a cura di Giuseppe Mattera
Con il termine “personalità della prestazione” si intende il dovere civilistico (1) e deontologico del Notaio di svolgere personalmente e direttamente le funzioni al medesimo attribuite dall’ordinamento.
In verità quello della “personalità della prestazione” è un dovere che l’ordinamento impone ad ogni prestatore d’opera intellettuale, come confermato dall’art. 2232 del codice civile, secondo il quale “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto”.
La detta previsione si giustifica con la natura strettamente fiduciaria del rapporto che si instaura tra cliente e professionista e dalla quale derivano obblighi di diligenza, di informazione, di fedeltà e riservatezza la cui violazione è fonte di responsabilità per il professionista.
La prestazione cui è tenuto il prestatore d’opera intellettuale è pertanto una prestazione di fare infungibile e ciò in quanto la prestazione professionale “presuppone quelle particolari conoscenze ed esperienze tecniche che vengono in genere accertate attraverso l’iscrizione obbligatoria agli albi e agli elenchi professionali e che viene richiesta e concordata intuitu personae rispetto ad un determinato soggetto a preferenza di altri che, dal punto di vista oggettivo, sarebbero ugualmente in grado di eseguirla” (2).
In questo senso si afferma che, proprio in considerazione della sua particolare natura fiduciaria, la prestazione del professionista differisce da quella dell’imprenditore in quanto la prestazione di quest’ultimo può essere interamente svolta da sostituti o collaboratori senza che ciò comporti alcun inadempimento nè violazione degli obblighi assunti (3).
Anche il prestatore d’opera intellettuale “può tuttavia avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione.” (art. 2232 cod. civ.).
Nell’ambito della disciplina generale in materia di personalità della prestazione si innesta poi quella speciale dettata per l’attività notarile in relazione alla unicità del notaio, al tempo stesso libero professionista e pubblico ufficiale, nell’ambito delle libere professioni.
Le norme principali in materia di attività notarile sono costituite dall’art. 47, comma 2° della Legge notarile (“Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione cura la compilazione integrale dell’atto.”) e l’art. 67 del R.D. n. 1326/1914 Regolamento per l’esecuzione della legge notarile (“Spetta al notaro di dirigere la compilazione dell’atto dal principio alla fine, anche nel caso che lo faccia scrivere da persona di sua fiducia; a lui solo compete d’indagare la volontà delle parti e di chiedere, dopo aver dato ad esse lettura dell’atto, se sia conforme alla loro volontà) cui si aggiungono gli articoli 36, 37 e 42 del Codice Deontologico che connotano in modo ancor più stringente la personalità della prestazione cui è tenuto il notaio indicando analiticamente le attività la cui esecuzione deve essere svolta personalmente dal notaio.
Già dal primo esame delle norme citate emerge chiara la funzione che caratterizza l’attività notarile; il notaio non è solo un certificatore che attesta, attribuendogli pubblica fede, ciò che avviene alla sua presenza, ma egli “trasferisce l’intenzione delle parti nel linguaggio dell’atto” (4); “sta alle parti indicare bisogni, attese, risultati; sta al notaio convertirli nel testo linguistico dell’accordo” (5).
In questo senso il notaio differisce dall’interprete in quanto “questi è chiamato ad accertare il contenuto di un accordo, che c’è già; quegli, a raccogliere il materiale per un accordo, che non c’è ancora. L’interprete indaga la intenzione comune al fine di stabilire il significato di un testo linguistico; il notaio indaga la volontà al fine di redigere il testo linguistico. La fatica dell’interprete incomincia dove finisce la fatica del notaio” (6).
Queste parole identificano quella funzione che la dottrina e la giurisprudenza più recenti chiamano di adeguamento, in contrapposizione a quella definita di certificazione, funzioni tra loro connesse ed inscindibili che caratterizzano la funzione notarile e ne formano il tratto distintivo.
Il notaio, nell’esercizio di tale funzione, è chiamato dalle parti a creare un regolamento di interessi che, nel rispetto delle norme inderogabili dell’ordinamento e degli interessi superiori a quelli dei singoli, sia idoneo a realizzare l’intento voluto dalle parti assicurando loro un risultato il più possibile conforme alle loro volontà.
In considerazione di ciò, la Giurisprudenza, pur qualificando la prestazione notarile come prestazione di mezzi e comportamenti, finisce per affermare che “l’opera di cui è richiesto (il notaio) non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perchè sia assicurata la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti.” aggiungendo tra l’altro che, in relazione all’inosservanza di detti obblighi il notaio non potrebbe invocare l’attenuante di cui all’art. 1176 cod. civ. (7).
In conseguenza dell’obbligo da parte del notaio di assicurare il raggiungimento del risultato voluto dalle parti, la personalità della prestazione non può esaurirsi nel momento puramente “celebrativo” della lettura dell’atto, nel quale, secondo le affermazioni di alcuni colleghi, potrebbe esaurirsi l’attività di indagine della volontà delle parti, ma essa deve caratterizzare anche la fase che precede la stipula ed estendersi alle attività successive alla medesima essenziali anch’esse al raggiungimento del risultato.
Una prestazione che non tenga conto di questi principi finisce per essere qualitativamente insufficiente e quindi non tale da assicurare all’utente il diritto alla sicurezza giuridica e nè essere elemento indispensabile per la amministrazione della giustizia in quanto destinata a prevenire liti (8), finendo per indurre nella collettività il convincimento dell’inutilità dell’intervento notarile (9).
Riepilogando, secondo l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, la personalità della prestazione si esplica in una serie di attività tra loro collegate in funzione del fine da raggiungere consistente nel risultato voluto dalle parti, attività che il notaio deve svolgere personalmente (10):
1) attività di indagine, che si sostanzia nella ricognizione della volontà che il notaio deve personalmente condurre sentendo ciascuna delle parti ed entrambe insieme;
2) attività di sintesi delle informazioni raccolte ed elaborazione, insieme con le parti, di un regolamento negoziale che soddisfi le esigenze emerse in fase di indagine;
3) qualificazione della fattispecie e, per il caso di atipicità, valutazione positiva circa la liceità della causa atipica e la meritevolezza di tutela degli interessi (art. 1322 cod. civ.);
4) dovere di informazione circa la esistenza di eventuali cause di invalidità o di eventuali aspetti di non convenienza (anche sotto il profilo fiscale) dell’operazione negoziale perseguita;
5) conseguente adattamento del regolamento di interessi “pensato” dalle parti alle disposizioni di legge inderogabili;
6) lettura dell’atto in modo chiaro e comprensibile ed ulteriore indagine finale sulla rispondenza dell’atto alle volontà delle parti;
7) esecuzione tempestiva e attenta delle formalità conseguenti all’atto necessarie affinchè il medesimo produca gli effetti voluti dalle parti (11).
E’ importante sottolineare che il rispetto di questo iter procedimentale ha non soltanto rilevanza sotto il profilo disciplinare, ma anche sotto quello della eventuale responsabilità professionale, in quanto, come già sottolineato in precedenza, l’esimente di cui all’art. 1176 cod. civ. potrà essere invocata, secondo la giurisprudenza, solo nel caso in cui il notaio abbia eseguito la prestazione richiesta dalle parti secondo i canoni della personalità e della qualità.
Una volta delineato il concetto di “personalità della prestazione” è doveroso affermare che, come in generale affermato dall’art. 2232 cod. civ., anche il notaio può, nell’espletamento delle sue funzioni avvalersi di collaboratori, anzi, è opportuno che egli si avvalga di mezzi adeguati che gli consentano di fornire una prestazione soddisfacente sotto il profilo qualitativo, al fine di evitare che questa sia fonte di sinistri che finiscono per ripercuotersi su tutta la categoria, sia sotto il profilo dell’immagine, sia sotto il profilo della maggiore difficoltà di addivenire alla stipula di una assicurazione collettiva sulla responsabilità professionale.
Tale possibilità tuttavia, come è già stato sottolineato da una sentenza ormai risalente, non può portare alla “creazione di un sistema di lavoro in cui la persona del notaio è al centro di un’organizzazione di persone e di mezzi tale da allontanare di fatto e sostanzialmente i singoli atti della funzione notarile dalla persona, e quindi dalla prestazione professionale diretta del Notaio stesso, con l’effetto che la funzione notarile venga esplicata soltanto di nome dal Notaio, ma sostanzialmente di fatto da persone diverse, dotate o meno di conoscenza legale e di rettitudine…” (12).
Il notaio, in virtù della delicatezza delle funzioni assegnatagli dall’ordinamento, può avvalersi di collaboratori ma non di sostituti (come pure prevede in generale l’art. 2232 cod. civ.) e non può ridurre il suo ruolo da quello di protagonista a quello di semplice collaboratore di una più ampia organizzazione accreditando così nella clientela la erronea convinzione che l’attività notarile possa essere svolta legittimamente con una organizzazione di tipo industriale nella quale il notaio viene riservato un compito puramente formale.
La violazione della personalità della prestazione può derivare sia da un eccesso di delega “interna”, rivolta cioè ai propri dipendenti, sia da un eccesso di delega “esterna” rivolta cioè a strutture esterne al suo studio.
Nel primo caso, il notaio contribuisce in modo solo marginale allo svolgimento del lavoro e spesso il suo contributo si esaurisce nella sola lettura dell’atto, peraltro molte volte effettuata in modo frettoloso e con scarsa attenzione alla volontà delle parti ed al contenuto del contratto (13).
Nel caso dell‘eccesso di delega “esterna”, invece, le funzioni vengono di fatto delegate a strutture esterne, ai cosiddetti “centri servizi”, che di fatto diventano i veri esecutori della prestazione. In questo caso, si è sottolineato (14) “il naturale rapporto tra il Notaio e la struttura del rapporto è rovesciato ed alterato. Il primo dipende dalla seconda, cui effettivamente l’elaborazione della prestazione è riconducibile. Il Notaio è degradato a collaboratore di altri, cui il Cliente conferisce l’incarico.”
Naturalmente va detto che non tutte le ipotesi di “outsorcing” sono da ritenersi in contrasto con il principio di “personalità della prestazione”, ma solo quelle in cui di fatto, come sopra segnalato, si rinvenga una totale delega di funzioni dal Notaio al “centro servizi” tale che il contributo del notaio allo svolgimento della prestazione si limiti a quello che abbiamo definito come momento “celebrativo”, quello cioè della lettura dell’atto.
Un caso relativo proprio alle ipotesi sopra esaminate merita un maggiore approfondimento.
Il caso, che ha formato oggetto di una recente decisione della CO.RE.DI. Lombardia (15), riguardava il caso di un notaio all’interno del cui studio era alloggiata una struttura del tutto indipendente e che di fatto provvedeva alla istruttoria integrale della pratica. Singolare era il fatto che, se l’istruttoria e la redazione dell’atto erano compiute dalla struttura parallela con apparente efficienza, al contrario la fase successiva alla stipula, e in particolare gli adempimenti, erano gestiti direttamente dallo studio notarile con colpevole inefficienza.
Il Comportamento del notaio è stato sanzionato con l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione per sei mesi sulla base di alcune considerazione che meritano essere riportate:
“E’ evidente che, pur se il singolo notaio può svolgere una intensa attività professionale ricavandone un elevato reddito senza che ciò possa qualificarsi come condotta illegittima nei confronti dei colleghi che svolgono una minore attività lavorativa, tuttavia qualora detti risultati derivino non già dalla capacità professionale di quel notaio e dalla fiducia che i clienti ripongono in lui, bensì da un’organizzazione del lavoro in cui la funzione e la figura del Notaio vengono spersonalizzate, in quanto lo stesso svolge solo la fase celebrativa dell’atto, mentre di fatto tutte le altre funzioni proprie dell’attività notarile sono delegate ad altri che a volte non sono neppure dotati di particolari qualifiche e conoscenze giuridiche, che le svolgono al posto del Notaio stesso, in tal caso il comportamento del Notaio è contrario all’etica professionale.”, e ancora che “gli evidenziati costanti e ripetuti ritardi nella trascrizione degli atti aventi ad oggetto immobili denotano e comprovano uno svolgimento dell’attività istituzionale, prima ancora che professionale, ove sono spesso latitanti ordine, attenzione, precisione e rispetto dei diritti dei terzi, terzi che alla competenza ed alla serietà comportamentale del Notaio hanno affidato la cura dei loro, spesso estremamente rilevanti, interessi, non solo economici.”
Dall’esame dei precedenti giurisprudenziali emerge con chiarezza che i sintomi della violazione deontologica sono di norma di ordine quantitativo.
Spesso i Consigli notarili distrettuali, nell’ambito della loro attività di monitoraggio, rilevano una attività talmente intensa da ritenerla di per sè incompatibile con la personalità della prestazione (16).
Spesso anche in sede di ispezione viene rilevata, al di là del numero di atti stipulati molto superiore alla media del Distretto, anche il fatto che gli orari di sottoscrizione siano molto ravvicinati tra loro, anche in considerazione dei diversi luoghi di stipula, tra loro lontani anche decine di chilometri.
Come insegna la Cassazione (17) “la frettolosità è incompatibile con l’attività notarile ed essa è ben deducibile presuntivamente allorquando il tempo dedicato alla formazione dell’atto non sia sufficiente neppure alla lettura integrale dell’atto stesso. In questo caso è onere del notaio provare la corretta esecuzione delle varie operazioni.” (18).
E’ bene dire, tuttavia, che l’elevato numero di atti stipulati in limitato periodo di tempo, può essere indice di una violazione deontologica, ma non costituisce, di per sè solo, prova dell’inosservanza a carico del notaio del principio di personalità della prestazione. Esso può tuttalpiù facilitare l’individuazione della violazione e condurla pertanto all’attenzione degli organi ispettivi (19), tanto è vero che le Corti di Appello, spesso accogliendo le istanze dei notai incolpati, hanno più volte ritenuto che “l’elevato numero di atti stipulati in ridotti margini di tempo non costituisce di per sè solo, prova dell’inosservanza a carico del notaio del principio della personalità della prestazione … in quanto … occorre fare riferimento, non soltanto alla stipula dell’atto, ma alla esecuzione della prestazione nel suo complesso.” (20).
L’indice che abbiamo definito quantitativo deve pertanto essere integrato con un altro indice, che potremmo definire “qualitativo” della violazione, ravvisabile in sede di ispezione biennale nel ripetersi di errori formali, nella scarsa cura nella redazione degli atti e nella eccessiva distanza temporale tra stipula dell’atto e effettuazione degli adempimenti (registrazione, trascrizione, iscrizione ecc.) rilievi che a volte però sono riscontrabili anche nel caso di un ridotto numero di atti stipulati.
A questi rilievi sempre più frequentemente si aggiungono quelli formulati dalla Agenzia delle Entrate sulla inesatta liquidazione delle imposte e sul ritardo negli adempimenti.
A volte ancora indice dell’esistenza di una ripetuta violazione della personalità della prestazione, soprattutto nei casi di eccesso di delega esterna, è la corresponsione di ingenti somme a centri servizi o strutture analoghe, somme che non possono essere giustificate con l’esternalizzazione del servizio di visure ipotecarie e catastali e che possono indurre il sospetto di una delega sostanziale dell’attività notarile.
La raccolta e la elaborazione dei dati cui abbiamo fatto cenno, quali il numero degli atti stipulati, il fatturato ed i compensi a terzi, hanno il fine di far emergere situazioni di “devianza” che possono legittimare ulteriori attività istruttorie da parte dei Consigli Notarili, attività necessarie in quanto è “comunque da precisare in premessa l’impossibilità di verificare esclusivamente da tali dati la ricorrente mancanza di personalità.” (21).
In alcune decisioni (22) infatti si rileva come il solo dato numerico degli atti stipulati o l’importo elevato delle fatture pagate ai collaboratori esterni non sono di per sè indice di una violazione deontologica, in quanto la verifica della effettiva personalità della prestazione non può prescindere, sul piano probatorio, da riscontri effettuati nei confronti di coloro che di tale prestazione si sono giovati e, quindi, dall’audizione diretta dei clienti e dalle relative testimonianze.
Ai rilievi mossi dai Consigli notarili di norma gli incolpati rispondono agli addebiti loro mossi affermando che per alcune categorie di atti, che potrebbero definirsi di routine, quali ad esempio i mutui e le compravendite, nei quali i margini di discrezionalità delle parti sarebbero ridotti, l’indagine sulla volontà delle parti potrebbe essere svolta dal notaio in sede di lettura dell’atto senza che ciò possa comportare la violazione dei suoi doveri deontologici (23).
Questa tesi ha trovato accoglimento in una recente pronunzia da parte di una Corte di merito (24) a parere della quale bisogna prendere atto “dell’evoluzione dell’attività libero-professionale, in genere, (nel senso) della graduale spersonalizzazione dell’apporto intellettuale del professionista, (e) della sempre più diffusa sostituzione dell’impegno individuale ed infungibile di questi con l’organizzazione di mezzi e del personale in grado di preparare – mediante quella che, sinteticamente può definirsi come “istruttoria” – l’atto finale, rilevante all’esterno, del professionista, del quale egli solo, assume la responsabilità verso il proprio cliente.”. A questo rilievo la Corte aggiunge che, al di là di casi sporadici nei quali è necessario l’intervento in fase istruttoria del notaio, quale ad esempio il caso di un testamento molto complesso, molto spesso l’attività notarile si sostanzia nella redazione di atti assolutamente ripetitivi, nei quali si giustificherebbe appieno il ruolo del notaio supervisore dell’attività di controllo delegata ai suoi collaboratori, atti nei quali un previo incontro tra il notaio e le parti sarebbe del tutto inutile.
A sostegno di questa tesi la Corte di Appello fa riferimento alla formulazione dell’art. 47 della Legge notarile come introdotta dalla riforma del 2006, nel quale la frase “Spetta al notaro soltanto d’indagare la volontà delle parti” è stata sostituita dalla frase “Il notaio indaga la volontà delle parti”. L’eliminazione dell’avverbio “soltanto” non sarebbe casuale ma sarebbe dovuta ad una interpretazione evolutiva dell’attività notarile, dove alla vecchia concezione dell’intervento del notaio nell’indagare la volontà delle parti come infungibile ed insostituibile, si è passati ad una diversa e più moderna concezione dove lo svolgimento da parte del notaio di tale indagine è surrogabile da quella effettuata, almeno nella fase istruttoria, dai suoi collaboratori.
L’articolo 47, continua la Corte, in quanto norma di rango primario, non può certo essere derogata da norme di rango inferiore come quella contenuta nell’art. 67 del regolamento notarile o dai protocolli dell’attività notarile.
Queste argomentazioni sono state respinte dalla Corte di Cassazione (25) che ha ribadito, come vedremo, l’orientamento consolidato della stessa Corte.
Innanzitutto la Suprema Corte ha affermato che la distinzione tra atti routinari e non routinari non sia corretta in considerazione del fatto che nonostante “i primi abbiano un contenuto tipico legislativamente predeterminato non esclude ampi margini di discrezionalità per le parti nella regolamentazione degli interessi in virtù del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., essendo ad esse consentita la predisposizione di clausole finalizzate ad assicurare un più completo adeguamento del negozio alle loro specifiche intenzioni od a garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte.”, cosicchè si può “ritenere che anche con riferimento agli atti cosiddetti “routinari” o seriali si rivela opportuno l’intervento preventivo del notaio, il quale è tenuto a richiamare l’attenzione delle parti sulle conseguente delle loro diverse scelte nella formulazione dell’atto onde poter garantire che quest’ultimo corrisponda puntualmente alla effettiva volontà delle parti stesse, soltanto così risultando assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti.”
Quanto all’argomento tratto dall’art. 47 della Legge Notarile la Corte ha ritenuto la detta modifica testuale del tutto irrilevante in quanto dalla lettura complessiva della norma “Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto.” non si comprenderebbe come sia possibile distinguere tra atti routinari e non routinari, nè come sia possibile rispettare il dettato della norma delegando completamente la predisposizione dell’atto a terzi senza un contatto con le parti antecedente alla stipula dello stesso.
Tale affermazione trova un’evidente conferma nelle norme deontologiche elaborate dal Consiglio Nazionale del Notariato, che prescrivono una presenza costante del notaio all’interno dell’intero segmento professionale instaurato personalmente con le parti onde coglierne la reale volontà e quindi rendono necessario un continuo contatto del notaio con le parti sia prima che dopo la predisposizione dell’atto, escludendosi pertanto che il notaio possa delegare integralmente sia l’attività istruttoria sia le attività successive al compimento dell’atto, limitando pertanto il suo intervento alla sola lettura dell’atto ed alla successiva a volte solo formale richiesta alle parti sulla corrispondenza del contenuto dell’atto alle loro volontà.
A conclusione di questa breve sintesi sulla personalità della prestazione notarile, che è stata definita (26) come vera “pietra angolare del notariato nella sua attuale configurazione”, va detto che nessun argomento come quello esaminato tocca l’essenza stessa del notariato.
Legittimare la surrogabilità della prestazione notarile in antitesi alla personalità mina la basi stesse su cui poggia l’istituzione notariato. Se il contributo del notaio viene limitato alla lettura dell’atto e la qualità della prestazione viene invece affidata ad una organizzazione efficiente di mezzi, si induce nella collettività la convinzione dell’inutilità stessa del notaio, che ben può essere surrogato da altro soggetto, dotato o meno di competenze specifiche, che limiti la sua attività a quella di certificazione, essendo la funzione di adeguamento demandata ad altri.
L’idea stessa che l’attività del notaio sia in buona parte ripetitiva basandosi su schemi elaborati da altri e destinati ad adattarsi, con piccole modifiche, ai singoli casi finisce per rendere inutile la figura del notaio ed a lasciare spazio ad un’attività la cui esecuzione è lasciata al rispetto di procedure predeterminate ed invariabili la cui esecuzione può essere lasciata anche ai singoli “con buona pace dell’autonomia privata e cioè della libertà di autodeterminarsi in ambiti meritevoli di tutela” (27) in quanto ciò che non è previsto nella procedura per definizione non è possibile.
Dobbiamo comprendere che le modalità di esercizio della nostra funzione non sono indifferenti per la collettività; il fatto stesso che dei casi esaminati uno solo sia nato da una denunzia di un cliente rende evidente come per buona parte della collettività la prestazione notarile si identifichi nella sola parte finale, nella lettura dell’atto, tal che essendo percepita come in fondo identica si crede che essa non porti alcun valore aggiunto e che pertanto il notaio possa essere scelto per motivi diversi dalla sua competenza e correttezza o che addirittura possa essere surrogato da altri soggetti.
Per questo occorre sia predisporre criteri di controllo preventivi della qualità della prestazione, per così dire interni, predeterminati e conoscibili a priori, e di natura ordinaria e non straordinaria, sia che la collettività sia in grado di valutare essa stessa la qualità della prestazione del notaio sulla base di un codice che potremmo definire “etico” destinato ai fruitori della prestazione notarile e che dovrebbe affiancarsi al codice deontologico.
In tal modo le legittime diversità da notaio a notaio emergeranno e che vengano percepite con chiarezza da parte degli utenti i quali saranno in grado di pretendere una prestazione qualitativamente adeguata al ruolo del notaio.
Note
(1) In tal senso Cass. n. 13617 del 31 luglio 2012;
(2) Così Riva Sanseverino, Del lavoro autonomo, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, 2° ed., Bologna – Roma, 1969 pag. 223;
(3) Riva Sanseverino op. cit.;
(4) Natalino Irti, Ministero Notarile e rischio giuridico dell’atto, in Rivista del Notariato, Giuffrè Milano, 1998, pagg. 336;
(5) Natalino Irti, op. e loc. cit.;
(6) Natalino Irti, op. e loc. cit.;
(7) Cass. 24 settembre 1999 n. 10493; Cass. 15 giugno 1999 n. 5946;
(8) Così Cass. 8 gennaio 2013 n. 9793;
(9) Già nell’ormai lontano 1999 Arrigo Roveda, nella sua relazione al 4° Congresso di Federnotai, aveva affermato che “l’elevata qualità della prestazione notarile sia un presupposto necessario per il mantenimento dell’istituzione notariato nel nostro ordinamento, con gli attuali imprenscindibili fondamenti, pare questione indiscutibile.”;
(10) L’elencazione delle fasi è in buona parte tratta da libro del collega Ubaldo La Porta “La responsabilità professionale del notaio” Giappichelli – Torino, 2003, pag. 38 e 39;
(11) in tal senso Cass. 2 luglio 2010 n. 15727 a tenore della quale “l’opera professionale di cui è richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perchè sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico dalle parti.”
(12) Cass. 20 luglio 1966 n. 1970;
(13) Un caso sintomatico è quello esaminato da una recente sentenza della Cassazione (Cass. 31 luglio 2012 n. 13617) incentrato proprio sulla qualità della prestazione offerta. Un cliente aveva conferito ad uno studio notarile (il termine scelto non è casuale) l’incarico di procedere ad una surroga. L’istruttoria della pratica era stata svolta interamente da un collaboratore dello studio che aveva formulato un preventivo di circa 600 Euro (fatto inspiegabile in quanto la spesa doveva essere a carico della Banca surrogante). Il cliente aveva avuto modo di conoscere il notaio solo alla stipula dell’atto, risoltasi in una lettura frettolosa seguita da una generica domanda rivolta al medesimo dal notaio sulla eventuale necessità di chiarimenti. Alla conclusione della lettura il notaio aveva richiesto alla parte una somma di Euro 2.000. Il cliente, sorpreso, aveva chiesto spiegazioni al notaio ed aveva appresso in quel momento di aver stipulato non una surroga, ma piuttosto un nuovo mutuo. Ad aggravare ulteriormente la posizione del notaio aveva contribuito la richiesta rivolta al cliente, che in quel momento non aveva potuto pagare interamente la somma richiesta, di trattenere in garanzia la carta di identità del cliente.
La Cassazione non ha accolto, naturalmente, le giustificazioni del notaio che riteneva che, con la domanda generica rivolta al cliente circa eventuali dubbi e necessità di chiarimenti, avesse compiutamente adempiuto al dovere di indagine sulla volontà della parte imposto dall’art. 47 della legge notarile.
(14) Così Fulvio Mecenate “La personalità della prestazione (Notaio interprete – Notaio algoritmico)” relazione al Convegno di Arce in data 13 giugno 2014;
(15) E’ la decisione riportata in CNN Notizie del 14 settembre 2014 senza ulteriori dati identificativi;
(16) vedi sul punto Cass. Sez. U. n. 11429/2010, Cass. n. 28023/2011, Cass. n. 9793/2013;
(17) Cass. n. 28023/2011;
(18) Si pensi al caso deciso dalla CO.RE.DI. del Triveneto (decisione n. 86/2013) nel quale un collega il quale, in poco più di tre ore aveva stipulato quattro mutui, una divisione e quattro compravendite (queste ultime contenute in un unico documento);
(19) Conformi, sul punto CO.RE.DI. Emilia Romagna 23 marzo 2011, CO.RE.DI. Triveneto 28 gennaio 2008, CO.RE.DI. Liguria 23 giugno 2008 e CO.RE.DI. Sicilia 13 marzo 2013;
(20) Corte di Appello di Milano 24 novembre 2010 e Corte di Appello di Ancona 29 maggio 2010;
(21) decisione della CO.RE.DI. Lombardia del 3 luglio 2009 n. 44, decisione della CO.RE.DI. Triveneto del 28 gennaio 2008 n. 26;
(22) decisione della CO.RE.DI. Lombardia del 3 luglio 2009 sopra citata;
(23) Si veda per tali argomentazioni, in riferimento al caso di atti di vendita da parte di una unica società di numerosi immobili per i quali era stata predisposta dal notaio di una “bozza pilota”, Cass. n. 11249/2010;
(24) Ordinanza della Corte di Appello di Genova in data 12 aprile 2013 n. cron. 874/2013. La Corte di merito ha annullato la decisione della CO.RE.DI. la quale aveva inflitto al notaio incolpato la pena della sospensione per un periodo di 8 mesi. L’accusa si basava su un interrogatorio reso dal notaio al G.I.P. nell’ambito di un procedimento penale (poi archiviato) dal quale era emerso che la attività istruttoria era totalmente delegata a collaboratori distinti in meri compilatori ed istruttori, fatta eccezione per alcuni atti di particolare complessità, quali ad es. atti societari, costituzioni di fondi patrimoniali ecc.. Paradossalmente proprio tali affermazioni che avevano permesso al notaio di discolparsi dagli addebiti penali (in quanto in tal modo si era escluso, proprio per lo scarso contributo del notaio all’attività istruttoria che questi avesse partecipato all’altrui attività criminosa) aveva determinato l’apertura di un procedimento disciplinare per violazione dell’art. 47 della legge notarile;
(25) Cass. n. 8036 del 4 aprile 2014;
(26) Arrigo Roveda, relazione sopra cit.;
(27) Fulvio Mecenate, relazione cit.;

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