a cura di Marco Chiostrini
1) Collocazione sistematica, impianto definitorio e disciplina.
2) L’essenzialità del vantaggio fiscale
3) L’assenza di sostanza economica
4) responsabilità e funzione notarile – casistica ed ipotesi.
Come noto, l’istituto in discorso[1] è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’articolo 1 del D. Lgs. 128 del 5 agosto 2015.
Tale articolo aggiunge alla legge 27 luglio 2000, n. 212[2] un nuovo articolo 10 bis, in evidente (e quasi polemica) situazione di simmetria col precedente articolo 10; quest’ultimo, infatti, tratta (della tutela) dell’affidamento e della buona fede del contribuente; l’articolo 10 bis con ovvia contrapposizione sistematica, disciplina le attività “abusive”[3] del contribuente dirette a conseguire risparmi fiscali indebiti.
Come ampiamente annunciato[4] il D. Lgs. è entrato in vigore il 2 settembre 2015; il 5° comma dell’articolo 1 del D. Lgs. stabilisce però che l’articolo 10-bis L. 212/2000 acquisti efficacia il 1° ottobre successivo, ma con applicazione anche per le operazioni poste in essere in data anteriore, per le quali non sia diventata definitiva l’imposizione tributaria[5] [6].
La rubrica della norma in discorso[7] unifica in unica fattispecie abuso ed elusione, vanificando (per ora) ulteriori elaborazioni distintive tra le due figure; al contempo, connota l’abuso con i caratteri della residualità e genericità della fattispecie.
Il carattere residuale dell’abuso emerge con chiarezza dal comma 12 dell’articolo 10-bis, secondo il quale “In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie” .
Questo vale senz’altro a differenziare l’abuso dall’evasione, ma sembra altresì lasciare aperta la possibilità di convivenza tra l’articolo 20 testo unico imposta di registro e l’abuso di diritto quale strumento residuale.[8]
In conseguenza, là dove non giunge la riqualificazione ex art. 20 T.U. (che ricostruisce la vera natura di un atto), sarebbe quindi possibile la riqualificazione ex 10-bis, che ricostruisce la funzione vera (ovvero abusiva) di una fattispecie (anche eventualmente plurinegoziale).
Per contro, il nuovo articolo 10-bis supera la precedente settorialità delle norme antielusive, quale fattispecie di carattere generale riferibile a vantaggi “indebiti” inerenti qualunque tipo di tributo[9].
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Nella nuova sistematica legislativa, l’abuso del diritto è distinto da un impianto definitorio apparentemente univoco.
Costituiscono infatti abuso del diritto:
– una o più operazioni
– prive di sostanza economica che
– realizzano essenzialmente vantaggi fiscali
– indebiti.
Gli elementi strutturali di cui al primo comma sono a loro volta subdefiniti dal secondo comma.
In base a quest’ultimo:
– “privo di sostanza economica” è quanto è inidoneo a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali,
– “vantaggio fiscale indebito” è quello realizzato in contrasto con le finalita’ delle norme fiscali.
Sostituendo, come in una equazione, ciascun termine con la sua (sub)definizione, si ottiene che è abusiva “l’operazione inidonea a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali e che realizza essenzialmente vantaggi fiscali in contrasto con le finalità delle norme tributarie”.
A questo livello di destrutturazione, non sfuggono due elementi che verranno sviluppati nel seguito di questo contributo:
– la sostanziale circolarità della definizione e la sua modesta portata ermeneutica;
– la valutazione funzionale, e non causale, della fattispecie[10].
Inoltre, appare da subito evidente come, in continuità con l’evoluzione giurisprudenziale di cui si dirà in appresso, gli elementi portanti dell’abusività siano la preminenza del motivo fiscale e l’assenza della sostanza economica.
Particolare attenzione meriterebbe però il riferimento al carattere “indebito” del vantaggio fiscale[11].
Di per sè questa locuzione non avrebbe significato: se la fattispecie generativa è “abusiva”, il vantaggio non può che essere “indebito”; e d’altra parte, se il vantaggio è indebito, la fattispecie generativa non può essere legittima, dato che l’esercizio (corretto) del diritto, per definizione non può mai comportare un abuso[12].
Sotto questo profilo, anzi, non sembrerebbe sensato includere la qualificazione dell’effetto nella definizione della causa. Una volta definita abusiva la seconda, si qualifica necessariamente come indebito il primo.
Tuttavia, nella logica dell’abuso del diritto, si perviene per via interpretativa alla de-valutazione di meritevolezza per una condotta che l’ordinamento sembra considerare a prima vista corretta; e quindi nel procedimento logico sono imprescindibili i criteri di merito attraverso i quali l’interprete può arrivare alla de-qualificazione[13].
Qualificando “indebito” il vantaggio “in contrasto con le finalità … tributarie[14]” ed elevandolo a elemento qualificativo della condotta abusiva si ottiene un triplice effetto:
– in primo luogo, la convenienza tributaria dell’operazione diventa elemento dequalificante della stessa, tale da dover essere giustificata da ragioni extratributarie per scongiurare la qualificazione di “abuso”[15];
– in secondo luogo, si offre alla Amministrazione Finanziaria una sorta di delega interpretativa in bianco circa la rispondenza a giustizia tributaria di una fattispecie formalmente corretta;
– infine a fronte di un riferimento teleologico assai generico “le finalità delle norme fiscali” si garantisce una sorta di “legittimazione morale” alla norma.
Questa è per definizione “legge giusta” in quanto colpisce “condotte abusive” e “vantaggi indebiti”; mentre in effetti tale legittimazione sembra derivare più dalla valenza emotiva delle parole che dal bilanciamento degli interessi sottostanti. [16] [17]
In altre parole, la produzione di un vantaggio fiscale appare qualificata come fattispecie sintomatica di possibile abuso e, assimilandola alla contraddizione della finalità ordinamentale tributaria, è in pratica elevata a elemento di disvalore dell’operazione considerata[18].
L’effetto della abusività dell’operazione è il disconoscimento della stessa [19]e la tassazione “sulla base delle norme e dei principi elusi”, al termine di un procedimento di verifica in contraddittorio.
Si vede quindi come venga sostanzialmente recepito il concetto di “abuso della forma giuridica” adottata[20]; si assume cioè che la forma giuridica non qualifichi adeguatamente la sostanza economica dell’operazione, di modo che questa viene sottratta alla disciplina tributaria preferenziale (assunta come inadeguata) e riportata alla disciplina più gravosa (assunta come normale).[21]
D’altra parte l’abusività dell’operazione non passa da un vaglio accertativo della giurisprudenza[22] e di per sè non è ricondotta alla patologia del negozio in senso civilistico[23], per cui la valutazione di “abusività” tributaria della fattispecie non comporta disconoscimento della tutela giuridica (e quindi della meritevolezza) dell’atto nel diritto civile.
In altre parole, la “accertata” abusività non comporta di per sè invalidità del negozio, non pone problemi di opponibilità ai terzi, non è idonea a pregiudicare i diritti degli aventi causa e (quindi) non ha conseguenze circa la certezza del diritto soggettivo derivante dall’operazione discussa[24].
L’effetto della abusività della fattispecie si risolve invece tutto e solo sulla (ri)valutazione tributaria della realtà considerata.
L’atto asseritamente abusivo è inopponibile all’amministrazione tributaria la quale gestisce la fattispecie generatrice d’imposta (anzi, “ogni” fattispecie generatrice di imposta) come se quell’atto (o atti) non fosse(ro) mai stati posti in essere.
Se non sembra irrispettoso, è come se l’amministrazione creasse una realtà alternativa nella quale l’operazione abusiva non è mai avvenuta, e procedesse su quella alla valutazione dell’esito tributario, determinando le imposte dovute e “tenendo conto” di quanto effettivamente pagato dal contribuente nella realtà effettuale[25].
Tornando, alla luce di quanto sopra considerato, alla valutazione strutturale dell’abuso del diritto, elementi costitutivi della fattispecie sono:
– l’ assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate,
(in quanto) – il vantaggio fiscale è motivo essenziale dell’operazione,
(poichè vi è) – assenza di valida ragione extra fiscale.
A queste condizioni, come si è visto, il vantaggio può essere solo indebito e l’atto solo abusivo.
L’esistenza di finalità extrafiscale meritevole di tutela invece esclude in radice l’abuso del diritto e l’eventuale vantaggio fiscale non può essere qualificato indebito[26].
Volendo semplificare, il vantaggio fiscale non è indebito quando costituisce un effetto collaterale di una operazione per altri fini voluta.
E’ quindi opportuno valutare in dettaglio cosa indichino i concetti utilizzati, e quale sia il percorso logico attraverso il quale si è giuti alla loro definizione.
L’ESSENZIALITA’ DEL VANTAGGIO FISCALE – [ASSENZA DI] ALTRE RAGIONI VALIDE:
Come già si è osservato sopra, l’attuale normativa in materia di abuso del diritto recepisce conclusioni e percorsi argomentativi già da tempo elaborati in sede giurisprudenziale[27].
Al riguardo, il fondamentale momento di emersione dell’abuso del diritto in sede giurisprudenziale è la sentenza Corte di Giustizia U.E., 21 febbraio 2006, procedimento C-255/02 (caso Halifax)[28].
In tale sede la Corte è giunta a definire l’abuso del diritto come un insieme di operazioni che “nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni … [sono volte a] … procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Non solo. Deve altresì risultare, da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”.
Peraltro, al paragrafo 75 della stessa sentenza, la Corte precisa che “il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali”.
Su questa base, la C.G.U.E. ha interpretato la VI direttiva in materia tributaria ampliando le ipotesi (altrimenti tipizzate) di elusione ivi contemplate, e dando la prima e fondamentale definizione di abuso di diritto, inteso peraltro come principio generale, tipologicamente astratto e genericamente ricorribile[29].
Anche per la C.G.U.E. (in corrispondenza a quanto ora ribadito anche dal comma 4 dell’art. 10-bis), dato che è legittimo [non abusivo] l’esercizio della scelta tra più opzioni fiscalmente ammissibili, e che palesemente è legittimo invocare l’esercizio di un diritto, il concetto di vantaggio fiscale quale scopo essenziale dell’operazione si ha allorché l’attività economica non abbia altra spiegazione che quella di precostituire quello specifico diritto al vantaggio che alla fine si esercita[30].
La Corte di Cassazione Italiana anche prima della citata sentenza Halifax, individuando nell’articolo 37 bis D.P.R. 600/1973 (ora abrogato) l’emersione di un principio generale, riteneva possibile per l’amministrazione finanziaria dedurre in giudizio il contribuente onde contestargli gli (effetti degli) atti posti in essere per simulazione, nullità “abuso del diritto” nazionale o comunitario ovvero per assenza di causa delle fattispecie, che sarebbero state poste in essere a mero scopo di risparmio fiscale[31].
Successivamente alla detta sentenza C.G.U.E. la Corte ha avuto modo di specificare che «la sesta direttiva aggiunge nell’ordinamento comunitario, direttamente applicabile in quello nazionale, alla tradizionale bipartizione dei comportamenti dei contribuenti in tema di iva, in fisiologici e patologici (propri delle frodi fiscali), una sorta di tertium genus in dipendenza del comportamento abusivo ed elusivo del contribuente, volto a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale ed autonoma ragione economica giustificatrice delle operazioni economiche che risultano eseguite in forma solo apparentemente corretta ma in realtà elusiva». [32]
Successivamente, l’ambito ricostruttivo della Corte si è affinato, precisando che in effetti la fattispecie in discorso prescindeva dall’accertamento della simulazione o della frode[33] e che spettava al contribuente la dimostrazione della esistenza di valide ragioni extrafiscali giustificative dell’operazione[34]; attraverso questo percorso, quindi, l’abuso del diritto si configurava definitivamente come fattispecie autonoma rispetto alla patologia in senso stretto, anche se (al tempo) continuava a rendersi necessaria la sua contestazione giudiziale.
Appare evidente, quindi, che anche prima del settembre 2015 la giurisprudenza aveva elaborato e reso vivente un impianto logico sostanzialmente sovrapponibile a quello importato dalla norma in commento, i cui capisaldi concettuali possono essere così sintetizzati:
– esiste un principio generale inerente la repressione dell’abuso del diritto tributario;
– che trova – nel diritto interno – la sua legittimità costituzionale nell’articolo 53 Cost;
– l’abusività dell’operazione è rilevabile anche d’ufficio[35];
– la presenza di specifiche norme antielusive anche se sopravvenute non impedisce comunque l’applicazione di un principio generale;
– i parametri chiave sono (l’assenza di) sostanza economica e di ragioni extra fiscali non marginali;
– (se non marginale) l’esistenza di finalità ulteriore meritevole di tutela esclude in radice l’abuso del diritto e l’eventuale vantaggio fiscale non può essere qualificato indebito.
L’ASSENZA DI SOSTANZA ECONOMICA
Il concetto di sostanza economica si interpreta alla luce dell’articolo 37 bis d.p.r. 600 del 73 (ora abrogato[36]) il quale sanziona di inopponibilità tributaria i negozi e atti privi di valide ragioni economiche; il tutto ulteriormente specificato dal paragrafo a del comma due art. 10-bis il quale ritiene priva di sostanze economica la fattispecie la quale non produce effetti significativi diversi dal vantaggio fiscale.
Quanto sopra mostra come la valutazione dell'(in)esistenza della sostanza economica si ottenga dalla comparazione della fattispecie precedente e successiva l’operazione; se gli assetti di questi due scenari coincidono l’operazione deve ritenersi priva di sostanza economica[37].
Tuttavia è impostante osservare che:
– la comparazione non attiene all’efficacia giuridica, ma all’assetto degli interessi economici;
– la valutazione della fattispecie è di carattere motivazionale/effettuale e non contenutistico o causale.
In altri termini, riprendendo una notissima e fortunatissima dottrina[38] non è sufficiente che l’operazione abbia prodotto effetti “negoziali”, ovvero una situazione giuridica “nuova” rispetto a quella preesistente[39], ma vanno valutati i c.d. “effetti finali”, ovvero, a mente dell’articolo 1321 c.c, la modifica del rapporto giuridico patrimoniale effettivamente intercorrente tra le parti e – si deve aggiungere – in base all’effetto concreto che si produce. E d’altra parte, anche nella letteratura civilistica si osserva[40] che è con questo tipo di comparazione funzionale che si enuclea lo scopo effettivamente perseguito dalle parti col negozio.
Da un punto di vista teorico, quindi, e forse solo un punto di vista teorico, la struttura logica è chiara:
= la funzione dell’atto prevale sulla sua forma e anche sui suoi effetti;
= la funzione extrafiscale intanto rileva, in quanto sia univoca e prevalente.
Il che comporta corollari importanti:
= non è sufficiente dimostrare che l’atto ha prodotto effetti giuridici per affermarne la sostanza economica;
= la tipicità causale dell’atto (ancorchè non simulato) non è sinonimo di sostanza economica;
= se non si dimostra che l’operazione ha prodotto un mutamento degli assetti economici intrinsecamente interessante in concreto per la parte, a prescindere dal vantaggio fiscale che ne deriva.
RESPONSABILITA’ E FUNZIONE NOTARILE
Sotto un profilo squisitamente notarile, le osservazioni che precedono conducono ad alcune considerazioni più specifiche.
Sebbene il D. Lgs 128/2015 si intitoli alla “certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente”[41], appare abbastanza evidente che tale normativa introduce una nuova tipologia di sindacato (degli effetti) dell’atto; e in conseguenza, che si ampliano le possibili ipotesi nelle quali l’interesse concreto del contraente alla “giusta minor tassazione”[42] potrebbero essere revocate in dubbio dalla Amministrazione Finanziaria .
D’altra parte, è esperienza comune che talvolta le parti si determinano a talune operazioni proprio anche per i risultati fiscali che ne conseguono a più lungo raggio e che sempre la variabile fiscale è rilevante nella valutazione di una operazione.
Data la nota tendenza giurisprudenziale alla individuazione di una ampia responsabilità notarile in consulendo, anche in campo fiscale[43], è verosimile che quanto in commento porterà alla necessità di maggiore sensibilità professionale nella pre-visione delle fattispecie più facilmente sindacabili[44], nonchè alla necessità di formare nel cliente una sorta di “consenso informato”.
Si deve infatti osservare che, a fronte di una operazione fiscalmente conveniente, ma passibile di disconoscimento tributario, il notaio che la ricevesse senza avvertire la parte del rischio inerente incorrerebbe verosimilmente in responsabilità in caso di (affermato) abuso del diritto; ma analoga e simmetrica responsabilità graverebbe sul notaio che semplicemente non proponesse l’atto o l’operazione in discorso, in quanto gli si potrebbe contestare di non avere prospettato al cliente una operazione potenzialmente vantaggiosa.
Dato il dilemma che precede, appare probabile che la categoria notarile finirà per importare e/o implementare le modalità di consenso informato già da tempo in atto in contesto medico e clinico; e in tale ambito una sub-problematica ancora da definire sarà la verifica della tenuta di tale contrattualistica rispetto alle disposizioni del codice del consumo.
Ma d’altra parte, accanto alla tematica della difesa “dal cliente” è evidente che altra cura andrà dedicata alla difesa “del cliente” (informato) rispetto a operazioni che egli, in buona (o meno buona) fede, voglia porre in essere anche per scopi di risparmio fiscale[45]. E in conseguenza, è imprescindibile valutare se si possano delineare alcune considerazoni generali circa gli atti più verosimilmente revocabili in discussione.
Al riguardo, se è vero che la “sostanza economica” (escludente l’intento abusivo) corrisponde a un mutamento economico-patrimoniale effettivo e di prevalente interesse extrafiscale, allora vi sono alcune categorie la cui emersione, al temine dell’istruttoria prevista, costituirebbe verosimilmente fattispecie sintomatica di abuso del diritto; tra queste, è il caso di ricordarne almeno quattro:
a) gli atti simulati. Come già osservato, la simulazione non ricorrerebbe come fattispecie intrinsecamente riprovevole, ma come indizio della assenza di una causa effettiva del negozio. In altre parole, difficilmente si potrebbe sostenere che una certa operazione è voluta per scopi effettivi extrafiscali quando nemmeno, in concreto, è voluta per sé;
b) gli atti destinati a una risoluzione più o meno automatica. Una condizione risolutiva di sicuro o molto probabile avveramento, apposta a un atto che comporti un vantaggio fiscale, è verosimile espressione dell’assenza di interesse delle parti al mantenimento dell’assetto negoziale, che quindi sarà stato voluto al solo fine del risparmio d’imposta interinale; la fattispecie nel suo insieme, quindi, avrebbe ottime possibilità di essere ritenuta abusiva.
E’ chiaro che in punto di teoria non si può escludere la ricorrenza di un interesse concreto extrafiscale per la creazione di negozi ad efficacia instabile; ma tale interesse (a richesta dell’amministrazione finanziaria) deve essere dimostrato dal contribuente, e non deve essere nè marginale nè teorico o eventuale[46]; e d’altra parte l’esperienza professionale mostra come siano in effetti rari i casi in cui l’intento empirico delle parti richieda l’apposizione di condizioni o termini, soprattutto negli atti traslativi;
c) gli atti che comportano uno spostamento patrimoniale effettivo e/o stabile, ma revocabili ad nutum e/o residuanti in capo al dante causa un potere di disposizione. Questa fattispecie è stata abbondantemente esplorata in materia di trust, ma è suscettibile di applicazione generale;
d) gli atti effettivamente stabili, innovativi della situazione giuridica soggettiva, ma non innovativi dell’assetto economico complessivo di enti plurisoggettivi complessivamente intesi.
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Come visto l’abuso del diritto è fattispecie procedimentale, mirante proprio ad accertare l’assenza di sostanza economica. E, verificata questa, il carattere indebito del vantaggio fiscale è pressoché automatico.
Per cui sono (verosimilmente) destinati ad avere resistenza gli atti per i quali si possa dimostrare la stabilità dell’effetto economico e la motivazione non meramente fiscale dell’atto stesso[47].
Le valide ragioni extra fiscali non marginali sono legislativamente riferite alle attività produttive (comma 3) e per il resto sono categoria aperta, il cui onere probatorio ricade sul contribuente ex comma 9[48].
Sotto il profilo operativo, appare ragionevole ritenere che questa nuova normativa potrebbe comportare un ripensamento dell’approccio notarile all’aspetto motivazionale degli atti meno ovvi, e alle conseguenti modalità redazionali.
In particolare, appare verosimile pensare che gli atti meno consueti, soprattutto se le loro implicazioni fiscali sono o potrebbero essere favorevoli, dovranno essere sorretti (anche redazionalmente) da una parte motivata, verosimilmente in premessa, dove venga dato conto dei motivi (extrafiscali) che hanno condotto le parti al negozio[49].
Del pari, soprattutto nel campo degli atti traslativi privi di corrispettivo evidente, è probabile che il notaio debba affinare l’enunciazione causale del trasferimento, individuando la causa concreta che, seppure non di scambio, giustifica la prestazione.
E’ possibile – in una prospettiva futura, ma non remota – che venga rivalutato il sistema dei trasferimenti causa familiae, o – soprattutto in ambito post-successorio – quello dell’adempimento dell’obbligazione naturale; e potrebbe essere interessante verificare se questa nuova normativa possa portare (al di là delle problematiche pratiche che la accompagnano) a una rivalutazione della causa donativa.
Tuttavia, è difficile negare che l’abuso del diritto, operando non sotto il profilo causale, ma sotto quello empirico, non può essere escluso dalla mera qualificazione causale del negozio, ma piuttosto dalla dimostrazione che tale causa è stata effettivamente perseguita dalle parti e costituiva il loro obiettivo primario. Quindi, in definitiva, sarà necessario dimostrare che la necessità empirica soddisfatta col negozio preesisteva al negozio stesso e prevaleva sulla aspirazione al risparmio di imposta che invece si è conseguito[50].
Note:
[1] Intendendosi quale “istituto” l’insieme di norme che regolano una fattispecie e la sua disciplina
[2] Statuto dei diritti del contribuente
[3] Sul termine “abusivo” (traduzione parzialmente infedele dell’angolosassone “unfair”) molto è già stato scritto; per una panoramica sulla categoria dell’abuso, cfr. ad es. Gentili, Abuso del diritto, giurisprudenza tributaria e categorie civilistiche, pagg. 10 e ss e rif. ivi; per l’approccio (inverso) al “diritto di fare qualcosa di sbagliato” cfr. Pino, L’esercizio del diritto soggettivo ed i suoi limiti, in “Ragion pratica”, 24, 2005, pp. 161-180; Cfr anche (oltre alla letturatura citata infra) Cerrato e Parolini nei Quaderni della rivista di Diritto Tributario 2009, pp. 379 e ss.
[4] Anche in CNN Notizie 31 agosto 2015, a firma Mastroiacovo,
[5] Con la consueta chiarezza e linearità “Le disposizioni dell’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, hanno efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano anche alle operazioni poste in essere in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo.”
[6] Potrebbe non essere ovvia la compatibilità tra questa disciplina e l’articolo 3, comma 1, statuto del contribuente (in base al quale le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo) dato che non si rinviene espressa deroga e che la disciplina in esame non parrebbe avere natura interpretativa o procedimentale.
[7] “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”
[8] Così anche Mastroiacovo, cit; tuttavia in questa prima fase gli orientamenti non sembrano univoci, nemmeno tra le varie Direzioni Regionali.
[9] Fatti salvi i limiti alla applicabilità in materia doganale (art. 10-nis comma 4) e l’irrilevanza penale delle (conseguenze delle) operazioni “abusive”.
[10] Il che d’altra parte è congruo con la natura dell’abuso, che per definizione muove da una condotta lecita; è la valutazione dell’intento (criterio intenzional-soggettivo) o del risultato (criterio teleologico) che porta alla sua riqualificazione appunto come abuso.
[11]E sul punto molto vi sarebbe da scrivere; data la natura di questo contributo, tuttavia, ci si sofferma su alcune note essenziali, e per il resto si rinvia alle fonti in nota.
[12] (cfr art. 10-bis, comma 4: “Resta ferma la liberta’ di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi”)
[13] Cfr al riguardo: atti del IX convegno Italo Spagnolo di Teoria del Diritto, in Eguaglianza, Ragionevolezze e Logica Giuridica, a cura di Giorgio Maniaci, pagg. 143 e ss.
[14] Art. 10-bis, comma 2, par. b)
[15] Ai sensi del comma 9 dell’articolo 10-bis, l’Amministrazione Finanziaria deve provare la natura essenziale della convenienza fiscale nelle motivazioni dell’operazione; il contribuente dovrà dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali.
[16] Bilanciamento e valutazione peraltro affidati alla stessa amministrazione finanziaria che è parte del procedimento impositivo.
[17] Terminologia (e forse metodologia) analoga si trova nell’articolo 11 D. Lgs. 74/2000 che sanziona con la reclusione chi compie atti di disposizione “fraudolenti” [in quanto] idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
[18] E non si può non aggiungere che, in quest’ottica, la finalità ordinamentale tributaria viene a coincidere con la raccolta del maggior gettito possibile; abbandonando il riferimento (notarilmente) tradizionale alla “giusta minor tassazione” – vd infra.
[19] Letteralmente la sua “inopponibilità” alla Amministrazione Finanziaria.
[20] In questa sede è impossibile una ricognizione esaustiva della letteratura in materia; si rimanda ex multis a RESCIGNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 205 ss.; VANZ, L’elusione fiscale tra forma giuridica e sostanza economica, in Rass. trib., 2002, 1606 ss; PALUMBO, L’elusione fiscale e il concetto di abuso del diritto, in Rivistaonline. Scuola superiore dell’economia e finanze, 2008.
[21] L’intera locuzione è tratta da Gentili, op. cit. pag. 9. Da osservare che nella configurazione “apparente” della fattispecie, la tassazione preferenziale sarebbe anche quella normale nel caso concreto; nel sistema di pensiero dell’abuso del diritto, invece, la tassazione normale è per definizione quella più gravosa, e le ipotesi agevolative sempre eccezionali.
[22] Di modo che in effetti si dovrebbe parlare di “asserita” abusività; al riguardo, in materia tributaria, è nota anche l’ambiguità (termino)logica del termine “accertamento”.
[23] Da tempo la giurisprudenza, sia comunitaria che di Cassazione, tendono a identificare l’atto abusivo come tertium genus, distinto sia dagli atti fisiologici che da quelli in patologia – vd infra e nota 33.
[24] L’atto potrebbe essere (anche) simulato, illecito ex art. 1345 o in frode alla legge, ma non è sotto questo profilo che viene valutato, nè tale valutazione avviene mediante gli strumenti di reazione ordinamentale all’illecito; in sede di abuso di diritto, l’atto viene valutato in quanto motivato essenzialmente da ragioni di risparmio fiscale e in quanto tale disapplicato.
[25] In realtà, sarebbe più corretto dire “da ciascun” contribuente; può darsi infatti che a seguito della ricostruzione tributaria, il carico fiscale si sposti da un soggetto ad un altro.
In tali casi, quanto pagato dall’uno NON viene dedotto da quanto dovuto dall’altro. Il (nuovo) obbligato è tenuto al pagamento per intero, mentre chi abbia versato imposte non (più) dovute può chiedere il rimborso (art. 10 bis, comma 11); è appena il caso di dire che per definizione la somma algebrica tra imposte pretese e imposte da restituire non può essere negativa.
[26] L’onere probatorio dell’interesse extrafiscale, come si è visto, ricade sul contribuente – comma 9.
[27] Come si vedrà, talvolta perfino moderando alcune delle conclusioni raggiunte.
[28] Peraltro, precedente fondamentale e notissimo, ma non il primo; cfr C.G.U.E. 17 luglio 1997.
[29] A sua volta, il fondamento di questo principio si assumerebbe reperirsi nell’articolo 54 della c.d. “Carta di Nizza” (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) che però – a parte la rubrica – parrebbe avere un perimetro di operatività diverso: “Divieto dell’abuso del diritto. Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciute nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta”.
[30] Corte di Giustizia, 21 febbraio 2006, nel procedimento C-223/03
[31] Cassaz. Sez. Trib. rispettivamente 11351/2001, 20398/2005, 22392/2005; si rinvia invece a quanto detto sopra sulla de-giurisdizionalizzazione dell’abuso del diritto.
[32] Cassaz. Sez. Trib. 10353/2006.
[33] Cassaz. Sez. Trib. 21221/2006.
[34] .Cassaz. Sez. Trib. 8772/2008.
[35] Ciò che non è stato recepito dalla normativa in commento: cfr art. 10-bis, comma 9.
[36] Proprio dal D.Lgs 128/2015, per evidenti motivi di economicità logica e sistematica: esistendo ora una normativa generale sull’abuso ed elusione non vi sono motivi di mantenere analoghe normative settoriali.
[37] E’ evidente come in effetti la “sostanza economica” costituisca elemento viceversale alla “essenzialità del vantaggio fiscale”. Se l’atto è dotato di realtà economica, allora si può pensare che sia quella (e non meramente il vantaggio fiscale) l’elemento motivazionale dell’operazione; al contrario, se l’atto non ha senso dal punto di vista economico, ma produce vantaggio fiscale, questo si configura necessariamente come il motivo essenziale.
[38] Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico.
[39] Ciò che in effetti coincide con l'”efficacia” del negozio.
[40] Da ultima, ed ex multis, M.C. Denier, Il contratto in generale, pp. 76 e ss.
[41] E non è la prima volta che ci si chiede se alcune forme di ironia siano volontarie.
[42] Come noto, “giusta minor tassazione” era il titolo della rubrica di Carusi su “Il Notaro”.
[43] Cfr Cass. 26369/2014; Trib. Milano 11800/2013; Cass. 309/2003.
[44] Il che peraltro concerne (solo) i profili di responsabilità notaio-parte; restano intatti i profili di responsabilità fiscale notarile legati alla c.d. imposta principale postuma; al riguardo, vd. oltre in questo lavoro e Mastroiacovo cit.
[45] Appare interessante osservare che, se il cliente volesse porre in essere un atto solo per scopi di risparmio fiscale, si ricadrebbe quali certamente nell’ambito degli atti “fiscalmente” abusivi. Tuttavia, non parrebbe che tali atti sarebbero ipso facto vietati dalla legge, per cui è da ritenere che il notaio – esaurita la debita informativa – potrebbe riceverli.
[46] Cas., sez. trib., 8772/2008; Cass., sez. trib. 10257/2008;
[47] Come si è visto, l’abuso del diritto è configurato partendo dai risultati cui si giunge (il risparmio fiscale) e dalla ineffettività (non rilevanza nell’intento delle parti) del riassetto economico ad esso strumentale; per cui, a differenza delle normative antielusive precedenti, non è dato (e non è possibile) un elenco chiuso delle fattispecie abusive.
[48]Ma si segnala da subito una più severa interpretazion secondo la quale (arg. comma 9, in fine) le uniche ragioni rilevanti sarebbero quelle, inerenti le attività produttive di cui al comma 3.
[49]Motivi che come già detto non dovono essere ipotetici, teorici o marginali; vd sopra, nota 45
[50]Vale la pena di osservare che il risultato del negozio-mezzo non deve essere solo esistente (cfr. precedente nota 37) e rilevante in termini di percepibilità economica; deve essere rilevante nella percezione che le parti hanno della loro (mutata) situazione patrimoniale, e tale mutamento deve essere stato il motivo reale dell’operazione considerata. In altre parole il fatto che, per esempio, vi sia stato un trasferimento percepibile come economicamente rilevante (dotato di sostanza economica) non è sufficiente, se l’assetto patrimoniale precedente e quello successivo all’atto, per le parti sono sostanzialmente fungibili.

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