La nullità degli atti negoziali per violazione delle norme in materia urbanistica ed edilizia

NULLITA’ FORMALE O NULLITA’ SOSTANZIALE?

CONSIDERAZIONI SUL TEMA IN ATTESA DELLA DECISIONE DELLE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE

Riflessioni a margine dell’ordinanza n. 20061/18 del 9 gennaio 2018 della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione di rimessione degli atti alle Sezioni Unite.

Ogniqualvolta si affronta la tematica della nullità per violazione delle norme in materia urbanistica ed edilizia (art. 46 T.U. in materia edilizia di cui al DPR. 6 giugno 2001 n. 380 e art. 40 Legge 28 febbraio 1985, n.47) ogni possibile conclusione è condizionata dalla soluzione che si intende dare alla questione di “base”, quella sulla natura “formale” o “sostanziale” della nullità, questione che, allo stato attuale, sembra non abbia ancora ottenuto una risposta definitiva a livello giurisprudenziale, tant’è che la Suprema Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, con ordinanza interlocutoria 20061/18 del 9 gennaio 2018 (pubblicata il 30 luglio) l’ha rimessa alle Sezioni Unite.

Le diverse teorie

La teoria della “nullità formale”. Per i fautori di questa teoria va riconosciuta esclusiva rilevanza, ai fini della validità degli atti, al solo requisito formale. Così, se da un lato si è così ritenuto sufficiente la mancata menzione in atto (della avvenuta costruzione in data anteriore al 1 settembre 1967 o degli estremi del provvedimento autorizzativo) per determinarne la nullità (e ciò indipendentemente dal fatto che la costruzione sia avvenuta effettivamente in data anteriore al 1 settembre 1967 o in base a regolare provvedimento autorizzativo), dall’altro si è pure ritenuto che la presenza in atto di detta menzione sia di per sé sufficiente ad assicurare la validità dell’atto, anche se per avventura tale menzione non fosse veritiera. In sostanza l’atto è e rimane valido per il solo fatto che vi siano menzionati un provvedimento autorizzativo o la avvenuta costruzione anteriormente al 1 settembre 1967 anche se si tratta di dichiarazione falsa ed anche se il provvedimento citato non esiste o l’edificio è stato costruito dopo il 1967 in assenza di provvedimento autorizzativo.

La teoria della “nullità sostanziale”. Per i fautori di questa teoria la tesi della nullità formale non appare accettabile; se si vuol riconoscere alla normativa di cui trattasi la funzione di repressione/disincentivazione degli abusi edilizi, va da sé che per la validità degli atti non può ritenersi sufficiente la semplice menzione del provvedimento autorizzativo, ma il provvedimento deve effettivamente sussistere (ovvero in caso di dichiarazione ante 1967 la costruzione deve essere stata effettivamente realizzata anteriormente al 1 settembre 1967) e comunque la costruzione non deve essere stata eseguita in difformità dal titolo citato. Per la validità dell’atto non può ritenersi sufficiente il solo requisito formale ma deve necessariamente sussistere anche il requisito sostanziale. Sarebbe, infatti, ben strano ritenere valido un atto avente per oggetto un fabbricato totalmente abusivo e ciò per effetto di una dichiarazione palesemente falsa in ordine ai titoli edilizi abilitativi e ritenere, al contrario, nullo l’atto avente per oggetto un fabbricato assolutamente regolare sotto il profilo urbanistico ma privo delle menzioni prescritte dalla legge (anche se poi, questo atto può, comunque, essere convalidato). Se manca la riferibilità dell’opera ad un provvedimento autorizzativo o se la costruzione non è effettivamente avvenuta anteriormente al 1 settembre 1967, ossia se manca il requisito sostanziale, anche se (per dichiarazione falsa) dovesse sussistere il requisito formale, l’atto deve comunque ritenersi nullo.

L’evoluzione giurisprudenziale

La Cassazione dopo aver sostenuto per anni la teoria della nullità formale, a partire da fine 2013, ha cambiato orientamento ritenendo che alla nullità di carattere formale per mancata osservanza delle prescrizioni di legge si aggiunga anche una nullità sostanziale se la vendita ha per oggetto un fabbricato non in regola con la normativa urbanistica.

Inizialmente per la Cassazione rilevava, ai fini della validità dell’atto, solo il requisito formale, con la conseguenza che l’atto era considerato comunque nullo se carente delle dichiarazioni prescritte, e ciò a prescindere dalla regolarità effettiva dell’immobile1.

La carenza del requisito sostanziale, veniva, invece, risolta dalla Cassazione sul piano dell’inadempimento contrattuale e non su quello della nullità. Il difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico non rilevava di per sé ai fini della validità dell’atto, trovando, invece, rimedio esclusivamente nella disciplina dell’inadempimento contrattuale2. La deduzione in contratto di un immobile abusivo, per il quale non esisteva alcuna possibilità di sanatoria, costituiva, pertanto, secondo l’opinione della Cassazione, non causa di nullità del contratto ma esclusivamente inadempimento di non scarsa importanza, tale da legittimare la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento3.

In quest’ottica, pertanto, ai fini della validità dell’atto, assumeva esclusiva rilevanza il solo requisito formale, al punto di escludere la nullità degli atti ogni qual volta nell’atto fossero state inserite le prescritte menzioni anche se le stesse non fossero conformi al vero; in relazione a ciò si è giunti ad affermare che per la validità del contratto è necessaria unicamente l’autodichiarazione del venditore che la costruzione è iniziata prima del 1 settembre 1967 e non la veridicità della stessa, configurando la norma di legge una nullità formale e non sostanziale 4.

La prevalenza del profilo formale su quello sostanziale è stata ribadita anche di recente dalla Cassazione, sulla base della considerazione che i canoni normativi in tema di interpretazione della legge non consentono di attribuire al testo normativo un significato che prescinda o superi le espressioni formali in cui si articola e considerato anche il fatto che i casi di nullità previsti dalla norma sono tassativi e non estensibili per analogia, e la nullità nel caso di specie è costituita unicamente dalla mancata indicazione degli estremi dei titoli edilizi ovvero dell’inizio della costruzione prima del 19675.

Per la Cassazione, pertanto, la nullità prevista dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dal T.U. D.P.R. 380/2001 assolveva esclusivamente una funzione di tutela dell’affidamento, sanzionando la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile nella condizione di conoscere le condizioni dell’immobile acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla sua regolarità edilizia; non poteva conseguentemente essere riconosciuta alcuna efficacia sanante all’esistenza dei titoli edilizi o della sanatoria non dichiarati in atto, così come, al contrario, nessuna invalidità poteva derivare al contratto dalla concreta difformità della costruzione dai titoli edilizi o dalla sanatoria e in generale dal difetto di conformità del bene rispetto alle norme urbanistiche6

Il “cambio di rotta” della Cassazione è segnato dalla sentenza (sez. II Civile) n. 23591 del 17 ottobre 2013. In questa sentenza si afferma che la “non perfetta formulazione della disposizione di legge consente di affermare che dalla stessa è desumibile il principio generale di nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi.”

Per dare rilevanza anche al requisito sostanziale la Cassazione, peraltro, giunge a configurare due distinte nullità: (i) una nullità di carattere sostanziale che colpisce gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica; (ii) ed una nullità di carattere formale che colpisce gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, nei quali non siano menzionati gli estremi dei titoli edilizi (compresi quelli in sanatoria), con la conseguenza che potrebbe esservi una coesistenza di entrambe le suddette nullità nell’ipotesi di atti carenti delle prescritte menzioni ed aventi per oggetto immobili irregolari sotto il profilo urbanistico.

Tale ultimo orientamento è stato successivamente confermato dalla Cassazione con la sentenza (sez. II Civile) n. 28194 del 17 dicembre 2013, con la sentenza (sez. II Civile) n. 25811 del 5 dicembre 2014 e con la sentenza (sez. II Civile) n. 18261 del 17 settembre 2015.

Tuttavia tale ultimo orientamento non ha convinto tutti i Giudici della Suprema Corte, tant’è che, come sopra ricordato, la Seconda Sezione Civile della Cassazione, con ordinanza interlocutoria 20061/18 del 9 gennaio 2018 ha rimesso gli atti di causa al primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite “ai fini della composizione del rilevato contrasto diacronico sulla natura della nullità urbanistica”.

L’ordinanza 20061/2018 della seconda Sezione Civile della Cassazione

Con l’ordinanza di rimessione sopra citata la Seconda Sezione Civile della Cassazione osserva che l’orientamento inaugurato dalle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 merita un riconsiderazione da parte delle Sezioni Unite in quanto la tesi della nullità sostanziale (da ricondurre nell’ambito delle nullità virtuali ex art. 1418 c.c.) oltre a non trovare riscontro nella lettera della legge (nella quale si sanziona con la nullità l’assenza di una dichiarazione negoziale dell’alienante avente ad oggetto gli estremi dei provvedimenti concessori senza alcun riferimento alla necessità che la consistenza reale di tale immobile sia conforme a quella risultante dai progetti approvati con detti provvedimenti concessori) può risultare foriera di notevoli complicazioni nella prassi applicativa e, conseguentemente rischia di pregiudicare in maniera significativa gli interessi della parte acquirente; quest’ultima, infatti, si vede esposta, con la dichiarazione di nullità dell’atto di trasferimento, alla perdita dell’immobile (con la conseguente necessità di procedere al recupero del prezzo versato) pure in situazioni nelle quali aveva fatto incolpevole affidamento sulla validità dell’atto.

Con l’ordinanza de quo la Seconda Sezione Civile della Cassazione osserva, inoltre, che con l’accoglimento della teoria della nullità sostanziale si apre il fronte ad una ulteriore problematica di non facile soluzione: quella della rilevanza delle irregolarità edilizie ai fini della commerciabilità degli immobili. Osserva, a tal riguardo, il Collegio che la nozione di irregolarità urbanistica è nozione assai ampia, che presenta un esteso ventaglio di articolazioni, dall’immobile edificato in assenza di concessione, all’immobile edificato in totale difformità dalla concessione, all’immobile che presenta una variazione essenziale rispetto alla concessione o, ancora, a quello che presenta una parziale difformità dalla concessione.

Lamenta al riguardo il Collegio come né nelle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 né nelle sentenze 25811/14 e 18261/15 (che a quelle hanno dato seguito) si distingue tra le ipotesi di difformità totale, variazione essenziale o variazione parziale non essenziale, giacchè in tali pronunce si enuncia il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di “immobili non in regola con la normativa urbanistica”. Sotto questo profilo, a parere del Collegio, sarebbe, pertanto, auspicabile un chiarimento da parte delle Sezioni Unite sulla portata della nozione di irregolarità urbanistica.

Sotto un altro profilo il Collegio evidenzia come la tesi della natura sostanziale della nullità finisca con il far dipendere la validità del contratto da valutazioni, quali quelle legate alla diversa portata della irregolarità edilizia, che sul piano teorico possono considerarsi nitide, ma che sul piano operativo possono implicare non pochi margini di opinabilità, considerando che la verifica in concreto della gravità della irregolarità urbanistica è demandata, per legge, alle amministrazioni municipali (le cui normative ed i cui orientamenti interpretativi non sempre forniscono criteri di valutazione idonei ad orientare con chiarezza e certezza le valutazioni dei tecnici delle parti contraenti e dello stesso Notaio rogante) oltre che, in secondo battuta, al giudice amministrativo. Per il Collegio la ragione che rende opportuna la pronuncia sul tema delle Sezioni Unite è in ultima analisi una ragione di bilanciamento tra le esigenze del contrasto all’abusivismo (che potrebbero ritenersi sufficientemente tutelate dalla nullità formale derivante dalla mancata menzione nell’atto di trasferimento dei titoli edilizi) e le esigenze di tutela dell’acquirente nel caso di una difformità dell’immobile dal titolo concessorio menzionato nell’atto che, al momento dell’acquisto egli (o i suoi tecnici o il notaio rogante) non abbiano rilevato o pur rilevandola abbiano qualificato come difformità non rilevante.

Considerazioni sul tema

In attesa del pronunciamento in materia delle Sezioni Unite della Cassazione, non ci rimane che osservare come la questione circa la natura della nullità in materia urbanistica (fondata sull’alternativa nullità formale – nullità sostanziale) appaia, ancora una volta, mal posta.

Come si è già avuto modo di affermare7 la circostanza che per la validità degli atti traslativi o divisionali di fabbricati necessiti la coesistenza sia del requisito formale che del requisito sostanziale, non porta con sé la necessità di configurare due distinte nullità (una “formale” per la mancanza del requisito formale e una “sostanziale” per la mancanza del requisito sostanziale), come ritenuto nell’orientamento assunto dalla Cassazione a partire dalla sentenza 23591/2013 e come fatto rilevare anche nell’ordinanza del 2018 in commento, né la necessità di discostarsi da quella che sembrava essere una posizione ormai consolidata della stessa Cassazione, fondata sul tenore letterale delle disposizioni di legge in materia, che non lascerebbero spazio a nullità diverse da quella per la mancata indicazione degli estremi dei titoli edilizi ovvero dell’inizio della costruzione prima del 1967 (considerato che i casi di nullità previsti dalla norma sono tassativi e non estensibili per analogia).

A ben vedere, infatti, la nullità in questione non può che essere una ed una soltanto, se si pensa che il requisito sostanziale è il presupposto stesso per l’esistenza del requisito formale. Se non sussiste il requisito sostanziale non può neppure essere rispettato il requisito formale. Il rispetto del requisito formale richiede che i titoli edilizi citati (relativi alla vicenda costruttiva o ad una eventuale ristrutturazione “pesante”) effettivamente esistano e siano riferibili al fabbricato negoziato ovvero, in caso di autodichiarazione di costruzione anteriore al 1 settembre 1967, che tale circostanza corrisponda effettivamente al vero. Il requisito formale non potrà ritenersi rispettato se la dichiarazione resa è falsa ovvero se il fabbricato, contrariamente a quanto dichiarato, non è stato costruito prima del 1° settembre 1967 ovvero se il titolo citato non esiste ovvero se il titolo citato si riferisce ad altro e diverso fabbricato ovvero se il fabbricato è stato costruito o ristrutturato in totale difformità dal titolo citato (per cui non può in nessun modo essere riferibile al progetto approvato col titolo citato). Pertanto anche la cd. “nullità sostanziale” in realtà va ricondotta alla nullità per mancanza delle menzioni, posto che la menzione riportata, in quanto non riferibile, per uno dei motivi sopra illustrati, al fabbricato negoziato, è tamquam non esset; si può parlare al riguardo, più correttamente, di “nullità testuale” (o documentale) proprio per distinguerla sia dalla cd. “nullità formale” che dalla cd. “nullità sostanziale”: in pratica: (i) con l’espressione “nullità formale” si fa riferimento alla nullità causata dalla sola mancanza delle menzioni urbanistiche, nullità comunque esclusa dalla presenza di dette menzioni anche se non corrispondenti al vero; (ii) con l’espressione “nullità sostanziale” si fa riferimento alla nullità causata dalla irregolarità urbanistica (grave) dell’immobile negoziato; (iii) con l’espressione “nullità testuale” si fa, invece, riferimento alla nullità causata dalla mancanza delle menzioni urbanistiche, ossia del requisito formale, che è l’unica prevista dalle norme in commento, nullità che rimane esclusa solo se le suddette menzioni corrispondono al vero, con la conseguenza che risulterà incommerciabile il fabbricato costruito in assenza di titolo edilizio ovvero in totale difformità dal titolo rilasciato, non potendo l’atto traslativo o divisionale avente per oggetto un simile fabbricato essere corredato dalle prescritte menzioni urbanistiche (in sostanza, per la validità di un simile atto, requisito formale e requisito sostanziale debbono coesistere).

Non vi è, pertanto, alcuna necessità di configurare due distinte nullità al fine di dare rilevanza, per la validità dell’atto, oltre che al requisito formale anche al requisito sostanziale; la coesistenza tra i due requisiti non va considerata su un piano “orizzontale”, come se si trattasse di due requisiti autonomi e distinti tra di loro, il cui concorso sia necessario per evitare la nullità dell’atto, ma vanno considerati piuttosto, sotto un profilo “verticale”: a monte sta il requisito sostanziale, a valle si pone invece il requisito formale; in pratica il “requisito formale”, l’unico richiesto dalla normativa vigente per la validità dell’atto, non può neppure considerarsi esistente se a monte non sussiste il requisito sostanziale, che né pertanto il presupposto essenziale di sussistenza.

Rimane fermo che, comunque, in caso di omessa menzione dei titoli edilizi in atto, lo stesso deve ritenersi nullo (anche se ha per oggetto fabbricato in regola con la normativa urbanistica) come anche riconosciuto dalla giurisprudenza (“In tema di compravendita immobiliare, la nullità prevista dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 (applicabile “ratione temporis“), per omessa indicazione (o allegazione), nell’atto, degli estremi dei titoli edilizi relativi all’immobile alienato, riveste carattere formale, sicché, da un lato, per la sua configurazione è sufficiente che si riscontri la mancanza di tale indicazione nel contratto, senza che occorra interrogarsi sulla reale esistenza di detti titoli ….)8

Peraltro se, da un lato, deve ammettersi che la mancanza del requisito sostanziale determini la nullità dell’atto (non potendo essere rispettato il requisito formale) deve, anche, ammettersi, dall’altro lato, che non può essere punito con la nullità ogni tipo di abuso edilizio, a prescindere dalla gravità dello stesso.

E’, infatti, un principio ricavabile dal sistema che le sanzioni debbano essere proporzionate alla gravità dell’abuso commesso. Questo risulta sancito espressamente con riguardo alle sanzioni amministrative e penali, che differiscono a seconda del tipo di abuso commesso. Più grave è l’abuso, più rigorose e severe sono le sanzioni amministrative e penali. Il principio (la sanzione deve essere proporzionata alla gravità dell’abuso), che risulta espressamente sancito con riguardo alle sanzioni amministrative e penali, non può, quindi, non valere anche per la sanzione “civile” della nullità degli atti traslativi e divisionali.

Ma quando, in concreto, una difformità edilizia incide sul requisito sostanziale, facendolo venir meno, determinando, in tal modo, la nullità dell’atto?

In dottrina sono state manifestate diverse opinioni. L’opinione assolutamente prevalente9 è quella che tende a circoscrivere le irregolarità rilevanti ai fini della commerciabilità dei beni alla assenza del titolo edilizio abilitativo ed alla totale difformità (da equipararsi alla assenza del titolo edilizio, in quanto nessuna differenza vi sarebbe tra il caso della costruzione realizzata senza alcun provvedimento abilitativo e quello della costruzione eseguita in totale difformità e cioè senza alcun collegamento tra quanto realizzato e quanto in concreto assentito dal Comune). Non è mancato, peraltro, in dottrina10 chi ha ritenuto rilevante ai fini in discorso anche la mera variazione essenziale, sulla base della considerazione della equiparazione legislativa tra assenza di titolo edilizio e variazione essenziale sotto il profilo delle sanzioni amministrative).

Anche la giurisprudenza si è allineata a quella che è l’opinione prevalsa in dottrina, dando così rilievo, ai fini della commerciabilità dei beni, solo agli abusi cd. “maggiori”. In particolare la Cassazione ha avuto modo di precisare che “la sanzione di nullità del contratto di compravendita immobiliare non è prevista per la difformità della costruzione rispetto alla concessione, salvo il caso di totale difformità e solo in tale ipotesi è inibita (in mancanza di sanatoria o di presentazione della domanda nei termini e con le modalità di legge) la pronuncia di sentenza di trasferimento coattivo dell’immobile ex art. 2932 c.c.”11. Sempre la Cassazione ha pure avuto modo di affermare che “in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex articolo 2932 c.c. non solo allorché l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformità dalla concessione (e manchi la sanatoria). Ove, invece, l’immobile – munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati nè revocati – abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo, ed è pertanto illegittimo il rifiuto del promittente venditore di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dalla promissaria acquirente”12 (i casi esaminati dalla Cassazione riguardavano la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile13 e la presenza di una nuova scala esterna14)

Quando si parla di commerciabilità dei fabbricati, peraltro, bisogna distinguere a seconda dell’epoca in cui è stato costruito o (radicalmente) ristrutturato il fabbricato (fermo restando che è sempre alla vicenda costruttiva o ad un’eventuale ristrutturazione cd. “pesante” che bisogna fare riferimento, ogni qualvolta venga messa in discussione la commerciabilità di un edificio).

Se si tratta di edificio costruito prima del 1° settembre 1967 (e successivamente non oggetto di interventi di ristrutturazione cd. “pesante”) il bene sarà in ogni caso commerciabile (a prescindere dalla conformità o meno della costruzione all’eventuale progetto presentato) in quanto per la validità degli atti relativi ad edifici oggetto di interventi edilizi realizzati prima di tale data è sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante tale circostanza, per una sorta di riconoscimento di regolarità urbanistica ex lege di dette costruzioni ai fini della loro commerciabilità15

Per gli edifici costruiti e/o ristrutturati dopo l’1° settembre 1967, bisogna, invece, valutare la gravità di eventuali irregolarità edilizie commesse in sede di costruzione e/o di ristrutturazione (“pesante”), per verificare la commerciabilità o meno dell’immobile (una volta che si è esclusa la rilevanza, ai fini della nullità degli atti, di ogni tipo di abuso edilizio).

Per tali edifici riteniamo appagante, per determinarne la commerciabilità, fare ricorso al criterio della riferibilità iniziale dell’opera ad un provvedimento autorizzativo (licenza edilizia, concessione edilizia o permesso di costruire a seconda dell’epoca di costruzione) ovvero sulla base di “super-D.I.A” (nei casi di cui all’art. 22, c.3, T.U. D.P.R. 380/2001) e/o super S.C.I.A. (nei casi di cui all’art. 23, co. 01, T.U. D.P.R. 380/2001); in base a tale criterio è alla vicenda costruttiva che bisogna, innanzitutto, fare riferimento, con conseguente commerciabilità del bene qualora sussista la riferibilità dell’edificio da trasferire ad un progetto debitamente approvato ed autorizzato, indipendentemente da eventuali successivi interventi che pur avendo in qualche modo modificato l’edificio non siano di portata tale da far venir meno la riconducibilità dell’edificio da trasferire a tale progetto originario; tale riferibilità iniziale viene meno solo nel caso in cui sul fabbricato siano stati eseguiti interventi edilizi tali da dar luogo ad un organismo edilizio totalmente differente da quello originariamente assentito (come nel caso della ristrutturazione “pesante” di cui all’art. 10, c. 1, T.U. D.P.R. 380/2001).

E’ vero che in base a tale criterio possono considerarsi commerciabili edifici sui quali sono stati commessi anche degli abusi edilizi, ma la esigenza di repressione degli abusi edilizi cui è finalizzata tutta la disciplina in materia, non può peraltro portare alla incommerciabilità del bene in presenza di qualsiasi tipo di abuso edilizio, soprattutto se trattasi di abuso di minor rilievo.

Tale ricostruzione, peraltro, trova conferma nella disposizione dell’art. 2, comma 58, primo periodo, legge 23 dicembre 1996 n. 662, che, nel disciplinare gli aspetti formali da osservare ai fini della validità degli atti di trasferimento dei fabbricati per i quali sia in corso la procedura di sanatoria o per i quali la sanatoria si sia formata per silenzio-assenso, fa espresso riferimento ai soli atti aventi per oggetto fabbricati costruiti senza concessione edilizia (fattispecie alla quale è equiparata quella della totale difformità).

Altra autorevole conferma a tale ricostruzione si ritrova nella Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 17 giugno 1995 n. 2241 (Capitolo 9 – paragrafo 9.1) ove si afferma che “occorre innanzitutto ribadire che l’eventuale nullità degli atti di trasferimento è circoscritta soltanto agli immobili eseguiti in assenza di concessione o in totale difformità di essa ….. mentre non sono oggetto ad alcun limite alla commerciabilità gli abusi di minore gravità che restano assoggettati alle sanzioni di tipo amministrativo o penale”

Al riguardo bisogna, altresì, sottolineare la rilevanza che a seguito dell’entrata in vigore del T.U. D.P.R. 380/2001 ha assunto, ai fini della commerciabilità degli edifici, anche la ristrutturazione cd. “pesante” (ossia la ristrutturazione disciplinata dall’art. 10, comma 1, lett. c) T.U. D.P.R. 380/2001), per cui anche un intervento qualificabile come ristrutturazione “pesante”16 eseguito in assenza ovvero in totale difformità dal titolo abilitativo determina la incommerciabilità del bene (e ciò anche con riguardo al bene costruito prima del 1 settembre 1967, se l’intervento di ristrutturazione si colloca dopo tale data, come anche riconosciuto dalla giurisprudenza17). Pertanto per valutare l’incidenza che un intervento edilizio non autorizzato ha agli effetti della commerciabilità di un edificio, non basta avere riguardo alla sola vicenda costruttiva dello stesso, ma anche ad eventuali interventi successivi, perché se qualificabili come ristrutturazione cd. “pesante” e se eseguiti in assenza del titolo abilitativo o in totale difformità, gli stessi comporteranno l’incommerciabilità dell’edificio18

In conclusione si può affermare che deve essere esclusa la commerciabilità del bene, con conseguente nullità di un eventuale atto traslativo o divisionale per carenza del requisito sostanziale e conseguente impossibilità di rispettare anche il prescritto requisito formale, solo se si è in presenza di un “abuso maggiore” ovvero:

– costruzione iniziale eseguita in assenza di titolo edilizio

– costruzione iniziale eseguita in totale difformità dal titolo edilizio rilasciato

– ristrutturazione cd. ”pesante eseguita in assenza di titolo edilizio

– ristrutturazione cd.”pesante” eseguita in totale difformità dal titolo edilizio rilasciato

Se si è invece in presenza di una irregolarità edilizia meno grave, ossia di interventi edilizi eseguiti con variazioni anche essenziali o in parziale difformità dal titolo edilizio abilitativo comunque rilasciato (ossia in presenza di un cd. “abuso minore19) il bene è comunque commerciabile, a prescindere dall’avvenuta presentazione o meno della richiesta di sanatoria.

Una volta accertato che si è in presenza di un abuso minore va tenuta distinta la questione della “commerciabilità giuridica” dalla questione della “commerciabilità economica” dell’immobile (rimanendo, peraltro, impregiudicata la questione sulla valutazione, in concreto, del “grado” dell’abuso commesso, il più delle volte assai problematica).

La commerciabilità giuridica sussiste, sempre ed in ogni caso, anche se si è in presenza di un “abuso minore”, e benché lo stesso non sia sanabile con il solo pagamento di una sanzione pecuniaria.

La commerciabilità economica sarà, invece, compromessa dalla presenza di un “abuso minore”, specie se non sanabile con il pagamento di una sanzione pecuniaria. Il proprietario, infatti, si troverà esposto alle sanzioni previste per l’abuso commesso (demolizione, rimessa in pristino, ecc.) e avrà non poche difficoltà nel procedere alla successiva rivendita dell’immobile. Inoltre la stessa “tenuta” del contratto, può essere messa in discussione, in quanto la presenza di abusi edilizi (minori) pur non determinando la nullità del contratto, può, tuttavia, legittimare la richiesta di risoluzione dello stesso o la richiesta di riduzione del prezzo ovvero la richiesta del risarcimento dei danni subiti.

Alla luce di queste ultime considerazioni non può che condividersi l’auspicio contenuto nell’ordinanza in commento della Seconda Sezione Civile della Cassazione di un chiarimento da parte delle Sezioni Unite, oltre che sulla natura della nullità, anche sulla portata della nozione di irregolarità urbanistica e sulla sua incidenza sulla commerciabilità dei fabbricati.

1 Cass. 15 giugno 2000 n. 8147: “l’art. 40 legge 47/1985 detta una prescrizione puramente formale tanto che, a prescindere dalla regolarità effettiva dell’immobile, il contratto sarà comunque nullo se carente delle dichiarazioni prescritte”

2 Cass. 24 marzo 2004 n. 5898

3 Cass. 19 dicembre 2006 n. 27129 (con riguardo specifico ad un preliminare con il quale veniva promesso in vendita un immobile abusivo non sanabile)

4 Cass. 5 luglio 2013 n. 16876

5 Cass. 5 luglio 2013 n. 16876

6 Cass. 7 dicembre 2005 n. 26970

7 G.Rizzi “Circolazione degli immobili e normativa edilizia” in NOTARIATO, IPSOA, 5/2015, pag. 483

8 Cassazione, Sez. II Civile, 14 giugno 2017, n. 14804

9 G. Casu, “Tipo di abuso edilizio e commerciabilità del bene” in Condono Edilizio, Circolari, studi e riflessioni del Notariato, Milano, 1999, 228 e ss.; G.Rizzi, Testo Unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, I Quaderni di “Notariato”, Milano, 2004, 150 e segg.; Baralis-Ferrero.Podetti, Prime considerazioni sulla commerciabilità degli immobili dopo la l. 28 febbraio 1985 n. 47, Riv. not., 1985, 530; Bottaro, La legge di sanatoria dell’abusivismo. Ruolo del notaio, Riv. Not. 1985, 840.

10 Cardarelli, La legge 28 febbraio 1985 n. 47 nei suoi riflessi sull’attività notarile, Riv. Not.,1986, 287; Luminoso, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio, Quadr., 1985, 332.

11 Cassazione, Sez. II Civile, 12 marzo 2012, n. 3892

12 Cassazione, Sez. II Civile, 18 settembre 2009, n. 20258; Cassazione, Sez. II Civile, 7 aprile 2014, n. 8081; Cass. 9 dicembre 2015 n. 24852

13 Cassazione, Sez. II Civile, 18 settembre 2009, n. 20258

14 Cassazione, Sez. II Civile, 7 aprile 2014, n. 8081;

15 Sul punto si rinvia allo Studio n. 5389/C “Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili” approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 30 ottobre 2004 (estensore Giovanni Rizzi) in C.N.N. Notizie del 26 novembre 2004.

16 così l’art. 10, c. 1, lett. c), T.U. DPR 380/2001, nel testo attualmente in vigore, definisce gli interventi di ristrutturazione “pesante”: “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del dlgs.22.1.2004 n. 42 e s.m.i.” Nello stesso senso anche la Tabella A allegata al Dec. L.vo 22 novembre 2016 n. 222, Sezione II (Edilizia), § 1, n. 8,(Tabella nella quale per ciascuna delle attività edilizie elencate viene indicato il regime amministrativo applicabile).

17 Cassazione, Sez II Civile, 17 settembre 2015, n. 18261; Cassazione, Sez II Civile, 30 agosto 2017 n. 20537

18 Sul punto si rinvia allo Studio n. 5389/C “Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili” approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 30 ottobre 2004 (estensore Giovanni Rizzi) in C.N.N. Notizie del 26 novembre 2004.

19 Al riguardo, per quanto concerne l’individuazione degli abusi minori, si rinvia allo Studio n. 5389/C “Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili” approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 30 ottobre 2004 (estensore Giovanni Rizzi) in C.N.N. Notizie del 26 novembre 2004.

 

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La nullità degli atti negoziali per violazione delle norme in materia urbanistica ed edilizia ultima modifica: 2018-08-02T11:02:00+02:00 da Giovanni Rizzi
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