a cura di Dario Restuccia
Blockchain, o catena di blocchi, è il protocollo alla base di Bitcoin[1] così come di altre forme di monete virtuali, che permettono di effettuare transazioni economiche senza passare da intermediari bancari.
Blockchain ha una gamma di applicazioni tendenzialmente infinite, riuscendo a fare ciò che Bitcoin fa per i pagamenti di beni e servizi. In altre parole si inserisce in una relazione, uno scambio, garantendone la tenuta, senza ricorrere ad un’autorità terza che ne sancisca la validità.
Per questo la rete ha subito provato a sostenere che Blockchain possa sostituire notai, Istituzioni, esperti d’arte, che possa garantire proprietà intellettuale ed elezioni politiche.
Ma come funziona la Blockchain?
Il primo, fondamentale, elemento, è che la Blockchain è controllabile da tutti, nella piena applicazione delle ideologia che sta alla base del concetto che internet sia la risposta a tutto, anche dei principi democratici.
Anche perché nessuno può possedere la Blockchain, o meglio, come vedremo, non è conveniente, o troppo onerosa, possederla.
La ragione è che ogni transizione deve essere approvata dal 50% più uno dei nodi della catena di blocchi.
Bitcoin di fondo altro non è che un file che ha un controvalore economico che permette a chi lo possiede di comprare beni e servizi all’interno della rete.
Il numero delle monete crescerà fino al 2140 quando saranno diventate 21 milioni. Poi si esauriranno ed è per questo che il prezzo dovrebbe tendere a salire. Ma a garantirne l’utilizzo anche per transazioni minori è la sua capacità di avere fino a 8 decimali (0,00000001). E quando i Bitcoin saranno esauriti i decimali potrebbero anche aumentare, per garantire transazioni più basse. Un bene come l’oro, finito, e infinitamente divisibile.
I miner sono quelli che risolvono i codici che proteggono nuovi Bitcoin. I primi miner avevano un compito relativamente facile, visto che il codice che proteggeva bitcoin era piuttosto semplice. Le cose col tempo si sono andate complicando e oggi occorrono macchine enormi con una potenza di calcolo incredibile per risolvere i codici che lo proteggono.
Forse questo è il meccanismo che fa trasparire il colpo di genio, al punto che qualcuno ha parlato di prima applicazione concreta del concetto di intelligenza artificiale. Più aumentano i player e la loro potenza di calcolo, più si fa complesso. Autonomamente. E garantisce da solo l’equilibrio interno al sistema.
La correttezza delle transazioni è, o meglio dovrebbe, essere garantita dai nodi, registri che contengono tutti i passaggi di monete da un capo all’altro della rete.
Questi nodi devono garantire che tutto sia a somma zero.
Bitcoin sostiene di poter essere una rete sicura di pagamento in grado di garantire da un lato transizioni corrette e verificate grazie ai nodi, dall’altro lato anonimato e protezione dei dati.
Ma il sistema di sicurezza di bitcoin è basato sul fatto che a miners e controllori conviene che sia tutto sempre perfetto e inattaccabile perché è il loro lavoro e la loro fonte di guadagni sempre più lauti. La correttezza di Bitcoin è quello che tutti gli attori della rete di pagamenti vogliono, perché ogni passaggio che controllano e verificano dà loro una piccola percentuale in bitcoin per il lavoro svolto. Ogni transizione deve essere data per buona dal 51% dei nodi della rete. i possessori dei registri controllano tutto.
Ma chi garantisce la sicurezza di Blockchain? la risposta è, semplicemente, nessuno. Perché a nessuno converrebbe investire così tanti soldi da comprare i nodi per controllare un volume di scambi nella rete inferiore all’investimento stesso. E una volta scoperto, nessuno userebbe più il bitcoin.
Ecco allora il vero “nodo”. Il sistema, di nuovo, non è neutrale ed è comprabile. Quindi manipolabile.
Tutto si regge sul fatto che a nessuno converrebbe investire così tanti soldi da comprare i nodi per controllare un volume di scambi nella rete. Impossibile dire che non possa succedere, ma potrebbe trattarsi solo di qualcuno con un portafogli enorme.
Ci stanno dicendo che dobbiamo affidarci alla capacità e all’onestà ineffabile e “algoritmizzata” di chi valuta razionalmente e infallibilmente il proprio interesse egoistico, e tanto ci deve bastare.
Ma siamo sicuri che una breccia nel sistema non possa aprirsi?
Basta pensare alle multe colossali che le grandi banche mondiali abbiano deciso di sopportare per la manipolazione sistematica dei tassi interbancari Libor e Euribor, alla Volkswagen che altera i suoi test automobilistici ed a tanti altri esempi in cui rappresentanti del potere economico e politico hanno scientemente deciso di infrangere le regole rischiando sanzioni perché come dichiarato dal CEO di JPMorgan “This is just the cost of doing business for these mega banks. As long as JPM’s income exceeds its legal fees they have no economic incentive to stop pushing the law at every opportunity.”
In altri termini la tanto sbandierata sicurezza del sistema della Blockchain può essere anch’essa forzata come tutte le cose umane, anche se con impensabili difficoltà tecniche, e guarda caso proprio, e solo, da chi può avere disponibilità economiche di dimensioni talmente enormi da poterselo permettere.
Una recente esperienza sembra provare quanto qui sostenuto. Ci si riferisce a DAO, Organizzazione Autonoma Decentralizzata, ovvero un contratto codificato all’interno di Ethereum in cui le parti in causa si attribuiscono una serie di facoltà e poteri in ragione del possesso di quote “azionarie” rappresentate da un Token. Ethereum, così come Bitcoin, nasce e si sviluppa come un sistema decentralizzato che non necessita di alcuna autorità per funzionare. La DAO più famosa e ricca si chiama The DAO e ha raccolto qualcosa come 117 milioni di dollari in Ether (eth) durante la sua sottoscrizione.
The DAO è in sostanza un fondo di investimento che permette ai possessori del Token TheDAO di proporre e discutere e infine votare in cosa investire gli Ether raccolti.
Le regole di funzionamento di The DAO sono nel suo codice di programmazione, un codice di programmazione che gira sulla blockchain di Ethereum.
Quel che si è scoperto però è che il codice di programmazione di The DAO ha un grave problema di sicurezza, o meglio, questo codice permette una azione che non è stata prevista (o non dovrebbe essere stata prevista) dai suoi creatori. In pratica è possibile farsi dare indietro gli Ether investiti senza che le corrispondenti azioni (token) vengano distrutti se si agisce nella maniera giusta.
Quel che è successo però è che una notte qualcuno ha sfruttato questa falla e ha cominciato a svuotare The DAO portandosi via circa 3.641.694,24 ether, ovvero circa 72.833 bitcoin, ovvero 53 milioni di dollari al cambio attuale.
Il mercato ha ovviamente punito The DAO e ha punito e sta punendo anche Ethereum.
Ma la vicenda The DAO ha anche fatto emergere un altro grande buco, ed in particolare che sul mercato c’è un gigantesco problema di conflitto di interesse, molto più freqente di quanto si crede: tra i curatori del progetto The DAO c’è anche Vitalik Buterin, ovvero la figura chiave del progetto Ethereum, il quale ha proposto un Hard Fork di Ethereum per “cancellare” le transazioni che hanno svuotato The DAO. In altre parole uno dei protagonisti della piattaforma blockchain ha suggerito l’immutabilità della blockchain (di Ethereum) per rimediare ad un errore nel codice di un servizio esterno che usa le funzionalità di Ethereum, portando il Moral Hazard anche all’interno della blockchain.
Per tutelare un singolo progetto, ormai comunque compromesso, si andrebbe a minare l’autorevolezza e l’inviolabilità della blockchain.
Proprio perché la tanto decantata inviolabilità della blockchain è un assunto non dimostrabile e probabilmente non veritiero.
C’è poi un problema di lotta al riciclaggio ed alla criminalità, che le monete virtuali sembrano invece favorire, se è vero che le nuove monete hanno come test di successo proprio l’utilizzo nei negozi on line di Lsd liquido o cannabis ibrida, visto che la privacy e la sicurezza di Bitcoin sono ora minacciate dai Governi che hanno aumentato l’abilità nel tracciarne i movimenti. Ecco allora il successo, ad esempio, di Monero, che “mescola” molteplici transazioni per rendere più difficile tracciare il percorso dei fondi, rendendo impossibile dire da quale di queste trae origine un particolare ordine.
E poi il vi è un punto fondamentale in cui l’asserita capacità di Blockchain di instaurare un sistema di controllo decentralizzato capace di garantire le transazioni di merci o le proprietà cede il passo di fronte ad una semplicissima domanda: chi immette i dati che poi l’algoritmo garantirà? Chi garantisce la correttezza dei dati immessi?
Questo è il dato fondamentale e caratterizzante dell’attività dell’uomo e del notaio in particolare, che nessun algoritmo potrà mai sostituire. Qualunque professionista pone in essere una attività fondamentale: capire cosa vuole la parte e porre in essere gli strumenti giuridici capaci di soddisfare le esigenze del cliente stesso. È la funzione di adeguamento che caratterizza l’attività notarile e che nessuna tecnologia potrà evitare.
È ovvio che il notariato non possa in alcun modo sottovalutare le potenzialità e le capacità delle nuove tecnologie come Blockchain di sottrarre lembi di competenze, ma bisogna innanzitutto essere coscienti dei propri punti di forza.
Anzi la grande sfida del notariato sarà proprio quella di rendersi partecipe del mutamento in corso facendo sì che le nuove tecnologie non significhino la fine della professione notarile ma semplicemente il suo adeguamento alla società del domani.
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[1] Come si addice a quella che è diventata una sorta di dogma o di un credo religioso, la nascita di Bitcoin (e della Blockchain) è stata per lungo tempo avvolta nel mistero.
Inizialmente si sapeva solo la sua data di nascita, il 16 agosto 2008, e il nome che circolava era quello di Satoshi Nakamoto, il programmatore che, si diceva, ha partorito l’idea. In realtà dietro Satoshi Nakamoto c’è l’imprenditore australiano Craig Wright, come lui stesso ha finalmente rivelato ad aprile 2016 a Bbc, Economist e GQ, portando le prove tecniche della sua invenzione, ovvero le chiavi di crittografia che fanno funzionare il sistema di pagamento e possono essere solo nelle mani del suo creatore.

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La Redazione di Federnotizie è composta da notai di tutta Italia, specializzati in differenti discipline e coordinati dalla direzione della testata, composta dai notai Arrigo Roveda e Domenico Cambareri.