La Corte di Cassazione, sulla base di suoi precedenti giudicati, ritiene che la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo, sia esclusa dall’ambito applicativo dei nn.8-bis) e 8-ter) dell’art. 10 del d.P.R. n. 633/1972, trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso soggetta/imponibile Iva.
Tuttavia, sempre secondo la Corte, qualora, per effetto della cessione, l’immobile strumentale per natura non ancora completato pervenga ad un consumatore finale, il quale provveda alla ultimazione dei lavori a mezzo di contratto di appalto, ci si trova in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, n.8-ter), del d.P.R. n. 633 del 1972 e l’atto va assoggettato ad imposta di registro. (Cfr. Cass. Civ. Sent. Sez. 5, n. 22138/2017)
L’affermazione della Corte secondo cui in quest’ultimo caso l’atto vada assoggettato a imposta di registro è di tutta evidenza la stessa svista in cui erano incorsi i giudici di legittimità con la sentenza n. 23499 del 2016, richiamata a fondamento della decisione in commento che respingendo il ricorso del contribuente, conferma la sentenza dei giudici di merito favorevole all’amministrazione finanziaria in ordine alla debenza delle imposte ipotecaria e catastale cd rinforzate del 3 e 1 per cento.
Risulta pacifico, infatti, che in base al principio di alternatività Iva/Registro di cui all’art. 40 del T.U.R., agli atti relativi a cessioni di immobili strumentali per natura di cui all’art. 10, co. 1°, n. 8-ter), d.P.R. n. 633/1972, l’imposta di registro si applica in misura fissa, anche nel caso in cui le cessioni siano esenti da Iva. Mentre, invece, ed è il caso portato all’esame della Corte, relativamente a tali cessioni, ancorché esenti da Iva, le imposte ipotecaria e catastale non si applicano in misura fissa, ma bensì nelle misure proporzionali rispettivamente del 3 e 1 percento.
In ogni caso, con la sentenza in commento, che si conforma alle decisioni della stessa Corte, n. 23499/2016 sopra richiamata e n. 22757/2016, sembra consolidarsi l’orientamento secondo cui, in ipotesi di trasferimento da soggetto Iva di un fabbricato strumentale per natura in corso di costruzione o non ultimato, la cessione fuoriesca dall’ambito applicativo del n. 8-ter) dell’art. 10 del d.P.R. n. 633/1972 soltanto nel caso in cui l’immobile resti nel “circuito produttivo”: ma perché ciò si realizzi, occorre che la cessione avvenga tra imprese edili, ossia quando sia il cedente, sia il cessionario, siano imprese edili.
Pertanto, secondo la tesi sostenuta in giudizio dall’AE, accolta dalla CTR e confermata dalla Cassazione, la cessione a soggetto diverso da un’impresa edile si considera effettuata nei confronti dell’utilizzatore finale, cessione che facendo fuoriuscire il bene dal circuito produttivo attiva il meccanismo impositivo di cui al citato n. 8-ter) relativamente all’applicazione delle imposte ipotecaria e catastali in misura proporzionale.
Evoluzione della vicenda
All’indomani dell’entrata in vigore della nuova disciplina Iva di cui al d.l. n. 228/2006, convertito con modificazioni dalla l. n. 248/2006, l’Agenzia delle Entrate stabilisce che “la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo (…) sia esclusa dall’ambito applicativo dei nn. 8-bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del DPR n. 633 del 1972 trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso assoggettata ad IVA.” (Cfr. Circolare 1° marzo 2007, n. 12/E). “Conseguentemente, risulta pienamente operante, nella fattispecie rappresentata, il principio di alternatività tra IVA e imposte di registro, ipotecaria e catastale, per cui queste ultime sono dovute in misura fissa. (Cfr. Circolare 12 marzo 2010, n. 12/E)
Nel giudizio conclusosi con la sentenza della Cassazione n. 22757/2016, sfavorevole al contribuente, l’AE, confortata dalla decisione dei giudici di merito, ritiene invece che perché la circostanza di cui sopra possa ritenersi realizzata la cessione deve avvenire tra imprese edili, cioè quando sia il cedente, sia il cessionario, siano imprese edili. Diversamente, qualora il cessionario sia l’utilizzatore finale, il fabbricato fuoriesce dal circuito produttivo e diventa equiparabile al fabbricato ultimato, con conseguente applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale (3+1 per cento).
La controversia trae origine dalla l’impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio aveva richiesto il pagamento delle imposte ipotecarie e catastali nella misura proporzionale del 3 e 1 per cento, in relazione ad una compravendita soggetta ad Iva di un immobile strumentale non ultimato e di un immobile ad uso uffici anch’esso in corso di costruzione, ma a differenza del primo, già utilizzato, imposte che il notaio rogante aveva corrisposto in autoliquidazione nella misura fissa.
La commissione adita accoglie parzialmente il ricorso, riconoscendo la correttezza della autoliquidazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa relativamente all’immobile strumentale non ultimato (e non utilizzato). La decisione viene riformata con la sentenza della CTR che accoglie l’appello dell’Ufficio, ritenendo dovute le imposte ipotecaria e catastale cd rinforzate.
Nella specie la Corte ritiene non fondata la censura della sentenza impugnata sollevata dal contribuente, “essendo tale sentenza basata su un accertamento di fatto che il cessionario non sia una impresa edile, ma l’utilizzatore finale, che si tratti cioè di una cessione idonea a sottrarre l’immobile al ‘circuito produttivo’: un accertamento, quest’ultimo, che non è oggetto di alcuna adeguata censura, dato che la parte ricorrente non contesta la qualità soggettiva attribuita al cessionario dal giudice di merito, ma ne contesta solo la rilevanza ai fini della determinazione del regime fiscale applicabile.”
Quindi la questione non riguarda l’assoggettamento a Iva della cessione, che rimane in ogni caso imponibile all’imposta, ma la debenza delle imposte ipotecaria e catastale nelle misure proporzionali del 3 e 1 per cento.
La vicenda all’esame della Corte di Cassazione, di cui alla sentenza n. 23499/2016 è originata, invece, dalla richiesta di rimborso di imposte ipotecarie e catastali assolte in misura proporzionale in relazione alla cessione di un immobile industriale non ultimato.
Nella specie il notaio, dopo aver versato in sede di adempimento unico le imposte ipotecarie e catastali rinforzate del 3 e 1 per cento, ritenendo tali imposte dovute invece in misura fissa, aveva presentato istanza di restituzione all’amministrazione finanziaria. Avverso il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle Entrate la parte interessata ricorreva alla CTP, la quale accoglieva il ricorso. Proposto appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, la CTR lo accoglieva sul rilievo che il fabbricato era strumentale all’attività della società e, dunque, andava esente da Iva ai sensi dell’articolo 10, comma l, n. 8-ter), del d.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che erano dovute le imposte catastale e ipotecaria in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 10, co. 1°, D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347 e dell’art. l-bis della Tariffa allegata al medesimo decreto legislativo, Testo Unico delle imposte ipotecaria e catastale.
Avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso per cassazione il contribuente. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’articolo 370, comma l, cod. proc. civ.
Rileva la Corte che dalla sentenza impugnata si evince che al momento del contratto di acquisto stipulato nell’ottobre 2006 l’immobile era in corso di costruzione e che era stato ultimato nell’aprile del 2008, epoca dalla quale vi era stata la possibilità dell’utilizzo del bene strumentale nella gestione corrente dell’impresa. Secondo il contribuente, trattandosi di immobile in corso di costruzione, esso non poteva rientrare nella previsione di cui all’art. 10, comma l, n. 8-ter), del d.P.R. n. 633/1972, che prevede l’esenzione da Iva per le cessioni di fabbricati strumentali, posto che la norma stessa dispone che debba trattarsi di fabbricato non suscettibile di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, per cui la circostanza che l’immobile non era ultimato al momento del suo trasferimento escluderebbe di poterne affermare la strumentalità all’esercizio dell’impresa. Ora, continua la Corte, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 12/E del l marzo 2007, aveva affermato che «occorre tener conto che l’art. 10, nn. 8-bis) e 8-ter) del d.P.R. n. 633 del 1972, nell’individuare il regime IVA applicabile alla cessione di fabbricati, non tratta specificamente anche dei fabbricati “non ultimati”. Ciò diversamente da quanto espressamente previsto in altri ambiti normativi (come, ad esempio, il n. 21) della Tabella A, parte II, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972 e il n. 127-undecies) della Tabella A, parte III, allegata al medesimo d.P.R.. Ciò deve indurre a ritenere che la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo (come individuata nel paragrafo che precede) sia esclusa dall’ambito applicativo dei richiamati nn. 8-bis) e 8-ter) dell’art. 10 del d.P.R. n. 633 del 1972, trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso assoggettata ad IVA».
Ricorda la Corte che espressioni analoghe si rinvengono nella Circolare n. 12/E del 12 marzo2010, laddove viene posto in rilievo che, ai fini di affermare che l’atto di cessione è sottoposto ad Iva, il bene non sia ancora uscito dal circuito produttivo, di modo che, nel caso in cui l’immobile strumentale, non ancora completato, pervenga al consumatore finale, il quale provveda all’ultimazione dei lavori a mezzo di contratto di appalto, ci si trova in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, n. 8-ter), d.P.R. n. 633/1972 e l’atto va assoggettato ad imposta di registro. Tale interpretazione della norma, secondo la Corte, appare conforme al dato testuale, considerato che l’art. 10, n. 8-ter), citato, esclude dall’esenzione le cessioni effettuate dalle imprese costruttrici entro cinque anni dalla data della ultimazione della costruzione, ravvisandosi in ciò la ratio della norma che consiste nell’intento di favorire le imprese costruttrice le quali, esse si, possono giovarsi della sottoposizione ad Iva in quanto partecipano del ciclo produttivo.
Diversamente opinando, conclude la Corte, ovvero qualora si ritenesse che qualsiasi cessione di bene strumentale non ultimato andasse esente da Iva, anche nel caso in cui l’acquirente fosse il consumatore finale, si legittimerebbero operazioni elusive che non si giustificano alla luce di quella che deve intendersi essere la ratio della norma, volta ad assoggettare ad Iva le cessioni di beni strumentali non ultimati che avvengono nell’ambito del circuito produttivo e non sono poste in essere a favore del consumatore finale.
Pertanto la Corte ritiene che il ricorso vada accolto e l’impugnata decisione vada cassata con rinvio ad altra sezione della CTR, che, adeguandosi ai principi esposti, dovrà verificare se, per effetto della cessione di cui si tratta, il bene sia uscito o meno dal circuito produttivo e deciderà nel merito oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.
Nell’ultima vicenda, di cui alla sentenza della Cassazione n. 22138/2017, la società Alfa acquistava dalla società Beta due porzioni di un fabbricato ad uso artigianale, di cui una costituita da un capannone in corso di costruzione, con applicazione delle relative imposte di Registro ed ipo-catastali in misura fissa, essendo l’atto soggetto ad IVA.
L’Ufficio notificava un avviso di liquidazione con rideterminazione delle imposte, al notaio rogante, il quale provvedeva all’integrale pagamento delle somme richieste. La società Alfa proponeva ricorso innanzi alla CTP, eccependo l’illegittimità dell’avviso di liquidazione per errata applicazione della normativa di cui all’art. 1-bis Tariffa allegata al D.lgs. n. 347 del 1990, nonché per violazione dell’art. 35 del D.lgs. n. 346 del 1990, in quanto non riportante in maniera esplicita la base imponibile e le aliquote applicate nel calcolo dell’imposta dovuta. La CTP accoglieva il ricorso. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, che veniva accolto dalla CTR. La società propone ricorso per la cassazione della sentenza. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, proponendo ricorso incidentale. La società contribuente resiste con controricorso incidentale.
Con riferimento alle cessioni di beni strumentali non ultimati, la Corte ricorda di avere recentemente precisato che: «Le cessioni di beni strumentali non ultimati, ove avvengono nell’ambito del circuito produttivo, sono soggette ad IVA, non ricadendo nell’esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 8 ter, del d.P.R. n. 633 del 1972 e, conseguentemente, ad imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 1 bis della Tariffa allegata al d.lgs. n. 347 del 1990, mentre, se sono poste in essere a favore del consumatore finale, il quale provveda alla ultimazione dei lavori tramite contratto di appalto, sono sottoposte ad imposte di registro» (Cfr. Cass. n. 23499 del 2016).
La Corte, dopo aver richiamato la Prassi dell’Agenzia delle Entrate, di cui alle citate Circolari n. 12/E del 1 marzo 2007 e n. 12/E del 12 marzo 2010, ribadisce quanto già evidenziato nella sentenza n. 23499 del 2016, in particolare che ciò che viene posto in rilievo per ritenere l’atto di cessione assoggettabile ad IVA, è che il bene non sia ancora uscito dal circuito produttivo, con la conseguenza che, nel caso in cui l’immobile, non ancora completato, pervenga ad un consumatore finale, il quale provveda alla ultimazione dei lavori a mezzo di contratto di appalto, ci si trova in regime di esenzione, ai sensi dell’art. 10, n. 8-ter), del d.P.R. n. 633 del 1972 e l’atto va assoggettato ad imposta di registro.
Per quanto sopra, secondo la Corte, la pronuncia della CTR non merita le censure espresse nei motivi di ricorso.
Va detto, in conclusione, che nelle tre vicende al vaglio della Cassazione, l’AE non ha mai contestato la imponibilità Iva delle cessioni dei fabbricati strumentali non ultimati, ma soltanto la mancata applicazione delle imposte ipotecaria e catastale rinforzate (nella seconda negando la restituzione di quelle pagate). Mentre i giudici di legittimità hanno fondato il loro convincimento sul presupposto che per l’applicazione delle suddette imposte in misura proporzionale la cessione debba essere esente da Iva (ignorando che per gli immobili strumentali per natura ultimati le ipocatastali del 3+1 si applicano in ogni caso). Così come in ogni caso, quindi sia per le cessioni imponibili, sia per le cessioni esenti, l’imposta di registro si applica nella misura fissa, attualmente di Euro 200.
Come già in precedenza evidenziato, la conclusione cui perviene la Corte appare frutto di una svista dei giudici di legittimità e come tale, pertanto, non può assurgere a “principio di diritto”.
In ogni caso bisogna prendere atto di questo nuovo corso inaugurato dall’AE, anche se con i limiti di cui sopra, confortato dalla Cassazione, e cioè che se la cessione del fabbricato strumentale per natura non ultimato è effettuata dalla prima impresa costruttrice nei confronti di impresa diversa da quelle “edili”, l’operazione è soggetta a Iva obbligatoria e all’applicazione delle ipotecarie e catastali in misura rinforzata.
Ad avviso di chi scrive anche la tesi dell’AE appare discutibile, considerato che un fabbricato può considerarsi strumentale per natura, cioè non suscettibile di altra destinazione senza radicali trasformazioni e quindi rientrante nella disciplina impositiva di cui al n. 8-ter) citato, soltanto a seguito della sua ultimazione, cioè dal “momento in cui l’immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo” come ritenuto dalla stessa AE. (Cfr. Circolare 1° marzo 2007, n. 12/E, paragr. 10).
Aggiungasi che anche il riferimento all’impresa “edile” appare non adeguato al disposto di cui al n. 8-ter), norma che valorizza, ai fini dell’applicazione della relativa disciplina, la figura dell’impresa costruttrice, dovendosi considerare tale, come pacificamente ammesso dalla stessa AE, l’impresa che realizza la costruzione anche avvalendosi per la esecuzione dei lavori di imprese terze, quindi anche l’impresa che non abbia per oggetto della propria attività la costruzione dei predetti fabbricati.
Quanto alla cessione effettuata dalla seconda impresa che ha proceduto alla ultimazione del fabbricato acquistato in corso di costruzione, bisogna ulteriormente distinguere:
1) cessione a seguito di interventi qualificati di cui all’art. 3, co. 1°, lettere c), d) ed f), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380:
– Iva obbligatoria nel quinquennio dalla ultimazione dell’intervento;
– Iva esente, salvo opzione per l’imposizione, oltre il quinquennio dalla ultimazione;
2) cessione a seguito di interventi di rifinitura o comunque di interventi non qualificati, quali, tra gli altri, gli interventi consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione delle opere anche se comportanti la variazione del carico urbanistico, purché venga mantenuta l’originaria destinazione d’uso, interventi che si considerano attualmente di manutenzione straordinaria:
– Iva esente, salvo opzione per l’imposizione.
Imposta di registro in misura fissa e ipotecarie/catastali rinforzate in ogni caso.

AUTORE

Raffaele Trabace, notaio, esperto di norme fiscali di interesse notarile.