«E’ contraria, ai sensi dell’art. 31, lett. f, dei principi di deontologia professionale dei notai, la presenza frequente del notaio presso recapiti stabili di organizzazioni per rogare, trattandosi di un comportamento idoneo a turbare le condizioni che ne assicurano l’imparzialità e visto come un concorso consapevole del notaio a una scelta etero diretta del professionista. Il dovere d’imparzialità del notaio, infatti, va inteso in termini di astensione da comportamenti che, in via preventiva e di garanzia dell’immagine della categoria, influiscono sulla designazione del professionista» (Cass. 12-2- 2020 n. 3458).
Massima dura, che ricalca e inasprisce, per l’applicazione che ne prospetta, il tenore testuale della pur già rigorosa norma deontologica in vigore (“Viola il dovere di imparzialità il notaio che svolge ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali”), norma peraltro anche in prospettiva ribadita nell’irrealizzata proposta di riforma dei Principi di deontologia professionale, che anzi estendeva (e forse eccessivamente se si trattava di tutelare “l’indipendenza e l’imparzialità”) l’inibizione anche a tutti i “luoghi di lavoro, di riposo, di svago e in generale luoghi pubblici o aperti al pubblico” – sempre che, ovviamente, non sussistano “specifiche esigenze dei singoli utenti”.
Massima che conviene quindi anzitutto corredare con il richiamo, solo per la parte che qui interessa, della motivazione dalla quale è tratta (con la sua sentenza la S.C. ha confermato una condanna alla sanzione pecuniaria di diecimila euro):
« … Nella specie non era in contestazione il fatto oggettivo concernente il numero rilevante di atti stipulati dal notaio presso agenzie di mediazione creditizia e immobiliari, corrispondente al 30,30% di tutti gli atti ricevuti (nel 2015); … nel momento in cui il notaio svolge ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali, deve ritenersi violato l’obbligo di imparzialità di cui all’art. 31 del codice deontologico, dal momento che è del tutto verosimile che la presenza di un notaio presso siffatte agenzie dipenda dalle indicazioni dell’operatore commerciale che assicura al professionista un flusso di clienti tale da rendere proficuo per lui operare fuori sede…
Il (notaio) ricorrente, dopo aver ribadito che l’art. 26 L. N., nella formulazione precedente l’entrata in vigore della L. 4-8-2017, n. 124, nel vietare l’apertura di un recapito fuori del collegio di appartenenza, comprimeva illegittimamente la concorrenza fra notai, osserva: a) che l’art. 31, lett. f) dei Principi citati si pone in contrasto con la successiva disciplina della concorrenza, mascherando, sotto lo schermo della tutela dell’imparzialità del notaio, un divieto diretto a realizzare la spartizione territoriale del mercato; b) il cit. art. 31 realizza una presunzione di parzialità che si pone in contrasto con l’art. 2727 cod. civ. e costringe il notaio a una probatio diabolica.
Richiamato il dato quantitativo già riportato, la S.C. giudica “fuori fuoco” queste censure del notaio, poiché “in diritto, una volta che la regola dell’imparzialità venga declinata, alla stregua dell’art. 31 cit., non come concreto esercizio di equidistanza nella redazione degli atti, ma, in termini preventivi e di garanzia dell’immagine della categoria, come dovere di astensione nella fase di assunzione dell’incarico da comportamenti che influiscano sulla designazione, diviene rilevante la presenza consistente presso vari recapiti ‘stabili’ (si vuol intendere riconoscibili come tali ?) di organizzazioni.
Ciò, si ripete, non come fatto espressivo di concreta parzialità (e tanto consente di superare i temi della presunzione, che il ricorrente costruisce attorno ad un fatto noto da provare – la concreta parzialità, appunto, che invece non assume rilievo), né come indice di concorrenza, nonostante il riferimento della sentenza all’accaparramento di clientela (la Corte d’appello, ingenerando una qualche confusione sul “bene protetto”, aveva osservato che così il notaio “finisce per accaparrarsi clienti … indirizzati … dall’operatore commerciale ospitante che assicura al notaio un flusso di clienti tale da rendere per lui proficuo operare fuori sede”), che va inteso, con riferimento alla portata della norma deontologica, come concorso consapevole del notaio in una scelta etero-diretta del professionista, vista come elemento idoneo a turbare le condizioni che ne assicurano l’imparzialità.
In altri termini, il riflesso sugli esiti economici di tale condotta rappresenta l’effetto indiretto della scelta di garantire la terzietà del notaio e non una non ponderata regolamentazione restrittiva delle attività economiche.»
Dagli impugnati provvedimenti di merito della CO.RE.DI e della Corte d’Appello si apprendono poi – e non vanno trascurati nella nostra riflessione – alcuni ulteriori elementi di fatto: al Consiglio notarile erano pervenute “varie segnalazioni” della condotta del notaio; sui 970 atti dell’anno 2015 ne erano stati contati 294 stipulati in recapiti esterni, dei quali 38 impegnando anche giorni di assistenza obbligatoria alla sede; almeno 7 erano stati quei diversi recapiti ripetutamente frequentati; l’incolpato non aveva mai allegato specifiche situazioni dell’una o dell’altra parte che imponessero o almeno consigliassero quel determinato luogo di stipula…
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Da sempre – si può dire – le agenzie d’affari sono per alcuni notai sirene tanto affascinanti quanto pericolose: fin dagli anni ’80 la S.C. (si veda Cass. 11-12-85, n. 6271), pur in mancanza di espressi divieti normativi o deontologici, aveva dovuto esercitare un’apprezzabile creatività per sanzionare di nullità, in nome del “carattere personalissimo” della professione notarile, i contratti intervenuti tra notai e agenzie. Oggi le regole son chiare, ma evidentemente quella figura del notaio “itinerante”, disponibile alle convocazioni delle più disparate agenzie, non è del tutto scomparsa. La evocano ancora, infatti, le nostre, pur recenti decisioni disciplinari, che ragionano, però, in una prospettiva decisamente nuova: non trattano della validità di un contratto e neppure ne fanno una questione di “stile” o di mero decoro nell’esercizio della professione, ma pongono, andando alla radice, un interrogativo ben più essenziale.
In che cosa consiste quel bene dell’imparzialità protetto dalla norma disciplinare? (definita da Cass. 20-12-2016, n. 26369, come “equidistanza rispetto ai diversi interessi delle parti” ovvero anche come “terzietà”, secondo il sinonimo più di moda). Come in particolare l’imparzialità va intesa con riferimento alla fase di assunzione dell’incarico? Ed è su questo tema che la sentenza in commento appare importante e anche innovativa.
Già in verità la precedente Cass. 30-12-2015, n. 26146, aveva osservato, con un’argomentazione non massimata e perciò forse poco segnalata, che “il rapporto intercorrente tra il notaio e un terzo, diretto a favorire, quale che sia la formale qualificazione del rapporto e a prescindere dalla presenza o meno di un corrispettivo, un flusso di affari generato dal terzo a favore del notaio, colloca lo stesso notaio in posizione più prossima alla parte o alle parti che alimentano quel flusso, menomando il principio di imparzialità che esige che il notaio si ponga e appaia quale ufficiale rogante equidistante rispetto alle parti”.
Ma la nostra sentenza compie un passo ulteriore: quand’anche un “rapporto”, oneroso o perfino gratuito, con l’ospitante non vi sia, o comunque non ve ne sia nessuna prova, il bene dell’imparzialità risulta, tuttavia, leso dal solo fatto di una presenza “frequente” presso una struttura esterna (non essendo i due termini sinonimi, sarebbe bastato evocare, secondo la formula normativa, una presenza “ricorrente”, cioè ripetuta a intervalli di tempo non necessariamente brevi).
Perché il “bene protetto” non è l’imparzialità, ma l’immagine d’imparzialità. Non, cioè, l’imparzialità in concreto, bensì, a monte, la percezione dell’imparzialità. E neppure la percezione effettiva, verificata in fatto presso l’opinione circostante (anche se una qualche “segnalazione” al Consiglio notarile deve pur pervenire…), ma la percezione possibile, non arbitraria, giustificata.
La logica del divieto deontologico è, infatti, quella di approntare una tutela “anticipata”, per la quale la valutazione va fatta ex ante in termini di mera pericolosità della condotta o potenzialità della lesione, senza quindi che rilevi se il recapito esterno sia sempre lo stesso o gli ospitanti siano diversi, se gli atti siano stati già preparati in studio oppure no, se poi il notaio sia stato effettivamente parziale e l’una o l’altra parte abbia davvero ricevuto un danno o un vantaggio, se si sia lamentata della condotta del notaio o ne sia stata soddisfatta.
Tutto ciò è irrilevante nella logica di un illecito disciplinare, strutturato – si potrebbe dire – su un’apparenza che è sostanza: il notaio deve non solo essere, ma anche apparire super partes, non deve far neppur dubitare della sua imparzialità, perché, a ben riflettere, è proprio su questo requisito che si fonda la sua affidabilità come titolare, altrimenti abusivo, di un pubblico ufficio. Poter dubitare dell’imparzialità significa dubitare di quell’affidabilità che legittima il munus notarile. Che poi il notaio debba apparire, oltre che imparziale, anche professionalmente “competente, aggiornato e diligente” lo ricorda da ultimo Cass. 12-3-21, n. 7051: ma questo è un altro discorso…
L’art. 31 – insegna la Cassazione – non fa derivare dalla “presenza ricorrente” una presunzione di concreta parzialità, che il notaio debba e possa vincere con la prova contraria di essere stato poi comunque in fatto imparziale, ma vieta in via preventiva quella condotta perché già di per sé lede l’immagine d’imparzialità di quel notaio e anzi, come un’onda, può propagarsi alla circostante considerazione dell’intero Notariato.
Ed è infatti – non “verosimile” (termine inadatto all’assertività di una sentenza), ma – innegabile che il notaio che ripetutamente stipuli presso un recapito esterno riconducibile a un altro titolare possa generare, nel comune sentire – della cui esperienza anche il giudicante disciplinare deve avvalersi – una giustificata apparenza di scelta eterodiretta ed essere quindi percepito come “più vicino” al titolare del recapito o alla parte che di quel tramite si è servita che non alle altre parti. Che poi da questa vicinanza il notaio tragga anche un vantaggio economico è – questo sì – soltanto verosimile, non foss’altro che in termini di incremento dell’attività, come nota la S.C.; ma, appunto, l’eventuale positiva ricaduta economica non è un elemento integrante la condotta vietata, né la ragione del divieto.
Indipendenza e imparzialità del notaio vanno quindi tutelate – se lo sguardo sul futuro del Notariato si fa più lungo e avvertito – anche a costo di comprimere quel suo “diritto d’impresa”, oggi a volte impropriamente rivendicato.
AUTORE

Magistrato di lungo corso, sia con funzioni inquirenti sia giudicanti, è stato (tra l’altro) Presidente di Sezione alla Corte d’Appello di Milano. Ha presieduto CO.RE.DI Lombardia dal 2012 al 2019 ed è attualmente Presidente di Sezione in Commissione Tributaria.