1. Introduzione
Con l’ordinanza Sez. I, 14 giugno 2021 n. 16776, la Suprema Corte ha confermato e consolidato un indirizzo interpretativo che, originariamente affermatosi in alcune pronunce di merito, aveva ricevuto (già prima della pronuncia da ultimo citata) l’autorevole avallo della Cassazione[1]. Il thema decidendi attiene agli effetti derivanti dal mancato rispetto, da parte dell’Istituto di credito mutuante, della regola di cui al combinato disposto dell’art. 38 d.lgs. 1993 n. 385 (Testo Unico Bancario) e della Delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio 22 aprile 1995[2]. Si tratta, come noto, delle disposizioni che fissano un limite quantitativo all’importo finanziabile da parte delle Banche in sede di erogazione di un mutuo che abbia le caratteristiche della fondiarietà.
Ricollegandosi alla precedente giurisprudenza in materia di mutuo edilizio (la summa delle ragioni a fondamento dell’orientamento precedente si può leggere in Cass., 1 settembre 1995 n. 9219) e superando le diverse pronunce (si v. soprattutto la nota e assai criticata Cass., Sez. I, 28 novembre 2013 n. 26672[3]) che avevano invece “derubricato” la conseguenza del mancato rispetto del limite in mera irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario (qualora ne venisse accertata la violazione a seguito dei controlli che competono alla Banca d’Italia), la Cassazione ribadisce che il limite di finanziabilità fissato dall’art. 38 T.U.B. è elemento essenziale del contenuto del tipo “mutuo fondiario”. Ne deriva che il suo mancato rispetto ne determina la nullità (salva la possibilità, come si vedrà, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario) e costituisce un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, il quale coincide che la regolazione del quantum della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare e agevolare e sostenere l’attività d’impresa[4].
2. L’esame della norma
L’analisi del problema sollevato dalla Corte muove dalla considerazione dello ius positum in materia (tanto di rango legislativo, quanto della normazione regolamentare). Punto di partenza è dato dal citato art. 38 T.U.B., il quale, dopo aver definito la nozione di credito fondiario come quel credito avente a oggetto “la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”, al secondo comma ha cura di precisare che spetta alla Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del C.I.C.R., determinare il limite massimo dei finanziamenti “in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi”.
Il C.I.C.R., con la delibera 22 aprile 1995[5], ha fissato nella soglia pari all’ottanta per cento l’ammontare massimo dei finanziamenti erogabili, percentuale che può essere innalzata al cento per cento qualora vengano prestate garanzie integrative; precisando altresì che la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie sull’immobile non è di per sé preclusiva dell’acquisto della qualifica di fondiarietà, purché la soglia sopra citata venga rispettata tenendo conto (oltre che, com’è ovvio, del nuovo finanziamento, anche) del capitale residuo del finanziamento già in essere.
Dal canto suo, la Banca d’Italia con il provvedimento del 26 giugno 1995 ha precisato ulteriormente alcuni profili di disciplina e normato alcuni casi specifici, come ad esempio il parametro al quale agganciare il rispetto del limite in caso di mutui erogati a stato avanzamento lavori[6].
L’origine della disciplina in esame è assai lontana nel tempo. La figura antesignana è data dal credito edilizio[7]: riservato ad appositi Istituti (ai quali era precluso lo svolgimento di altre attività bancarie), esso era strettamente collegato alla raccolta del risparmio attraverso le c.d. cartelle fondiarie, la cui emissione (e sottoscrizione da parte degli investitori) andava a finanziare il prestito concesso al debitore richiedente il finanziamento. Il rimborso del credito erogato al soggetto finanziato, che si fondava sulla stabilità ed effettività della garanzia immobiliare da quest’ultimo prestata, era essenziale al fine di rimborsare a loro volta le cartelle emesse, non essendo consentiti differenti mezzi di provvista. Si giustificava così “l’iperprotezione”[8] riservata dal legislatore agli Istituti mutuanti.
Tale sistema è stato profondamente modificato già alla metà degli anni settanta del secolo scorso[9], prevedendo che gli Istituti di credito fondiario potessero procurarsi la provvista necessaria (oltre che a mezzo del collocamento delle relative cartelle, anche) attraverso l’emissione di obbligazioni le quali, pur definite “fondiarie”, non avevano più uno stretto legame con le erogazioni dei mutui.
Oggi il quadro è profondamente mutato. Dopo l’emanazione del Testo Unico Bancario, svariate sono le differenza tra il “vecchio” mutuo edilizio e la nuova figura di credito fondiario, come essa emerge dalle norme prima ricordate: l’ampia gamma di soggetti ammessi all’erogazione di credito fondiario (non più istituti specializzati ma qualsiasi Banca); l’assenza di una finalità precipua alla quale il finanziamento debba essere destinato e, dunque, la circostanza per la quale il mutuo fondiario, a differenza del mutuo edilizio, non è più mutuo “di scopo”; l’ampliamento delle modalità negoziali attraverso cui è possibile porre in essere operazioni fondiarie (non solo, quindi, il contratto di mutuo disciplinato dal codice civile ma in generale ogni forma di “finanziamento”, ossia tutte le tipologie negoziali afferenti alla categoria dei c.d. contratti di credito).
La disciplina del mutuo fondiario, in sintesi, risulta quindi ancorata a due presupposti, indefettibilmente previsti dal legislatore: a) la garanzia (che dev’essere obbligatoriamente prestata dal soggetto finanziato) è costituita un’ipoteca immobiliare di primo grado (o comunque a questo equiparabile, stante le specificazioni fornite da C.I.C.R. e Banca d’Italia); b) la Banca deve rispettare un ammontare massimo di finanziamento.
Prima di esaminare gli effetti giuridici, sul piano della patologia, del mancato rispetto da parte dell’Istituto di credito del secondo dei due requisiti or ora ricordati (quello che presenta, com’è evidente, più delicati profili di accertamento), può non essere lezioso ricordare brevemente quali siano le caratteristiche, in termini di disciplina, del mutuo fondiario e cosa lo differenzi quindi, in concreto, da un mutuo ipotecario “ordinario”. Il résumé mostrerà la sua effettiva utilità nel prosieguo, considerato che uno degli approdi interpretativi possibili – una volta verificato che non è stato rispettato il limite dell’ottanta per cento fissato dalla legge – consiste nella “conversione” del mutuo fondiario in mutuo ipotecario ordinario.
In particolare (e schematicamente):
- ai sensi dell’art. 39 T.U.B.
- ai fini dell’iscrizione ipotecaria la Banca può eleggere domicilio presso la propria sede, invece che presso la circoscrizione del Tribunale in cui ha sede la conservatoria dei registri immobiliari (art. 2839 c.c.);
- il credito della Banca, in caso di finanziamenti con clausole di indicizzazione (quindi con tasso variabile) è garantito dall’ipoteca sino a concorrenza dell’intero importo dovuto per effetto della medesima clausola, invece di essere limitato alla somma iscritta e al triennio anteriore di interessi (come previsto in via generale dall’art. 2855 c.c.); ciò avviene automaticamente purché la nota d’iscrizione ipotecaria menzioni la clausola di indicizzazione;
- qualora parte mutuataria rivesta la qualità di imprenditore commerciale soggetto a fallimento (rectius, oggi, “liquidazione giudiziale”), l’ipoteca fondiaria non è soggetta a revocatoria fallimentare purché sia stata iscritta almeno dieci giorni prima rispetto alla pubblicazione della sentenza di fallimento del debitore concedente la garanzia o del terzo datore di ipoteca (c.d. consolidamento breve dell’ipoteca);
- sempre in tema di crisi d’impresa, l’azione revocatoria non può essere attivata per dichiarare inefficaci i pagamenti effettuati dal debitore che in seguito venga dichiarato fallito (oggi: sottoposto a liquidazione giudiziale);
- è prevista una ipotesi specifica di riduzione dell’ipoteca, nel caso in cui venga estinta una parte del debito pari almeno al venti per cento oppure quando risulti che il limite di finanziabilità (come sopra precisato) è rispettato in relazione ai beni conservati in garanzia;
- è previsto il diritto del mutuatario alla suddivisione del finanziamento in quote e al correlativo frazionamento dell’ipoteca, anche in caso di mancata collaborazione da parte della Banca, frangente in cui il Notaio assume un ruolo di non secondo momento;
- gli “onorari notarili” (ossia il parametro di repertorio) degli atti relativi al credito fondiario sono ridotti alla metà; correlativamente, è del pari ridotta la tassa spettante all’Archivio notarile nonché i contributi previdenziali;
- è poi previsto, ai sensi dell’art. 40 T.U.B., il diritto del mutuatario di estinguere anticipatamente il debito[10];
- ai sensi, invece, dell’art. 41 T.U.B., l’Istituto di credito è agevolato in sede di giudizio esecutivo, in quanto:
- il giudizio si svolge secondo le ordinarie regole, salvo che vi non è obbligo a carico del creditore di notificare il titolo esecutivo;
- l’azione esecutiva individuale può essere iniziata o proseguita anche dopo il fallimento (dichiarazione di liquidazione giudiziale) del debitore;
- le rendite degli immobili ipotecati sono versate direttamente alla Banca, una volta iniziata l’esecuzione forzata;
- l’aggiudicatario dell’immobile paga direttamente alla Banca la parte di prezzo corrispondente al suo credito.
Inoltre il rispetto del limite di finanziabilità ha una rilevanza per la Banca ai fini del rispetto della normativa internazionale in tema di patrimonializzazione, in quanto consente ali Istituti di credito di mantenere una minore quota di patrimonio soggetto a vigilanza rispetto alle altre forme di credito ipotecario.
Sul piano della prassi operativa, a queste caratteristiche corrisponde in genere l’applicazione alla parte mutuante di un tasso d’interesse sensibilmente inferiore rispetto a quello che viene in genere praticato – a parità degli altri fattori in campo – rispetto agli ordinari mutui ipotecari.
3. L’evoluzione della giurisprudenza: la sorte del contratto in caso di superamento dei limiti di finanziabilità
Quid iuris nel caso in cui la Banca, in violazione di quanto sancito dal combinato disposto dell’art. 38 T.U.B., della delibera C.I.C.R. e delle istruzioni della Banca d’Italia, sopra richiamate, conceda un finanziamento in cui non risulta rispettato il parametro di loan to value stabilito dal legislatore? Nel tempo si sono avvicendati diversi orientamenti, fatti propri dalla Corte di Cassazione.
Pronunciandosi in materia di crediti edilizi, come sopra si è ricordato, la Corte aveva in un primo momento sancito la nullità (parziale, ai sensi dell’art. 1419 c.c.) del mutuo concesso in violazione del limite di finanziabilità. Esemplificativa di tale orientamento è, in particolare, Cass. 1 settembre 1995 n. 9219. In quella occasione la Cassazione aveva affermato che anche nel sistema introdotto dal T.U.B. il perfezionamento di un contratto di finanziamento “fondiario”, in violazione dei parametri legali prescritti dal legislatore, è soggetto alla medesima sanzione di invalidità.
In verità, la nullità del mutuo, nel sistema antecedente al T.U.B., veniva ricondotta alla natura di mutuo di scopo (peculiarità che, come detto, non è condivisa dal mutuo fondiario), in quanto finalizzato ad agevolare la disponibilità di immobili “non di lusso”, animato quindi dall’interesse pubblico generale che conferisce alla norma violata quella natura imperativa e cogente che, sola, ne giustificato la nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c.
Successivamente e soprattutto con Cass. 28 novembre 2013, n. 26672[11], la Suprema Corte ha mutato il proprio indirizzo, escludendo che il superamento del limite legale sia sanzionabile con la nullità e quindi limitando le conseguenze alla (eventuale) irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario e alla responsabilità degli amministratori dell’Istituto di credito.
Rispetto al precedente del credito edilizio, nel caso del credito fondiario viene (correttamente) negato il vincolo di destinazione delle somme erogate al soddisfacimento di determinate finalità predeterminate dal legislatore; a tale differenza sul piano della ricostruzione tipologica del negozio non può non corrispondere una ricaduta sul versante delle patologie in caso di violazione del requisito previsto dalla legge. L’art. 38 T.U.B. avrebbe infatti collocato l’istituto nella disciplina generale dei contratti bancari e non, quindi, come un “tipo” speciale, soggetto alle sue proprie regole di disciplina. Il mancato rispetto del limite non comporta quindi il difetto di uno dei presupposti legali di perfezionamento della fattispecie astratta ma si colloca a un diverso livello, quello della violazione delle regole di condotta da parte dell’Istituto di credito. Sulla base di quelle premesse, l’art. 38, comma secondo, T.U.B. – così come integrato dalla previsione della delibera C.I.C.R. e della Banca d’Italia – non è configurato alla stregua di una norma di validità ma è letto come disposizione che si limita a prescrivere alla Banca solo l’adozione di determinati comportamenti, conformando il contegno che la stessa è tenuta ad osservare.
Viene quindi accolta anche in questa materia, e ribadita, la nota distinzione tra regole di validità e regole di condotta inaugurata dalle pronunce Rordorf in tema di intermediazione finanziaria[12], nell’ambito delle quali la Corte di Cassazione aveva escluso che, ove non altrimenti stabilito dalla legge, la violazione di doveri comportamentali da parte dell’intermediario che non si fosse astenuto dal compimento d’operazioni non consentite potesse dar luogo a nullità, a norma dell’art. 1418, comma primo, c.c.
In particolare, la Corte individua la ratio attribuita al limite legale di finanziabilità non nella tutela del contraente debole (ossia il soggetto finanziato) bensì nella tutela della stessa Banca e così, indirettamente, della sostenibilità dell’intero sistema bancario. La preclusione deve quindi interpretarsi, secondo questa prospettiva, come sostanzialmente finalizzata ad evitare che la Banca possa esporsi in maniera eccessiva, in difetto di idonee coperture di garanzia. Non avrebbe quindi senso configurare la violazione dell’art. 38 T.U.B. come “nullità speciale” di protezione del cliente, rilevabile solo da parte di quest’ultimo, in quanto egli (a tacer d’altro) avrebbe un interesse opposto, a ottenere cioè l’importo massimo finanziabile. La nullità quindi veniva negata in quanto rimedio ritenuto inadeguato in funzione della ragione ispiratrice che aveva indotto il legislatore a introdurre le limitazione.
A partire da Cass., Sez. I, 13 luglio 2017 n. 17352 (v. nota 1) la giurisprudenza di legittimità torna sul tema in esame, rivedendo criticamente l’impostazione inaugurata dalla pronuncia del 2013.
La Corte ritiene adesso, in maniera granitica[13], che il mancato rispetto del limite determina di per sé la nullità del contratto di mutuo fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario, ove ne risultino accertati i presupposti.
L’iter argomentativo che viene dalla Corte posto a fondamento del nuovo orientamento è in un certo senso speculare e opposto rispetto al precedente del 2013. L’art. 38 T.U.B., che fissa il limite di finanziabilità del mutuo fondiario, viene ritenuto norma imperativa e inderogabile, che si rivolge al contenuto negoziale del mutuo e che persegue interessi economici pubblici. Come tale, essa fissa i requisiti legali della fattispecie – costituente un “tipo” a sé stante, distinto dal contratto di mutuo ipotecario ordinario – denominata “contratto di mutuo fondiario”[14]. Essa contiene una regola di validità del contratto e non soltanto una regola di comportamento destinata alla Banca. Il negozio quindi è colpito da nullità, escludendo in radice la possibilità di richiamarsi al meccanismo di cui all’art. 1419 c.c., facendo salva la parte di finanziamento rientrante nella misura dell’ottanta per cento e dichiarando invalida la parte eccedente (come aveva invece ritenuto, in maniera originale, Cass. 1995 in tema di mutuo edilizio).
Ritenere diversamente, “significa consentire infine alla banca di disporre – essa – della fattispecie del credito fondiario, mantenendone i benefici correlati pur nel mancato rispetto dei limiti di legge, con conseguente pregiudizio delle pretese dei creditori concorrenti”[15].
L’unica modalità ammessa di salvezza degli effetti del negozio è quella della conversione in un diverso contratto, del quale quello nullo abbia i requisiti di forma e sostanza, pur dovendo fornire la prova della volontà ipotetica delle parti diretta alla conclusione del diverso accordo (art. 1424 c.c.). In tal caso il “diverso contratto” viene individuato in un ordinario finanziamento ipotecario, con ciò sottolineando, anche per tale aspetto, la differenza tipologica tra l’una e l’altra fattispecie che la Corte ritiene sussistente. La conversione del contratto nullo non opera automaticamente, né ovviamente può essere rilevata d’ufficio dal giudice, dovendo formare oggetto di specifica e rituale istanza, anche in sede di opposizione al piano di riparto (in caso di fallimento) purché formulata nel primo momento utile conseguente alla rilevazione della nullità.
4. Il ruolo del Notaio
Il Consiglio Nazionale del Notariato, in sede di commento[16] (critico) del nuovo corso inaugurato nel 2017 dalla Corte di Cassazione, ha avuto modo di sottolineare come, durante la fase di istruttoria preliminare che viene compiuta quando è richiesto della stipula di mutuo, il Notaio non è chiamato a svolgere una funzione selettiva e di “filtro” in ordine alla verifica dei presupposti per la concedibilità di un mutuo – e di un mutuo fondiario – al cliente. E tale conclusione, se è ovvia con riferimento all’accertamento del merito creditizio, nondimeno può estendersi anche alla verifica dei requisiti di “fondiarietà”.
Verrebbe da aggiungere: il Notaio non solo non ha la facoltà di intervenire su un’attività che è propriamente degli Istituti di credito, i quali si avvalgono di periti ad hoc chiamati a valutare il valore degli immobili concessi in garanzia, ribaltando sul cliente il costo di tale servizio; invero, non ne ha neanche gli strumenti. È dato accolto nella comune esperienza quello per il quale l’attività di determinazione dell’esatto valore di un bene o di un servizio costituisca materia assai delicata e complessa (si pensi, se è concesso il parallelo, alla tematica della relazione di stima dei conferimenti in natura nelle società per azioni e in quelle a responsabilità limitata), che ha regole sue proprie, molto spesso interpretabili in maniera diversa a seconda del professionista che viene concretamente incaricato della questione (assumendosene la responsabilità, anche in caso di difformità del valore accertato rispetto al valore “reale” determinato in seguito da altro professionista).
D’altro canto, il ruolo del Notaio non può essere confinato a quello di un percettore passivo delle indicazioni e delle informazioni fornite dalle parti, al fine del loro inserimento nei Pubblici Registri. La ratio dell’art. 38 T.U.B. è correlata – lo ha espresso chiaramente la giurisprudenza – alla tutela d’interessi della economia nazionale, che ne risulterebbe compromessa da esposizioni debitorie da parte degli Istituti di credito non adeguatamente garantite, le quali potrebbero minare la stabilità dell’intero sistema bancario. Come noto, la crisi finanziaria del 2008-2011 ha trovato origine proprio dal mercato immobiliare statunitense, ove il credito è stato largamente elargito pur in difetto di idonee garanzie. In questo senso è allora più che opportuno sottolineare il delicato apporto che il pubblico ufficiale può dare al riguardo, inteso quale gate keeper della legalità[17] del sistema delle fonti negoziali del nostro ordinamento, garante della sicurezza, veridicità e affidabilità dei dati immessi nel circolo giudico dei trasferimenti di ricchezza fra gli individui.
Correlativamente, da un lato va risolutamente negato che un’eventuale pronuncia di nullità da parte del giudice – il quale aderisca all’interpretazione ormai consolidata in giurisprudenza che ritiene invalido il mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti legali previsti dal T.U.B. – possa riverberarsi in una censura nei confronti del Notaio, che quell’atto abbia ricevuto, sanzionabile ai sensi dell’art. 28 Legge Notarile. È infatti evidente che la valutazione circa il superamento o meno dei parametri di legge sul rapporto tra bene finanziato e importo mutuato imporrebbe al Notaio un apprezzamento di merito che eccede il controllo di legalità affidatogli dal legislatore; la fattispecie in esame, quindi, non potrebbe mai dar luogo alla ricezione di un atto “espressamente proibito dalla legge”.
D’altro canto, non va tralasciato il contributo fondamentale dato dal Notariato nel garantire la stabilità del sistema finanziario, anche con riferimento alla questione esaminata in questo articolo. L’accertamento dell’identità delle parti, dell’effettiva titolarità dei beni negoziati, della conformità a legge del contenuto negoziale dell’accordo sottoscritto assicurano un elevato standard di sicurezza nelle transazioni. Da ultimo e sempre in questo senso, si può utilmente menzionare la collaborazione che il sistema bancario richiede spesso al Notariato in sede di stipula di atti di mutuo fondiario, i quali siano collegati alla compravendita immobiliare. Il ruolo di rappresentante dello Stato e di garante della legalità suggerisce talvolta agli Istituti di credito di richiedere al Notaio la conferma circa l’effettivo prezzo pattuito nella compravendita, onde verificarne la congruenza con quanto dichiarato dalla parte mutuataria in sede di istruttoria di mutuo e, quindi, così riducendo al minimo il rischio che si realizzi (ricorrendone tutti i presupposti) il reato di truffa ai sensi dell’art. 640 c.p. nei confronti della Banca finanziatrice.
Note
[1] Si v. la nota Cass., Sez. I, 13 luglio 2017 n. 17352, seguita da una serie di pronunce di analogo tenore: Cass. Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19016; Cass., 16 marzo 2018, n. 6586; Cass. 12 aprile 2018, n. 9079 ord. (est. Dolmetta); Cass., 9 maggio 2018, n. 11201 ord. (est. Dolmetta); Cass., 11 maggio 2018, n. 11543 ord. (est. Ceniccola); Cass., 28 maggio 2018, n. 13285 ord. (est. Dolmetta); Cass., 28 maggio 2018, n. 13286 ord. (est. Dolmetta); Cass., 24 settembre 2018, n. 22459 ord. (est. Dolmetta); Cass., 24 settembre 2018, n. 22466 ord. (est. Ceniccola); Cass., 3 ottobre 2018, n. 24138 ord. (est. Dolmetta); Cass., 19 novembre 2018, n. 29745 ord. (est. Dolmetta); Cass., Sez. III, 28 giugno 2019 n. 17439; Cass., Sez. I, 27 novembre 31057 n. 2019; Cass., Sez. I, 21 gennaio 2020 n. 1193.
[2] In uno con il provvedimento attuativo della Banca d’Italia 26 giugno 1995, reperibile in G.U. 5 luglio 1995 n. 155.
[3] Seguita da: Cass. 6 dicembre 2013 n. 27380; Cass. 4 novembre 2015 n. 22446; Cass. 7 marzo 2016 n. 4471; Cass. 24 giugno 2016 n. 13164.
[4] Nelle parole del Supremo Collegio si coglie, chiara, l’eco di Corte cost., 22 giugno 2004, n. 175, chiamata di recente a pronunciarsi sulla “ragionevolezza” – secondo il parametro della ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri creditori, in thesi inammissibile ex art. 3 Cost. – delle ragioni del chiaro favore verso la Banca che emerge dalla disciplina del credito fondiario. La Corte, nel rigettare la questione di costituzionalità dichiarandola inammissibile, sottolinea “l’evidente intento [del legislatore, n.d.r.] di favorire la “mobilizzazione” della proprietà immobiliare – e, in tal modo, l’accesso a finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di situazioni di crisi dell’imprenditore; ciò sostanzia “una scelta di politica economica”.
[5] “1. L’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario è pari all’80 per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. Tale percentuale può essere elevata fino al 100 per cento, qualora vengano prestate garanzie integrative, rappresentate da fideiussioni bancarie e assicurative, polizze di compagnie di assicurazione, cessioni di annualità o contributi a carico dello Stato o di enti pubblici, fondi di garanzia e da altre idonee garanzie, secondo i criteri previsti dalla Banca d’Italia.
- In presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie su un immobile, ai fini della determinazione dell’ammontare massimo di un finanziamento di credito fondiario, al relativo importo va aggiunto il capitale residue del finanziamento pregresso.
- Le disposizioni sub 1. e sub 2. si applicano anche alle operazioni di credito alle opere pubbliche e di credito agrario, qualora siano garantite da ipoteca su immobili.
- La Banca d’Italia emanerà istruzioni applicative della presente delibera.”.
[6] Al fine di aggiornare la circolare n. 4 del 29 marzo 1988, recante “Istruzioni in materia di particolari operazioni di credito”:
“1. Limiti di finanziabilità.
Le banche possono concedere finanziamenti di credito fondiario per un ammontare massimo pari all’80 per cento del valore dei beni immobili ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi, ivi compreso il costo dell’area o dell’immobile da ristrutturare.
Il limite dell’80 per cento può essere elevato fino al 100 per cento in presenza di garanzie integrative offerte dal cliente.
Le garanzie integrative possono essere costituite da fideiussioni bancarie, da polizze fideiussorie di compagnie di assicurazione, dalla garanzia rilasciata da fondi pubblici di garanzia o da consorzi e cooperative di garanzia fidi, da cessioni di crediti verso lo Stato, nonché da cessioni di annualità o di contributi a carico dello Stato o di enti pubblici.
Le garanzie integrative vanno acquisite almeno in misura tale che il rapporto tra l’ammontare del finanziamento e la somma del valore del bene immobile ipotecato e delle garanzie integrative medesime non superi il limite dell’80 per cento.
La Banca d’Italia si riserva di indicare altre forme di garanzia integrativa.
Resta ferma la possibilità per le banche di acquisire ogni altra garanzia ritenuta opportuna per la concessione dei finanziamenti.
Qualora i finanziamenti siano erogati sulla base di stati di avanzamento dei lavori il limite di finanziabilità deve essere rispettato durante ogni fase dell’esecuzione dei lavori.
- Finanziamenti integrativi.
Le banche possono concedere finanziamenti di credito fondiario anche su immobili già gravati da precedenti iscrizioni ipotecarie.
In questo caso, per la determinazione del limite di finanziabilità, all’importo del nuovo finanziamento deve essere aggiunto il capitale residuo del finanziamento precedente.”.
[7] Disciplinato dal R.D. 16 luglio 1905 n. 646.
[8] Espressione ormai divenuta di uso comune tanto nella letteratura che in giurisprudenza allorché si tratti di definire le tutele spettanti al creditore fondiario. Essa fu coniata per primo da Costa, Le operazioni di credito speciale nelle procedure concorsuali alla luce del nuovo testo unico delle legge in materia bancaria e creditizia, in Dir. fall., 1995, I, 314.
[9] Art. 11, D.L. 13 agosto 1975 n. 376, convertito nella L. 492/1975.
[10] La norma citata prevede anche possibilità di stabilire una “penale” a carico del mutuatario; oggi invece tale facoltà è sancita in via generale (ossia, anche in assenza dei requisiti della fondiarietà), in modo gratuito e senza la possibilità di subordinare tale diritto al pagamento di somme di denaro,
- dall’art. 120-terU.B., nel caso di credito “per l’acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche”;
- dall’art. 120-quaterU.B., in sede di mutuo finalizzato all’estinzione di altro mutuo precedentemente contratto dal debitore, con surrogazione dell’ipoteca;
- dall’art. 120-noviesdeciesU.B. (che richiama l’art. 120-ter), per il credito immobiliare ai consumatori.
SI v. poi il nuovo “art. 120-quaterdecies.1 (Rimborso anticipato). — 1. Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore e ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, in misura pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”.
[11] Pronuncia che ha ricevuto severe critiche in dottrina (A. A. Dolmetta, Identità del credito fondiario e “premio dell’irragionevolezza”, in Banca, Borsa e titoli di credito, 2014, II, 127 ss.: L. Balestra, Il superamento dei limiti di finanziabilità nel mutuo fondiario tra regole di validità e regole di comportamento: a proposito di un (clamoroso) equivoco da parte della Cassazione, in Fallimento, 2014, 410 ss.). Tale precedente tuttavia ebbe largo seguito nella successiva giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito: Cass. 4 novembre 2015 n. 22446; Cass. 24 giugno 2016 n. 13164; Trib. Cagliari 29 marzo 2016; Trib. Bari 3 marzo 2016 n. 1264; Trib. Livorno 12 febbraio 2016; Trib. Udine 29 maggio 2014; Trib. Oristano 28 gennaio 2014.
[12] Cass., SS. UU. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, in Foro it., 2008, c. 784.
[13] Osserva a tal proposito A. Chianale, La nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità, in Banca, Borsa e titoli di credito, 5, 2019, 583, che “il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte è ormai solido come una roccia”.
[14] “La previsione legale dei limiti di finanziabilità – per quanto non ascrivibile a un contenuto tipico predeterminato dall’autorità creditizia – si inserisce infatti in ogni caso tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi fondiario” (dal punto 6 della motivazione di Cass. 14 giugno 2021 n. 16776).
[15] Dal punto 9 della motivazione di Cass. 13 luglio 2017 n. 17352.
[16] Studio n. 111-2018/C, Le conseguenze del superamento del limite di finanziabilità nelle operazioni di credito fondiario, approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 5 luglio 2018).
[17] Sul punto si v. “Global Legal Standard”: il contributo del notariato italiano – A cura dell’Ufficio Comunicazione del CNN – 2009, che sottolinea, con riferimento alla crisi finanziaria americana a cavallo della fine degli anni ’10 del XXI secolo, come “in taluni schemi di frode (falsità di identità, false titolarità dei beni, inganno dei mutuatari circa il vero contenuto legale dei documenti che firmavano) l’intervento a priori di un soggetto totalmente terzo, indipendente, “rappresentante” dello Stato (gatekeeper) come il notaio di tipo latino avrebbe evitato – o comunque molto ridotto – la possibilità di frode ipotecaria. Che, infatti, è un fenomeno pressoché sconosciuto nel mondo di c.d. diritto civile, cioè diverso dal mondo di common law anglo-americano.
AUTORE

Si è laureato a pieni voti presso l’Università di Catania, conseguendo al contempo il diploma supplement presso la Scuola Superiore di Catania – Istituto Superiore per la Formazione d’Eccellenza. Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali Pavia-Bocconi (XI ciclo) e il Dottorato di Ricerca in Diritto Civile presso l’Università degli Studi di Pavia (XXXIII ciclo). Collabora con le cattedre di diritto civile dell’Università degli Studi di Pavia e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha superato l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione forense. È stato nominato notaio e assegnato presso il distretto notarile di Milano nel 2019, collocandosi quinto in graduatoria nazionale.