In diretta i lavori del Convegno Federnotai 2022 di Bologna
Il mandato di protezione
(in previsione di futura incapacità)
Presentazione della proposta di Legge di Federnotai
a cura di Enrico Maria Sironi
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Vorrei premettere alla presentazione della proposta normativa un breve richiamo ad alcuni concetti di base, che si trovano nelle prime pagine di ogni manuale di diritto privato, talmente elementari da esporre al rischio di una loro sottovalutazione.
L’art. 1 del codice civile riconosce a ciascun individuo, per il solo fatto di essere nato, la capacità giuridica, cioè l’attitudine ad essere titolare di diritti e di doveri, attitudine che sul piano costituzionale possiamo pacificamente ricondurre ai “diritti inviolabili dell’uomo”, riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della nostra carta fondamentale, la cui tutela è -per così dire- coperta dal principio di uguaglianza affermato dall’art. 3 Cost., che esclude discriminazioni, anche se riconducibili a particolari “condizioni personali o sociali”.
Dalla capacità giuridica si distingue la capacità d’agire, cioè l’idoneità dell’individuo a compiere validamente atti giuridici: non si tratta di un diritto soggettivo, ma di un presupposto, o di una qualità preliminare al compimento di atti giuridici, che per presunzione legale si acquista con il compimento della maggiore età (art. 2 codice civile), la quale fa presumere la piena capacità di intendere e di volere, salvo i casi in cui una situazione, anche transitoria, di incapacità (cosiddetta) naturale al momento del compimento di un atto giuridico ne determina l’annullabilità, in conformità all’art. 428 codice civile.
Capita vi siano soggetti (maggiorenni o minori emancipati) che “si trovano in condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi”, i quali devono essere interdetti quando ciò sia “necessario per assicurare loro adeguata protezione”, mentre, nel caso in cui “lo stato di infermità mentale non è talmente grave da far luogo all’interdizione”, possono essere inabilitati, sempre con provvedimento giudiziale. Voglio sottolineare come il presupposto legale dei provvedimenti di interdizione e inabilitazione, espressamente enunciato dagli articoli 414 e 415 codice civile, sia l’accertata infermità di mente (salvi i casi residuali dell’abuso di bevande alcooliche o stupefacenti, o dei sordi o ciechi dalla nascita che non abbiano ricevuto sufficiente educazione).
Mi è capitato di rileggere le pagine dedicate all’interdizione ed all’inabilitazione nel Trattato di diritto privato diretto da Pietro Rescigno: sono pagine scritte nel 1982 e vi si trovano interessanti considerazioni di politica legislativa. In particolare, veniva evidenziato che sul piano pubblicistico, con la legge 13 maggio 1978, n. 180, relativa agli “accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, si è avviato un processo riformatore del trattamento della malattia mentale nel senso del riconoscimento dei diritti della persona, in linea con il dettato costituzionale, cui è stata attribuita assoluta preminenza rispetto alla protezione della “società dei sani”. Sul piano privatistico, invece, oltre all’ovvio rafforzamento della prospettiva interpretativa improntata alla valorizzazione della dimensione di protezione del soggetto infermo di mente, ci si chiedeva se non fosse lecito aspettarsi analoghi interventi riformatori, capaci di elevare il non facile punto di equilibrio tra protezione dell’interesse dei soggetti vulnerabili e tutela delle esigenze del traffico giuridico.
Si trattava di una posizione non certo isolata, tanto che sulla scorta di tale spinta culturale, sul finire degli anni ottanta del secolo scorso, fu pubblicata dal professor Cendon una prima bozza di articolato, che avrebbe portato oltre 15 anni dopo all’approvazione della legge 9 gennaio 2004, n.6, la quale (i) ha introdotto nell’ordinamento l’istituto dell’amministrazione di sostegno, (ii) modificato la rubrica del Titolo XII del libro primo del codice civile (ora dedicato alle “misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”) e (iii) parzialmente modificato gli stessi istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, i quali hanno di fatto assunto una dimensione residuale rispetto all’amministrazione di sostegno.
Dal punto di vista sociologico, va evidenziato come l’istituto dell’amministrazione di sostegno, che ricollega l’intervento protettivo dell’ordinamento ad una situazione personale di “impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi” per effetto di infermità o menomazione fisica o psichica, consente di rispondere a situazioni di vulnerabilità ricollegabili anche a mere difficoltà fisiche, oltre che all’ampia gamma di patologie neurodegenerative, incidenti sulle capacità cognitive della persona in modo progressivo, la cui sempre maggiore ricorrenza è influenzata dall’innalzamento della durata media della vita umana. Al di là di eventuali osservazioni tecnico-giuridiche, si è trattato indubitabilmente di una riforma importante e positiva, anche considerato che gli effetti delle predette patologie sulla qualità di vita delle persone è spesso accresciuta dalle dinamiche della cd. “società liquida”, che portano con sé la maggior propensione dei giovani ad allontanarsi dal contesto territoriale di appartenenza e, quindi, dai genitori e l’indebolimento della funzione protettiva tradizionalmente svolta dalla famiglia.
Perché, quindi, immaginare un ulteriore intervento normativo per la protezione privatistica dei soggetti vulnerabili, prevedendo uno strumento di tutela di carattere negoziale, che in qualche misura prescinda dall’intervento pubblico?
Vi sono, innanzitutto, ragioni molto concrete, evidenziate anche nel Convegno online di Federnotizie del maggio dello scorso anno (dedicato al mandato in vista di futura incapacità); in particolare: (i) gli ondivaghi orientamenti giurisprudenziali sulla sorte della procura in caso di sopravvenuta incapacità naturale e di nomina di un amministratore di sostegno; (ii) l’impossibilità, alla luce dell’art. 1722 codice civile, di far coincidere l’efficacia di una procura con il momento della perdita della capacità di agire del mandante, condizionandola a tale evento; (iii) la difficoltà di trovare in un unico amministratore di sostegno (trattasi di ufficio monocratico), tutte le competenze professionali necessarie alla cura della persona ed alla gestione di patrimoni complessi; (iv) l’inefficienza del sistema pubblicistico di amministrazione straordinaria del patrimonio degli incapaci a fronte dell’esigenza di rapidità richiesta dalla nostra epoca; infine, (v) il rischio che la ricorrente conflittualità familiare che emerge nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno possa indurre il giudice a scelte prudenziali, non pienamente rispondenti alle reali esigenze del soggetto da proteggere e, quindi, non appaganti.
Un’ulteriore spinta ad una riforma viene dall’introduzione nell’ordinamento della legge 22 giugno 2016, n. 112 (la legge sul cosiddetto “dopo di noi”), che -tra l’altro- disciplina le modalità con le quali i familiari di soggetti con disabilità gravi, non determinate “dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità”, possono provvedere alle esigenze di assistenza, cura e protezione dei medesimi in vista del venir meno del sostegno dei familiari. Nel caso del “dopo di noi” abbiamo a che fare con soggetti già privi di capacità di intendere e di volere o, comunque, con gravi limitazioni di detta capacità, mentre la proposta che oggi presentiamo si rivolge a soggetti pienamente capaci di intendere e di volere, che vogliano responsabilmente autoregolamentare le modalità con le quali provvedere alla loro eventuale futura incapacità o difficoltà di amministrarsi.
C’è, poi, una ragione dipendente dal confronto con altri ordinamenti, che prevedono una varia gamma di strumenti di natura negoziale per la protezione degli adulti, affidando al diretto interessato, finché sia in grado di autodeterminarsi, la scelta di attribuire ad uno o più fiduciari il potere di rappresentarlo in caso di futura incapacità: è il caso, per restare a Paesi a noi vicini, del Belgio, della Francia, della Germania o della Spagna, ove esistono, ovviamente con alcune differenze di disciplina, istituti comunque riconducibili alla figura del mandato in vista della futura incapacità, tutti caratterizzati dall’alternatività rispetto agli strumenti di protezione giudiziale. In tali Paesi, il ricorso al giudice è riservato ai casi in cui la tutela negoziale si dimostri inadeguata alle esigenze dell’interessato o risulti inoperante, anche se per ragioni sopravvenute.
Sussiste, last but not least, un’esigenza di coerenza, anche riguardo alla protezione di un soggetto “vulnerabile”, con il corredo valoriale sotteso ad un ordinamento giuridico improntato al primato della persona, consacrato nella nostra Costituzione, come anche nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948) e nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU: in particolare artt. 7 -diritto al rispetto della vita privata e familiare-, 25 -diritti degli anziani- e 26 -diritti delle persone con disabilità-).
È proprio il primato della persona ad imporre il rispetto del principio di “libera determinazione” che, sul piano privatistico, si traduce nella valorizzazione della “autonomia privata”.
Si tratta, in sostanza, di superare definitivamente la (tradizionale) visione paternalistica della tutela dei soggetti deboli o vulnerabili, riconoscendo all’autonomia privata il diritto di predeterminare non solo il soggetto cui affidare la cura dei propri interessi nel caso di una sopravvenuta limitazione di capacità o autonomia (come già possibile mediante la designazione dell’amministratore di sostegno), ma anche di impartire indicazioni vincolanti in relazione alla cura della persona svantaggiata ed all’amministrazione del suo patrimonio.
Ma veniamo, finalmente, all’illustrazione della proposta normativa di istituzione del “mandato di protezione”.
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L’idea è di ricorrere a un istituto tipicamente privatistico, il negozio di mandato, contratto bilaterale, che presuppone l’accettazione del mandatario, il quale assume l’obbligo di compiere gli atti a lui affidati dal mandante. Nel nostro caso, ovviamente, dovendo il mandatario spendere il nome del mandante, si tratterà di un mandato con rappresentanza.
Ciò implica, tra l’altro, la separazione patrimoniale tra la sfera personale del mandatario e quella del mandante.
Trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive, deve presumersi l’onerosità, in conformità all’art. 1709 codice civile.
L’oggetto del mandato di protezione è “la cura della persona del mandante e l’amministrazione del suo patrimonio”, comprendendo, quindi, il compimento di atti negoziali e non negoziali, anche meramente materiali.
La proposta contempla la possibilità di conferire il mandato a più mandatari, attribuendo al mandante la facoltà di attribuire agli stessi poteri congiunti o disgiunti, così come quella di prevedere l’estensione del mandato all’amministrazione del proprio intero patrimonio o solo di una o più sue parti determinate, anche affidandone l’amministrazione a diversi mandatari in relazione ad alcune “porzioni” del patrimonio stesso, ovvero di affidare ad un mandatario la sola “cura della persona”.
In sostanza, si intende riconoscere all’interessato di organizzare, con le modalità da lui ritenute più idonee e corrispondenti alle proprie convinzioni ed aspirazioni, l’esecuzione del compito affidato ai mandatari e la ripartizione dei ruoli tra gli stessi. Il mandato può essere attribuito anche ad una persona giuridica (si pensi ad un Ente del terzo settore, magari gestore di un Istituto di cura, come nel caso della già citata legge sul “dopo di noi”, o a una società di gestione patrimoniale, se del caso).
Viene prevista, poi, la facoltà del mandante di designare uno o più sostituti dell’originario mandatario, anche in ordine successivo, per il caso della loro cessazione: naturalmente, in tal caso l’accettazione dei mandatari “successivi” potrà intervenire anche in un secondo momento.
Con riguardo alla forma dell’atto, si è ritenuto che la sua assoluta rilevanza, considerato che con la sottoscrizione del mandato di protezione il mandante affida la propria sfera personale e patrimoniale ad altro o altri soggetti per il momento in cui avrà perso la propria autonomia, suggerisca il massimo rigore e si è, pertanto, prevista la forma dell’atto pubblico in presenza di due testimoni (a pena di nullità), così da assicurare che il mandante sia reso avvertito dell’importanza dell’atto.
La proposta prevede che sia facoltà del mandante di subordinare o meno l’efficacia del mandato “al sopravvenire di una sua menomazione fisica o psichica o della sua incapacità”, ovvero di renderlo immediatamente operativo: ciò non solo in ossequio all’autonomia privata, ma anche in considerazione dell’evidenza che, già oggi, nulla impedisce il conferimento di una procura generale ad amministrare i propri beni (presenti e futuri) ed a curare la propria persona.
Nell’ipotesi (che deve ritenersi sarà quella più frequente) in cui l’efficacia del mandato sia subordinata alla sopravvenuta incapacità o limitazione di autonomia del mandante, si pone l’opportunità di individuare con criteri di ragionevole determinatezza o determinabilità le condizioni al verificarsi delle quali acquisteranno efficacia i poteri del mandatario, compito che chiama in causa “scienza e coscienza” del notaio. Non solo, ma in tal caso sorge anche l’esigenza di individuare il soggetto cui compete il relativo accertamento: a ciò si è inteso provvedere mediante la previsione della facoltà per il mandante di designare uno o più “guardiani”, cui affidare -appunto- detto accertamento. Solo in caso di mancata designazione, o di loro impedimento o inattività, “al predetto accertamento provvede il giudice tutelare con decreto motivato”, dopo aver assunto le opportune informazioni.
Al guardiano -se nominato- è attribuita, inoltre, la legittimazione attiva nell’azione di annullamento degli atti eventualmente compiuti dal mandatario di protezione in violazione delle disposizioni contenute nell’atto di conferimento del mandato, legittimazione che compete, altresì, al Pubblico Ministero ed agli eredi del mandante.
La relativa azione si prescrive, conformemente alle regole generali, nel termine di cinque anni.
Anche nella figura del guardiano si riconoscono alcuni dei tratti tipici del mandatario, dovendosi ricollegare le relative funzioni alla designazione del mandante, il quale potrà modellare a sua discrezione tali funzioni, ad esempio affidando al guardiano (o ai guardiani) l’ulteriore incarico di prestare il proprio consenso alla deroga, da parte del mandatario, rispetto alle indicazioni date dal mandante stesso per l’amministrazione del suo patrimonio o la cura della sua persona, indicazioni espressamente qualificate vincolanti. Si pensi al caso di eventi imprevisti o imprevedibili, che si possa ritenere avrebbero indotto il mandante ad esprimere una diversa volontà se avesse potuto conoscere o prevedere tali circostanze. In questo senso, si può ravvisare un’analogia con l’ipotesi prevista dall’art. 4, comma 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219, che affida al “fiduciario”, se nominato dal disponente, il compito di autorizzare (o meno) il medico a disattendere le indicazioni contenute nelle Disposizioni Anticipate di Trattamento “qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”.
Anche nel caso del mandato di protezione, in caso di assenza, impedimento o inattività del guardiano, la competenza ad autorizzare la deroga rispetto alle indicazioni vincolanti del mandante competerà al giudice tutelare, ovviamente su istanza del mandatario.
Al guardiano, ancora, può essere affidato il potere, in caso di sopravvenuta incapacità del mandante, di rimuovere il mandatario (o uno dei mandatari) che sia inadempiente ai propri doveri, o che abusi dei propri poteri, o incorra in colpa grave nell’esecuzione del mandato o, comunque, al verificarsi delle eventuali altre circostanze specificamente individuate dal mandante nell’atto di conferimento. Anche in questo caso, in mancanza di nomina del guardiano, sarà il giudice tutelare a decretare la rimozione del mandatario inadempiente o “infedele”, dopo aver udito il mandatario stesso, il coniuge, l’unito civile, il convivente e gli ascendenti e discendenti maggiorenni del mandante. L’iniziativa compete a qualunque interessato, oltre che al Pubblico Ministero.
Per tutte le ipotesi in cui è previsto l’intervento del giudice tutelare in relazione al mandato di protezione è prevista l’applicazione delle disposizioni dell’art. 720-bis del codice di procedura civile e di quelle da tale articolo richiamato: cioè le norme che disciplinano i procedimenti relativi all’amministrazione di sostegno.
Altre cause di cessazione dei poteri del mandatario di protezione sono la morte, la sopravvenuta incapacità, la rinuncia all’incarico fatta dal mandatario, ovvero la revoca da parte del mandante, per la quale è richiesta la medesima forma dell’atto di conferimento e che può intervenire in ogni tempo, finché il mandante abbia la capacità di agire.
La proposta prevede che, in caso di revoca, rimozione o cessazione dalla carica del mandatario (o dei mandatari), laddove il mandante non abbia disposto la sostituzione con altro soggetto, il Tribunale provveda alla nomina del tutore o del curatore, ovvero trasmetta gli atti al Giudice tutelare per la nomina dell’amministratore di sostegno, secondo le circostanze del caso concreto.
Anche da questa norma di chiusura emerge la natura sussidiaria che, con l’introduzione dell’istituto in discussione, assumerebbe l’intervento giudiziale nella protezione degli incapaci. L’incipit del proposto nuovo articolo 432-bis del codice civile, infatti, prevede che le misure dell’amministrazione di sostegno, dell’interdizione e dell’inabilitazione, previste dai capi primo e secondo del titolo XII del libro primo del codice civile, “non si applicano a chi, in vista della propria futura incapacità, abbia conferito mandato con rappresentanza ad amministrare il proprio patrimonio o per la cura della propria persona”.
Tale rapporto di sussidiarietà è coerente con l’ispirazione della proposta che, in ossequio al principio di libera determinazione, valorizza l’autonomia privata rispetto all’intervento autoritativo dello Stato, traducendosi anche in un’occasione di deflazione del carico giudiziario. Nello stesso tempo, ciò fornisce giustificazione alla collocazione sistematica della normativa oggetto della proposta, che introduce il Capo III del suddetto Titolo XII del Libro Primo, dedicato alle “misure di protezione delle persone in tutto o in parte prive di autonomia”. Verrebbero, così, introdotti nel codice civile, dopo le norme relative all’interdizione ed all’inabilitazione, gli articoli 232-bis, ter, quater, quinquies e sexies.
Il proposto art. 232-quinquies, in particolare, è dedicato a richiamare espressamente l’applicazione al mandatario di protezione, in quanto compatibili, delle disposizioni relative:
- all’individuazione degli atti vietati al tutore ed al protutore (art. 378 c.c., che vietano a tali soggetti di rendersi acquirenti, anche per interposta persona, di beni, diritti e crediti dei soggetti tutelati);
- alla responsabilità del tutore ed alla diligenza richiesta allo stesso nell’esecuzione dell’incarico (art. 382, comma 1, c.c.);
- all’obbligo di rendiconto del mandatario (art. 1713, comma 1, c.c.);
- all’esonero da responsabilità del mandatario per l’adempimento delle obbligazioni dei terzi con cui ha contrattato nell’esecuzione del mandato.
Va evidenziato come al mandato di protezione non possa trovare applicazione, invece, l’art. 1722, n. 4, codice civile, nella parte in cui prevede l’estinzione del mandato in caso di interdizione o inabilitazione del mandante, come dimostrato da due previsioni incompatibili con tale estinzione: mi riferisco (i) alla possibilità di condizionare l’efficacia del mandato (l’inizio dell’efficacia) al sopravvenire dell’incapacità del mandante (nuovo art. 432-ter c.c.) e (ii) alla previsione del rimedio della rimozione del mandatario (ad opera del guardiano o del giudice) quando, “in caso di sopravvenuta incapacità del mandante”, il mandatario si renda inadempiente ai propri doveri o incorra nelle altre ipotesi indicate dal nuovo art. 432-quater, comma 2, c.c.
L’art. 232-sexies, infine, istituisce un sistema di pubblicità degli atti di conferimento e revoca del mandato di protezione e dei relativi provvedimenti di rimozione, prevedendone l’annotazione in un apposito registro nazionale, la cui disciplina è affidata al nuovo, proposto, articolo 51-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice civile.
Si prevede che la tenuta di tale registro, con modalità informatiche, sia affidata al Consiglio nazionale del notariato, sulla base delle specifiche tecniche previste da un decreto di natura non regolamentare adottato dal Ministro della Giustizia.
Enrico Maria Sironi
Bologna, 20 maggio 2022
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