente del Consiglio Notarile di Milano dal febbraio 2013 al febbraio 2017. Attualmente risiede nella per l’elaborazione dei principi uniformi in tema di società del Consiglio Notarile di Milano. Arrigo Roveda è autore di articoli e note a sentenza in materia civile e fiscale pubblicate, tra le altre, sulla rivista Notariato e sulla versione cartacea di Federnotizie, e di cultura generale sul mensile Giudizio Universale (2005/2009) di cui è stato cofondatore e redattore. Partecipa come relatore a numerosi convegni giuridici in materia di Diritto Commerciale, Civile e Tributario.