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Introduzione.
L’art. 91 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto Cura Italia) integra l’art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito con modificazioni con la l. 5 marzo 2020, n. 13), aggiungendo dopo il comma 6 il seguente ulteriore comma:
“6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Scopo del presente contributo è quello di analizzare l’incidenza di tale nuova norma sulla disciplina della responsabilità del debitore per inadempimento, con particolare riferimento all’inadempimento dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di vendita entro il termine previsto nel contratto preliminare.
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La responsabilità del debitore.
L’art. 1218 c.c., come noto, dispone che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
La norma codicistica pone il principio generale della responsabilità del debitore che non abbia esattamente adempiuto, prevedendo una sorta di presunzione di colpevolezza.
La responsabilità è, infatti, esclusa solo nel caso in cui il debitore riesca a dare prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
L’esonero da responsabilità dipende, quindi, da due elementi:
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l’impossibilità della prestazione;
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il derivare tale impossibilità da causa non imputabile al debitore.
Entrambi tali elementi devono essere dimostrati dal debitore, sul quale grava, pertanto, l’onere della prova.
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L’impossibilità derivante da fatto del terzo.
Di particolare rilevanza, per quanto qui interessa, sono i casi di impossibilità della prestazione derivanti dal fatto di un terzo.
Al riguardo è stato affermato che, perché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo, ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa e l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento (così Cass. 11717/2002).
Il debitore non può, quindi, subire passivamente l’attività impeditiva del terzo, ma deve attivarsi con diligenza al fine di superare l’ostacolo frapposto dal fatto del terzo all’adempimento.
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L’impossibilità derivante da atto dell’autorità (factum principis).
Ipotesi particolare di impossibilità della prestazione derivante dal fatto di un terzo è quella della impossibilità derivante da provvedimento dell’autorità (factum principis).
Al riguardo è stato precisato che, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare l’impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità (così Cass. 14915/2018; vedi anche Cass. 17771/2012, Cass. 6298/2011, Cass 21973/2007, Cass. 2059/2000, Cass. 12093/1998).
Anche in questo caso particolare, quindi, il provvedimento dell’autorità non è considerato, di per sé, sufficiente motivo di esenzione da responsabilità per il debitore, il quale deve sempre dimostrare che tale provvedimento, da una parte, era imprevedibile al momento dell’assunzione della obbligazione e, dall’altra, era tale da costituire un impedimento non legittimamente superabile utilizzando l’ordinaria diligenza.
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Le misure di contenimento.
Nell’ambito della tematica degli impedimenti all’adempimento derivanti da atto dell’autorità si inserisce anche il disposto del nuovo comma 6-bis dell’art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6.
La norma fa riferimento ad un particolare tipo di atto dell’autorità e, precisamente, alle misure di contenimento contemplate dal medesimo decreto.
Ai fini della norma rilevano, pertanto, solo le misure adottate ai sensi di detto decreto e, quindi, solo quelle che presentino le seguenti caratteristiche:
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deve trattarsi di misure di contenimento, vale a dire di misure che in qualche modo limitano le possibilità di movimento o di azione delle persone che ne sono destinatarie;
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devono avere quale scopo quello di evitare il diffondersi del COVID-19 nei comuni o alle aree in cui risulta positiva almeno una persona, per la quale non si conosce la fonte di trasmissione, o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus (art. 1, comma 1), oppure devono avere quale scopo quello di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche fuori dai casi sopra indicati (art. 2);
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devono essere adottate dalle autorità competenti, vale a dire, salvo casi particolari, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentito il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale (art. 3, comma 1).
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L’obbligo di rispettare le misure di contenimento.
In relazione alle misure di contenimento pare utile ricordare che il loro mancato rispetto è sanzionato dall’art. 3, comma 4, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, ai sensi del quale, “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’art. 650 del codice penale”.
La norma penale richiamata sanziona l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità prevedendo che “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.
Vi è pertanto un obbligo giuridico penalmente sanzionato per i destinatari delle misure di contenimento di adeguarsi ad esse.
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Possibili interpretazioni della nuova norma.
Dall’analisi anche solo letterale del nuovo comma 6-bis dell’art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, risulta del tutto evidente che esso non introduce alcun tipo di presunzione, né alcun automatismo in ambito probatorio.
Occorre, pertanto, sin da subito chiarire che non sarà sufficiente accertare che il debitore è destinatario di una misura di contenimento ai sensi del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, per poterlo, per tale solo fatto, ritenere esente da responsabilità per ogni caso di inadempimento. La nuova norma, infatti, non afferma che il rispetto della misura di contenimento costituisce, di per sé e in ogni caso, causa legittimante ogni tipo di inadempimento del debitore che ne sia coinvolto. In altre parole, perché il debitore inadempiente possa essere ritenuto esente da responsabilità, occorre accertare che il rispetto della misura di contenimento abbia effettivamente determinato una situazione di impossibilità della prestazione.
Resta pertanto valido tutto quanto affermato in termini generali nei paragrafi precedenti: la misura di contenimento potrà essere ritenuta legittima causa di esenzione da responsabilità nel solo caso in cui venga accertato che essa ha costituito per il debitore un impedimento all’adempimento, non superabile con la ordinaria diligenza.
Una volta accertata tale circostanza non occorrerà, invece, dimostrare che la causa della impossibilità non derivi da fatto imputabile, in quanto l’adozione da parte della competente autorità della misura di contenimento sarà, per definizione, non imputabile al debitore (ciò evidentemente anche nel caso limite in cui il debitore sia proprio la persona contagiata che ha indotto l’autorità competente ad assumere la misura di contenimento).
Per quanto fin qui esposto non sembrerebbe, allora, che la norma abbia introdotto significative novità in tema di responsabilità del debitore. Il testo della norma impone, tuttavia, una ulteriore riflessione.
Occorre, in particolare, soffermarsi sull’utilizzo delle parole “è sempre valutata” contenute nel testo della norma.
Una prima possibile lettura di tale espressione potrebbe essere nel senso di imporre al giudice chiamato a decidere una controversia relativa all’inadempimento di verificare d’ufficio se il debitore è assoggettato a misure di contenimento che possano aver determinato l’impossibilità della prestazione. Non sarebbe, allora, il debitore ad avere l’onere di dedurre in giudizio il suo stato di soggezione ad una misura di contenimento, ma dovrebbe essere lo stesso giudice ad attivarsi d’ufficio nel compimento di tale verifica. Si tratterebbe, quindi, del superamento dell’onere probatorio posto a carico del debitore dall’art. 1218 c.c., che – come abbiamo visto – addossa al debitore la dimostrazione l’impossibilità della prestazione e la causa, a lui non imputabile, che l’ha determinata.
Altro possibile significato potrebbe essere quello di imporre al giudice, nella decisione della controversia, l’obbligo di prendere espressamente in considerazione la misura di contenimento applicabile al debitore, con conseguente obbligo di indicare espressamente nella motivazione il rilievo che tale circostanza ha avuto nella decisione. L’onere di dedurre in giudizio l’esistenza della misura di contenimento resterebbe, pertanto, a carico del debitore, ma, una volta acquisita in giudizio tale circostanza, il giudice sarebbe obbligato a valutarla e a tenerla in considerazione, dovendo sempre indicare nella sentenza i motivi per i quali ha ritenuto tale misura idonea o non idonea ad esonerare da responsabilità il debitore.
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Il termine per la conclusione del contratto definitivo di vendita immobiliare.
Di particolare interesse per il notaio è la rilevanza della nuova norma in relazione all’obbligo di concludere il contratto definitivo di vendita immobiliare entro il termine previsto nel contratto preliminare. Le misure di contenimento adottate al fine di prevenire o evitare la diffusione dell’epidemia da COVID-19 possono, infatti, rendere difficile alle parti e al notaio organizzare la conclusione del contratto definitivo di vendita.
Occorre tuttavia ricordare, per tutto quanto sopra esposto, che la mera difficoltà di adempimento non è sufficiente ad escludere la responsabilità del debitore, anche nel caso in cui il debitore sia soggetto a misure di contenimento. D’altro canto, occorre tener conto che, anche in presenza di una difficoltà che non sconfini nella impossibilità di adempiere, si potrebbe ricadere in una ipotesi di inesigibilità della prestazione da parte del creditore secondo buona fede: una figura giuridica di fonte dottrinale e giurisprudenziale sulla quale si tornerà in chiusura del presente commento.
Possiamo a questo punto prendere in considerazione alcune delle misure di contenimento espressamente indicate all’art. 1, comma 2, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, e provare a verificare quale potrebbe essere il loro effetto in relazione all’obbligo di concludere il contratto definitivo di vendita in forma autentica e quali potrebbero essere gli strumenti per superare le difficoltà organizzative.
Al riguardo occorre preliminarmente precisare che le parti potrebbero, in ragione delle difficoltà di una o di entrambe, concordare una proroga del termine di adempimento, avendo magari cura di farlo per iscritto, se non a fini di validità, quantomeno a fini probatori. Esse, per evitare l’inadempimento, potrebbero anche concludere il contratto di vendita per scrittura privata non autenticata, salvo poi ripetere tale contratto in forma autentica, al solo fine della sua trascrizione, una volta venute meno le misure di contenimento. L’art. 1350 c.c., infatti, impone per i trasferimenti immobiliari la forma scritta a pena di nullità, ma non necessariamente la forma autentica.
Occorre tuttavia considerare che, nella quasi totalità dei casi, la proposta di acquisto e il contratto preliminare prevedono la conclusione del contrato definitivo di vendita per atto autentico e, pertanto, trova applicazione l’art. 1352 c.c., ai sensi del quale, “Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo”.
Tutto quanto indicato nel prosieguo vale, evidentemente, soltanto ove non siano in vigore norme speciali, quale, ad esempio, l’art. 10, comma 4, d.l. 9/2020, che prevedano la sospensione dei termini per gli adempimenti contrattuali per un certo periodo di tempo ed in certe aree geografiche. (1)
a) Divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata da parte di tutti gli individui comunque presenti nel comune o nell’area.
Il caso potrebbe essere quello in cui uno dei contraenti si trova all’interno del comune o dell’area interessata dal divieto e l’altro contraente si trova al di fuori di tale area e non sia nelle condizioni di recarvisi.
Non sembra che questa misura sia, di per sé, impeditiva, in termini assoluti, della possibilità di concludere il contratto definitivo di vendita. La parte che si trova all’interno dell’area interessata potrà perfezionare una procura notarile tramite notaio che abbia sede nell’ambito dell’area dalla quale non ci si può allontanare, oppure si potrebbe perfezionare l’atto con firme autenticate in momenti e luoghi diversi da differenti notai.
Al riguardo occorre ricordare che è stato ritenuto sussistente, nell’ambito dei territori interessati da ogni provvedimento attuativo dell’art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, e fino al termine di efficacia individuato dai medesimi provvedimenti, il carattere di eccezionalità che giustifica, ai sensi dell’art. 28 del vigente codice deontologico, il coinvolgimento di collaboratori e dipendenti del notaio quali procuratori in atti dal medesimo ricevuto, anche qualora tale coinvolgimento assuma carattere ricorrente (delibera del Consiglio Notarile di Milano del 10 marzo 2020 e indicazioni del Consiglio Nazionale del Notariato del 10 marzo 2020).
Il pagamento del prezzo in questi casi potrebbe essere agevolato dall’utilizzo del meccanismo del deposito prezzo sul conto corrente dedicato del notaio, il quale si farà, pertanto, garante della transazione monetaria.
b) Divieto di accesso al comune o all’area interessata.
Altro caso, analogo al precedente, potrebbe essere quello in cui uno dei contraenti si trova a di fuori del comune o dell’area interessata dal divieto e l’altro contraente si trova all’interno di tale area e non sia nelle condizioni di uscirne.
Anche in questo caso non sembra che questa misura sia, di per sé, impeditiva, in termini assoluti, della possibilità di concludere il contratto definitivo di vendita. La parte che si trova all’esterno dell’area interessata potrà perfezionare una procura notarile alla vendita o all’acquisto tramite notaio che abbia sede fuori dall’area dalla quale non ci si può allontanare, oppure si potrebbe perfezionare l’atto con firme autenticate in momenti e luoghi diversi da differenti notai.
Anche in questo caso il pagamento del prezzo potrebbe essere agevolato utilizzando il meccanismo del deposito prezzo.
c) Sospensione di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico.
Anche in questo caso non sembra che la misura sia, di per sé, impeditiva, in termini assoluti, della possibilità di concludere il contratto definitivo di vendita.
Si potrà evitare la contestuale presenza di tutte le parti presso il notaio sia mediante l’utilizzo di procure, sia mediante la formalizzazione del contratto definitivo di vendita mediante scrittura privata con firme autenticate in momenti differenti.
Anche in questo caso il pagamento del prezzo potrebbe essere agevolato utilizzando il meccanismo del deposito prezzo.
d) Sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, compresa quella universitaria, salvo le attività formative svolte a distanza.
Certamente per un genitore la chiusura delle scuole determina l’insorgere di difficoltà organizzative.
Occorre tuttavia ribadire che le mere difficoltà organizzative non legittimano, di per sé, l’inadempimento del debitore che dovrà, pertanto, utilizzare l’ordinaria diligenza per superare tale inconveniente.
e) Applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva.
Rispetto ai casi previsti ai punti precedenti, la persona sottoposta alla misura della quarantena si trova certamente in maggiore difficoltà.
Se tale misura è tale da rendere impossibile la contestuale presenza fisica della parte e del notaio in un medesimo luogo e, quindi, la sottoscrizione dell’atto alla presenza del notaio, è evidente che ciò determinerà il ricorrere di un caso di impossibilità della prestazione tale da esonerare da responsabilità la parte assoggetta alla quarantena.
f) Chiusura di tutte le attività commerciali, esclusi gli esercizi commerciali per l’acquisto dei beni di prima necessità.
Un possibile caso potrebbe essere l’ordine di chiusura della filiale della banca che deve concedere il mutuo all’acquirente.
Anche in questo caso, tuttavia, non è detto che tale evenienza valga ad esonerare da responsabilità l’acquirente che si rifiuti di procedere all’acquisto. La banca potrebbe, infatti, mettere a disposizione i locali di altra filiale situata in area non contaminata, o potrebbe optare per la conclusione del contratto di mutuo mediante proposta e separato atto notarile unilaterale di accettazione e concessione di ipoteca, così come potrebbe incaricare un proprio funzionario di recarsi presso lo studio del notaio.
Occorre, poi, valutare quale rilevo abbia assunto la concessione del mutuo nell’ambito della contrattazione relativa alla vendita.
Se nel contratto preliminare l’obbligo di acquistare era stato condizionato all’ottenimento del mutuo, allora l’impossibilità di ottenere il mutuo determina il venire meno dell’obbligo. In questo caso, tuttavia, non ci troveremo in un’ipotesi di inadempimento non imputabile al debitore, ma in un caso di inefficacia del contratto preliminare, senza quindi che si possa parlare di impossibilità della prestazione o di inadempimento dell’acquirente.
Sarà più difficile, invece, liberarsi dall’obbligo di acquistare e dalle sanzioni derivanti dall’inadempimento di tale obbligo per l’acquirente che non abbia condizionato l’obbligo di concludere il contratto definitivo di vendita alla concessione del mutuo.
g) Chiusura o limitazione dell’attività degli uffici pubblici, degli esercenti attività di pubblica utilità e servizi pubblici essenziali di cui agli artt. 1 e 2 l. 12 giugno 1990, n. 146, specificamente individuati.
In questo ambito potrebbe ipotizzarsi un obbligo di chiusura degli studi notarili e di sospensione dell’attività notarile. Occorre allora verificare se le parti siano nelle condizioni di rivolgersi ad altro notaio che possa operare al di fuori dell’area interessata dalla misura di contenimento.
Se così non fosse, non sarà possibile per le parti concludere il contrato definitivo di vendita e, pertanto, nessuna delle parti potrà essere ritenuta inadempiente.
h) Previsione che l’accesso ai servizi pubblici sia condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale o all’adozione di particolari misure di cautela individuate dall’autorità competente.
Potrebbe essere emessa una misura di contenimento che vieti l’accesso agli studi notarili in assenza di dispositivi di protezione individuale o dell’adozione di particolari misure di cautela.
In questo caso le parti, così come il notaio, dovranno adeguarsi alle misure di cautela individuate dall’autorità competente. Si pensi, ad esempio, ad una misura che imponga di indossare mascherine e guanti protettivi.
Il problema potrebbe sorgere nel caso in cui tali dispositivi di protezione individuale non siano reperibili sul mercato. In questo caso pare del tutto legittimo il rifiuto delle parti di recarsi presso lo studio notarile.
Altro problema potrebbe essere quello della inadeguatezza dello studio notarile. Si pensi al caso di un ufficio di dimensioni ridotte, nel quale non sia fisicamente possibile mantenere le distanze minime tra le persone imposte dall’autorità.
In questo ultimo caso, la generale possibilità di utilizzare gli strumenti della procura o della scrittura privata con firme autenticate in momenti differenti, così come la possibilità di individuare luoghi alternativi per la conclusione del contratto definitivo di vendita, pare siano fattori tali da rendere difficilmente giustificato il rifiuto di una delle parti di concludere il contrato definitivo di vendita.
i) Limitazione all’accesso o sospensione dei servizi del trasporto di merci e di persone terrestre, aereo, ferroviario, marittimo e nelle acque interne, su rete nazionale, nonché di trasporto pubblico locale, anche non di linea.
Le limitazioni di cui al presente punto assumeranno evidentemente rilevanza nel solo caso in cui almeno una delle parti abbia la necessità di utilizzare i servizi di trasporto per raggiungere il luogo fissato per la conclusione del contratto definitivo di vendita.
Anche in questo caso, le difficoltà logistiche potrebbero essere superate ricorrendo agli strumenti della procura o della scrittura privata autenticata in luoghi differenti e anche da notai diversi.
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L’inesigibilità della prestazione secondo buona fede.
In chiusura, bisogna dar conto della figura giuridica della inesigibilità della prestazione, che costituisce una possibile difesa del debitore e uno strumento atto ad escludere il ricorrere dell’inadempimento pur in una situazione di astratta possibilità della prestazione.
Si ha inesigibilità tutte le volte in cui la pretesa di adempimento avanzata dal creditore appare “abusiva”, cioè contraria al canone della buona fede cui dev’essere improntata l’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), in relazione a fatti sopravvenuti rispetto alla conclusione dello stesso. Possono rilevare, in questo senso, impedimenti fisici, costi di adempimento eccessivi (pur non costituenti eccessiva onerosità sopravvenuta), difficoltà materiali o morali, ecc., da valutarsi in base al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. Circostanze, queste, che secondo un’autorevole dottrina (Mengoni), possono anche portare ad un ampliamento della rilevanza della forza maggiore o dell’impossibilità o dell’eccessiva onerosità.
Occorre quindi valutare, in aggiunta a quanto sopra rilevato in ordine all’impossibilità della prestazione, il fatto che l’attuale emergenza sanitaria ben può dar luogo a situazioni che, per quanto non rendano assolutamente impossibile l’adempimento di un’obbligazione (ad es. quella di concludere il contratto definitivo di vendita in forma notarile), possono far apparire una pretesa di adempimento contraria al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e – in definitiva – contrario alla regola della buona fede oggettiva.
(1) integrazione aggiunta in data 23/03/2020. Allo stato attuale, peraltro, l’ambito di applicazione (e la stessa portata precettiva) dell’art. 10, comma 4, d.l. 9/2020 appare quantomeno incerto. Ciò dipende dalla sequenza degli ultimi provvedimenti “emergenziali”, i quali hanno condotto, con particolare riferimento alla sospensione dei termini legali e convenzionali, ad una situazione di obbiettiva incertezza che è oggetto di uno specifico approfondimento su questa Rivista.
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AUTORE

Notaio dal 2012. Ha insegnato alla Scuola di Notariato della Lombardia (Anno 2013/2014) in materia di diritti reali, pubblicità e garanzie. È consulente per il sito “Comprar casa senza rischi” dal 2012 e consulente “MECA – Mercato milanese della casa” dal 2012. Ha superato l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio dell’attività forense nel 2008.