1. Un nuovo patto generazionale per la previdenza notarile

PRO & CONTRO

a cura di Lorenzo Stucchi

La crisi economica che ha colpito il Notariato ha provocato una rinnovata attenzione da parte della categoria alle tematiche della previdenza, con particolare riferimento, da un lato, alla (in)sostenibilità finanziaria di lungo periodo delle attuali prestazioni erogate dalla Cassa e, dall’altro, alla (in)sopportabilità del vigente livello di contribuzione a carico dei notai in esercizio.

Non sarebbe peraltro corretto addebitare alla crisi economica ogni responsabilità della situazione di difficoltà che vive la previdenza notarile, al pari peraltro di molti altri sistemi previdenziali pubblici e privati: è evidente a tutti, infatti, che alcune tendenze della contemporaneità metterebbero comunque in crisi l’equilibrio finanziario dei sistemi previdenziali, pur se vivessimo una situazione economica più fortunata di quella che stiamo sperimentando.

Mi limito, in questa sede, a segnalare solo i fenomeni più noti e di maggior rilievo: i) l’innalzamento della vita media delle persone; ii) il conseguente aumento del numero dei beneficiari delle prestazioni previdenziali; iii) l’ulteriore conseguente incremento della spesa previdenziale.

L’intervento della crisi economica ha comunque acuito gli effetti delle tendenze sopra riportate e ha contribuito ad eliminare l’illusione che i predetti fattori potessero essere neutralizzati da una continua e sostenuta crescita negli anni e nei decenni a venire.

Davanti a tali criticità strutturali e all’incalzare della crisi economica, purtroppo, per lunghi anni, i vertici della Cassa del Notariato hanno temporeggiato, senza affrontare con decisione i cambiamenti in corso, limitandosi ad adottare provvedimenti di carattere temporaneo, finalizzati a tenere in equilibrio il sistema, quali, per esempio: il ricorso all’aumento continuo della contribuzione – ora attraverso la revisione degli onorari repertoriali, ora attraverso l’incremento delle aliquote – e il compimento di operazioni straordinarie una tantum finalizzate a far emergere plusvalenze latenti.

La dimostrazione esemplare di quanto sopra riferito sono le recenti affermazioni del Past President Paolo Pedrazzoli sull’ultimo Bollettino: il senso di quelle parole, infatti, è, sostanzialmente, che il nostro sistema previdenziale è adeguato, è in equilibrio, è equo e non necessita di particolari aggiustamenti.

Con l’avvento alla Presidenza di Mario Mistretta fortunatamente l’approccio è cambiato: a cominciare dalla chiara e mai ambigua affermazione che il nostro sistema previdenziale deve fare un salto nella contemporaneità e nel futuro, per assicurare l’equilibrio e la stabilità di lungo periodo dei conti, senza dover ricorrere a misure tampone di carattere temporaneo ed eccezionale, e per sancire il principio che il livello delle prestazioni erogate non può essere determinato senza tener conto dell’entità delle entrate derivanti da una contribuzione sostenibile.

Sennonché, pur a fronte di notevoli passi avanti sotto il profilo della necessità di un intervento riformatore che assicuri stabilità ed equilibrio nel tempo ai conti della Cassa, senza ulteriori aumenti di contribuzione, non può non lamentarsi la mancanza di proposte concrete in ordine ai contenuti della prossima e inevitabile riforma previdenziale.

In particolare, il principale tema che la riforma pensionistica evoca consiste nella distribuzione dei sacrifici che, inevitabilmente, conseguiranno alla stessa, dal momento che essa avrà tra i suoi effetti quello di rivedere in diminuzione l’attuale livello di prestazioni erogate.

Non è peraltro un mistero che le riforme previdenziali fin qui approvate nel nostro Paese abbiano, in linea di massima, previsto di confermare il trattamento dovuto a coloro che già avevano maturato i relativi diritti e di scaricare sulle giovani generazioni il peso economico della riduzione delle prestazioni previdenziali, con l’effetto che, ai giovani, è stato riservato un mix fatto di contribuzione elevata e di future prestazioni contenute, certamente inferiori rispetto al livello di contribuzione sostenuto nel corso della vita lavorativa.

Se si ritenesse di riproporre tale scelta anche con riguardo alla previdenza notarile, ci troveremmo di fronte a una decisione infelice e ingiusta, per mancanza di senso di responsabilità e di equità.

Le generazioni più anziane, infatti, oltre a lasciare in eredità ai giovani uno dei più alti debiti pubblici del mondo, che ci condannerà ad avere per molti anni ancora un livello di tassazione con pochi pari nei Paesi più sviluppati e un livello di servizi certamente non proporzionato, lascerebbero altresì alle giovani generazioni, anche per quanto attiene alla previdenza notarile, un conto molto salato da pagare, il cui importo sarebbe finalizzato esclusivamente ad assicurare ai meno giovani un trattamento previdenziale che oggi non siamo più in grado di permetterci.

Davanti a sfide di tale portata occorre che la categoria si dimostri unita e coesa, per condividere tutti insieme un importante percorso di riforma: pensionati, notai in esercizio con maggiore anzianità contributiva e notai in esercizio con minore anzianità contributiva. Ciascuno dovrà accettare qualche sacrificio con senso di responsabilità ed equità, in quanto non si può chiedere solo ad alcuni e, in particolare, ai giovani di farsi carico del peso economico delle rinunce da fare e di dimostrare di condividere ed attuare il principio di solidarietà.

L’attuale momento storico impone infatti di rinnovare il senso e il significato del principio di solidarietà.

Tradizionalmente esso è sempre stato considerato in maniera unidirezionale: a vantaggio dei notai in pensione e a carico dei notai in esercizio. Tale impostazione si fondava sul fatto che i notai in pensione perdevano la possibilità di percepire i redditi, mediamente piuttosto elevati, che i notai in esercizio conseguivano. Risultava allora ragionevole e sostenibile chiedere a questi ultimi qualche sacrificio in più, comunque più che sopportabile, per assicurare ai pensionati un sistema previdenziale e assistenziale più che decoroso.

La situazione economica attuale è però molto diversa e la solidarietà non può più essere unidirezionale, ma deve essere bilanciata ed equilibrata, in quanto deve tener conto di diversi fattori. Il primo, fondamentale, è che lo scarto tra reddito dei notai in esercizio e reddito dei notai in pensione si è fortemente ridotto, come dimostrano i sempre più frequenti pensionamenti anticipati. Il secondo è che i notai in pensione o prossimi alla pensione hanno beneficiato di uno straordinario e, forse, irripetibile periodo di benessere e di prosperità economica, che ha permesso di raggiungere un livello reddituale straordinariamente elevato, sufficiente a consentire, se solo si fosse voluto, un risparmio personale che oggi è impensabile. Il terzo è che l’attuale basso livello reddituale dei notai in esercizio, unito all’attuale alto livello di tassazione generale, rende la contribuzione previdenziale molto più grave da sopportare rispetto ai decenni scorsi.

A fronte di queste considerazioni capita di sentire eccepire che: i) i diritti acquisiti dai pensionati sono intoccabili e dunque non possono essere limitati da nessuna riforma; ii) i notai in pensione o prossimi alla pensione hanno lavorato molto e hanno versato ingenti contributi alla Cassa nel corso della loro vita professionale; iii) la crisi economica ha ridotto il livello della contribuzione, in particolare quella dei giovani, con la conseguenza che, in un sistema come quello attuale, che prevede che nei primi dieci anni di professione si maturino diritti molto più che proporzionali, sarebbero proprio i giovani a dover qualcosa alle precedenti generazioni, piuttosto che il viceversa.

Provo a replicare a tutte le precedenti considerazioni.

Con riferimento alla prima: non sono né un esperto costituzionalista, né un esperto di sistemi previdenziali, ma, con buon senso, mi pare che occorra anche considerare che di diritti acquisiti in senso propriamente detto potrebbe parlarsi ove le pensioni fossero pagate con le rendite del patrimonio accumulato dalle precedenti generazioni. Dal momento, peraltro, che ciò non accade, in quanto le pensioni sono pagate con i contributi dei notai in esercizio e le rendite del patrimonio coprono solo il pagamento del trattamento di quiescenza, occorre anche prendere atto del fatto che di diritti acquisiti può parlarsi fino a quando vi siano altri in grado di pagare i contributi, altrimenti, una volta liquidato il patrimonio e utilizzato lo stesso per il pagamento di qualche anno di pensioni, ci si troverebbe a dover far fronte all’insolvenza della Cassa e ci si dovrebbe misurare con il rischio, più che concreto, che nessun altro ente previdenziale, nemmeno pubblico, si faccia carico del trattamento dovuto ai notai in pensione.

Con riferimento alla seconda: è certamente vero che, in valore assoluto, i versamenti dei notai in pensione o prossimi alla pensione sono stati elevati e che dunque l’attuale livello di pensioni può essere proporzionato a quanto versato, ma è altrettanto vero che, se si intendesse mantenere anche in futuro l’attuale livello di prestazioni previdenziali a vantaggio di chi è in pensione o prossimo alla pensione, occorrerebbe imporre ai notai in esercizio un livello di contribuzione altrettanto elevato per tutta la loro vita professionale, con la significativa conseguenza che a due elevate contribuzioni corrisponderebbe per gli uni (i pensionati o i notai prossimi alla pensione) un altrettanto elevato livello di prestazioni e per gli altri (i più giovani) un ben più basso livello di prestazioni, con l’aggravante che l’incidenza sul reddito della contribuzione è oggi, e molto probabilmente sarà domani, assai più alta di quanto non fosse un tempo.

Con riferimento alla terza: può anche essere vero che alcuni dei più giovani abbiano versato meno rispetto ai diritti che virtualmente stanno maturando, ma è anche certamente vero che non sono le rendite del patrimonio accumulato dalle precedenti generazioni a pagare le pensioni, ma i contributi dei notai in esercizio, con la conseguenza, che, da un lato, quei diritti virtuali non saranno soddisfatti con il patrimonio accumulato dalle precedenti generazioni e dunque nessun arricchimento è configurabile a vantaggio dei notai giovani e a carico del patrimonio della Cassa e, dall’altro, che detti diritti virtuali non potranno certamente essere confermati, allorché si voglia assicurare stabilità finanziaria ed equilibrio di lungo periodo alla Cassa e si voglia evitare l’ingiustizia di lasciare a chi sarà notaio nel futuro l’onere del pagamento di una contribuzione a quel punto ancor più elevata di quella attuale.

In conclusione, mi sembra che l’unica soluzione possibile sia di affrontare da subito la riforma del sistema previdenziale con responsabilità ed equità, auspicando una disponibilità condivisa tra tutti gli iscritti alla Cassa, pur se portatori di interessi differenziati, nel convincimento che solo un nuovo patto generazionale possa consentire di proiettare nel futuro il nostro sistema previdenziale e di applicare con rinnovata partecipazione il principio di solidarietà, altrimenti destinato a scontrarsi con una realtà economica che rischierebbe di travolgerlo.

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1. Un nuovo patto generazionale per la previdenza notarile ultima modifica: 2014-12-19T18:38:47+01:00 da Redazione Federnotizie
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