SOMMARIO: 1. Nozione e normativa di riferimento. – 2. Natura giuridica ed efficacia. – 3. Forma: principio di “simmetria” o libertà di forma? – 4. Mutuo dissenso di contratti annullabili, risolubili, rescindibili, revocabili, nulli e simulati. – 5. Modifiche nello “stato di fatto” del bene oggetto della donazione. – 6. Le “parti” del contratto di mutuo dissenso. – 7. Mutuo dissenso oggettivamente parziale. – 8. Pubblicità immobiliare. – 9. Aspetti fiscali e menzioni obbligatorie (urbanistica, catastale, energetica).
1. Nozione e normativa di riferimento.
Il mutuo dissenso è un contratto “estintivo” con il quale le parti, a seguito di un diverso apprezzamento dell’assetto degli interessi contrattuali e nell’esercizio della c.d. autonomia negoziale, sciolgono, estinguono, risolvono un precedente contratto dispositivo, eliminandone in radice tutti o parte degli effetti.
Il mutuo dissenso si configura come un contratto con funzione eliminativa, espressione di un potere dispositivo delle parti di “tipo negativo” (si veda Alcaro, Il mutuo dissenso, Studio CNN n. 434-2012/C).
La figura giuridica del mutuo dissenso trova il suo fondamento, la sua legittimazione, pur in assenza di una specifica disciplina normativa, in due disposizioni del codice civile, e precisamente nell’art. 1321 c.c. (“Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”) e nell’art. 1372 c.c. (“Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”).
Trattasi di autentico accordo risolutorio, caratterizzato da “autonomia causale”, non condividendo la causa del negozio da sciogliere, che determina il ripristino della situazione anteriore, e più precisamente un contratto “legalmente atipico”, come lo ha definito autorevole dottrina (Magnani, La risoluzione per mutuo dissenso totale e parziale di donazione di immobili trascritta da meno di vent’anni, in Riv. not., 2/2017, 397), in quanto, benché menzionato dalla legge, non ne è sufficientemente regolamentato.
2. Natura giuridica ed efficacia.
In ordine alla natura giuridica del mutuo dissenso si sono contrapposte, sia in dottrina che in giurisprudenza, e si contrappongono, tuttora, diverse ricostruzioni.
Tralasciando le qualificazioni giuridiche del mutuo dissenso, quali “revoca bilaterale dell’originario contratto” e “recesso consensuale (ex art. 1373 c.c.)”, le principali ricostruzioni dogmatiche sono fondamentalmente tre: 1) teoria del contrarius actus; 2) teoria del contrarius consensus o del “negozio di annientamento”; 3) teoria intermedia del c.d. adempimento traslativo (cfr. Magnani, op. cit., 397).
Secondo la prima teoria, del contrarius actus o contronegozio, si tratterebbe di un contratto uguale e contrario a quello da risolvere, avente efficacia ex nunc.
Una volta che il contratto si è perfezionato e ha prodotto i suoi effetti, le parti non potrebbero annullare gli effetti di ciò che si è già verificato. Gli effetti negoziali del precedente contratto non verrebbero annullati, ma, attraverso una retrocessione, ex nunc verrebbe ripristinata l’originaria posizione contrattuale: il contrarius actus non toccherebbe né scioglierebbe il precedente contratto, ma sostituirebbe gli effetti di questo contratto con altri, provvedendo autonomamente a ripristinare l’originario assetto negoziale attraverso una nuova retrocessione.
Con il nuovo contratto non si incide direttamente sul negozio originario ma solo sui suoi effetti (si veda in tal senso: Deiana, Contrarius consensus, in Riv. dir. civ., 1939, 104; Carresi, Il contratto, nel Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1987, 871; Mirabelli, Dei contratti in generale, nel Comm. UTET, Torino, 1980, 290).
La causa del negozio sarebbe quella del contro-negozio (vendita, donazione, ecc.) e lo schema contrattuale sarebbe lo stesso del negozio che si elimina, con un ribaltamento delle posizioni delle parti (l’acquirente diventa venditore e il donatario donante).
In caso di inadempimento nell’esecuzione della prestazione del contrarius actus da parte dell’attuale disponente (originario donatario ora donante o originario acquirente ora venditore), l’altra parte contrattuale conserverebbe le azioni derivanti dal precedente contratto, a meno che con il nuovo contrarius actus le parti non abbiano voluto effettuare una transazione novativa.
Secondo altra ricostruzione (del contrarius consensus), il mutuo dissenso sarebbe un negozio risolutorio autonomo ed unitario, avente causa propria, esplicitamente riconosciuto dall’ordinamento (artt. 1321, 1372, 2655 c.c.), con cui le parti porrebbero nel nulla, sia per il futuro che per il passato, l’originario contratto, eliminandone in tutto o in parte gli effetti giuridici con efficacia ex tunc, con la conseguenza che quanto trasferito con il contratto risolto non sarebbe oggetto di ritrasferimento, bensì di restituzione, e che il titolo per la restituzione, secondo autorevole dottrina (Capozzi, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not., 1993, 637 ss.) e parte della giurisprudenza (Cass., 18 maggio 1957, n. 1813; Trib. Perugia, 16 agosto 1994; Cass., 27 marzo 1996, n. 2713; Tribunale di Savona, 26 giugno 1998) sarebbe quello del c.d. indebito oggettivo.
Alle parti sarebbe, quindi, riconosciuta per il caso di inadempimento dell’accipiens un’azione di ripetizione con conseguente applicazione degli artt. 2033 e 2037 c.c. (Sirena, Effetti e vincolo, nel Tratt. Roppo, 85 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 735; Galgano, Degli effetti del contratto, nel Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 17 ss.; Alcaro, Il mutuo dissenso, in Alcaro-Bandinelli-Palazzo, Effetti del contratto, nel Tratt. CNN, Napoli, 67).
Secondo altra dottrina (Luminoso, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, 106; Franzoni, Degli effetti del contratto, I, nel Comm. Schlesinger, Milano 1999, 308 ss.) la restituzione delle prestazioni eseguite troverebbe, invece, la sua diretta giustificazione nello stesso contratto di mutuo dissenso, essendo esso teso a restaurare la situazione giuridica originaria, con tutte le conseguenze di ordine materiale implicate dal ripristino. Ove poi l’originario accipiens si rendesse inadempiente all’obbligazione di restituire, l’altro contraente avrebbe a disposizione mezzi di tutela ben più efficaci di quelli che avrebbe in base alle regole sull’indebito, potendo egli domandare non solo l’adempimento della obbligazione, ma, a seconda dei casi, oltre al risarcimento dei danni, la risoluzione del contratto di mutuo dissenso.
Contro la ricostruzione del mutuo dissenso come contrarius actus si è osservato che, in caso di mutuo dissenso di donazione, sarebbe difficilmente rinvenibile nel soggetto ritrasferente un animus donandi, elemento che contraddistingue la donazione nella sua causa, la cui mancanza determinerebbe, peraltro, la nullità del contratto: nell’intenzione delle parti c’è la volontà di risolvere un contratto e non di stipularne un altro contrario a quello precedente per spirito di liberalità. Si pensi poi alle implicanze/complicanze relative ai trasferimenti di provenienza donativa (commerciabilità del bene, potenziale esperibilità di azione di riduzione/restituzione da parte di legittimari lesi o pretermessi non solo con riferimento all’originario donante (ora donatario) ma anche con riferimento all’originario donatario (ora donante).
Se, poi, il mutuo dissenso costituisse tecnicamente un contrarius actus, non si comprenderebbe la necessità della sua previsione normativa nell’art. 1372 c.c., visto che tale specifica disposizione risulterebbe priva di ogni utilità.
Infine, è stato evidenziato come nel caso di mutuo dissenso di contratti con effetti solo obbligatori, la ricostruzione in termini di contrarius actus porterebbe a risultati aberranti e sarebbe praticamente impossibile. Si pensi ad un contratto di locazione che le parti intendono risolvere. Le stesse dovrebbero stipulare un nuovo contratto di locazione a ruoli invertiti ma ciò sarebbe apertamente in contrasto con la loro volontà.
A sostegno della teoria del negozio risolutorio, con particolare riguardo ai negozi traslativi o costitutivi di diritti reali, viene, poi, richiamato l’art. 2655 c.c., da cui risulta testualmente l’ammissibilità di una convenzione risolutoria: “Qualora un atto trascritto o iscritto sia … risoluto, … la dichiarazione di nullità e, rispettivamente, … la risoluzione, … devono annotarsi in margine alla trascrizione o all’iscrizione dell’atto” (1° comma); “L’annotazione si opera sia in base alla sentenza o alla convenzione da cui risulta uno dei fatti sopra indicati [la risoluzione]” (ult. comma).
Si ricorda, infine, che il contrarius actus è oggetto di trascrizione ex art. 2643 c.c., diversamente dal negozio risolutorio che, ex art. 2655 c.c., è oggetto di annotazione.
In posizione intermedia, benché ancorata alla ricostruzione del mutuo dissenso come contratto risolutorio, vi è, poi, la teoria del c.d. adempimento traslativo (Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, 1008; Id., La trascrizione immobiliare, nel Comm. Schlesinger, Milano, 1991, 420).
Secondo tale ricostruzione il mutuo dissenso, con riguardo ai soli contratti ad effetti traslativi, realizzerebbe una fattispecie a formazione progressiva, così articolata: in un primo momento, con il contratto di mutuo dissenso viene risolto, con efficacia ex tunc, il contratto da annullare e poi, con un atto unilaterale astratto a causa (esterna) vi sarebbe l’effetto traslativo: il bene verrebbe trasferito all’originario disponente attraverso un autentico atto traslativo.
Al riguardo, autorevole dottrina (R. Scognamiglio, Contratti in generale, nel Tratt. Grosso-Santoro, Milano, 1972, 212), benché rimanga ancorata alla ricostruzione del mutuo dissenso come negozio risolutorio, precisa che tale figura non possa trovare applicazione quando gli effetti traslativi/costitutivi si siano già prodotti.
L’accostamento del mutuo dissenso al concetto di risoluzione ha posto, infatti, alcuni problemi di ordine ricostruttivo e sistematico, rivelandosi foriero di equivoci che hanno ostacolato una corretta qualificazione della natura e individuazione della disciplina del mutuo dissenso dal momento che le forme di risoluzione tipizzate dal codice (risoluzione per inadempimento, impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità ex artt. 1453 ss. c.c.) hanno una funzione rimediale e operano solo per contratti non interamente eseguiti.
Il mutuo dissenso presenta, infatti, differenze strutturali e funzionali tali da non rendere configurabile un suo inquadramento all’interno delle ipotesi di risoluzione disciplinate dalla legge agli artt. 1453 c.c. ss. Mentre il mutuo dissenso è, in senso risolutivo, estrinsecazione di un potere dispositivo generale, le ipotesi di risoluzione tipizzate dal codice hanno carattere tipico e rappresentano un rimedio ad un’anomalia sopravvenuta: è per esse necessaria una espressa previsione di legge.
Il presupposto di un vizio funzionale è assente, dunque, nel mutuo dissenso, nel quale ciò che ispira le parti è una riconsiderazione del contratto, ritenuto non più idoneo a rappresentare i loro interessi. Conclusivamente, se non può negarsi che il mutuo dissenso sia inquadrabile nel fenomeno risolutorio, latamente inteso, se ne deve tuttavia sottolineare l’autonomia e la specificità.
Deve, tuttavia, rilevarsi che il carattere di indeterminatezza o di genericità dello statuto normativo del mutuo dissenso discende dal fatto di essere esso espressione di un potere di autonomia, ex art. 1321 c.c., le cui modalità di esercizio sono rimesse alle determinazioni dei contraenti.
Nell’ambito della discussione sulla qualificazione giuridica del mutuo dissenso la questione maggiormente discussa e controversa riguarda, poi, in particolare, la sua efficacia, che ha da sempre impegnato la dottrina ed influenzato le scelte ricostruttive dell’istituto.
La dottrina che nega la retroattività degli effetti del contratto pone a fondamento della propria tesi, in primo luogo, l’impossibilità di modificare l’ordine storico dei fatti; in secondo luogo, il carattere eccezionale della retroattività, operante solo per espressa previsione di legge e, infine, l’esigenza di salvaguardare i diritti dei terzi.
Altra dottrina replica che operare retroattivamente significa togliere ad un determinato fatto storico, come tale ineliminabile, un determinato valore, il valore che esso ha nell’ordine giuridico.
Circa il secondo argomento si è replicato che, se “il negozio retroattivo rimane sempre un regolamento di interessi per il presente, il quale proprio al fine di assicurare la realizzazione per il futuro dell’assetto di interessi programmato dalle parti, esige il determinarsi di modificazioni giuridiche anche per il passato” (Luminoso, op. cit., 110), non può ravvisarsi in questo fenomeno nulla di eccezionale, facendo parte di quel potere contrattuale attribuito dall’ordinamento ai privati di costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici patrimoniali.
Contro l’argomento degli eventuali effetti pregiudizievoli che l’eliminazione di un contratto potrebbe determinare nei confronti dei terzi, si richiama il principio di relatività del contratto che impedirebbe anche al contratto eliminativo di produrre effetti sfavorevoli nei confronti dei terzi: l’effetto retroattivo resta circoscritto alle parti, in quanto la sfera giuridica dei terzi non può essere mai pregiudicata, anche per il passato.
Non potrebbero, quindi, subire pregiudizio coloro che, medio tempore, avessero acquistato diritti sui beni oggetto del contratto di mutuo dissenso, né le ragioni dei creditori che, anteriormente alla conclusione del contratto di mutuo dissenso, avessero ipotecato, pignorato o sottoposto a sequestro conservativo il bene acquistato da una delle parti per effetto del negozio di primo grado. Nessun rapporto conflittuale si pone, allora, tra la eliminazione retroattiva del negozio e la tutela della sfera giuridica dei terzi.
Benché la qualificazione del mutuo dissenso come contratto “risolutorio” con efficacia retroattiva sia ancora fonte di querelle, si può affermare che costituisca, oggi, l’orientamento prevalente in dottrina ed in giurisprudenza.
Con riferimento alla posizione della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, si può affermare che, nel corso del tempo, la stessa abbia assunto, a volte incidentalmente, posizioni tra loro contrastanti, oscillando tra la tesi del contrarius actus (si veda da ultimo Trib. Foggia, 3 giugno 2013) e la tesi del negozio risolutorio (Cass., 6 ottobre 2011, n. 20445, e da ultimo Cass., 29 agosto 2018, n. 21312).
La Suprema Corte, nella sentenza 6 ottobre 2011, n. 20445, ha affermato non solo la natura di atto risolutivo del mutuo dissenso, ma anche la sua efficacia estintiva retroattiva, anche con riguardo ad atti ad effetti reali già eseguiti, sottolineando come lo scioglimento del contratto con efficacia ex tunc non operi esclusivamente per le ipotesi di risoluzione tipizzate dal codice, dal momento che: “il mutuo dissenso costituisce espressione della autonomia negoziale dei privati che bene sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dalla esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi della attuazione dell’originario regolamento di interessi”; e che l’obiezione che il contratto avesse già prodotto i propri effetti, trattandosi di contratto ad efficacia reale, “è inconsistente, dal momento che la risoluzione convenzionale integra un contratto autonomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo”; ed, infine, che l’effetto ripristinatorio dotato di efficacia retroattiva, espressamente previsto per le ipotesi di risoluzione “rimediale” anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, ben può operare anche per accordi di risoluzione.
3. Forma: principio di “simmetria” o libertà di forma?
Particolarmente dibattuto è sempre stato il tema della forma del negozio di mutuo dissenso, sia in dottrina che in giurisprudenza.
Per chi ritiene che il mutuo dissenso sia un contrarius actus, la forma deve necessariamente essere identica a quella dell’atto presupposto, essendone identica la natura giuridica.
Per chi ritiene invece che il mutuo dissenso sia un contratto risolutorio, occorre, poi, distinguere a seconda della natura che si vuole attribuire a tale negozio (negozio autonomo o negozio accessorio).
Qualora si consideri il mutuo dissenso un negozio autonomo, avente una sua particolare causa propria (risolvere il precedente contratto), che, quindi non partecipa di quella del contratto principale, deve ritenersi che lo stesso non debba rispettare alcun formalismo, salvo quello di cui all’art. 1350, nn. 1-5, c.c. previsto per i contratti aventi ad oggetto diritti reali su beni immobili, con la conseguenza che, nel caso di mutuo dissenso di donazione immobiliare, sarebbe sufficiente l’atto scritto, rectius la scrittura privata autenticata, così da avere titolo idoneo per l’iscrizione nei Registri Immobiliari.
Qualora, invece, lo si annoveri tra i negozi accessori, ossia collegati a quelli originari, occorre precisare quanto segue.
Secondo autorevole dottrina (Capozzi, op. cit., che riporta Cass., SS.UU., 28 agosto 1990, n. 8878, e Cass., 7 marzo 1992, n. 2772; Luminoso, op. cit., 313 ss.) il mutuo dissenso, quale negozio accessorio o negozio di secondo grado, dovrebbe “mutuare” la sua forma da quella del negozio principale in forza del c.d. principio di simmetria o di strumentalità, condividendone in tal caso il requisito della forma. Così, nel caso di mutuo dissenso di donazione, il contratto risolutorio dovrebbe rivestire la forma ad substantiam della donazione (atto pubblico, alla presenza di due testimoni, a cui le parti non possono rinunziare a pena di nullità ai sensi degli artt. 782 c.c. e 47-48 l. not.).
Altra autorevole dottrina (Mirabelli, op. cit., 257; La Torre, La forma dei negozi risolutori, in Giust. civ., 1962, 158; Sandulli, Forma del negozio risolutorio di un preliminare di vendita immobiliare, in Giust. civ., 1967, 429), muovendo dal principio di libertà delle forme negoziali in mancanza di una espressa previsione legale e di una norma generale che sancisca il principio di simmetria, e quindi muovendo dal principio dell’eccezionalità della forma vincolata, ritiene, invece, che il contratto risolutorio, benché collegato a quello principale, sia a forma libera, salvo la particolare forma richiesta dalla legge (art. 1350 c.c.). Si afferma che, essendo nel sistema la forma vincolante l’“eccezione” e non la regola, si assisterebbe all’impossibilità di una sua applicazione oltre ai casi espressamente disciplinati (stante il divieto di ricorso all’analogia e l’impossibilità di ricorso all’interpretazione estensiva ex art. 14 disp. prel. c.c.).
In giurisprudenza la questione della forma è stata più volte affrontata, portando a pronunce tra loro contrastanti.
Talvolta la Cassazione (Cass., 2 marzo 2012, n. 3245; Cass., 20 maggio 1991, n. 5684; Cass., 6 giugno 1988, n. 3816; Cass., 27 novembre 1962, n. 3072; Cass., 28 maggio 1983, n. 3692; Cass., 16 dicembre 1986, n. 7551; Cass., 6 giugno 1988, n. 3816) ha sostenuto che la volontà risolutoria possa essere manifestata in qualunque modo, in omaggio al principio della libertà di forma.
Altre volte la Suprema Corte (Cass.,18 aprile 2016, n. 7638; Cass., 6 ottobre 2011, n. 20445; Cass., 7 marzo 1997, n. 2040; Cass., 29 gennaio 1994, n. 928; Cass., 19 novembre 1991, n. 12411; Cass., 11 ottobre 1991, n. 10707; Cass., SS.UU., 28 agosto 1990, n. 8878; Cass., 20 dicembre 1988, n. 6859; Cass., 28 gennaio 1976, n. 1976; Cass., 24 novembre 1983, n. 7047; Cass., 7 marzo 1992, n. 2772) ha accolto, invece, la tesi formalistica, affermando che sarebbe l’incidenza in concreto sui diritti reali immobiliari a far risultare necessaria la forma scritta e non un generico collegamento tra gli atti o il principio di simmetria: esisterebbe nel sistema “un principio secondo cui le contrattazioni più importanti per le parti, tra le quali quelle inerenti a diritti reali immobiliari, vanno stipulate per iscritto e che tale principio va applicato in tutte le esteriorizzazioni nelle quali ricorra la medesima ratio, e quindi in tutte quelle manifestazioni di volontà dirette a modificare o ad estinguere un contratto riguardante i menzionati diritti”.
In quest’ultimo senso si registrano anche diverse pronunce di merito (tra cui si segnala, da ultimo, Trib. Roma, 5 gennaio 2015, n. 130).
4. Mutuo dissenso di contratti annullabili, risolubili, rescindibili, revocabili, nulli e simulati.
Mentre si ritiene possibile risolvere per mutuo dissenso contratti annullabili, risolubili e rescindibili, e, quindi, contratti che, benché produttivi di effetti precari, vengono solitamente eliminati giudizialmente a seguito di vittorioso esperimento dell’azione di annullabilità, di risoluzione o di rescissione, viceversa non si ritiene possibile sciogliere per mutuo dissenso contratti nulli, poiché questi non avendo prodotto, in via di principio, effetto alcuno tra le parti, non comportano alcuna modificazione nelle sfere soggettive dei contraenti: il mutuo dissenso di un simile contratto sarebbe nullo ex art. 1346 c.c. per mancanza di causa o, in alternativa, per mancanza/impossibilità dell’oggetto (l’originario contratto da risolvere). Pertanto in caso di donazione nulla per mancanza delle dichiarazioni urbanistiche, la stessa potrà essere risolta per mutuo dissenso solo dopo la sua conferma ex art. 40 l. 47/1985.
Per completezza si segnala che secondo altra dottrina (Franzoni, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, in Il contratto in generale, nel Tratt. Bessone, V, Torino, 2002, 32) la causa considerata dalle parti per stipulare il mutuo dissenso di un contratto annullabile, risolubile o rescindibile, ossia il vizio genetico o funzionale del contratto da sciogliere, farebbe degradare la causa stessa a mero motivo con conseguente irrilevanza di un contratto di mutuo dissenso.
Con riguardo ai contratti simulati, sia che questi vengano considerati nulli (per alcuni, addirittura inesistenti) o meramente inefficaci, la dottrina maggioritaria ritiene che tali contratti non possano essere risolti per mutuo dissenso, in particolare con riguardo alla simulazione assoluta, dal momento che il negozio simulato non comportando il sorgere di alcun rapporto/effetto tra le parti, non determinerebbe la necessità che si ripristini la situazione originaria.
Poiché la qualificazione, ancora diffusa sia in dottrina che in giurisprudenza, del negozio simulato è quella di atto essenzialmente nullo perché carente di un elemento essenziale, quale è la volontà delle parti, si adducono per l’inammissibilità del mutuo dissenso di contratto simulato le stesse ragioni sopra esposte per il negozio nullo.
Conclusioni analoghe sono state raggiunte in tema di simulazione relativa, dato che la possibilità di conseguire l’effetto eliminativo del contratto simulato è già insita nell’accordo simulatorio.
Autorevole dottrina (Alcaro, Realtà dell’apparenza nella simulazione, in Vita not., 2004, 156 ss.; Id., Mutuo dissenso, cit., 90), muovendo dal presupposto che nella simulazione le parti manifestano pur sempre una volontà, e precisamente quella di creare una “apparenza”, oggettivamente produttiva di effetti verso i terzi e ai terzi opponibile, ritiene, invece, che il mutuo dissenso di un contratto simulato non possa considerarsi nullo per mancanza di oggetto o di causa in quanto le parti con il negozio simulato vorrebbero pur sempre una “apparenza di contratto” e, pertanto, lo stesso sarebbe risolvibile per volontà delle parti.
In tal caso il mutuo dissenso realizzerebbe lo stesso risultato sostanziale che si avrebbe facendo valere il contratto dissimulato (l’accordo simulatorio sottostante). Perché allora risolvere per mutuo dissenso un contratto simulato improduttivo di effetti tra le parti, tra le quali vale un contratto diverso?
L’utilità e l’interesse delle parti potrebbe consistere nel voler eliminare una “apparenza” non più gradita o addirittura pregiudizievole (si pensi ad un contratto simulato di compravendita di immobili trascritto dove il mutuo dissenso, reso opponibile ai terzi, rivelerebbe tutta la sua utilità).
Al riguardo la Suprema Corte (Cass., sez. trib., 29 agosto 2018, n. 21312) ha recentemente statuito che: “Il negozio simulato produce sempre effetti nei confronti dei terzi. La simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti ai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione. Né il mutuo dissenso può rappresentare una causa di risoluzione dei contratti ad effetti traslativi, anche considerato che, anche se a seguito del mutuo dissenso il rapporto giuridico costituito con il contratto viene meno con effetto retroattivo, sono comunque fatti salvi i diritti dei terzi. In tema di imposta di registro, poi, va comunque negata l’efficacia retroattiva del mutuo dissenso, dato che la restituzione dell’imposta, nel caso di nullità o annullamento dell’atto, è limitata alle sole ipotesi di nullità o annullamento per patologie ascrivibili a vizi esistenti ab origine”.
5. Modifiche nello “stato di fatto” del bene oggetto della donazione.
Ci si chiede se possa essere considerato preclusivo alla stipula di un valido atto di mutuo dissenso il “mutamento della prestazione oggetto del contratto”, ossia il mutamento intervenuto nello “stato di fatto” del bene trasferito, ipotesi che si potrebbe verificare ad es. nel caso di manutenzione straordinaria/ristrutturazione del fabbricato mediante rifacimento del tetto con recupero del sottotetto senza ampliamento e senza modifiche alla sagoma della casa, nonché realizzazione di idonea coibentazione dell’edificio mediante applicazione di “cappotto isolante”; ristrutturazione di fabbricato comportante la formazione di più unità catastali, diversamente distribuite nello stesso; costruzione nel frattempo intervenuta sul terreno oggetto della donazione che si vuol risolvere; locale deposito tramutato in abitazione con ampliamento.
Se si parte dal fondamentale presupposto che l’oggetto del contratto di mutuo dissenso è costituito dall’originario contratto, e precisamente che l’oggetto immediato sono le posizioni contrattuali derivanti dal precedente contratto, sembrerebbe potersi affermare che il mutamento dell’oggetto del contratto, cioè la modifica dello stato di fatto del bene trasferito, non è di per sé idonea ad impedire lo scioglimento del precedente contratto traslativo, non incidendo sull’astratta ammissibilità della risoluzione del contratto, con la sola precisazione che, qualora il contratto da risolvere sia una donazione ed il valore del bene donato risulti notevolmente mutato, ciò potrebbe rilevare sul diverso piano delle restituzioni ai sensi degli artt. 561, 563 e 2652 c.c.: infatti, il valore del bene donato, per il caso di legittimario che esperisse vittoriosamente l’azione di riduzione, verrebbe calcolato alla data di apertura della successione mentre la consistenza del bene donato verrebbe determinata alla data dell’atto, con la conseguenza che eventuali migliorie fatte successivamente dal donatario andranno dedotte ex art. 748 e 749 c.c.
Per questo non è possibile ricorrere a tale istituto in presenza di un contratto nullo, proprio per la mancanza del contratto da sciogliere.
Ai fini della validità del mutuo dissenso, rileva, quindi, la situazione giuridica soggettiva costituita, modificata o estinta con il contratto che si intende risolvere e non, invece, lo stato di fatto in cui si trova il bene sul quale ricade tale situazione giuridica soggettiva (Cogoli, Lo scioglimento della donazione per mutuo dissenso, in Contratti, 2006, 624). Pertanto, il ripristino delle situazioni giuridiche originarie non dovrebbe essere influenzato dall’avvenuto mutamento dello stato di fatto del bene.
Secondo l’Ufficio Studi del CNN (Quesito n. 97-2007/C), “indipendentemente dalle diverse tesi sulla natura del mutuo dissenso, non sembra che il radicale mutamento intervenuto nello stato di fatto dell’oggetto della donazione influisca sulla validità del mutuo dissenso, perché la modifica dello stato di fatto in cui si trova la cosa trasferita rende il bene diverso sul piano fisico, ma non su quello giuridico.
Qualora, infatti, si aderisca alla tesi del mutuo dissenso come un contrarius actus rispetto a quello originario, si sarebbe in presenza di un nuovo atto di disposizione con contenuto uguale e contrario al precedente, avente ad oggetto il ritrasferimento del bene da parte dell’originario acquirente nei confronti dell’originario alienante. A tal fine si deve tenere presente che in generale, per poter disporre di un bene acquistato in precedenza in forza di un atto traslativo, la legittimazione a compiere tale trasferimento sussiste in virtù di un valido ed efficace atto di provenienza, a prescindere dal fatto che tale bene abbia subito delle modifiche, quali ad esempio ristrutturazioni o frazionamenti. In tal caso, quindi, l’avvenuto mutamento dello stato di fatto del bene acquistato non impedisce all’acquirente di ritrasferirlo all’alienante.
Qualora, invece, si aderisca alla tesi del mutuo dissenso come contratto solutorio, si deve tenere presente che, ai sensi dell’art. 1372 c.c., le parti sciolgono un altro contratto stipulato in precedenza tra di loro. Il mutuo dissenso ha, cioè, lo scopo di eliminare gli effetti giuridici prodotti dal precedente contratto e, pertanto, determina o l’estinzione delle obbligazioni assunte con il precedente contratto, o la nascita di obbligazioni aventi ad oggetto la restituzione della prestazione o della attribuzione patrimoniale ricevute in base al contratto risolto. Oggetto immediato del mutuo dissenso sono, cioè, le posizioni contrattuali derivanti dal precedente contratto e, dunque, la modifica dello stato di fatto del bene trasferito non è di per sé idonea a impedire lo scioglimento del precedente contratto traslativo” (cfr. Musto, Il mutuo dissenso: casi e questioni di interesse notarile, Focus 2/2017 del CNN).
6. Le “parti” del contratto di mutuo dissenso.
All’atto di risoluzione per mutuo dissenso devono partecipare necessariamente le originarie parti del contratto, ossia tutti i soggetti che furono “parti” del contratto da risolvere o i loro eventuali successori mortis causa (eredi o legatari), perché – si ricorda – il successore a titolo universale o particolare subentra in tutti i rapporti del suo avente causa.
Occorre, però, che in capo a tali originarie parti permanga la medesima posizione contrattuale, ossia che le stesse conservino la titolarità dei diritti acquistati con l’originario atto, rectius la disponibilità del bene (cfr. Alcaro, Il mutuo dissenso, cit.).
Conseguentemente, non si potrà addivenire al mutuo dissenso di una donazione, qualora, dopo la donazione, il donatario abbia trasferito a terzi la proprietà del bene, vendendolo o costituendovi un diritto reale minore (usufrutto, abitazione, servitù, ecc.). Infatti, in tal caso, il donatario non avrebbe più alcun potere dispositivo riguardo alla donazione da rimuovere, in quanto non avrebbe più la titolarità del bene, ormai divenuto di terzi.
Nemmeno potrebbe ritenersi legittimato ad intervenire il terzo subacquirente (unitamente o in sostituzione al donatario) in quanto il medesimo non avrebbe alcun potere dispositivo riguardo al contratto da risolvere, non essendone mai stato parte ed avendo acquistato il bene in forza di un negozio autonomo e distinto dalla donazione.
Invece, se il donatario non ha disposto del bene, con l’intervento del donante e del donatario (o loro eventuali successori mortis causa), è possibile addivenire allo scioglimento della donazione per mutuo dissenso.
Naturalmente, a fortiori, è possibile “eliminare” la donazione nel caso in cui il contratto di donazione non si sia ancora perfezionato (come nell’ipotesi di donazione unilaterale, nella quale non è ancora intervenuta l’accettazione del donatario). In questo caso, tuttavia, si dovrà utilizzare l’istituto della revoca della donazione — donazione non ancora accettata dal donatario — ad opera del donante (art. 782, commi 2º e 3º, c.c.).
7. Mutuo dissenso oggettivamente parziale.
L’opinione maggioritaria (in particolare, Galgano, op. cit., 28) sostiene l’ammissibilità dello scioglimento parziale del contratto, precisando che qualora le parti vogliano espungere solo singole parti o clausole del contratto, si avrebbe in realtà la modifica del regolamento contrattuale prevista dall’art. 1321 c.c., ammissibile purché adottata da tutti i contraenti originari e non lesiva dei diritti dei terzi.
Ci si è chiesti se, nel caso di contratto con pluralità di prestazioni, sia possibile sciogliere convenzionalmente il contratto solo con riguardo ad una prestazione, ovvero nel caso di contratto con una unica prestazione, se sia possibile eliminare una parte della (originariamente unitaria) prestazione.
Secondo l’Ufficio Studi del Notariato (cfr. Ceolin, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale del contratto di donazione, Studio Civilistico n. 52-2014/C), la risposta è strettamente collegata alla problematica della inscindibilità/scindibilità dell’oggetto nel contratto: lo scioglimento parziale del contratto è ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza, allorché il contratto risulti oggettivamente divisibile, ossia le prestazioni, gli oggetti siano materialmente autonomi e funzionalmente non connessi, nonché soggettivamente divisibile, ossia che gli oggetti del contratto non siano considerati unitariamente bensì in via autonoma l’uno dall’altro, il che equivale a dire che è possibile sciogliere pro parte un contratto plurimo, poiché il contratto in questo caso è unitario solo dal punto di vista del documento, mentre dal punto di vista negoziale i contratti sono più di uno. Lo scioglimento parziale, dunque, altro non sarebbe che, propriamente, lo scioglimento totale di uno dei contratti (si pensi ad una donazione con cui un donante trasferisce a due donatari due beni distinti). In tal caso si avrebbe un autentico mutuo dissenso parziale del contratto di donazione, venendo espunti gli effetti di una delle due cessioni. Sembrerebbe sempre esclusa, invece, la possibilità di sciogliere il contratto pro parte allorché l’oggetto del medesimo sia costituito da un bene oggettivamente indivisibile; ma anche tale conclusione desta alcune perplessità se solo si pensa alla generale possibilità di disporre della quota di un bene (Gentili, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, 80).
Con riguardo al requisito della divisibilità/scindibilità soggettiva si ritiene che la stessa sussista, anche qualora le parti abbiano fin dall’inizio considerato il contratto come inscindibile, ritenendo essenziale la originaria regolamentazione del contratto, per poi addivenire allo scioglimento parziale dello stesso: infatti, in tal caso, le parti avrebbero manifestato una volontà contraria a quella di partenza. Si pensi ad una donazione in blocco e senza distinzione di valori di due beni a due distinti donatari, acquirenti pro indiviso (inscindibilità soggettiva). Poiché le parti successivamente dimostrano di non considerare essenziale la regolamentazione originaria dei loro interessi, nulla pare precludere all’autonomia delle medesime la possibilità di addivenire ad una riduzione degli effetti quanto ad una parte limitata dell’oggetto (limitare la donazione ad un solo bene o trasferisca due o più beni ad un solo donatario).
Ora, stante quanto sopra, la qualifica quale modifica contrattuale ovvero quale scioglimento non è indifferente, potendo rilevale sul piano della forma; infatti, nel primo caso il negozio modificativo avrebbe la stessa forma del negozio modificato, stante la regola per cui le modifiche contrattuali devono essere fatte con la stessa forma prevista per il negozio modificato; diversamente potrebbe concludersi inquadrando l’operazione de qua quale scioglimento parziale, perlomeno aderendo a quel filone che ritiene la forma del mutuo dissenso libera.
È stato affermato che mutuo dissenso parziale e modifica contrattuale non sarebbero tra loro in posizione antitetica, non essendo altro che due prospettive diverse di un fenomeno unico.
Si legge nello Studio Civilistico n. 52-2014/C del CNN, sopra citato: “Occorre … ribadire che con riguardo ai contratti ad effetti già esauriti, e specialmente per quanto concerne quelli ad effetti reali, il mutuo dissenso in senso proprio sembra davvero essere l’unico strumento idoneo per ripristinare le situazioni originarie e giustificare i conseguenti oneri restitutori tra le parti; espungendosi, poi, dal mondo giuridico un effetto reale, l’effetto eliminatorio del rapporto, fonte di tale effetto, non potrà che avere – almeno inter partes – effetti ex tunc. Poiché l’unico modo per far venir meno lo specifico effetto (reale) non è che incidere sulla sua fonte, eliminandola dalla realtà giuridica, è di tutta evidenza come l’effetto proprio cui ci trova di fronte, sia, in tale prospettiva, di tipo eliminativo. Altra può essere la prospettiva sul piano del rapporto complessivamente inteso. È evidente, infatti, che nel caso del mutuo dissenso parziale, quello in cui, cioè, viene espunto solo uno oppure alcuni effetti del contratto originario, con persistenza, però, degli altri, la fonte originaria del rapporto continua ad esistere e ad esplicare (residui) effetti; dunque, con riguardo al rapporto contrattuale che continua ad esistere il mutuo dissenso parziale si pone, effettivamente, come una modifica contrattuale. Il rapporto contrattuale, cioè, continua ad esistere e ad essere la fonte regolamentativa di quanto rimane del rapporto; esso, però, risulta modificato in forza della riduzione degli effetti, così come voluta dalle parti. Da questo punto di vista, allora, e in senso molto lato, lo scioglimento parziale configura effettivamente una modifica contrattuale; poiché il contratto non viene completamente annientato e la fonte originaria del rapporto resta in piedi, il ripristino parziale della situazione originaria si pone come una modifica, ma solo a livello pattizio-regolamentare del medesimo contratto”.
8. Pubblicità immobiliare.
Per i sostenitori della teoria del contrarius actus, la pubblicità immobiliare è quella che riguarda il tipo di negozio posto in essere e, dunque, si effettua con la trascrizione dell’atto nei Registri Immobiliari ex art. 2643 c.c.
Per i fautori della teoria del contratto risolutorio questo deve, invece, essere annotato a margine della trascrizione dell’atto da risolvere ai sensi dell’art. 2655 c.c., non essendone possibile la trascrizione ex art. 2643 c.c., benché alcuni Autori, sulla base di un’interpretazione estensiva dell’art. 2643 c.c., l’ammettano.
Recita l’art. 2655 c.c.: “Qualora un atto trascritto o iscritto sia … risoluto, … la dichiarazione di nullità e, rispettivamente, … la risoluzione, … devono annotarsi in margine alla trascrizione o all’iscrizione dell’atto” (1° comma); “L’annotazione si opera sia in base alla sentenza o alla convenzione da cui risulta uno dei fatti sopra indicati [la risoluzione]” (ult. comma).
Nel termine “convenzione”, deve sicuramente ricomprendersi anche il contratto di mutuo dissenso.
Da tale annotazione dovrebbe scaturire l’opponibilità del mutuo dissenso ai terzi, benché si rilevi che l’annotazione, per sua natura, non sia equiparabile alla trascrizione, sia sotto il profilo degli effetti che delle modalità attuative. Secondo autorevole dottrina (Luminoso, op. cit., 365) l’annotazione di cui all’art. 2655 avrebbe gli effetti previsti dall’art. 2652 c.c. per la trascrizione delle domande giudiziali, bloccando l’operatività della trascrizione relativa all’atto e accrescendo la conoscibilità dell’atto annotato.
In mancanza di annotazione, le successive trascrizioni sarebbero inefficaci, con la conseguenza che tale annotazione rileverebbe ai fini della continuità delle trascrizioni (si veda l’art. 2655, 3° comma, c.c., che richiama il contenuto dell’art. 2650, 2° comma), producendo la conoscibilità legale dell’atto di risoluzione.
Si desume, pertanto che, in questo caso, nonostante il mutuo dissenso di un contratto operi retroattivamente inter partes, i diritti dei terzi, che trascrivono prima dell’esecuzione dell’annotamento del mutuo dissenso, sono salvi.
9. Aspetti fiscali e menzioni obbligatorie (urbanistica, catastale, energetica).
Quanto ai profili fiscali, occorre necessariamente premettere che il fenomeno impositivo merita un discorso a sé stante, poiché il diritto tributario, perseguendo finalità diverse, perviene a definizioni e classificazioni spesso differenti rispetto agli esiti interpretativi della dottrina e giurisprudenza nel campo del diritto civile.
Infatti, salvo il caso del mutuo dissenso di contratto non traslativo, per il quale è prevista l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, per il caso di mutuo dissenso di contratti traslativi, a prescindere dalla tesi cui si aderisce, salvo il caso del mutuo dissenso di donazione, di cui si dirà meglio infra, l’Agenzia delle Entrate applica un’imposta proporzionale.
L’art. 28 D.P.R. 131/1986, in tema di imposta di registro, detta le seguenti tre prescrizioni:
1) la risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto (1° comma, primo periodo);
2) se è previsto un corrispettivo per la risoluzione nel caso di stipulazione mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata di cui al precedente punto 1, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della Parte I della Tariffa (1° comma, secondo periodo);
3) in ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando, comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse (2° comma).
Nelle fattispecie di cui al 1° comma, primo periodo, dell’art. 28 TUR è prevista l’imposta in misura fissa.
L’art. 28, 1° comma, secondo periodo, TUR prevede, invece, che in presenza di un’obbligazione delle parti circa un corrispettivo alla stessa troverà applicazione l’imposta in misura proporzionale. Le due distinte aliquote menzionate nella disposizione si riferiscono o all’ipotesi della quietanza lasciando intendere che l’obbligazione sottostante sia già stata tassata (0,50%), o all’ipotesi dell’obbligazione di corrispondere una somma di denaro ovverosia una disposizione avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (3 %).
Al secondo comma si prevede che “in ogni altro caso”, cioè dopo il secondo giorno non festivo successivo a quello di conclusione del contratto, l’imposta è dovuta “per le prestazioni derivati dalla risoluzione”.
Il legislatore non ha dettato direttamente una disciplina ad hoc per la tassazione dell’atto che produce l’effetto dissolutorio, limitandosi ad attribuire autonoma valenza fiscale alle “prestazioni derivanti dalla risoluzione” e all’eventuale corrispettivo pattuito.
Ai fini dell’imposizione indiretta, accedere all’interpretazione che il mutuo dissenso comporti il ripristino ex tunc della proprietà originaria del bene oggetto di trasferimento in capo all’originario alienante, quale effetto immediato della dissoluzione del titolo giuridico su cui era fondato il trasferimento (natura meramente risolutoria del negozio di mutuo dissenso), comporta che la mancanza di un effetto traslativo rende di per sé inconferente interrogarsi sulla tassazione di questo atto nell’ambito dell’imposta sulle successioni e donazioni, con conseguente sua collocazione nella sistematica del tributo di registro, così come previsto dall’art. 1 TUR.
In mancanza di un trasferimento o di un altro atto altrove indicato nella Tariffa, assume valenza discriminante unicamente la sussistenza o meno di prestazioni a contenuto patrimoniale (ex artt. 9 e 11 della Tariffa, Parte I) nella sola alternativa possibile tra l’imposta con aliquota proporzionale del 3% e l’imposta in misura fissa.
Quindi, se si concorda sulla natura risolutoria e non traslativa del mutuo dissenso, la corretta tassazione dell’atto va individuata al di fuori della logica degli atti di trasferimento e precisamente nell’art. 11 della Tariffa, Parte I, citata, stante la sua intrinseca neutralità patrimoniale.
Tale interpretazione rispecchierebbe perfettamente il disposto dell’art. 28 TUR, che – si ricorda – si limita a disciplinare la tassazione delle “prestazioni derivanti dalla risoluzione” (Studio n. 142-2014/T del CNN, La rilevanza tributaria dell’atto di mutuo dissenso e delle prestazioni derivanti dalla risoluzione).
Parte della giurisprudenza tributaria (Cass., 24 gennaio 2018, n. 5745; Cass., 2 marzo 2015, n. 4134; Cass., 19 febbraio 2014, n. 3935; Cass. n. 5075/1998; Comm. Trib. Prov. Roma n. 256/10/2010; Comm. Trib. Reg. Toscana Firenze, 7 febbraio 2011, n. 21; Comm. Trib. Prov. Torino n. 27/2011; Comm. Trib. Prov. Massa Carrara n. 392/2011; Comm. Trib. Prov. Torino n. 137-8-13/2013), nonché della dottrina sembrano muovere dall’assunto che le opposte tesi menzionate non siano rilevanti agli effetti fiscali perché comunque, in tutti i casi diversi da quelli menzionati all’art. 28, 1° comma, TUR (ovverosia dai casi in cui la risoluzione dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto), troverebbe sempre applicazione l’imposta proporzionale in quanto rientrante nell’ipotesi residuale dell’art. 28, 2° comma, TUR.
Sembrerebbe registrarsi una contraddizione in termini: da una parte il mutuo dissenso con una tassazione proporzionale, sul presupposto della natura traslativa dello stesso, dall’altra, il suo contestuale inquadramento all’interno della risoluzione (l’art. 28 TUR parla di “risoluzione del contratto … stipulata mediante atto pubblico o scrittura”) e la giurisprudenza tributaria che precisa espressamente che non viene posta alcuna distinzione fra risoluzioni in senso tecnico ed altre risoluzioni (nelle quali rientra certamente quella per mutuo dissenso), stante che “la formula usata è tanto ampia da far ritenere arbitraria ogni limitazione per atti costituenti risoluzione di precedenti contratti” (Comm. Trib. Centr., 23 febbraio 1995, n. 692).
Dunque, ad un’attenta lettura dell’art. 28, 2° comma, TUR, “in ogni altro caso” e tenuto conto della natura giuridica del mutuo dissenso (atto risolutorio e non traslativo, privo di prestazioni), deve ritenersi che al medesimo contratto non dovrebbero applicarsi le aliquote proporzionali previste per gli atti con effetti traslativi ossia con “prestazioni derivanti dalla risoluzione”.
Non accedere a tale ultima ricostruzione giuridica significa disconoscere l’efficacia meramente dissolutoria del mutuo dissenso e, prescindendo dal contenuto dell’atto (quindi in violazione dell’art. 20 TUR), attribuire allo stesso una valenza di atto traslativo oppure, travisando la portata dell’art. 28, 2° comma, TUR, interpretare la norma come deroga al sistema dell’imposta di registro (per cui un atto traslativo è connotato in ragione della prestazione e non dell’oggetto).
Tale interpretazione (di atto risolutorio e non traslativo) appare, peraltro, pienamente conforme con il recente indirizzo interpretativo manifestato dall’Agenzia delle entrate con riguardo al mutuo dissenso di donazione nella Risoluzione n. 20/E del 14 febbraio 2014 e a una significativa e recente giurisprudenza tributaria, favorevole all’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (si vedano: Comm. Trib. Reg. Sicilia, 25 luglio 2017, n. 2841; Comm. Trib. Reg. Marche, 23 marzo 2017, n. 206; Comm. Trib. Prov. Chieti, 21 marzo 2016, n. 126; Comm. Trib. Prov. Bologna, 22 gennaio 2015, n. 70; Comm. Trib. Prov. Milano, 2 novembre 2015, n. 8790; Comm. Trib. Reg. Lombardia, 6 giugno 2014, n. 2970; Comm. Trib. Reg. Toscana, 10 novembre 2014, n. 2154; Comm. Trib. Reg. Lombardia, 22 dicembre 2014, n. 7124; Comm. Trib. Prov. Macerata, 15 luglio 2013, n. 139; Comm. Trib. Prov. Milano, 21 gennaio 2010, n. 20; Comm. Trib. Reg. Basilicata, 7 gennaio 2009, n. 4; Comm. Trib. Prov. Matera, 14 ottobre 2005, n. 157).
Con la Risoluzione n. 20/E del 14 febbraio 2014 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “l’atto di risoluzione per mutuo consenso afferente ad un atto di donazione, per il quale non è previsto alcun corrispettivo, deve essere assoggettato a registrazione in termine fisso, con applicazione dell’imposta in misura fissa” e, conseguentemente, considerato l’effetto retroattivo prodotto dalla risoluzione, le imposte ipotecaria e catastale devono essere applicate nella misura fissa di Euro 200,00. Tale effetto retroattivo assume rilevanza anche ai fini del calcolo del quinquennio utile per la determinazione dell’eventuale plusvalenza da rivendita poiché il donante è ripristinato nella proprietà del bene donato con decorrenza dall’atto di donazione ex tunc.
Si ricorda che questa interpretazione giuridica è l’esito delle attività di studio e approfondimento intraprese dal tavolo di lavoro congiunto istituito, con protocollo d’intesa sottoscritto il 29 ottobre 2010, tra il Consiglio Nazionale del Notariato e l’Agenzia delle Entrate. Come è noto, infatti, sia in ragione di una contrastante giurisprudenza di merito, sia in conseguenza di una lettura solo parziale della precedente Ris. n. 329/E del 14 novembre 2007, gli Uffici locali dell’Agenzia delle entrate avevano nel tempo adottato interpretazioni tra loro difformi nella tassazione di tali negozi di risoluzione. In particolare avuto riguardo agli atti di risoluzione per mutuo dissenso di donazione, ciò aveva determinato una rilevante incertezza giuridica addirittura circa la tipologia di tributo applicabile, nell’alternativa tra imposta sulle successioni e donazioni e imposta di registro. Questa incertezza viene oggi ad essere superata con una posizione chiara dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui il mutuo dissenso rientra nell’ambito rientra nell’ambito dell’imposta di registro e “non integra il presupposto per l’applicazione della disciplina prevista per i trasferimenti immobiliari dall’art. 1 della tariffa parte prima allegata al TUR”, fermo restando che, in base all’art. 28, 2° comma, TUR, l’imposta proporzionale di registro troverà applicazione nell’ipotesi in cui dalla risoluzione derivino prestazioni patrimoniali in capo alle parti ovvero venga pattuito un corrispettivo per la risoluzione (cfr. Monteleone, Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate: imposta di registro in misura fissa per il mutuo consenso, Prassi e Risoluzioni CNN, 14 febbraio 2014).
Stante quanto sopra, si potrebbe affermare che le argomentazioni giuridiche addotte dall’Agenzia delle Entrate a fondamento del mutuo dissenso di donazione nella Ris. n. 20/E del 2014 dovrebbero valere, in generale, anche con riguardo al mutuo dissenso di altri contratti, ad es. quello di compravendita.
Tuttavia, come si può arguire dalle numerose pronunce della giurisprudenza tributaria più sopra richiamate, l’Agenzia delle Entrate non ha applicato ed esteso tout court quanto statuito in tema di mutuo dissenso di donazione anche al mutuo dissenso di altri contratti, richiedendo spesso imposte di registro proporzionali e motivando con il richiamo alle “prestazioni derivanti dalla risoluzione” di cui all’art. 28, ult. comma, TUIR, anzi, in molti casi applicando l’imposta sulle successioni e donazioni anziché quella di registro.
Si richiama, in particolare, la pronuncia n. 126 del 21 marzo 2016 con la quale la Comm. Trib. Prov. Chieti, chiamata a giudicare della corretta tassazione di un atto di mutuo dissenso di compravendita immobiliare, accogliendo la tesi del contratto risolutorio, oramai avallata da una parte considerevole della dottrina civilistica e della giurisprudenza di legittimità e fatta propria dalla stessa Agenzia delle Entrate con riferimento al mutuo dissenso dell’atto di donazione nella Risoluzione sopra citata, ha applicato, in via generale, in perfetta coerenza e conseguenzialità di sistema, a tutti i negozi di mutuo dissenso (privi di corrispettivo) la tassazione con l’imposta di registro in misura fissa ex art. 11 Tariffa, Parte I, all. al TUR (cfr. Mastroiacovo, La giurisprudenza di merito inizia a prendere posizione sul mutuo dissenso di compravendita, Segnalazioni Novità Giurisprudenziali CNN del 31 maggio 2016).
Accogliendo la prospettata soluzione interpretativa del mutuo dissenso come atto non traslativo, ne deriva di conseguenza l’applicazione di imposte ipotecaria e catastale in misura fissa ex art. 4 Tariffa all. al d. lgs. 347/1990, come confermato in tema di donazione dall’Agenzia delle Entrate nella stessa Risoluzione n. 20/E del 2014: “considerato l’effetto retroattivo prodotto dalla risoluzione convenzionale per mutuo consenso, che elimina ab origine gli effetti prodotti dal primo contratto, si precisa che per la risoluzione per mutuo consenso relativa ad un atto di donazione avente ad oggetto un diritto reale immobiliare, le imposte ipotecaria e catastale devono essere applicate nella misura fissa di Euro 200”.
In relazione alle c.d. agevolazioni prima casa, ci si chiede se decada dalle agevolazioni prima casa colui il quale, dopo aver donato un immobile, ne acquista un altro, chiedendo le agevolazioni prima casa, quando successivamente il contratto di donazione viene risolto per mutuo dissenso ed il donante ritorna proprietario di immobile abitativo nello stesso Comune in cui ha acquistato l’immobile prima casa.
Stante il costante orientamento della giurisprudenza tributaria, orientato a considerare il mutuo dissenso come un contrarius actus da tassare con imposta proporzionale, si dovrebbe poter affermare pacificamente che non sussiste alcuna ipotesi di decadenza, poiché il bene verrebbe ritrasferito ed acquistato con efficacia ex nunc, con la conseguenza che, al momento dell’acquisto prima casa, l’acquirente non aveva la titolarità di alcun immobile. Problemi di decadenza si potrebbero porre, infatti, solo aderendo alla opposta tesi del contratto risolutorio con efficacia ex tunc.
In relazione a tale fattispecie, l’amministrazione finanziaria, ancor prima della Risoluzione n. 20/E del 14 febbraio 2014, aveva apoditticamente ritenuto, in totale controtendenza con l’orientamento allora prevalente, che il mutuo dissenso di donazione non fosse un contrarius actus ma un contratto risolutorio con efficacia ex tunc.
Precisamente, con sentenza n. 92 in data 5 giugno 2006, la Commissione Tributaria Provinciale di Lecco rigettava il ricorso proposto contro avviso di liquidazione portante pagamento di imposte per decadenza agevolazioni prima casa, affermando che la “risoluzione/revocazione” della donazione stante i suoi effetti ex tunc aveva fatto venire meno la condizione necessaria per usufruire delle agevolazioni prima casa, precisando che il riconoscimento di effetti ex nunc alla risoluzione consensuale avrebbe realizzato diversamente uno strumento elusivo della norma fiscale, e precisamente un negozio in frode alla legge.
La Commissione Tributaria Regionale Lombardia con sentenza n. 5 del 5 marzo 2008, in totale riforma della impugnata sentenza, accoglieva l’appello dei contribuenti e per l’effetto dichiarava l’illegittimità della pretesa dell’Ufficio annullando l’avviso di liquidazione. Ciò nel convincimento che il mutuo dissenso posto in essere dalle parti, benché avente efficacia ex nunc per volontà delle stesse, non costituisca un negozio in frode alla legge (“Nel merito si osserva che l’atto pubblico in data 5.10.2005 di risoluzione della donazione per mutuo consenso con effetto ‘a far tempo da oggi’ relativo alla casa di Olginate, è stato seguito, in data 15.11.2005, a distanza di poco più di un mese, dalla vendita della medesima casa di Olginate a terzi. La brevità dell’intervallo temporale, e la materialità del fatto del trasferimento a titolo oneroso del bene dei contribuenti dimostra l’assenza di una volontà elusiva e la realizzazione del programma di sostituire a una prima casa un’altra prima casa … In seguito ad uno scrupolo di una banca in ordine alla futura efficacia della liberalità, che poteva in buona fede considerarsi valida nella prospettiva della mancata impugnazione da parte della figlia non donataria, i contribuenti hanno dovuto procedere alla risoluzione. Al tempo dell’acquisto della casa … i contribuenti avevano i requisiti per usufruire dell’agevolazione e i fatti successivi non appaiono idonei a dimostrare un intento elusivo o la stipulazione di un negozio in frode alla legge”).
Con le stesse motivazioni (efficacia ex tunc del mutuo dissenso) la Commissione Tributaria Provinciale Monza e Brianza con sentenza n. 719 del 2014 rigettava il ricorso proposto da un contribuente contro avviso di liquidazione per decadenza da agevolazioni prima casa, motivando che, a seguito dell’efficacia retroattiva del mutuo dissenso di donazione, il contribuente nel momento della richiesta delle agevolazioni prima casa, risultava proprietario di altro immobile, benché di “modeste dimensioni”.
Si segnala che il ricorso del contribuente è stato, poi, accolto dalla Commissione Tributaria Regionale Lombardia con sentenza n. 2970 del 6 giugno 2014, la quale, pur aderendo alla qualificazione del mutuo dissenso come contratto risolutorio ex tunc, ha fondato la propria decisione su ragioni di merito, ritenendo che il contribuente non fosse decaduto dalle agevolazioni prima casa in quanto il non possedere altra abitazione deve riferirsi ad una disponibilità non meramente oggettiva, bensì soggettiva, nel senso che “ricorre il requisito dell’applicazione del beneficio anche nell’ipotesi di disponibilità di un alloggio che non sia concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a sopperire ai bisogni abitativi suoi e della sua famiglia (cfr. Cass. 11564/06, 17938/03, 10935/03, 6492/03, 2418/03)”. Tale motivazione muove dalla circostanza per cui il contribuente aveva dimostrato che l’acquisto agevolato, successivamente oggetto di donazione, aveva una consistenza di soli 39 mq e che, per le mutate condizioni familiari, tale appartamento non poteva più essere idoneo alla propria famiglia.
Benché la Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass., SS.UU., 12 novembre 2000, n. 1196) abbia avallato l’indirizzo giurisprudenziale favorevole all’operatività del termine di decadenza triennale nonché individuato, nella citata sentenza, le regole del suo dies a quo, deve ritenersi, anche sulla base delle risultanze positive della giurisprudenza di appello sopra citata, che il potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, in ordine alla decadenza dalle agevolazioni prima casa, dovrebbe avere riguardo alla veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti in atto, senza che gli effetti risolutori di un mutuo dissenso possano retroattivamente inficiare la predetta veridicità, qualora le parti non abbiano voluto porre in essere operazioni elusive.
Concludendo, con riguardo all’applicabilità o meno al negozio di mutuo di dissenso della normativa urbanistica, catastale e sulla certificazione energetica, la risposta la si trova nella qualificazione giuridica dell’istituto del mutuo dissenso.
Qualora si accolga la tesi del contrarius consensus, posto che effetto diretto ed immediato del mutuo dissenso è solo quello di porre nel nulla il precedente contratto e non di ritrasferire la proprietà dell’immobile, ne deriverebbe, quale conseguente corollario, che non occorrerebbe osservare in atto alcuna delle formalità rispettivamente previste dalle relative normative, nemmeno di allegazione dell’attestato di prestazione energetica (Capozzi, op. cit., 645; Rizzi, La certificazione energetica (dall’Attestato di Certificazione all’Attestato di Prestazione Energetica), Studio CNN n. 657-2013/C).
Ove invece si accolga la tesi del contrarius actus, in atto dovranno risultare tutte le dichiarazioni di cui alle predette normative, trattandosi di autentico atto traslativo.

AUTORE

Daniela Riva è notaio in Lecco con studio in Vicolo della Torre, 15. Avvocato del Foro di Lecco dal 2004 al 2013. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano e diplomata in maturità classica presso il Liceo Classico “A. Manzoni” di Lecco.