Tra le proposte che il Notariato offre per migliorare l’efficienza del processo civile è noto vi è quella di sgravare i giudici da compiti di volontaria giurisdizione relativi all’autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione degli incapaci. L’articolo che vi proponiamo illustra come altri ordinamenti abbiano superato il problema, per le incapacità sopravvenute, e quindi non per minori o portatori di deficit cognitivi, con strumenti negoziali che prescindono da autorizzazioni e controlli. È un capitolo del grande tema del “scegliamo, fino a che possiamo scegliere” già affrontato per le DAT e di cui fa parte anche la pianificazione successoria. Un argomento che un notariato propositivo dovrebbe portare al tavolo del legislatore.
Il difficile esercizio in Italia di poteri di rappresentanza conferiti da un adulto in previsione di una perdita di autonomia
di Pietro Franzina
Pietro Franzina è professore ordinario di Diritto internazionale privato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano, e membro della Commissione Affari europei e internazionali del Consiglio Nazionale del Notariato
1. Gli strumenti negoziale di protezione degli adulti
La protezione dei maggiorenni che a causa di una limitazione delle loro facoltà personali non siano in grado di provvedere da soli alla cura dei propri interessi è affidata in molti sistemi giuridici anche a strumenti di natura negoziale. Si prevede, in sostanza, che l’interessato, quando ancora sia capace di determinarsi, conferisca ad uno o più fiduciari il potere di rappresentarlo con riguardo alla amministrazione dei suoi interessi, personali e/o patrimoniali, nell’ipotesi di una menomazione della sua autonomia. Una circostanza, questa, che spetta in genere al giudice accertare, eventualmente su istanza del fiduciario designato, provvedendo su questa base a una sorta di omologazione del negozio.
Gli atti posti in essere a questo fine prendono il nome di lasting powers of attorney nel diritto inglese, mandats de protection future nel diritto francese, mandati precauzionali nel diritto svizzero, Vorsorgevollmachten del diritto tedesco e austriaco, etc. (una ricognizione delle norme pertinenti riferita a un’ampia selezione di ordinamenti giuridici si trova in The International Protection of Adults, a cura di R. Frimston, A. Ruck Keene, C. van Overdijk e A. Ward, Oxford, 2015).
In ossequio a un lessico diffuso (ma impreciso a più di un titolo), ci si riferirà qui genericamente a questi negozi parlando di «mandati in previsione di incapacità», o «mandati in previsione di una perdita di autonomia», o ancora, più condivisibilmente, negozi di protezione.
La disciplina dei mandati in parola, per la verità, varia in modo sensibile da un ordinamento giuridico all’altro. Un tratto caratteristico di questi negozi risiede peraltro nella loro tendenziale alternatività rispetto agli strumenti di protezione giudiziale. Di fatto, la conclusione di un valido mandato può rendere superflua la nomina da parte del giudice di una persona incaricata di assistere l’interessato in relazione a certi atti o di sostituirsi a lui quale suo rappresentante. Di fatto, nei sistemi che ammettono delle forme di protezione negoziale degli adulti privi di autonomia, la protezione giudiziale assolve perlopiù un ruolo sussidiario: interviene solo se e nella misura in cui la protezione negoziale si dimostri inadeguata alle esigenze della persona da proteggere, oppure risulti, anche per ragioni sopravvenute, inoperante (ad esempio perché tanto il fiduciario quanto i sostituti designati dal mandante si rifiutano di assumere l’ufficio).
L’autodeterminazione dell’interessato riveste nei sistemi in esame una valenza diversa da quella riconosciutale in altri ordinamenti, come quello italiano, che pure vi sono sensibili: il beneficiario non si limita a guidare il giudice nella scelta di chi curerà i suoi interessi, né si accontenta di formulare i criteri a cui desidera che questi si ispiri. Attraverso gli speciali mandati sopra citati l’interessato costruisce direttamente da sé la cornice giuridica della sua protezione, di fatto relegando il giudice in una posizione defilata, sia pure pronto ad intervenire all’occorrenza.
2. La spendita in Italia dei poteri conferiti con un negozio di protezione
La diversità di approcci appena tratteggiata fa da sfondo, in Italia, ad un problema che sembrerebbe affacciarsi con crescente frequenza nella pratica. Accade che persone investite della rappresentanza di un adulto privo di autonomia in virtù di un negozio di protezione, concluso secondo le norme di un paese che conosca questi strumenti ed ivi confermato dalle autorità competenti, facciano valere in Italia i poteri loro conferiti, per provvedere vuoi alla cura della persona del mandante (segnatamente quando questi si trovi in Italia), vuoi all’amministrazione dei suoi beni nel paese.
Non consta a chi scrive che le questioni che sorgono in scenari di questo genere abbiano sin qui formato l’oggetto di pronunce dei giudici.
Per verificare la sussistenza e misurare la portata dei poteri di rappresentanza invocati dal fiduciario dell’interessato occorre servirsi, evidentemente, delle norme italiane di diritto internazionale privato. L’ipotesi di una protezione negoziale degli adulti non è però contemplata, come tale, da nessuna disposizione di diritto internazionale privato attualmente operante in Italia.
Al riguardo, occorre innanzitutto capire se la spendita in Italia dei poteri in parola dipenda dalla riconoscibilità in Italia del provvedimento straniero (se ve ne è uno) che ha confermato o registrato il mandato, o invece passi per la determinazione della legge regolatrice del mandato stesso e la verifica della sussistenza dei requisiti che condizionano, in base a quella legge, la valida attribuzione e l’esercizio dei poteri medesimi.
Vari fattori, da valutare in relazione al caso considerato, possono incidere sulla risposta. Rileva, in particolare, la natura dell’intervento svolto dalle autorità straniere con riguardo al negozio, occorrendo stabilire, ad esempio, se spetti a tali autorità una valutazione del merito del mandato o piuttosto la mera attestazione che si sono verificate le circostanze di fatto previste dal mandante per l’efficacia del negozio.
Ciò detto, se la fonte dei poteri del fiduciario è in sostanza il negozio, la via da seguire sembrerebbe dover essere la seconda, quella cioè incentrata sulla determinazione della legge regolatrice del mandato. I poteri attribuiti dal mandante al suo fiduciario non cessano di essere negoziali per il solo fatto che l’incertezza circa i presupposti della loro insorgenza è stata ufficialmente rimossa da un’autorità statale, con un provvedimento che certifichi la regolarità formale del negozio e l’assenza di ragioni che rendano manifestamente inadeguate le relative previsioni.
Conviene dunque, in questa sede, approfondire la via appena tracciata, senza dar conto delle regole da cui dipende, se del caso, l’efficacia dei provvedimenti (giudiziali o amministrativi) stranieri presi in relazione al mandato.
3. La sussunzione dei negozi di protezione sotto l’art. 43 della legge n. 218/1995
Giunti sul terreno dei conflitti di leggi, sorge, preliminarmente, un problema di qualificazione. Bisogna stabilire se per vagliare i poteri del fiduciario venga in rilievo la disciplina di conflitto riguardante la protezione degli adulti (racchiusa nell’art. 43 della legge 31 maggio 1995 n. 218), o quella concernente la rappresentanza volontaria (oggetto dell’art. 60 della medesima legge).
La prima delle due letture sembra essere la più convincente. I mandati stipulati in previsione di una perdita di autonomia sono, come tali, degli strumenti di protezione dell’interessato. Comportano, è vero, il conferimento di poteri rappresentativi, ma l’attribuzione di tali poteri è solo il mezzo di cui si serve la legge per conseguire lo scopo dei negozi in parola: uno scopo di per sé protettivo. Ai fini della qualificazione di un atto non riconducibile al catalogo di quelli noti alla lex fori, sembra in effetti preferibile dar peso alla funzione che questo pretende di assolvere più che alla tecnica di cui esso reca l’espressione; ciò perché la fisionomia di una norma di conflitto riflette gli interessi sottesi al genere di situazioni che ne costituiscono l’oggetto, mentre le tecniche preposte al soddisfacimento di quegli interessi sono rimesse alla legge indicata dalla norma stessa come applicabile (e vengono dunque in rilievo, nell’analisi, solo a valle della norma di conflitto, laddove il problema della qualificazione sorge, per sua natura, prima ancora che una tale norma possa anche solo cominciare a spiegare i suoi effetti).
Viene dunque in gioco l’art. 43 della legge n. 218/1995, ai sensi del quale «[i] presupposti e gli effetti delle misure di protezione degli incapaci maggiori di età, nonché i rapporti fra l’incapace e chi ne ha la cura, sono regolati dalla legge nazionale dell’incapace».
La disposizione, come si evince dal secondo periodo («Tuttavia, per proteggere in via provvisoria e urgente la persona o i beni dell’incapace, il giudice italiano può adottare le misure previste dalla legge italiana»), sembra essere stata formulata avendo in mente solamente lo scenario in cui la protezione dell’adulto di cui trattasi è nelle mani di un giudice. Nulla, però, impedisce di ascrivere al termine «misure», agli effetti dell’art. 43, un significato ampio, capace di comprendere tanto le misure giudiziali quanto quelle negoziali.
Di fatto, il ricorso all’art. 43 – al netto di quanto si dirà oltre in merito al meccanismo del rinvio ai sensi dell’art. 13 della legge n. 218/1995 – produce, con riguardo alla spendita in Italia degli effetti di un negozio di protezione straniero, la conseguenza che segue: se il mandante ha la cittadinanza di uno Stato la cui legge ammette i mandati in previsione di incapacità, i poteri da lui conferiti al mandatario in tanto potranno essere spesi in Italia in quanto siano conformi alle condizioni previste da quest’ultima legge; in ogni altra circostanza, il conferimento dei poteri in questione non produrrà in Italia l’effetto di rendere superflua l’istituzione di un regime di protezione su base giudiziale (nell’ambito del quale il giudice potrebbe tener conto, al limite anche solo come dato di fatto, delle determinazioni dell’interessato, quali risultano dal mandato).
4. Gli inconvenienti dell’applicazione dell’art. 43 della legge n. 218/1995 ai negozi di protezione
L’impiego dell’art. 43 della legge n. 218/1995 quale «filtro» per far valere in Italia gli effetti di un negozio di protezione appare infelice per più di un motivo.
Vale al riguardo, innanzitutto, una considerazione di ordine generale, riferibile modo in cui il diritto internazionale privato italiano si accosta al tema della protezione degli adulti. L’impiego della cittadinanza quale criterio di collegamento appare oramai discutibile, perché non più coerente ai valori – anche costituzionali – che ispirano oggi questa parte del diritto (per una più organica illustrazione del problema, si rimanda a P. Franzina, La protezione degli adulti nel diritto internazionale privato, Padova, 2012, specie p. 213 ss.).
Il criterio della cittadinanza àncora l’interessato alle sue radici (perché di fatto dà rilievo ai legami di sangue che lo uniscono alla famiglia da cui proviene, oppure agli accidenti geografici della sua nascita, oppure, ancora, alla sua appartenenza a una comunità politica da lui abbracciata in qualche momento della sua vita per naturalizzazione), mentre nega correlativamente ogni rilievo all’ambiente sociale in cui la persona di cui si tratta è inserita, cioè ai luoghi in cui tale persona vive e lavora, quelli in cui coltiva i suoi rapporti familiari o affettivi, realizzandosi come persona. Il criterio della residenza abituale si accorda meglio ai valori della protezione dei maggiorenni, se è vero che in questa materia lo scrupolo di fondo – come vuole in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006 – è quello di assicurare all’interessato le condizioni per una piena realizzazione della sua personalità e una effettiva inclusione sociale, priva di discriminazioni. Obiettivi, questi, che inducono a guardare al «qui e ora» della persona da proteggere, più che alle sue radici.
Vi sono, però, inconvenienti più specifici legati all’applicazione dell’art. 43 della legge n. 218/1995 ai negozi di protezione, e più seri. Si tratta del rischio, piuttosto elevato, di frustrare per questa via le aspettative dell’interessato, di fatto precludendogli i benefici di un atto negoziale verosimilmente irripetibile.
Si immagini, ad esempio, che un cittadino polacco, da tempo stabilitosi in Germania, vi abbia concluso una Vorsorgevollmacht. Si supponga che il suo fiduciario, a seguito della intervenuta perdita di autonomia del mandante, intenda disporre di certi beni che quest’ultimo possiede in Italia. L’art. 43 della legge n. 218/1995, richiamando la legge nazionale del mandante, rende in sostanza impossibile la spendita dei poteri in questione (quanto meno nella loro originaria valenza), perché il diritto polacco non contempla delle forme negoziali di protezione dell’adulto, ed anzi ricollega all’intervenuta incapacità del rappresentato l’inefficacia della procura. La pianificazione della protezione, sia pure conforme alle norme dell’ambiente sociale del mandante, risulterà allora inefficace in Italia a causa della cittadinanza dell’interessato.
Ciò riduce, nei fatti, la capacità dell’interessato di determinarsi in anticipo, in modo sicuro, circa la propria protezione: uno stato di cose che comprime l’autonomia della persona da proteggere, in contrasto col valore accordato all’autodeterminazione dalla citata Convenzione delle Nazioni Unite del 2006, e che in più, evidentemente, mette in forse il rispetto delle aspettative nutrite dai terzi con cui l’interessato e il suo fiduciario entrino in contatto.
Si aggiunga, per completare il quadro degli inconvenienti, che i cittadini italiani che pianifichino la loro protezione tramite il genere di mandati qui esaminati sono di fatto condannati dall’art. 43 a non poter beneficiare in Italia dei relativi vantaggi, e ciò a prescindere dal fatto che risiedano stabilmente in un paese la cui legge conosca tali strumenti (e alle cui previsioni il loro mandato si conformi), e abbiano magari acquisito – ferma restando la cittadinanza italiana – la cittadinanza di tale paese (gioca contro di loro, in questo caso, il primato di cui gode ai sensi dell’art. 19 della legge n. 218/1995 la cittadinanza italiana del pluricittadino).
La posizione di un mandante straniero non è del resto necessariamente migliore. La possibilità di invocare in Italia gli effetti di un negozio concluso da costui – non esclusa in linea di principio –dipenderà non solo, come detto, dalla sua cittadinanza, ma anche dagli esiti cui conduce nel caso di specie l’applicazione della regola sul rinvio che si incontra all’art. 13 della legge n. 218/1995: un rinvio di primo grado, ad esempio, collocherebbe nella stessa posizione di un italiano anche il mandante che possieda la cittadinanza di uno Stato le cui norme permettono questo tipo di negozi.
5. Una agevole via d’uscita: la ratifica della Convenzione dell’Aja del 2000
Il quadro delineato sin qui, evidentemente, non è confortante. La soluzione, però, è dietro l’angolo, se si vuole. Basterebbe che l’Italia ratificasse la Convenzione dell’Aja del 13 gennaio 2000 sulla protezione degli adulti, seguendo in questo l’esempio di altri tredici paesi, fra cui Austria, Belgio, Francia, Germania e Portogallo. La Convenzione detta una disciplina internazionalprivatistica organica della protezione dei maggiorenni, dettando norme sulla competenza giurisdizionale, norme sulla legge applicabile, norme sulla efficacia delle decisioni e norme sulla cooperazione fra autorità. Essa contiene anche delle regole specifiche concernenti i negozi di protezione. Regole pensate per favorire l’autonomia del singolo (con le necessarie cautele) e accrescere la tenuta delle sue determinazioni attraverso le frontiere.
Ai sensi dell’art. 15 della Convenzione, l’esistenza e la portata dei poteri di rappresentanza conferiti in forza di un mandato, così come la modifica e l’estinzione degli stessi, soggiacciono alla legge dello Stato in cui l’adulto risiede abitualmente al momento della stipulazione del mandato, salva la possibilità per l’interessato di assoggettare il negozio alla legge di uno Stato di cui sia cittadino, alla legge di uno Stato in cui abbia fissato in precedenza la propria residenza abituale, o alla legge di uno Stato in cui si trovino i suoi beni (sia pure, in quest’ultimo caso, solo per quanto attiene a detti beni). Aggiunge l’art. 16 che le autorità competenti in forza della Convenzione, quando ritengano che i poteri attribuiti in base ad un mandato non siano esercitati in modo tale da garantire un’adeguata protezione della persona o dei beni dell’adulto, possono revocare o modificare detti beni.
Vari elementi indicano che l’Italia trarrebbe significativi benefici dalla ratifica della Convenzione, non solo per quanto concerne i mandati in previsione di una perdita di autonomia, ma in generale per quanto attiene alla protezione dei maggiorenni nei casi transnazionali (per una più ampia riflessione sul punto sia permesso rinviare a P. Franzina, La Convenzione dell’Aja sulla protezione internazionale degli adulti nella prospettiva della ratifica italiana, in Rivista di diritto internazionale, 2015, p. 748 ss.).
Il ruolo che il Notariato italiano può svolgere in questa direzione è, potenzialmente, rilevantissimo. Come emerge dall’esperienza di altri paesi, una normativa internazionalprivatistica come quella della Convenzione premia il ruolo del notaio quale interlocutore essenziale della persona che intende organizzare in anticipo la propria protezione come del fiduciario dell’interessato chiamato a dare attuazione ai programmi di quest’ultimo, contribuendo ad assicurare una piena realizzazione dei diritti fondamentali della persona da proteggere in un quadro di elevata sicurezza giuridica anche a beneficio delle aspettative dei terzi.

AUTORE

La Redazione di Federnotizie è composta da notai di tutta Italia, specializzati in differenti discipline e coordinati dalla direzione della testata, composta dai notai Arrigo Roveda e Domenico Cambareri.