Il D.L. 24 aprile 2017 n. 50, convertito nella Legge 21 giugno 2017 n. 96[1], ha introdotto una novità rivoluzionaria per tutte le s.r.l. qualificabili come piccole medie imprese. Il D.L. in questione, difatti, in deroga ai capisaldi della disciplina codicistica della s.r.l., prevede che tutte le PMI, innovative e non, in forma di s.r.l. possano:
- creare delle categorie di quote, dotate di diversi diritti amministrativi o patrimoniali;
- compiere operazioni sulle proprie partecipazioni, in attuazione a piani di incentivazione;
- offrire al pubblico le quote di partecipazione.
Per comprendere la rilevanza della modifica, occorre delineare l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione.
Quando un’impresa può essere qualificata come PMI? Il legislatore nazionale non definisce la piccola media impresa, ma rinvia alle parole del legislatore comunitario. Infatti, l’art. 1, comma 5-novies del TUF richiama l’articolo 2, paragrafo 1, lettera (f), primo alinea, del Regolamento (UE) 2017/1129, secondo cui la PMI è quella società che, in base al suo più recente bilancio annuale o consolidato, soddisfa almeno due dei tre seguenti criteri:
- numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250;
- totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di euro;
- fatturato netto annuale non superiore a 50 milioni di euro.
Secondo i dati Istat 2016[2], circa il 95% delle s.r.l. italiane sono PMI. La riforma investe, pertanto, la quasi totalità delle s.r.l. nazionali.
Ma analizziamo nel particolare cosa prevede la nuova normativa.
L’art. 26, 2° comma, del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, come modificato dal citato D.L. 24 aprile 2017 n. 50, statuisce che l’atto costitutivo di una PMI in forma di s.r.l. possa prevedere la creazione di categorie di quote.
Al pari di ciò che accade nelle s.p.a., è quindi ammessa la standardizzazione delle partecipazioni delle PMI s.r.l.
E’ evidente l’allontanamento dalla disciplina della tradizionale società a responsabilità limitata.
Difatti, l’art. 2468 c.c. vieta alle s.r.l. l’emissione di azioni, in quanto frazioni identiche e omogenee del capitale sociale, e attribuisce una enorme rilevanza all’identità e alla figura del socio, quale criterio di ripartizione del capitale in quote e quale specifico e unico destinatario di particolari diritti. L’art. 26 suindicato, invece, ammette l’oggettivizzazione delle quote di s.r.l. e la differenziazione delle categorie sulla base dei diversi diritti amministrativi o patrimoniali ad esse inerenti.
L’atto costitutivo di una PMI in forma di s.r.l. può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie, nei limiti imposti dalla legge.
Possono essere costituite categorie di quote che non attribuiscono diritti di voto o che attribuiscono diritti di voto in misura non proporzionale o con diritto di voto limitato a particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative[3] (art. 26, 3° comma, del medesimo D.L.).
La disposizione riecheggia il dettato dell’art. 2351 c.c., che disciplina le categoria di azioni nella s.p.a., ma non riproduce le limitazioni in esso previste, relativamente all’emissione di azioni con voto depotenziato o con voto plurimo.
Tali limitazioni devono ritenersi applicabili anche alle PMI in forma di s.r.l.?
In realtà, i limiti di cui all’articolo 2351 c.c. sono giustificati dall’esigenza di evitare, nella s.p.a., un eccessivo squilibrio tra proprietà e controllo. Pertanto, è plausibile ritenere che essi non trovino ragione di esistere nella s.r.l., connotata da una maggiore flessibilità nell’attribuzione del potere di nomina degli amministratori, anche quale diritto particolare al singolo socio, e nell’assegnazione del potere di amministrazione ai soci, indipendentemente dalla partecipazione detenuta.
La presenza di differenti categorie di quote è il segnale della svolta più prettamente “capitalistica” della PMI in forma di s.r.l., in cui è possibile classificare i soci, sulla base degli interessi meramente economici-remuneratori o gestori sottesi alla partecipazione in società[4].
La riforma presenta altri due punti rilevanti, che contribuiscono a disegnare la PMI in forma di s.r.l. come una società elastica e aperta al mercato.
In primo luogo, è consentito alle PMI in forma di s.r.l. di compiere operazioni sulle proprie partecipazioni, a condizione che esse siano eseguite in attuazione a piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche professionali (art. 26, 6° comma, del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179).
Si tratta di una deroga all’art. 2474 c.c., giustificata da una precisa ragione.
L’eccezione è motivata dall’intento di irrobustire la struttura delle PMI, raccogliendo capitali e accogliendo nella compagine sociale il numero più alto possibile di investitori, compresi i soggetti in qualche modo legati alla società.
La disposizione non richiama le limitazioni nell’acquisto dettate per le s.p.a. dall’art. 2357 c.c. e ss., ma si ritiene che, per evitare fenomeni di annacquamento del capitale, connaturati in tali operazioni, esse siano applicabili per analogia.
In secondo luogo, è ammesso offrire al pubblico le quote di PMI in forma di s.r.l., anche mediante portali on-line, come previsto dal combinato disposto degli art. 26, 5° comma, e 30 del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179. Le disposizioni sottolineano nuovamente la tendenza della PMI s.r.l. ad avvicinarsi ad un assetto tipicamente corporativo- finanziario, ricorrendo indistintamente e in maniera diffusa al pubblico risparmio.
A tal fine, risulta essenziale la ripartizione delle quote in categorie.
Difatti, l’art. 2468 c.c. vieta l’offerta al pubblico delle quote delle s.r.l. in virtù della rilevanza della personalizzazione delle quote e, dunque, della incompatibilità tra sollecitazione all’investimento e collegamento quota – persona.
Diversamente, nelle PMI in forma di s.r.l., la standardizzazione delle quote ha eliminato il nesso quota – persona, facendo cadere anche il divieto alla sollecitazione all’investimento.
L’articolo 30 del D.L. ha introdotto nel TUF l’art. 50-quinquies e l’art. 100-ter (sostituito dall’art. 4, comma 3, lett. a), D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129), disciplinanti la gestione dei portali per la raccolta di capitali per le PMI e le relative offerte, costituendo la prima forma di regolamentazione del c.d. equity crowdfunding nel nostro ordinamento[5].
In particolare, il comma 1 dell’art. 100-ter del TUF prevede la possibilità di offrire al pubblico, attraverso i portali per la raccolta di capitali, gli strumenti finanziari di tutte le PMI, a prescindere dal carattere innovativo e dalla tipologia societaria, mentre i commi 1-bis e 2-bis dettano una normativa specifica per quanto riguarda l’offerta al pubblico delle quote di PMI in forma di s.r.l.
L’ampliamento del perimetro di applicazione del crowdfunding a tutte le PMI (prima era previsto per le sole start-up innovative e per le PMI innovative in forma di s.r.l.) è connessa all’esigenza di agevolare anche le imprese tradizionali, le quali possono beneficiare di canali alternativi di finanziamento, come il crowdfunding, in questo momento di crisi economico-finanziaria.
L’attività di gestione dei portali on-line è riservata alle SIM, alle imprese di investimento UE, alle imprese di paesi terzi diverse dalle banche autorizzate in Italia, alle banche autorizzate ai relativi servizi di investimento e ai soggetti iscritti in un apposito registro tenuto dalla Consob, a condizione che questi ultimi trasmettano gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale esclusivamente alle SIM, alle imprese di investimento e alle banche.
L’alienazione delle quote delle PMI in forma di s.r.l. per mezzo dei portali on-line è una modalità alternativa di trasferimento delle quote, che si aggiunge e non elimina quella tradizionale.
Nel caso in cui si scelga per la circolazione con regime di dematerializzazione, la sottoscrizione delle quote viene effettuata per il tramite di intermediari abilitati, che depositano nel Registro delle Imprese una certificazione attestante la titolarità di soci per conto di terzi ed effettuano l’intestazione delle quote in nome proprio e per conto dei sottoscrittori.
Essi possono rilasciare ai sottoscrittori una certificazione comprovante la titolarità delle quote. Tale certificato è un titolo di legittimazione per l’esercizio dei diritti sociali, nominativo e non trasferibile. L’alienazione delle quote avviene mediante una semplice annotazione del trasferimento nei registri tenuti dall’intermediario, senza costi né per l’acquirente né per l’alienante.
Dal quadro normativo appena delineato emerge con chiarezza come la riforma abbia reso la s.r.l., quando piccola media impresa, una tipologia societaria completamente plasmabile dai soci. I soci, difatti, possono decidere se attribuire alla s.r.l. i caratteri tradizionali o quelli del tutto diversi della nuova normativa[6].
Dunque, la s.r.l. smette di essere esclusivamente una società chiusa e con spiccata personalizzazione, per mostrare un volto nuovo ed alternativo di società aperta e disposta a raccogliere capitali utilizzando i canali più disparati. Singolare, tuttavia, è che questa flessibilità venga concessa alle sole s.r.l. di piccola e media dimensione, mentre le grandi s.r.l., nelle quali la standardizzazione e l’offerta al pubblico delle quote potrebbero essere funzionali al consolidamento delle stesse società, sono vincolate alla più rigida disciplina del codice e, dunque, sono condannate a restare s.r.l. “chiuse”.
Infine, non resta che evidenziare come, in questo suo ultimo intervento, il legislatore sembra aver dimenticato i propositi della riforma societaria del 2003. Difatti mentre allora il legislatore intendeva spogliare la s.r.l. delle vesti di una piccola s.p.a., per strutturarla come una società di capitali molto vicina alle società di persone, ora il legislatore è ritornato sui suoi passi e ha nuovamente assottigliato i confini tra s.r.l. e s.p.a.
[1] Il D.L. 24 aprile 2017 n. 50 ha modificato l’art. 26 del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, dedicato originariamente alle sole start-up innovative.
[2] Dati Istat, Rapporto annuale, 2016.
[3] La deroga al principio di proporzionalità voto – partecipazione, con riferimento a tutti i soci o ad un singolo socio, nella forma del diritto particolare, era già ammessa dal Consiglio Notarile di Milano, massima n. 138 (13 maggio 2014); R. Guglielmo – M. Silva, I diritti particolari del socio. Ambito oggettivo di applicazione e fattispecie, Studio n. 242-2011/I, in Studi e materiali, 2012, p. 91.
[4] L’introduzione delle categorie di quote crea delle problematiche di carattere sistematico, in ordine alla costituzione di assemblee speciali e all’approvazione delle delibere dei soci che possono incidere sui diritti incorporati nelle quote. Pare opportuno l’inserimento, nello statuto, di una clausola che richiami la disciplina prevista nelle s.p.a.: in tal senso E. Fregonara, L’equity based crowdfunding: un nuovo modello di finanziamento per le start up innovative, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 2287.
[5] La Consob, sulla base della delega contenuta nell’art. 30, ha adottato il Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line, con delibera n. 18592 del 26 giugno 2013, modificata dalle delibere del 24 febbraio 2016 n. 19520, del 29 novembre 2017 n. 20204 e del 17 gennaio 2018 n. 20264. Il Regolamento istituisce il registro dei gestori di portali, indicando i criteri di iscrizione e le regole di condotta, e definisce una serie di obblighi generali di comportamento dei gestori, in termini di diligenza, correttezza e trasparenza. L’art. 24 del Regolamento della Consob disciplina le condizioni di ammissione dell’offerta sul portale per le PMI:
- lo statuto (o l’atto costitutivo) della società offerente deve prevedere il diritto di recesso o il diritto di co-vendita delle proprie partecipazioni (nonché le relative modalità e condizioni di esercizio) in favore dell’investitore non professionale o di investitori professionali, fondazioni bancarie o incubatori di start-up innovative che abbiano acquistato o sottoscritto strumenti finanziari offerti tramite portale, in caso di trasferimento (da parte dei soci di controllo) del controllo a terzi. Tali diritti devono essere riconosciuti per almeno tre anni dalla conclusione dell’offerta;
- eventuali patti parasociali devono essere comunicati alla società e pubblicati sul sito internet della società;
- almeno il 5% degli strumenti finanziari offerti devono essere sottoscritti da investitori professionali, fondazioni bancarie, incubatori di start-up innovative o investitori a supporto delle PMI, aventi un valore del portafoglio di strumenti finanziari, inclusi i depositi in contante, superiore a cinquecentomila euro, in possesso dei requisiti di onorabilità e di almeno uno dei seguenti requisiti:
- esecuzione, nell’ultimo biennio, di almeno tre investimenti nel capitale sociale o a titolo di finanziamento soci in piccole e medie imprese, ciascuno dei quali per un importo almeno pari a quindicimila euro;
- titolarità, per almeno dodici mesi, della carica di amministratore esecutivo in piccole e medie imprese diverse dalla società offerente.
[6] Con un vivace richiamo letterario, parla di s.r.l. “senza qualità” O. Cagnasso, Start-up e P.M.I. innovative: inquadramento, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 2285.

AUTORE

Notaio in San Martino in Rio (Reggio-Emilia). Nell’aprile 2010 si laurea con lode presso la Luiss “Guido Carli”. Già avvocato del Foro di Roma, supera il concorso notarile indetto con D.M. 26 settembre 2014. E’ dottoranda di ricerca in Diritto e Impresa presso la Luiss “Guido Carli” nonché cultrice della materia di Diritto Commerciale nella medesima Università. Visiting researcher presso l’Università Ruprecht Karl di Heidelberg.