La nullità della clausola binaria societaria: la recente pronuncia del Tribunale di Roma

La questione sottoposta all’attenzione del Tribunale di Roma concerne la validità di una clausola compromissoria, inserita nell’atto costitutivo di una s.r.l., la quale prevede che le controversie tra i soci o tra i soci e la società e i suoi organi debbano essere deferite al giudizio di tre arbitri, di cui due nominati rispettivamente dall’una e dall’altra parte contendente e il terzo, con funzioni di presidente, dai primi due.

Il Tribunale si è, quindi, pronunciato sul controverso tema dell’ammissibilità delle clausole binarie (generalmente stipulate anteriormente alla riforma di cui al D. Lgs. 5/2003), le quali attribuiscono il potere di nomina degli arbitri alle parti in conflitto, ai sensi dell’art. 810 c.p.c., e, dunque, si pongono in contrasto con la disciplina dell’arbitrato societario di cui agli artt. 34 e ss. del D.Lgs. 5/2003, secondo cui, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri deve essere conferito ad un soggetto estraneo alla società.

In altre parole, possono ritenersi compatibili e alternativi l’arbitrato di diritto comune, come disciplinato nel codice di procedura civile, e l’arbitrato societario, come regolamentato dal D. Lgs. succitato, oppure il secondo esclude il primo?

Al riguardo, si sono contrapposti due differenti orientamenti.

Parte della dottrina[1] e la prima giurisprudenza di merito[2] hanno sostenuto la coesistenza dell’arbitrato di diritto comune e dell’arbitrato societario. L’adozione dell’una o dell’altra procedura è rimessa all’esclusiva scelta dei soci, i quali sono liberi di sottoporsi al giudizio di un Collegio arbitrale indipendente e terzo, come garantisce l’arbitrato societario, o di affidarsi al tradizionale procedimento arbitrale, con le sue limitazioni, come disciplinato dal codice. Secondo tale ricostruzione, pertanto, sui soci non incombe un obbligo di ricorrere all’arbitrato societario, ma un mero onere.

Altra dottrina[3] e la Suprema Corte[4] hanno, invece, ritenuto che la riforma di cui al D. Lgs. 5/2003 non abbia introdotto alcuna alternativa, ma esclusivamente un obbligo per i soci, che vogliono avvalersi del giudizio arbitrale per la risoluzione delle controversie societarie, di rispettare i dettami introdotti dalla riforma e di stipulare la clausola compromissoria, così come l’art. 34 del D. Lgs. succitato richiede.

Si esclude, quindi, che vi sia spazio per l’arbitrato di diritto comune, in ambito societario.

Conseguentemente, nel caso di conflitti tra soci o tra soci e società (e, quando previsto, nel caso di controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci o nei loro confronti), in nessuna evenienza l’arbitro può essere nominato dalle parti, ma egli deve essere designato sempre da un terzo. Ai soci resta soltanto il potere di stabilire, tramite una clausola statutaria, il numero e le modalità di nomina degli arbitri.

L’adesione all’uno o all’altro orientamento è determinante per la valutazione della sopravvenuta invalidità delle clausole binarie ante riforma e della necessità di adeguamento di tali clausole alla nuova normativa.

I fautori della tesi dell’alternatività, ammettendo la coesistenza dell’arbitrato societario e dell’arbitrato di diritto comune, ritengono che le clausole binarie rimangano valide, anche con l’entrata in vigore del D. Lgs. 5/2003; mentre i sostenitori della tesi dell’esclusività considerano le clausole ante riforma nulle, per contrarietà all’art. 34 del D. Lgs. 5/2003 ed evidenziano la necessità di un adeguamento delle stesse alla nuova normativa.

Il Tribunale di Roma nella sentenza n. 20532 del 2016 condivide la tesi dell’esclusività, fondando il proprio convincimento sulla ratio della riforma.

Difatti, esso sottolinea che obiettivo del legislatore è stato quello di delineare una tipologia di arbitrato, che potesse avere ad oggetto anche questioni non compromettibili, come quelle societarie, attinenti ai diritti dei terzi e ad interessi superindividuali. L’indisponibilità della materia, così divenuta arbitrabile, ha, però, “influenzato” le modalità di scelta dell’organo giudicante. Difatti, poiché gli arbitri sono tenuti a valutare questioni attinenti non solo ai diritti delle parti in conflitto, ma anche ad interessi ulteriori e terzi, il legislatore ha ritenuto opportuno che essi rispondessero a requisiti più rigorosi di indipendenza e imparzialità. Per tali ragioni, l’art. 34 del D. Lgs. suindicato ha sottratto il potere di nomina alle parti e lo ha conferito ad un terzo, sanzionando, con la nullità, ogni clausola di diverso tenore.

La previsione di nullità è indice della inderogabilità della disciplina e, dunque, dell’esclusività dell’arbitrato societario. D’altronde, se così non fosse, la sanzione della nullità non avrebbe alcuna valenza e alcun margine di applicabilità, potendo le parti salvare gli effetti della clausola invalida sostenendo di aver voluto dare vita ad un arbitrato di diritto comune.

Dunque, il Tribunale di Roma ha dichiarato che qualsiasi clausola statutaria non conforme alla norma inderogabile di cui all’art. 34 del D. Lgs. 5/2003, sia se introdotta ex novo dopo l’entrata in vigore della riforma, sia se preesistente e non adeguata, debba essere considerata nulla.

Il Tribunale di Roma si è espresso anche in merito alla possibilità di sostituire la previsione di nomina nulla, ai sensi dell’art. 1419, 2° comma c.c., con la designazione ad opera del Presidente del Tribunale, sancita dall’art. 34, 2° comma del D. Lgs. 5/2003 e dall’art. 810 c.p.c per le diverse ipotesi di mancata designazione da parte, rispettivamente, del soggetto designato e delle parti.

Occorre ricordare che, in passato, parte della dottrina[5], nel tentativo di fare salva la scelta arbitrale, ha accolto tale possibilità, ritenendo che la nullità colpisca l’accordo delle parti relativamente alla nomina, e non la scelta della procedura arbitrale in sé.

Il Tribunale di Roma[6] è stato di diverso avviso e ha rifiutato la sostituzione ex lege della clausola nulla, per varie ragioni.

In primis, il Tribunale ha sottolineato come sia l’art. 34 del D. Lgs. 5/2003 sia l’art. 810 c.p.c. abbiano natura eccezionale, per cui tali disposizioni sono applicabili solo se ricorrono i presupposti ivi contemplati.

In secondo luogo, ha sostenuto che l’art. 1419 c.c. sia operativo solo ove vi sia una espressa indicazione di legge che sancisca la sostituzione della disposizione nulla con la norma inderogabile. Tuttavia, nel caso di specie tale indicazione manca.

In ultima istanza, esso ha ravvisato che il rinvio alla disciplina di legge potrebbe tradire la volontà delle parti. Difatti la scelta del terzo incaricato della designazione costituisce un momento rilevante ai fini della decisione tra il procedimento arbitrale e il ricorso all’autorità giudiziaria. Assegnare, in questo caso, il potere di designazione al Presidente del Tribunale, potrebbe significare strutturare il procedimento arbitrale in forme che le parti non intendevano scegliere.


Note

[1] V. Salafia, Il nuovo arbitrato societario e altre questioni, nota a Trib. Latina 22 giugno 2004, in Società, 2005, 95; F. Auletta, Dell’arbitrato, in La riforma delle società. Il processo, Torino, 2004, 328; G. De Nova, Controversie societarie: arbitrato societario o arbitrato di diritto comune, in Contratti, 2004, 847.

[2] Corte app. Genova 7 marzo 2005, in Giur. comm., 2006, 500; Trib. Bologna 25 maggio 2005, in Giur. it., 2006, 8-9, 1640; Trib. Bari 2 novembre 2006, in Giur. it., 2007, 2237; Trib. Bologna 17 giugno 2008, in Giur. comm., 2009, 2, 1004.

[3] Massima n. 3 enunciata in data 21 gennaio 2004 dalla Commissione per la elaborazione di principi uniformi in tema di società del Consiglio Notarile di Milano; F. Danovi, Larbitrato nella riforma del diritto processuale societario, in Dir. giur., 2004, 568; F. Corsini, La nullità della nuova clausola compromissoria statutaria e l’esclusività del nuovo arbitrato societario, in Giur. comm., 2005, 1, 809.

[4] Cass. 9 dicembre 2010 n. 24867, in Notariato, 2011, 2, 137; Cass., 13 ottobre 2011 n. 21202, in Società, 2012, 2, 211, con nota di N. Soldati, Arbitrato societario: cassata la tesi del “doppio binario”; in tal senso anche la giurisprudenza di merito Trib. Latina 22 giugno 2004, in Società, 2005, 93; Trib. Milano 4 maggio 2005, in Giur. it. , 2005, 8-9; Trib. Milano 9 novembre 2005, in Società, 2006, 750; Trib. Salerno 12 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, 8-9; Trib. Trani 15 ottobre 2008, in Giur. it., 2009, 6; Trib. Milano 12 marzo 2009, in Giur. it., 2009, 10; Trib. Milano 18 giugno 2009, in Giur. it., 2009, 12.

[5] F. P. Luiso, Appunti sullarbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, 717; F. Danovi, Larbitrato nella riforma del diritto processuale societario, in www.judicium.it, 2004; F. Corsini, Larbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. it., 2003, 1294.

[6] Conforme a Trib. Catania, 26 novembre 2004, in Giur. di merito , 2006, 115; Trib. Latina 22 giugno 2004, in Società, 2005, 93.

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La nullità della clausola binaria societaria: la recente pronuncia del Tribunale di Roma ultima modifica: 2017-06-27T08:07:13+02:00 da Maria Rosaria Lenti
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