Per la Cassazione la comunione legale NON sopravvive alla scelta della separazione dei beni (Cass. 33546/2018)

A distanza di alcuni mesi dalla sentenza n. 4676/2018, la medesima sezione seconda della Corte di cassazione civile è tornata, con la sentenza n. 33546 del 28 dicembre 2018, ad affrontare la questione della natura della comunione sui beni acquistati, in pendenza del regime di comunione legale, dai coniugi che hanno, successivamente all’acquisto, adottato, mediante apposita convenzione matrimoniale, il regime patrimoniale di separazione dei beni.

La questione non è di poco conto, stante le differenti regole che disciplinano i beni in comunione legale tra i coniugi rispetto a quelle che disciplinano i beni in comunione ordinaria.

La comunione legale tra coniugi, infatti, a differenza della comunione ordinaria, costituisce una comunione senza quote, nella quale, cioè, i coniugi, anche nei rapporti con i terzi, sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa.

Come chiarito nella sentenza 311/1988 della Corte costituzionale, “dalla disciplina della comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria. Questa è una comunione per quote, quella è una comunione senza quote; nell’una le quote sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti (art. 2825 c.c.) e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune (art. 1103 c.c.); nell’altra i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (art. 189 comma 2 c.c.)”.

Nella comunione legale”, prosegue la Consulta, “la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189 c.c.), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190 c.c.), e, infine, la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194 c.c.)”.

Anche la Corte di cassazione con la sentenza 12923/2012 ha ribadito che la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa, e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei; “ne consegue che”, precisa la Cassazione, “nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell’intero bene comune e il consenso dell’altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e la cui mancanza si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione (Cass. 284/1997; Cass. 16177/2001; Cass. 14093/2010)”. L’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso di acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso d’acquisto a domino in base ad un titolo viziato (Cass. 14093/2010; Cass. 6575/ 2013; Cass. 21503/2018).

Esposte le particolari regole che disciplinano la comunione legale, possiamo ora affrontare la questione di quale sia il regime normativo applicabile, successivamente al perfezionamento della convenzione matrimoniale di adozione del regime di separazione dei beni, ai beni acquistati dai coniugi in precedenza e, quindi, ancora in pendenza del regime di comunione legale.

Nella sentenza 4676/2018, già sopra citata, è stato affermato che un bene immobile acquistato in regime di comunione legale dei beni continua ad essere assoggettato a detto regime anche se, successivamente, i coniugi effettuano la scelta della separazione dei beni.

La Corte sembrava pertanto aderire, sulla base di argomentazioni la cui debolezza è già stata messa in evidenza nella nota critica di commento pubblicata da Federnotizie, all’opinione minoritaria per cui alla comunione “sciolta” ma non ancora “divisa” continuano ad applicarsi le norme della comunione legale e non quelle della comunione ordinaria.

La sentenza che qui si commenta, al contrario, chiaramente afferma che “la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane solo fino al momento in cui si verifica, a norma dell’art. 191 c.c., il suo scioglimento; in tal caso, infatti, venuta meno l’applicabilità delle relative norme, i beni e i diritti che ne fanno parte cadono in comunione ordinaria tra i coniugi (Cass. 8803/2017) fino alla divisione (Cass. n. 11467/2003)”.

Da ciò deriva, come chiarito dalla stessa Cassazione, che “ciascun coniuge, divenuto titolare della sua quota del diritto o del bene a suo tempo acquisto alla comunione legale, può liberamente e separatamente disporne (ancora Cass. 8803/2017)”.

Se così è, allora, successivamente alla convenzione di adozione del regime di separazione dei beni, anche in relazione ai beni precedentemente acquistati pendente il regime di comunione legale:

  • ciascun coniuge è titolare della sua quota;
  • ciascun coniuge può disporre autonomamente in tutto o anche solo in parte della sua quota;
  • l’atto dispositivo avente ad oggetto l’intero bene eventualmente perfezionato dal singolo coniuge non è annullabile ai sensi dell’art. 184 c.c., ma è parzialmente inefficace con applicazione delle norme che disciplinano il trasferimento di beni altrui (artt. 1478-1484 c.c.);
  • il creditore di un coniuge può pignorare o ipotecare solo la quota di titolarità del coniuge debitore (art. 2825 c.c.).
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Per la Cassazione la comunione legale NON sopravvive alla scelta della separazione dei beni (Cass. 33546/2018) ultima modifica: 2020-03-16T11:31:27+01:00 da Michele Laffranchi
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