“L’iniziativa del procedimento disciplinare a carico dei notai, regolata dall’art. 153 della L. n. 89 del 1913, è sottoposta a termini che, in mancanza di un’espressa qualificazione di perentorietà, sono ordinatori; cionondimeno, pur non essendo prevista dall’art. 146 della legge notarile la decadenza o l’estinzione dell’azione intempestiva ed essendo il sistema presidiato dalla prescrizione, l’espressione “senza indugio”, utilizzata dal cit. art. 153, comma 2 (“Il procedimento è promosso senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto disciplinarmente rilevante”), impone al giudice l’obbligo di accertare se il tempo impiegato all’uopo possa considerarsi adeguato in relazione all’esigenza di celerità richiesta, giacché la pendenza della fase delle indagini produce un inevitabile pregiudizio indiretto sulla vita e sull’esercizio della professione del notaio assoggettato, oltre a rendere progressivamente più difficile, per quest’ultimo, approntare un’adeguata difesa”. (Cass. 12-3-2021, n. 7051)
Questa la massima. Nella sua prima parte essa ribadisce la stabile giurisprudenza sul carattere ordinatorio del termine, la cui decorrenza temporale va tuttavia precisata; nella seconda, prescrive invece una valutazione in fatto che finora non era stata espressamente indicata nell’àmbito del nostro procedimento disciplinare e che è poi la ragione concreta del parziale rinvio del giudizio disposto dinanzi alla Corte d’appello: il lettore paziente scoprirà il seguito della vicenda…
Intanto osserviamo che nella massima non c’è una terza parte, che sarebbe di ancor più concreto interesse per il futuro e che dobbiamo perciò tentare di ricostruire. Ma andiamo con ordine.
L’indugio è un ritardo – intenzionale o anche solo colpevole, purché quindi non necessitato da un qualche giustificato impedimento – rispetto alla tempestività richiesta per iniziare o per svolgere un procedimento. L’indicazione temporale “senza indugio” dell’art. 153, che si rivolge – si noti – a tutti i titolari dell’azione disciplinare, perciò anche al P.M. ed all’Archivio, attiene propriamente, secondo la sua lettera, alla fase della promozione del procedimento e appare dunque avere quale termine iniziale l’avvenuta acquisizione degli “elementi costitutivi” del fatto (quanto alla dimensione temporale, il “se risultano” della norma equivale a “una volta che”). Tutte le indagini preliminari e gli approfondimenti eventualmente necessari ad accertare se l’illecito disciplinare di cui si è ricevuta notizia effettivamente sussista e quale fattispecie “incriminatrice” esso integri sono quindi doverosi e non fanno decorrere l’inizio del termine, purché, appunto, necessari e non pretestuosi o defatigatori. Il termine finale è ovviamente la richiesta di procedimento indirizzata alla COREDI, richiesta che genera nei cinque giorni successivi la conoscenza dell’incolpazione da parte del notaio e che, come si sa, per esser valida anche a tal fine, deve contenere la descrizione del fatto addebitato, l’indicazione delle norme che si assumono violate e le conclusioni sanzionatorie dell’organo che lo promuove.
Ora, che l’indicazione “senza indugio”, peraltro non quantificata in giorni, mesi o anni, non avesse carattere perentorio era ed è pacifico, almeno dalle Sezioni Unite n. 13617 del 2012, passando per le sentenze nn. 9041 e 24962 del 2016. Sono, infatti, perentori solo quei termini che la legge espressamente qualifica come tali, anche con espressioni come “entro e non oltre”, o rispetto ai quali prevede l’invalidità o l’inefficacia degli atti compiuti dopo il loro decorso. E però non avrebbe senso che un termine di legge, ancorché ordinatorio, sia soltanto un flatus vocis, una mera esortazione a svolgere celermente l’attività amministrativa o processuale, perché a parlare è la “voce” del legislatore che si esprime per precetti: si tratta pur sempre di un “ordine”! Dunque, quando dall’organo procedente viene raggiunta una conoscenza dell’illecito piena – nel senso di non incerta o ancora lacunosa per poter fondare un preciso convincimento – la contestazione non deve ritardare.
Ed in effetti, nel nostro caso, il Notaio incolpato aveva osservato che la sua eccezione, con la quale aveva – tempestivamente – dedotto che il Consiglio notarile aveva invece “indugiato”, promuovendo l’azione disciplinare con sette mesi di ritardo, era stata respinta dalla Corte d’appello senza entrare nel merito della valutazione, ma solo “con una motivazione in diritto, facente leva sulla natura derogabile del termine, senza prendersi cura di spiegare perché, in fatto, l’autorità procedente avesse avuto bisogno di sette mesi per formulare l’accusa disciplinare”.
E la sentenza in commento ha appunto ritenuto insufficiente questa risposta, perché “la circostanza che i termini siano ordinatori non equivale ad affermare che l’azione disciplinare possa essere iniziata in ogni tempo, ad libitum, anche a distanza di anni dall’avvenuta conoscenza del fatto disciplinarmente rilevante. Una tale estrema interpretazione, oltre a contrastare con la ratio legis, colliderebbe con il diritto a conoscere in un tempo ragionevole, anche al fine di potersi ben difendere, l’accusa disciplinare formalizzata”.
Questo principio – ha proseguito la S.C. – “trova conferma nella disciplina processuale penale (artt. 405 e 406 c.p.p.), la quale, nonostante si tratti di esercitare obbligatoriamente l’azione penale, che, com’è ovvio, concerne fatti di ben maggiore disvalore sociale, impone al pubblico ministero di esercitare l’azione (se del caso anche chiedendo l’archiviazione) in un tempo predeterminato dalla legge, a seconda del tipo e della gravità del reato perseguito. Pur vero che la chiusura del sistema (disciplinare notarile) è presidiata dalla prescrizione (art. 146 L. N.), ma la necessità che le indagini e le valutazioni propedeutiche alla determinazione di esercitare l’azione disciplinare, a prescindere dall’estinzione dell’illecito per effetto del decorso della prescrizione, debbano essere concluse in un tempo ragionevole, cioè giustificato dalla natura dell’illecito e dagli approfondimenti da svolgere, assolve a una finalità che, sibbene affine, è peculiare. La pendenza di una tale fase, infatti, produce ex se un inevitabile pregiudizio indiretto sulla vita e sull’esercizio della professione del notaio assoggettato, oltre a rendere via via più difficile per quest’ultimo (il quale ancora non conosce i termini esatti della futura incolpazione) approntare adeguata difesa”.
Di conseguenza – conclude la Cassazione – “la Corte d’appello, pur avendo correttamente affermato la derogabilità (?) del termine, avrebbe dovuto accertare se il tempo impiegato per avviare il procedimento disciplinare, tenuto conto di ogni elemento utile a un tale giudizio, potesse considerarsi adeguato in relazione all’esigenza di celerità indubbiamente imposta dall’espressione ‘senza indugio’”.
Insomma, il termine è certamente “ordinatorio” (lo sono anche quelli posti alla COREDI e al suo presidente nei successivi artt. 155, 156 e 157 della nostra L.N., così come non c’è un termine perentorio per la chiusura del procedimento dinanzi la Commissione), ma la tempestività va comunque accertata in concreto: più che di “derogabilità” del termine meglio si direbbe di una sua “relatività” o “elasticità” in funzione delle caratteristiche del singolo caso. E soprattutto dobbiamo prendere atto che i termini ordinatori non sono irrilevanti e che quindi il loro mancato rispetto non può rimanere sempre senza nessuna conseguenza. È evidentemente questo – sottolineiamolo – il presupposto dell’accertamento in fatto, altrimenti inutilmente accademico, affidato al giudice del rinvio.
Ed esaudiamo allora la curiosità: la reinvestita Corte d’appello, nell’ottobre scorso, ha accertato in fatto, di contro alla ricostruzione del ricorrente, che per l’avvio del procedimento erano in realtà trascorsi in tutto cinque mesi e venti giorni dal ricevimento da parte del Consiglio della prima documentata notizia (dei quali solo tre mesi e diciotto giorni dalla conoscenza di una supplementare documentazione); e poiché si trattava di una “mole notevole”, “centinaia di documenti” da esaminare (ancorché, in verità, identicamente ripetitivi) e nel periodo era compreso anche il mese di agosto (che, se non sospende i termini del procedimento amministrativo, comprensibilmente rallenta ogni attività professionale), tutto ciò considerato, ha escluso in radice che vi fosse stato “un ritardo irragionevole, idoneo a determinare la decadenza (?) dell’azione disciplinare, (cioè) talmente ampio da risultare incompatibile con l’esigenza di celerità (o integrare) quella abnorme dilatazione dei tempi tale da ledere il diritto dell’incolpato di conoscere in un tempo ragionevole l’accusa disciplinare formalizzata”.
Chiusa così, per ora, la specifica vicenda, resta però, a futura memoria sia dei notai consiglieri che dei notai incolpati, la domanda forse più importante, alla quale la sentenza della Cassazione non risponde (né doveva rispondere): ma quali potrebbero essere le conseguenze di una verificata intempestività?
Per avviarci a comprenderle, occorre muovere dalle ragioni che fondano l’ordine di celerità che ci dà il Legislatore, poiché le conseguenze devono essere sempre proporzionate ai diritti e agli interessi da tutelare. Ora – senza dimenticare che è interesse istituzionale anche del Notariato a che la reazione ad un illecito sia, in quanto tempestiva, più efficace ai fini di prevenzione generale e specifica – la sentenza in commento, come si è letto, indica due ragioni della dovuta celerità: già di per sé la pendenza del procedimento disciplinare produce un “pregiudizio indiretto” sulla vita e l’esercizio della professione del notaio e – seconda ragione – il trascorrere del tempo rende più difficile una difesa adeguata.
La prima ragione è indubbiamente verissima sul piano “esistenziale”, ma altrettanto certamente più debole; è interessante sul punto la riflessione di Cass. 15-9-2020, n. 35708, a proposito del termine posto dall’art. 12, co. 5°, L. 212/2000 per eseguire la verifica fiscale. “Termine meramente ordinatorio” – viene ribadito – “giacché nessuna disposizione lo dichiara perentorio o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il loro decorso, né l’invalidità o l’inutilizzabilità delle prove raccolte” (ed in questo la scelta del legislatore risulta “razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati”); ma poi la Cassazione, richiamando suoi plurimi precedenti, ha “anche aggiunto che la nullità di quegli atti non può ricavarsi dalla ratio della disposizione, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione”. E questa riflessione può essere riferita – mi sembra – anche alle ricadute in termini di disagio “morale” e di incertezza organizzativa subite dal notaio disciplinarmente indagato.
Ben più rilevante invece è la tutela del diritto di difesa, che, del resto, pure il Consiglio di Stato ha sempre ribadito (tra le altre, sent. 1-10-2004, n. 6403) essere una garanzia di rango costituzionale che si applica anche ai giudizi disciplinari. Può forse apparir singolare che la nostra sentenza non richiami questa giurisprudenza, né più specificamente il precetto della tempestività quale ben presente anche per l’attività amministrativa (basti pensare all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori oppure all’art. 55 bis del D. Lgs. 165 del 2001 in ordine alla contestazione degli addebiti disciplinari nel pubblico impiego, sul quale la S.C. si è più volte pronunciata, da ultimo con sent. 7-4-21, n. 9313) ed evochi invece a confronto la disciplina del processo penale. E però la copiosa giurisprudenza penalistica (anche recente: le sentenze nn. 479, 6221 e 36304 del 2020 e poi ancora le nn. 16353 e 16802 del 2021, tutte variamente in tema di termini ordinatori previsti per il procedimento cautelare dinanzi il Tribunale del riesame e la Cassazione) ci offre tuttavia qualche ulteriore, concreta indicazione.
Ci segnala, infatti, anzitutto, che la violazione del termine deve essere espressamente eccepita dall’interessato con la specifica indicazione di quali dati decisivi il ritardo abbia sottratto al controllo del giudicante (per noi, la COREDI); di più, viene suggerita una sorta di “prova di resistenza” che valuti se il ritardo abbia impedito l’acquisizione di elementi rilevanti oppure no ai fini della decisione conseguitane. In sintesi, il criterio di fondo, variamente articolato nei singoli casi ed al quale dobbiamo aver riguardo anche nel procedimento disciplinare notarile, è se il ritardo abbia o meno determinato una effettiva violazione dei diritti della difesa.
E allora, se risulta violato, come eccepito e concretamente accertato, il diritto di difesa, la conseguenza non sarà, come detto, in termini di prescrizione o decadenza dell’iniziativa disciplinare (l’indicazione dell’ordinanza della Corte d’appello in sede di rinvio sembra solo un lapsus), ma di rigetto della richiesta disciplinare, perché probatoriamente infondata, in quanto l’indugio ha impedito l’acquisizione di elementi a discolpa in ipotesi rilevanti.
Non finisce qui, però; perché anche quando l’ingiustificato ritardo non abbia inciso sul diritto di difesa, altre conseguenze non sono escluse: la citata Cass. penale n. 6221/2020 prospetta, infatti, “la responsabilità disciplinare ed eventualmente penale” del responsabile del ritardo. La S.C. non indica i presupposti di tali responsabilità ed ipotizzare qui una casistica apparirebbe un pessimismo di cattivo auspicio: basterà conclusivamente avvertire che ritardi particolarmente clamorosi potrebbero far emergere profili di disorganizzazione o di pigrizia nella gestione dei Consigli notarili distrettuali e che comunque il vigente art. 23 dei Principi di deontologia professionale già prescrive, tra l’altro, ai notai loro componenti di “adoperarsi con assiduità” per l’effettivo esercizio dei poteri di vigilanza e di disciplina sugli iscritti. Una simile, specifica previsione deontologica non c’è per gli altri due titolari dell’iniziativa disciplinare, pur destinatari anch’essi dell’ordine del Legislatore, il Capo dell’Archivio notarile e il Procuratore della Repubblica: ma, quanto a quest’ultimo, in verità neppur conosco casi di esercizio diretto dell’azione disciplinare, preferendo i P.M., in altre faccende affaccendati, se mai inviare la segnalazione dell’illecito al Consiglio notarile … il che di certo un ritardo lo produce!
AUTORE

Magistrato di lungo corso, sia con funzioni inquirenti sia giudicanti, è stato (tra l’altro) Presidente di Sezione alla Corte d’Appello di Milano. Ha presieduto CO.RE.DI Lombardia dal 2012 al 2019 ed è attualmente Presidente di Sezione in Commissione Tributaria.