Articolo pubblicato sull’ultima edizione cartacea di Federnotizie del 2014, che riportiamo in continuità con la tradizione della testata.
Gli scorsi 12 e 13 giugno, all’interno della Comunità di San Patrignano, si è svolto LH Forum, primo convegno internazionale dedicato al tema dell’economia positiva in Italia. È stata una due giorni davvero intensa in cui si sono alternati dibattiti e incontri che hanno coinvolto oltre quaranta relatori provenienti dal mondo accademico, dalle imprese, dalle Istituzioni e dalla società civile, intervenuti di fronte a una platea di oltre 1.500 persone.
A cura di Letizia Moratti

Questo articolo è apparso sull’ultimo numero cartaceo di Federnotizie
A organizzare la prima edizione di questo importante appuntamento italiano, oltre alla Comunità di San Patrignano, il gruppo francese PlaNet Finance, organizzazione non governativa di microcredito fondata dall’economista francese Jacques Attali che per primo ha sostenuto e promosso il concetto di economia positiva, un modello economico nuovo che si preoccupa prioritariamente dell’interesse delle generazioni future e della salute del pianeta. Quello che si è riunito a metà giugno a San Patrignano può essere considerato come un vero e proprio movimento di riflessione intorno al tema di un’economia al servizio della società, finalizzato alla promozione di una crescita responsabile, sostenibile e inclusiva. Un movimento che ha preso il nome di “Movimento per l’economia positiva”.
L’economia positiva cerca infatti di riorientare il capitalismo verso obiettivi di lungo periodo, partendo dal presupposto che la generosità nei confronti delle generazioni future sia un incentivo molto più potente dell’egoismo che regge l’economia di mercato.
Viviamo infatti un’epoca di cambiamento, con una crisi strutturale che ha modificato irreversibilmente i modelli economici e sociali, contagiando rapidamente l’economia reale e in particolare le categorie più deboli, con conseguente mancanza di occupazione e minori opportunità per il futuro.
La crisi attuale può essere spiegata per lo più mediante gli aspetti non positivi dell’economia: il predominio di una mentalità orientata sul breve termine ha schiacciato ogni altro ambito dell’economia, a cominciare da quello finanziario.
Per fare qualche esempio: tra il 2003 e il 2006 la diffusione di prodotti finanziari tradizionali, contraddistinti da un approccio prudenziale, è diminuita dal 65% al 25%, una contrazione di 40 punti percentuali in appena quattro anni. Al contrario, i prodotti ad alto rischio e quindi a profittabilità elevata, sono cresciuti dal 19% al 55% nello stesso periodo.
La crisi finanziaria è stata quindi contraddistinta da questa “tirannia” del breve periodo che ha contagiato rapidamente l’economia tradizionale. I limiti di questo approccio si sono manifestati in tutta la loro crudeltà dopo il 2008 e sono ancora oggi ben visibili. A pagarne drammaticamente le conseguenze sono, come spesso capita, le categorie più deboli che hanno maggiormente subito gli effetti nefasti della crisi, che per loro si sono tradotti in primo luogo in mancanza di occupazione e minori opportunità di costruire il proprio futuro.
L’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha segnalato recentemente che il tasso di occupazione globale è ulteriormente sceso al 55,7%, quasi un punto percentuale in meno rispetto ai livelli pre crisi.
Il numero delle persone senza impiego è destinato ad aumentare nel mondo al ritmo di 2,5 milioni di unità l’anno, almeno fino al 2018. La crisi ha quindi inciso fortemente sulla dimensione occupazionale e allo stesso tempo ha minato l’economia di molti paesi, danneggiando in particolare i modelli di welfare tradizionale che hanno mostrato i propri limiti, in Italia come all’estero.
È inutile negarlo: oggi molti paesi non sono più in grado di sostenere tanti servizi garantiti in passato. Una situazione difficile e pericolosa che ha portato molti governi a riflettere sull’esigenza di nuovi strumenti di sostegno ai welfare nazionali e una soluzione è arrivata dalla finanza sociale, che sempre più potrà rappresentare la stella polare per i futuri investimenti in tutti i settori del welfare.
In questo difficile contesto, infatti, la crisi ha paradossalmente favorito lo sviluppo e la crescita di nuovi modelli economici e, tra questi, dell’economia positiva.
L’esperienza del Forum ha ulteriormente messo in evidenza come già oggi esistano molte iniziative positive che vanno in questa direzione: dall’imprenditorialità sociale agli investimenti socialmente responsabili, dal commercio equo e solidale alle aziende con responsabilità sociale, passando per buona parte dei servizi pubblici. Eppure, rimangono ancora fenomeni di piccola scala, mentre per poter avere successo l’economia positiva abbisogna di una vera e propria rivoluzione copernicana.
In questo senso i dati stanno confermando sempre di più la bontà di questi investimenti: un recente studio di McKinsey ha certificato come su dieci imprese sociali analizzate, il valore generato per la collettività si attesti sui 5 miliardi di euro l’anno.
Queste tipologie di impresa devono però operare all’interno del mercato in modo imprenditoriale e innovativo, destinando i propri utili principalmente, quindi non esclusivamente, alla realizzazione di obiettivi sociali. La finanza sociale, che sempre più successo sta riscuotendo nel mondo, può rappresentare la migliore risposta a queste necessità degli imprenditori sociali.
Gli attuali problemi richiedono però nuovi modi di pensare e agire da parte di individui e Istituzioni, azioni che incoraggino nuovi sistemi di welfare e un ecosistema favorevole a imprese che si pongono obiettivi sociali.
Occorre innovare, anche nel sociale, incoraggiando gli investimenti per arrivare a una nuova fase dell’economia e a un innovativo sistema di servizi che integri pubblico e privato, superando le tradizionali divisioni.
L’interoperabilità è oggi essenziale affinché l’economia positiva esprima tutto il suo potenziale: dobbiamo tutti lavorare insieme sinergicamente per creare un efficace ecosistema di supporto. L’assenza di un coordinamento consapevole farà perdurare risultati frammentati e inefficaci.
Possiamo già oggi vedere tracce di questo nascente ecosistema in alcune iniziative che dovrebbero rappresentare un esempio di efficacia dal quale prendere spunto. Le best practice internazionali mostrano con chiarezza quale sia lo spirito del nuovo ecosistema, volto a unire e non a dividere, superando le tradizionali categorie industriali e finanziarie. Sono proprio queste barriere che nel recente passato hanno bloccato lo sviluppo dell’economia positiva. Il superamento di questi limiti passa anche attraverso la condivisione di una cultura dell’economia positiva, fatta di esempi positivi.
Esempi istituzionali, come quello della legge francese 90/10, importante perché ha aperto un modello nuovo di allocazione delle risorse del risparmio gestito in favore dello sviluppo dell’impresa sociale. In Italia i patrimoni finanziari (fonte Banca d’Italia 2012) sono pari a oltre 3 500 miliardi di euro e di questi, gli investimenti in fondi istituzionali, bond e obbligazioni sono pari a 638 miliardi. Con una legge simile a quella francese, le imprese sociali italiane avrebbero a disposizione oltre 60 miliardi di euro.
In questo quadro, le Istituzioni hanno e avranno un ruolo sicuramente centrale ed è per questo che il Movimento per l’economia positiva cerca sempre di ingaggiare un dialogo costruttivo con i governi degli Stati, ma anche con le istituzioni europee.
Recentemente ha avuto luogo a Le Havre un altro convegno nel corso del quale sono state presentate una serie di azioni per costruire un’“Europa Positiva” e in particolare un ambizioso programma di investimento nei settori dell’economia positiva che deve essere implementato dall’Unione europea e dalla Banca europea degli investimenti.
Il movimento suggerisce la creazione di un’agenzia di rating europea con l’incarico di valutare le aziende positive e dare giudizi su quelle che creano valore per le generazioni future e il lancio di un marchio “territorio dell’economia positiva” ed estenderlo all’Unione europea in modo da creare una rete territoriale.
È importante che l’Europa possa rappresentare un territorio fertile per lo sviluppo dell’economia positiva, ma anche il nostro paese deve trovare una propria dimensione all’interno di questo scenario di cambiamento. L’attuale governo è sensibile a questo tema e sta dimostrando buona volontà nella costruzione di un ecosistema favorevole all’impresa sociale anche nel nostro Paese.
Il Forum di San Patrignano ha creduto utile collaborare a questa spinta innovatrice del governo promuovendo l’Agenda dell’Economia Positiva, un programma per indicare le aree principali di intervento e gli obiettivi fondamentali per favorire lo sviluppo dell’economia positiva in Italia.
Tutte le diverse azioni dell’Agenda dell’Economia Positiva si inseriscono infatti all’interno di sei aree di intervento che sono state individuate come prioritarie: persona, finanza, contributo all’economia, impresa, pubblica amministrazione e ambiente.
Per fare alcuni esempi: all’interno delle sei aree di intervento, è stato identificato un decalogo di azioni che comprende la diffusione dei valori dell’economia positiva attraverso politiche della famiglia e demografiche, programmi scolastici e universitari e sviluppo delle competenze professionali a supporto.
Nell’ambito finanziario, l’Agenda promuove il sostegno allo sviluppo di strumenti di finanza sociale (fondi etici, social bond, social impact bond, microcredito), mentre in ambito economico propone la misurazione del contributo del Terzo Settore e del volontariato al PIL e l’inserimento del valore aggiunto del volontariato nel calcolo del PIL.
Sul tema degli indicatori economici, l’impegno del Movimento per l’economia positiva è particolarmente intenso, e in questo senso ho già avuto modo di sottolineare come sarebbe meglio che le nostre Istituzioni non rincorressero fantasiose formule di conteggio dell’economia illegale all’interno del PIL suggerite dall’Europa, ma adottassero, come fatto in altri paesi, una posizione etica, prima ancora che economica, non conteggiando la droga (ma anche la prostituzione e il contrabbando, non esiste in questo senso un’illegalità “buona”) all’interno dell’aggregato del prodotto interno lordo.
Sarebbe un bel modo per diffondere un messaggio contrario alla criminalità che rafforzerebbe certamente il ruolo delle istituzioni, dando allo stesso tempo un esempio positivo a quegli stessi giovani che potranno essere gli imprenditori sociali di domani, quelli che avranno abbracciato l’economia positiva perché figli dell’ecosistema che in molti stanno oggi cercando di costruire.

AUTORE

La Redazione di Federnotizie è composta da notai di tutta Italia, specializzati in differenti discipline e coordinati dalla direzione della testata, composta dai notai Arrigo Roveda e Domenico Cambareri.