L’art. 23 D.L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito con legge 11 novembre 2004 n. 164, ha introdotto nel nostro ordinamento la figura dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione (cd. “rent to buy”).
Si tratta di contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto; il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo. Detti contratti debbono essere trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis codice civile; la trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile.
Sommario
- La natura giuridica e la struttura del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione
- La trascrizione
- Gli obblighi del concedente e del conduttore
- Gli immobili da costruire
- L’inadempimento del conduttore
- Il mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore
- La restituzione dell’immobile
- L’inadempimento del concedente
- Il fallimento del concedente
- Il fallimento del conduttore
- Formalità negli atti
1. La natura giuridica e la struttura del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione
1.1 Si ritiene che il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione sia un contratto tipico, che trova la sua disciplina per l’appunto nell’art. 23 del suddetto D.L. 133/2014. Appare fuorviante, pertanto, cercare assimilazioni di tale nuovo istituto con altre figure espressamente disciplinate (locazione, usufrutto, preliminare, opzione, ecc. ecc.), per cercare di colmare eventuali lacune normative richiamando la disciplina dell’una o piuttosto dell’altra di tali figure. Il modo stesso con il quale è stato strutturato il suddetto art. 23, D.L. 133/2014, sembra proprio escludere la possibilità di addivenire a qualsiasi tipo di assimilazione; la norma infatti, nell’utilizzare la tecnica del rinvio a norme disciplinanti altre fattispecie, non richiama la disciplina relativa ad una e sola ben determinata figura, così da poter legittimare un’eventuale assimilazione tra il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione e tale figura. Al contrario richiama le norme relative a più e diverse figure, in modo che non si può dire a quale delle stesse debba essere riconosciuta la “priorità”, al fine di ricondurre nel suo ambito anche il nuovo contratto. L’art. 23, D.L. 133/2014 richiama, indifferentemente:
- la disciplina in materia di preliminare: al comma 1, laddove è prevista la possibilità della trascrizione con il rinvio alla disposizione dell’art. 2645bis c.c.; al comma 3, laddove è prevista la possibilità di cancellare la trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, con il rinvio alla disposizione dell’art. 2668, co. 4, c.c.; ancora al comma 3 laddove è riconosciuto privilegio speciale ai crediti del conduttore nel caso non si addivenga alla stipula dell’atto traslativo della proprietà, con il rinvio alla disposizione dell’art. 2775bis c.c.; ancora al comma 3 laddove sono disciplinati i rapporti tra iscrizione di ipoteca e trascrizione del contratto, con il rinvio alla disposizione dell’art. 2825bis c.c.;
- la disciplina in materia di locazione: al comma 1, laddove sono disciplinati gli effetti della trascrizione con il rinvio alla disposizione dell’art. 2643, co. 1, n. 8) c.c.;
- la disciplina in materia di usufrutto: al comma 3 laddove sono disciplinati gli obblighi posti a carico del conduttore e del concedente, durante la fase del godimento, mediante il rinvio alle disposizioni degli articoli da 1002 a 1007 e 1012 e 1013 del cod. civ., in quanto compatibili.
Lo stesso legislatore ha voluto evitare, in maniera espressa, qualsiasi assimilazione ad altre e diverse figure contrattuali. Se si pensa che la figura, con la quale il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione presenta maggiori affinità, è la locazione finanziaria, ebbene, il legislatore, nell’incipit del primo comma dell’art. 23, D.L. 133/2014 ha avuto cura di precisare che la norma de quo riguarda “i contratti diversi dalla locazione finanziaria….” proprio per evitare qualsiasi possibile riqualificazione in tali termini della nuova figura contrattuale.
1.2 Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione è, pertanto, un contratto tipico che si articola in due fasi (di cui una solo eventuale):
- la prima fase è quella della concessione in godimento. Per effetto della stipula del contratto sorge a carico del proprietario dell’immobile (il concedente) l’obbligo di consegna dello stesso al conduttore. A carico di quest’ultimo sorge l’obbligo di pagare il canone pattuito al concedente (sia per la componente destinata a remunerazione del godimento che per la componente da imputare al prezzo di acquisto). Il diritto di godimento che per effetto della stipula del contratto spetta al conduttore è un diritto personale, di natura obbligatoria. Bisogna escludere che si tratti di un diritto reale, assimilabile al diritto di usufrutto o di abitazione e ciò benché la norma, al comma terzo, per disciplinare gli obblighi posti a carico del conduttore e del concedente richiami espressamente le disposizioni dettate in tema di usufrutto. Tale ricostruzione si fonda sul disposto del primo comma dell’art. 23, D.L. 133/2014, che, nel disciplinare gli effetti della trascrizione ha richiamato l’art. 2643, co. 1, numero 8) c.c., dettato per i contratti di locazione di beni immobili di durata superiore ai nove anni (contratti dai quali, per l’appunto, sorge un diritto personale di godimento a favore del locatario) e non l’art. 2643, co. 1, numero 2) c.c., dettato per i contratti che trasferiscono il diritto di usufrutto, il diritto di superficie, i diritti del concedente e dell’enfiteuta (contratti dai quali sorgono, invece, dei diritti reali a favore dei beneficiari). Pertanto il godimento dell’immobile va qualificato come diritto personale del conduttore, di natura obbligatoria, funzionale al successivo acquisto della proprietà.
- la seconda fase, quella comportante il trasferimento della proprietà dell’immobile dal concedente al conduttore, è, invece, del tutto eventuale; è da escludere che l’effetto traslativo si produca automaticamente alla conclusione del periodo convenuto per il godimento; così come bisogna escludere che vi sia un obbligo gravante su entrambe le parti del contratto di addivenire, una volta concluso il periodo di godimento, al trasferimento della proprietà dell’immobile. La norma stabilisce, infatti, che il contratto prevede “l’immediata concessione in godimento di un immobile con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato.” La norma, quindi, non prevede un obbligo reciproco delle parti a concludere l’atto con effetti traslativi, né prevede che tali effetti si producano automaticamente a prescindere da una ulteriore manifestazione di volontà delle parti; la norma riconosce al conduttore il diritto all’acquisto. Il conduttore pertanto, in quanto titolare di un diritto e non destinatario di un obbligo, alla scadenza del termine convenuto, è libero di decidere se procedere o meno all’acquisto (fermo, peraltro, restando l’obbligo del concedente di procedere alla cessione nel caso in cui il conduttore decida di esercitare il proprio diritto). Quindi tutto dipende dalla decisione che verrà assunta dal conduttore, per cui:
- se il conduttore deciderà di non esercitare il proprio diritto all’acquisto, il contratto, alla scadenza del termine convenuto, cesserà di produrre ogni effetto con diritto del concedente alla riconsegna dell’immobile ed a trattenere l’intera componente dei canoni imputabile a remunerazione del godimento, e con diritto del conduttore, invece, alla restituzione della parte della componente dei canoni imputabile al prezzo di cessione, quale determinata dalle parti in contratto;
- se il conduttore deciderà di esercitare il proprio diritto all’acquisto, il concedente sarà tenuto a prestare il proprio consenso all’atto traslativo. Il conduttore, a sua volta, dovrà corrispondere il prezzo pattuito (al netto della parte dei canoni da imputare a corrispettivo). Qualora il concedente non dovesse adempiere l’obbligo di stipulazione dell’atto formale di cessione, il conduttore potrà avvalersi del rimedio di cui all’art. 2932 c.c. (esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto) ed ottenere, in tal modo, una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. La possibilità di ricorrere al rimedio di cui all’art. 2932 c.c., nel caso di specie, è espressamente riconosciuta dall’art. 23, co. 3, ultimo periodo, D.L. 133/2014.
1.3 In contratto dovranno necessariamente indicarsi le due diverse componenti che, secondo lo schema tipico del contratto de quo, costituiscono il canone da pagare: la componente destinata a remunerazione del godimento e la componente da imputare al prezzo nel caso di esercizio da parte del conduttore del suo diritto all’acquisto. È opinione diffusa, nei primi commenti della norma, che questa suddivisione del canone sia un elemento caratterizzante del contratto de quo, al punto che la sua mancata esplicitazione determinerebbe la nullità del contratto. Tale ricostruzione sembra trovare conforto nelle disposizioni dei commi 1bis e 5 dell’art. 23, D.L. 133/2014 che prevedono diverse conseguenze per le due componenti del canone nel caso di mancato esercizio da parte del conduttore del suo diritto all’acquisto e nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento. L’esplicitazione in contratto della duplice componente del canone costituisce, pertanto, elemento essenziale, richiesto per la stessa validità del contratto de quo, in quanto strettamente collegato a quello che è lo scopo del contratto stesso (la concessione in godimento in funzione della successiva alienazione). Né sarebbe sufficiente ad evitare tale nullità l’indicazione, per l’una o l’altra delle due componenti, di un importo meramente simbolico.
1.4 Secondo lo schema “tipico” delineato dall’art. 23, D.L. 133/2014, con il contratto de quo, il conduttore assume il diritto ma non anche l’obbligo ad acquistare l’immobile concesso in godimento.
Ciò non toglie che le parti possano anche apportare varianti allo schema “tipico” così delineato, ad esempio convenendo che il conduttore assuma anche l’obbligo all’acquisto. Tuttavia c’è da chiedersi se contratti che si discostino dallo schema “tipico” (a seguito di varianti del tipo di quella sopra descritta) possano pur sempre rientrare nel perimetro applicativo dell’art. 23, D.L. 133/2014, ovvero se, al contrario, ne fuoriescano (dovendo ritenersi contratti atipici, certamente leciti, in quanto diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ma non più soggetti alla disciplina di cui alla norma in commento).
Non è del tutto convincente la tesi di chi ritiene sicuramente riconducibile alla disciplina dell’art. 23 in commento anche la fattispecie in cui sia previsto l’obbligo bilaterale alla cessione dell’immobile concesso in godimento. Soprattutto non convince la tesi di chi fonda tale assunto sul disposto del comma 7 dell’art. 23 in questione (e questo, in quanto il suddetto settimo comma consentirebbe l’estensione della disciplina sul contratto di godimento in funzione della successiva alienazione anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti).
Non ci convince quest’ultimo assunto per due ragioni:
- in primis, in quanto il comma sette dell’art. 23 non si applica direttamente al contratto de quo, prevedendo lo stesso l’estensione ai contratti di locazione, con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti, non tanto della disciplina in tema di contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, contenuta nei commi da 1 a 6 del medesimo art. 23, bensì della disciplina in tema di locazione di alloggi sociali con patto di riscatto, contenuta nell’art. 8, D.L. 28 marzo 2014 n. 47, convertito con legge 23 maggio 2014 n. 80. Il comma sette dell’art. 23 in commento, infatti, così dispone: “Dopo l’articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, è aggiunto il seguente: «5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.».”
- in secondo luogo, in quanto non ci sembra neppure possibile un’interpretazione estensiva della norma di cui al comma 7 dell’art. 23 tale da ricondurre nel suo abito applicativo anche il contratto de quo, in quanto norma dettata per altra e diversa fattispecie, la locazione di alloggi sociali, del tutto peculiare ed implicante anche il coinvolgimento di interessi pubblici (inoltre, non ci si può non domandare come mai il legislatore, nel dettare il comma sette dell’art. 23, non lo abbia riferito in primis proprio al contratto disciplinato nei sei commi precedenti, per poi estenderne la disciplina anche alle locazioni di alloggi sociali; se non lo ha fatto è perché, evidentemente, ha voluto circoscrivere la particolare disciplina del comma sette ai soli contratti di locazione di alloggi sociali).
Più convincente è invece la tesi della “tipicità” dello schema contrattuale dell’atto di cui qui si discute, nel senso che il contratto de quo presenterebbe come suo elemento essenziale e caratterizzante il riconoscimento al conduttore del diritto e non anche dell’obbligo all’acquisto dell’immobile. Tesi questa che ha trovato testuale conforto nella disposizione del comma 1bis dell’23, D.L. 133/2014, introdotto in sede di conversione in legge del decreto suddetto, che così dispone “Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito”. Con questa norma vengono espressamente disciplinate le conseguenze del mancato esercizio di quel diritto all’acquisto spettante al conduttore, che sembra proprio essere l’elemento qualificante di questa particolare figura contrattuale.
Ovviamente, in questa fase di primo approccio all’interpretazione della normativa in commento, nessuna soluzione può darsi per scontata. Tuttavia in mancanza di riscontri giurisprudenziali (ed al momento è impossibile averne) è consigliabile non discostarsi da quello che è lo schema “tipico” del contatto de quo, quale risulta dal tenore letterale della norma. Vi è, altrimenti, il rischio, concreto, ogni qualvolta ci si discosti dallo schema “tipico”, di vedersi in futuro negata l’applicazione della disciplina in commento; ad esempio se venisse previsto l’obbligo di alienazione a carico del concedente e l’obbligo di (e non il diritto all’) acquisto a carico del conduttore, il contratto potrebbe non più essere qualificato come contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, bensì come un contratto di locazione collegato ad un preliminare bilaterale, con conseguente limitazione dell’efficacia della trascrizione a soli tre anni anziché dieci.
1.5 Riteniamo, anche, possibile, prevedere, con apposita clausola da inserire nel contatto de quo, che il conduttore, possa riservarsi la facoltà di nominare, in occasione dell’esercizio del diritto all’acquisto, altra persona per l’acquisto dell’immobile, che si assuma i diritti e gli obblighi che in relazione alla cessione dell’immobile discendono dal contratto. Il terzo dovrà pagare il prezzo quale determinato in contratto al netto della parte dei canoni imputabile a corrispettivo e quindi rimborsare al conduttore la parte di prezzo dallo stesso “anticipata” col pagamento dei canoni (salvo che il conduttore non rinunci al rimborso, concretizzando in tal modo una liberalità indiretta). Se il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione è stato trascritto, la dichiarazione di nomina dovrà rivestire la forma dell’atto pubblico e/o della scrittura privata autenticata e dovrà a sua volta essere trascritta, il tutto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1403 c.c.
Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, prima della sua scadenza e prima dell’esercizio del diritto all’acquisto da parte del conduttore, in quanto contratto a prestazioni corrispettive, non ancora interamente eseguite, potrà essere ceduto dal conduttore a terzi, sempreché la facoltà di cessione non sia stata espressamente esclusa in contratto. Se la cessione è stata consentita preventivamente, con apposita clausola inserita nel contratto de quo, la stessa sarà efficace nei confronti del concedente dal momento in cui gli verrà notificata ovvero dal momento in cui verrà dallo stesso accettata (art. 1407 c.c.). Se la possibilità di cessione non è stata contemplata in contratto (ma neppure esclusa), la cessione sarà possibile ed efficace nei confronti del concedente solo se consta suo espresso consenso (art. 1406 c.c.). Trova, comunque, applicazione la disciplina generale in tema di cessione del contratto, dettata dagli artt. 1406 e segg. c.c.
1.6 Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione può avere per oggetto qualsiasi tipo di immobile: ad uso residenziale, commerciale, produttivo, direzionale, ecc.; non sembra via siano preclusione ad ammettere che oggetto del contratto de quo possa essere anche un terreno (agricolo, edificabile, ecc.); la norma in commento, infatti, non fa distinzione di sorta e non prevede esclusioni di nessun tipo. Si parla genericamente di contratti per la concessione in godimento di “un immobile”.
Non sembra vi siano preclusioni neppure alla deduzione in contratto di fabbricati realizzati solo al grezzo. Potrebbe convenirsi in contratto che le opere di completamento e finitura debbano essere realizzate proprio dal conduttore (derogando al disposto dell’art. 1005 c.c. richiamato dalla norma in commento), prevedendo, di conseguenza, un canone ridotto (sia per la parte riferita alla remunerazione del godimento che per la parte imputabile a corrispettivo di cessione), in relazione al fatto che il bene concesso in godimento non è ancora agibile e che le spese per renderlo utilizzabile vengono, per l’appunto, assunte dal conduttore.
1.7 Si ritiene possibile per il conduttore pagare i canoni convenuti (sicuramente per la parte imputabile al corrispettivo di acquisto, ma anche per la parte imputabile al godimento) mediante l’accollo di un eventuale mutuo stipulato dal concedente. Le parti, in relazione al suddetto accollo, dovranno disciplinare, in contratto, le modalità di imputazione ai canoni convenuti del mutuo così accollato: o prevedendo la “compensazione” con un certo numero di canoni di valore complessivo pari a quello del capitale mutuato, ovvero “spalmando” detto capitale su tutti i canoni previsti in contratto (in parte da ritenersi pagati mediante “compensazione” con il mutuo accollato ed in parte da pagarsi in denaro). Ovviamente il concedente rimane obbligato in solido con il conduttore per il pagamento delle rate del mutuo oggetto di accollo, se a tale accollo non abbia aderito il mutuante, dichiarando espressamente di liberare il concedente (il tutto così come disposto dall’art. 1273 c.c.).
2. La trascrizione
2.1 Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione è un contratto (almeno nella sua prima fase) ad effetti obbligatori. Le pattuizioni in esso contenute, pertanto, non sarebbero, come tali, opponibili ai terzi. E proprio per ovviare a tale criticità (l’efficacia esclusivamente “inter partes”, infatti, prima dell’entrata in vigore del D.L. 133/2014, aveva disincentivato la stipula di contratti di questo tipo, decisamente troppo rischiosi per un conduttore/acquirente), la norma in commento ha previsto la possibilità della trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione.
L’art. 23, co. 1, D.L. 133/2014 dispone, infatti, che “i contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’art. 2645bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’art. 2643, comma primo, numero 8) del codice civile”.
Il legislatore, pertanto, non ha introdotto nel corpo del codice civile una nuova norma, destinata specificatamente a disciplinare la trascrizione di questo nuovo contratto (secondo lo schema seguito in passato anche per altri istituti, come i vincoli di destinazione, i vincoli di interesse pubblico, i diritti edificatori, ecc.), ma ha richiamato per il contratto de quo la disciplina dettata specificatamente per la trascrizione del preliminare (art. 2645bis c.c.) e per la trascrizione della locazione ultra novennale (art. 2643, co. 1, n. 8, c.c.)
La trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione produce, pertanto, un duplice effetto, in relazione alle due “fasi” nelle quali lo stesso si articola:
- un effetto di opponibilità ai terzi, ex art. 2644 cod. civ., con riguardo alla concessione in godimento (in conseguenza del richiamo alla disposizione di cui all’art. 2643, comma primo, numero 8, cod. civ.);
- un effetto prenotativo con riguardo all’obbligo del concedente di trasferire la proprietà del bene in caso di esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore (in conseguenza del richiamo alla disposizione dell’art. 2645bis cod. civ.).
2.2 Innanzitutto con la trascrizione del contratto de quo si ottiene l’opponibilità ai terzi della concessione in godimento; alla trascrizione si può procedere a prescindere dalla durata del periodo di godimento (che può essere sia superiore che inferiore ai nove anni). Con riguardo al contratto di locazione la trascrizione è necessaria per l’opponibilità ai terzi del contratto di durata ultranovennale. Entro il novennio, infatti, per l’opponibilità, è sufficiente l’atto con data certa. Conseguentemente la mancata trascrizione di un contratto di locazione di durata superiore al novennio, ma avente data certa, non determina l’inopponibilità ai terzi dell’intero rapporto locativo, ma solo di quella parte che eccede il novennio. Per il contratto de quo, invece, la trascrizione è sempre necessaria per l’opponibilità al terzo acquirente del rapporto di godimento, e ciò a prescindere dalla durata convenuta per il godimento (Infatti non viene richiamata dalla norma in commento la disposizione dell’art. 1599 c.c., che sancisce l’opponibilità al terzo acquirente del contratto di locazione avente data certa anteriore all’alienazione del bene, né tale norma può ritenersi applicabile in via estensiva al contratto de quo, che some sopra ricordato nulla ha a che vedere con il contratto di locazione).
2.3 La trascrizione del contratto de quo produce, come sopra ricordato, anche un “effetto prenotativo”, nel senso di far retroagire gli effetti della trascrizione dell’atto traslativo (conseguente all’esercizio del diritto di acquisto riconosciuto al conduttore) o della sentenza ex art. 2932 c.c. al momento della trascrizione del contratto medesimo; in questo modo viene garantita piena tutela al conduttore, consentendo allo stesso di acquisire l’immobile nello “stato di diritto” in cui si trovava al momento della stipula del contratto de quo, e venendo, al contempo, neutralizzate eventuali trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli successive alla trascrizione del contratto medesimo.
L’art. 2645 bis c.c. peraltro, subordina il prodursi di detto effetto prenotativo (così come tutti gli altri effetti) connessi a questa specifica trascrizione a due condizioni:
- che la trascrizione dell’atto traslativo o della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. avvenga prima della scadenza del termine di durata del contratto de quo (così dispone l’art. 23, co. 3, D.L. 133/2014 che modifica sul punto la disposizione dell’art. 2645bis c.c. che prevede, invece, per il preliminare, che la trascrizione del contratto traslativo o della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. debba avvenire entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del definitivo);
- che la trascrizione dell’atto traslativo o della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. avvenga, comunque, entro dieci anni dalla data della trascrizione del contratto de quo (così, sempre, dispone l’art. 23, co. 3, D.L. 133/2014 che modifica sul punto la disposizione dell’art. 2645bis c.c. che prevede, invece, per il preliminare, che la trascrizione del contratto traslativo o della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. debba, comunque, avvenire entro tre anni dalla data della trascrizione del preliminare medesimo).
2.4 La trascrizione ex art. 2645bis c.c. garantisce una specifica tutela al conduttore anche per il caso di mancato adempimento da parte del concedente del contratto de quo. Infatti la norma dell’art. 2775 bis c.c. (norma pure espressamente richiamata dall’art. 23, co. 2, D.L. 133/2014), riconosce ai crediti del conduttore che sorgono per effetto di tale inadempimento (ad esempio per il rimborso dei canoni pagati) privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto, e ciò a condizione che gli effetti della trascrizione non siano cessati (ossia non sia scaduto il termine di durata previsto nel contratto ovvero non siano passati più di dieci anni dalla trascrizione del contratto stesso) al momento:
- della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa
- della domanda giudiziale di risoluzione del contratto o di condanna al pagamento,
- della trascrizione del pignoramento
- dell’intervento nell’esecuzione promossa da terzi.
Detto privilegio, peraltro, non è opponibile:
- ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al conduttore per l’acquisto del bene immobile (mutui ai quali, pertanto, deve essere intervenuto il concedente in qualità di terzo datore di ipoteca dovendo essere garantiti da ipoteca sull’immobile oggetto del contratto de quo e pertanto non ancora acquisito in proprietà dal conduttore);
- nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’art. 2825 bis c.c. (norma pure questa espressamente richiamata dall’art. 23, co. 2, D.L. 133/2014); si tratta, in particolare, dei creditori, garantiti da ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a garanzia della quota di debito derivante da finanziamento fondiario ex artt. 38 e segg. Dlgs 385/1993, che il conduttore si sia accollata con il contratto de quo o con altro atto successivo, debitamente annotato in margine alla trascrizione del contratto de quo.
Sulla portata dell’art. 2775 bis c.c. molto si è discusso in passato (con riguardo ovviamente al preliminare, ma le relative considerazioni possono essere utilizzate ora anche per il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione).
Al riguardo si è sostenuto che il privilegio ex art. 2775 bis c.c. prevale rispetto le ipoteche iscritte tanto posteriormente quanto anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare e ciò in forza della regola generale in tema di “priorità” riconosciuta ai privilegi di cui all’art. 2748, secondo comma, c.c., stante la mancanza di alcuna diversa disposizione in deroga nella norma in commento, e salve le due specifiche limitazioni previste dall’art. 2775 bis c.c., secondo comma per la non opponibilità del privilegio, quali sopra riportate (In questo senso Tribunale di Genova Sezione fallimentare, ordinanza 18 gennaio 2001, in Notariato IPSOA 2001 pag. 583 e segg.; Ministero di Grazia e Giustizia – Ufficio legislativo – nota 15 aprile 1997 prot. 291421/35-2 in Guida Normativa Edizioni Sole 24 Ore – 1997 n 89 pag. 24)
La dottrina prevalente, peraltro, si è schierata a favore della tesi della non opponibilità del privilegio ex art. 2775 bis c.c. alle ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare. Varie sono state le argomentazioni portate a favore di quest’ultima tesi. Da segnalare, in particolare, l’argomentazione fondata sulla natura iscrizionale del privilegio in questione. Si è osservato, al riguardo, che se la legge subordina il sorgere del privilegio, alla trascrizione del preliminare, ciò significa che alla formalità pubblicitaria è stata attribuita anche la funzione di criterio di risoluzione dei conflitti tra creditore privilegiato e terzi titolari di diritti incompatibili. La trascrizione del preliminare, rispetto al privilegio, va considerata alla stregua di una comune iscrizione ipotecaria. Come tale sarà soggetta, sul piano delle regole di conflitto, ai principi che informano gli artt. 2644 e 2852 cod. civ., cioè alla regola che prevale chi ha iscritto o trascritto in data anteriore. Nello stesso senso della dottrina maggioritaria anche la più recente giurisprudenza, formatasi successivamente alla fondamentale sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, 1 ottobre 2009, n. 21045, con la quale si è riconosciuto, nell’ambito di una procedura fallimentare, che il credito del promissario acquirente, benché assistito da privilegio speciale ex art. 2775 bis c.c., deve essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello della banca che prima della trascrizione del preliminare aveva iscritto ipoteca sull’immobile. Tale indirizzo poi è stato confermato nelle successive sentenze della Cassazione quali la sentenza 16 marzo 2012 n. 4195, la sentenza 27 novembre 2012 n. 20974, la sentenza 9 gennaio 2013 n. 341.
2.5 L’art. 23, co. 2, D.L. 133/2014, richiama anche la disposizione dell’art. 2668, co. 4, c.c. che disciplina la cancellazione della trascrizione del preliminare eseguita si sensi dell’art. 2645bis c.c.; pertanto in tutti i casi in cui dovessero cessare gli effetti di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione a suo tempo trascritto (a seguito di risoluzione consensuale, o di risoluzione per inadempimento di una delle parti, o di recesso, se riconosciuto ad una delle parti, ecc.) può esservi la necessità di procedere alla cancellazione della trascrizione, stante l’evidente interesse del proprietario/concedente a recuperare la piena disponibilità dell’immobile. Si potrà procedere alla cancellazione:
- in forza di consenso debitamente manifestato dalle parti (nell’atto stesso con il quale vengono fatti cessare gli effetti del contratto, come nel caso di risoluzione consensuale, ovvero con un atto stipulato ad hoc, proprio per consentire alla cancellazione della trascrizione)
- in forza di sentenza passata in giudicato, nella quale viene ordinata la cancellazione della trascrizione.
Non si ritiene necessaria la formale cancellazione della trascrizione se gli effetti della stessa sono venuti meno per decorrenza del termine (ossia se è spirato il termine convenuto per la durata del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione ovvero se sono già decorsi i dieci anni dalla trascrizione del contratto medesimo).
3. Gli obblighi del concedente e del conduttore
3.1 L’art. 23, co. 4, D.L. 133/2014, per disciplinare i reciproci obblighi e diritti del concedente e del conduttore richiama la disciplina dettata in materia di usufrutto, e ciò benché il diritto di godimento che discende dal contratto de quo sia un diritto di natura obbligatoria e non un diritto di carattere reale (vedi supra sub § 1). In particolare vengono richiamati gli articoli da 1002 a 1007 e gli artt. 1012 e 1013 cod. civ., in quanto compatibili (al riguardo riteniamo non vi sia spazio per l’applicazione al contratto de quo della disposizione dell’art. 1003 c.c., a nostro parere incompatibile con la struttura di detto contratto).
3.2 Innanzitutto il conduttore, nel prendere in consegna l’immobile, deve procedere all’inventario e deve prestare garanzia; non può conseguire il possesso dei beni prima di avere adempiuto agli obblighi suddetti. Il conduttore prende in consegna l’immobile nello stato in cui si trova (art. 1002 c.c.).
Il conduttore è tenuto, pertanto, a fare, a sue spese, l’inventario dei beni, previo avviso al concedente. Non vi è, peraltro, un obbligo inderogabile a carico del conduttore di fare l’inventario. Egli ne può essere dispensato. Tant’è vero che la norma dell’art. 1002 c.c. stabilisce, espressamente, che quando l’usufruttuario (nel nostro caso il conduttore) è dispensato dal fare l’inventario, questo può essere richiesto dal proprietario a sue spese. Si prevede che nel caso del contratto de quo sarà particolarmente diffuso il ricorso alla dispensa dall’inventario, soprattutto laddove oggetto di contratto sia il solo bene immobile. In questo caso già il contratto (risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata) contiene la precisa descrizione del bene concesso in godimento, e costituisce di per sé “inventario”. Un apposito inventario ex art. 1002 c.c., apparirebbe, in questo caso, del tutto inutile. Diversa è invece l’ipotesi in cui l’immobile venga concesso arredato. In questo caso può esserci l’interesse del concedente alla redazione dell’inventario. Il tutto, peraltro, potrebbe risolversi con la redazione di un apposito elenco, contenente la descrizione degli arredi e degli accessori di compendio dell’immobile, da allegare poi al contratto de quo. La norma dell’art. 1002 c.c., infatti, non prescrive per l’inventario in questione particolari forme (in dottrina si ammette anche l’inventario redatto in forma privata a cura dell’interessato o di persona da lui incaricata).
Il conduttore deve inoltre dare idonea garanzia. In dottrina (con riguardo all’usufrutto) si è ritenuto che l’idonea garanzia ex art. 1002 c.c. si riferisce all’esatto adempimento di tutte le obbligazioni gravanti sull’usufruttuario (nel nostro caso il conduttore), compreso, in particolare, l’obbligo di custodia e manutenzione derivante dall’art. 1004 c.c. (vedi in appresso punto 3.3). Spetta alle parti individuare, in contratto, il tipo di garanzia da prestare nonché disciplinare le modalità con cui la stessa deve essere prestata. Ad esempio, stante l’affinità tra la posizione del conduttore nel contratto de quo e la posizione del locatario nel contratto di locazione, si può pensare ad una garanzia simile a quella prevista, in tema di locazione, dall’art. 11 legge 27 luglio 1978 n. 392, ossia ad un deposito costituito dal conduttore presso il concedente, non superiore a tre mensilità di canone (da calcolarsi con riguardo alla sola parte di canone imputatile alla remunerazione del godimento), deposito produttivo di interessi legali, che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine del periodo di godimento (o eventualmente imputabili al prezzo di cessione). Non va neppure esclusa una garanzia costituita da apposita polizza fideiussoria bancaria o assicurativa sempre per importo non superiore a tre mensilità del canone (nei termini di cui sopra). Dall’obbligo di prestare garanzia il conduttore potrà essere dispensato. Anche quest’obbligo rientra nella libera disponibilità delle parti, in quanto non considerato, dalla norma in commento di carattere inderogabile (si rammenta, al riguardo, che l’art. 1002 c.c. prevede in materia di usufrutto un’ipotesi di dispensa ex lege dall’obbligo di prestare garanzia).
3.3 Le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria degli immobili, e delle relative parti condominiali se immobile in un condominio, sono a carico del conduttore; sono pure a carico del conduttore le riparazioni straordinarie rese necessarie dal suo inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione (art. 1004 c.c.). Si intendono di ordinaria manutenzione, secondo prassi, le riparazioni che riguardino elementi accessori degli immobili che, per loro natura, si consumano e deteriorano per il solo effetto del loro uso normale (ad esempio le spese relative a rubinetterie, scarichi, interruttori, maniglie, vetri, rivestimenti, sanitari, impianti di luce, acqua e gas non interni alla struttura del fabbricato, ecc. ecc.). Come si è avuto modo di osservare in dottrina (in tema dii usufrutto) quelli discendenti dall’art. 1004 c.c. sono dei veri e propri obblighi a carico (in questo caso) del conduttore, il quale è tenuto a provvedere personalmente alla custodia e all’ordinaria manutenzione degli immobili, non essendo tenuto, semplicemente, a sopportarne gli oneri economici. Vi sarebbe a carico del conduttore un vero e proprio obbligo di custodia, che comporterebbe a carico del conduttore stesso l’obbligo di adottare tutte quelle misure e di tenere tutti quei comportamenti che fossero necessari per prevenire danni materiali all’immobile nonché usurpazioni da parte di terzi e/o violazioni al suo stato giuridico.
3.4 Le riparazioni straordinarie degli immobili, e delle relative parti condominiali se immobile in un condominio, sono a carico del concedente. Il conduttore deve corrispondere al concedente, durante tutta la durata del rapporto, l’interesse (nella misura del tasso legale) delle somme spese per le riparazioni straordinarie (art. 1005 c.c.). In alternativa all’obbligo a carico del conduttore di corrispondere gli interessi, si ritiene possibile che le parti possano convenire in contratto forme di compartecipazione alle spese per riparazioni straordinarie, secondo percentuali ben definite (il conduttore, in tal modo, potrà estinguere la sua obbligazione in unica soluzione, senza dover corrispondere gli interessi legali per tutta la durata del rapporto). In giurisprudenza (con riguardo all’usufrutto) si è ritenuto che quando vi sia la necessità di eseguire una riparazione straordinaria, è in facoltà del proprietario (ossia nel nostro caso il concedente) di eseguirla, senza che vi sia un suo obbligo in tal senso. Ovviamente se il proprietario (concedente) decide di non dar corso alla riparazione straordinaria, a ciò può provvedere direttamente l’usufruttuario, con diritto al rimborso delle spese sostenute al termine del periodo di godimento, senza peraltro dover corrispondere gli interessi legali, e ciò in applicazione del disposto dell’art. 1006 c.c. (vedi successivo punto 3.5). Riparazioni straordinarie sono, per espressa disposizione di legge, quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, acquedotti, muri di sostegno o di cinta. In dottrina e in giurisprudenza si è ritenuto l’elenco delle opere di straordinaria amministrazione contenuto nell’art. 1005 c.c. non di carattere tassativo. Pertanto debbono ricomprendersi tra le riparazioni straordinarie, rilevanti ai fini di cui al’art. 1005 c.c. di cui si tratta, tutte quelle riparazioni che riguardano interventi su parti strutturali degli edifici e quelle per la sostituzione degli impianti di dotazione (impianto elettrico, idraulico, di riscaldamento ecc. ecc.).
3.5 Se il concedente rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l’esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà del conduttore di farle eseguire a proprie spese. Le spese devono essere rimborsate alla fine della concessione del godimento senza, peraltro, dover corrispondere gli interessi, posto che tali somme sono state anticipate, per conto del concedente, dallo stesso conduttore (art. 1006 c.c.). Secondo quanto ritenuto dalla dottrina (in materia di usufrutto) il conduttore prima di procedere all’esecuzione di riparazioni straordinarie deve darne comunicazione al concedente, al fine di avere la certezza che lo stesso non intende provvedervi in proprio, legittimando così il suo intervento sostitutivo ex art. 1006 c.c.. Si discute pure in dottrina circa le conseguenze, a carico dell’usufruttuario (e nel nostro caso del conduttore) qualora lo stesso proceda all’esecuzione delle riparazioni straordinarie senza consultare preventivamente il proprietario. Si esclude un diritto al risarcimento del danno a favore del proprietario, posto che l’intervento posto in essere migliora e non danneggia il bene. Si discute invece circa il diritto dell’usufruttuario (nel nostro caso il conduttore) ad ottenere il rimborso delle spese sostenute.
3.6 La disciplina dettata dagli artt. 1005 e 1006 c.c. (vedi supra punti 3.4 e 3.5) si applica anche nel caso in cui, per vetustà o caso fortuito, rovini soltanto in parte l’edificio che formava accessorio necessario del fondo oggetto del contratto de quo (art. 1007 c.c.). Le opere per rimediare alla rovina parziale dell’accessorio vengono pertanto equiparate, dalla norma in commento, alle riparazioni straordinarie, anche se il più delle volte potranno consistere in veri e propri interventi di ricostruzione.
3.7 Se durante la concessione in godimento un terzo commette usurpazione degli immobili o altrimenti offende le ragioni del concedente, il conduttore è tenuto a fargliene denunzia e, omettendola, è responsabile dei danni che eventualmente possano derivare al concedente. Tale obbligo di denuncia viene considerato espressione del più generale obbligo di custodia che grava sul conduttore (vedi supra al punto 3.3). Il conduttore può far riconoscere l’esistenza delle servitù a favore degli immobili o l’inesistenza di quelle che si pretende di esercitare su gli immobili; il conduttore deve in questi casi chiamare in giudizio il concedente, quale proprietario degli immobili (art. 1012 c.c.).
3.8 Le spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto la concessione in godimento sono sopportate dal concedente e dal conduttore in proporzione del rispettivo interesse (art. 1013 c.c.). In dottrina (con riguardo all’usufrutto) si è ritenuto che nella determinazione del rispettivo interesse deve aversi riguardo al valore dell’usufrutto posto a confronto con il valore della nuda proprietà. Nel caso di specie di dovrà far riferimento al valore del diritto globalmente spettante al conduttore (diritto al godimento e diritto all’acquisto del bene) rispetto al valore del diritto spettante al concedente.
3.9 Nel caso di unità immobiliare facente parte di un condominio debbono ritenersi applicabili anche al caso di specie le norme di cui all’art. 67, commi 6, 7 e 8, disposizioni di attuazione del codice civile (nel testo attualmente in vigore, modificato dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220). Infatti se il legislatore, nel D.L. 133/2014, per quanto riguarda la disciplina sulle riparazioni ordinarie e straordinarie dell’immobile, ha ritenuto di dover richiamare la disciplina dettata in materia di usufrutto (piuttosto che quella dettata in tema di locazione), appare coerente ritenere applicabile ai contratti di godimento in funzione della successiva alienazione anche la disciplina dettata in tema di ripartizione degli oneri condominiali tra nudo proprietario ed usufruttuario, pertanto:
- il diritto di voto nelle assemblee, su ordini del giorni relativi ad affari che attengono all’ordinaria amministrazione ed al semplice godimento delle cose e dei sevizi comuni, spetterà al conduttore;
- nelle altre deliberazioni il diritto di voto spetterà al concedente a meno che il conduttore intenda avvalersi del diritto di cui all’art. 1006 c.c. (vedi precedente punto 3.5), nel qual caso l’avviso di convocazione deve essere comunicato sia al conduttore che al concedente;
- concedente e conduttore rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale.
3.10 L’art. 23, co. 4, D.L. 133/2014 stranamente non richiama le disposizioni degli artt. 985 e 986 c.c., in tema, rispettivamente, di miglioramenti ed addizioni. Tuttavia non si può escludere la possibilità per le parti di prevedere, con apposita clausola da inserire nel contratto de quo:
- la facoltà per il conduttore di apportare miglioramenti all’immobile, con diritto ad un’indennità per i miglioramenti che sussistono al momento della restituzione del bene, pari alla minor somma tra l’importo della spesa sostenuta e l’aumento di valore conseguito dall’immobile per effetto dei miglioramenti stessi;
- la facoltà per il conduttore di eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica dell’immobile, con diritto di toglierle alla scadenza del contratto (se non viene esercitato il diritto all’acquisto) qualora ciò possa farsi senza nocumento del bene, salvo che il concedente preferisca ritenere le addizioni stesse, corrispondendo al conduttore un’indennità per i miglioramenti che sussistono al momento della restituzione del bene, pari alla minor somma tra l’importo della spesa sostenuta e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna.
Non sembra, infatti, vi siano ostacoli ad ammettere una disciplina contrattuale nel senso sopra delineato in tema di miglioramenti e addizioni; in particolare una simile disciplina non appare incompatibile con la struttura del contratto de quo. Basti pensare che una disciplina analoga a quella dettata dagli artt. 985 e 986 c.c. è prevista anche per il contratto di locazione (art. 1592 c.c. in tema di miglioramenti e art. 1593 in tema di addizione). Sarebbe ben strano che il conduttore, in forza di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione non possa, se espressamente previsto in contratto, fare ciò che è consentito per legge sia all’usufruttuario che al locatario (e cioè apportare miglioramenti e addizioni, con i conseguenti diritti alle relative indennità)
4. Gli immobili da costruire
4.1 L’art. 23, co. 4, D.L. 133/2014, stabilisce che se uno dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione ha per oggetto un’abitazione, il divieto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n.122, opera fin dalla concessione del godimento.
Questa disposizione può legittimare due distinte interpretazioni:
- si potrebbe ritenere che il richiamo all’art. 8 del D.Lgs 122/2005 debba interpretarsi come estensione dell’impedimento alla stipula contenuto in detta norma a tutti indistintamente i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione che abbiano per oggetto un’abitazione gravata da ipoteca o pignoramento (a prescindere dal fatto che sussistano o meno i presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione del D.Lgs 122/2005);
- si potrebbe, invece, ritenere che la norma si limiti a stabilire che ogni qualvolta torni applicabile la disciplina di cui all’art. 8 del D.Lgs 122/2005 (e quindi al ricorrere dei presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione di detta disposizione), e sempre che il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione abbia per oggetto un’abitazione gravata da ipoteca o pignoramento, l’impedimento posto a carico del Notaio trova applicazione sin dal momento della stipula del contratto di godimento e non solo al momento di stipula del successivo atto traslativo (in funzione del quale l’immobile viene concesso in godimento).
Riteniamo preferibile la tesi di cui sub 2). Se il legislatore avesse voluto porre un divieto di stipula al Notaio per tutti i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione aventi per oggetto immobili gravati da ipoteca o pignoramento, non si capisce perché lo avrebbe fatto richiamando un’altra disposizione di legge, dettata in un altro contesto e la cui applicazione risulta subordinata al ricorrere di specifici requisiti oggettivi e soggettivi. Sarebbe stato più logico e lineare dire più semplicemente che se uno dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione ha per oggetto un’abitazione gravata da ipoteca o pignoramento, il Notaio non può procedere alla stipula di detto contratto se anteriormente o contestualmente alla stipula, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell’ipoteca a garanzia o del pignoramento gravante sull’immobile. Se, invece, si è preferita la tecnica del rinvio ad altra disposizione, deve ritenersi che il legislatore abbia voluto fare riferimento all’intera fattispecie disciplinata dalla disposizione richiamata (e quindi anche ai suoi presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione e non solo ai suoi effetti).
In pratica il legislatore ha voluto, con la disposizione in commento, derogare alla disciplina ordinaria dettata dall’art. 8 D.Lgs 122/2005 nel caso vengano posti in essere dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione aventi per oggetto un’abitazione gravata da ipoteca o pignoramento: l’impedimento alla stipula posto a carico del Notaio non opera in occasione della sottoscrizione del contratto di alienazione, come previsto dalla disciplina ordinaria, ma viene anticipato al momento di sottoscrizione del contratto di concessione in godimento (con il quale, ancora, non si trasferisce nulla, in quanto meramente funzionale alla successiva alienazione).
Normalmente, nella maggior parte dei casi, l’immobile oggetto del contratto de quo sarà un edificio già completato nella costruzione e dichiarato agibile, per cui la disposizione in commento (art. 23, co. 4, D.L. 133/2014) troverà applicazione (accogliendo la tesi sopra esposta sub 2) nei soli casi in cui il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione sia stato preceduto da un preliminare, intervenuto tra le medesime parti, avente per oggetto l’immobile quando era ancora in corso di costruzione; si pensi all’ipotesi in cui le parti si accordino di dare attuazione agli impegni reciprocamente assunti con il suddetto preliminare stipulando, in luogo del previsto atto traslativo definitivo, un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione.
La disposizione in commento troverà applicazione anche nei seguenti casi:
- nel caso di un preliminare (perfezionato quanto l’immobile era ancora in corso di costruzione) con il quale le parti si siano impegnate proprio alla stipula di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione;
- nel caso di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione avente per oggetto un edificio ancora in corso di costruzione, e non ancora dichiarato agibile (vedi supra sub § 1), e come tale rientrante a pieno titolo nell’ambito di applicazione del D.Lgs 122/2005.
4.2 La norma in commento, peraltro, suscita più di una perplessità:
- in primo luogo non è ben chiaro perché il legislatore abbia voluto limitare la particolare deroga alla disciplina dell’ 8 D.Lgs. 122/2005 (con anticipazione dell’operare dell’impedimento alla stipula posto a carico del Notaio) solo agli atti aventi per oggetto un’abitazione, quando è fuor di dubbio che, sia i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione disciplinati dall’art. 23 D.L. 133/2014 che la particolare disciplina dettata dal D.Lgs. 122/2005, riguardano ogni tipologia di fabbricato (ad uso residenziale, produttivo, commerciale, direzionale ecc. ecc.);
- in secondo luogo l’aver anticipato al momento della concessione dell’immobile in godimento (in funzione della futura alienazione) l’obbligo di ottenere la liberazione dell’immobile da ipoteche e pignoramenti, costituirà un ostacolo non indifferente all’utilizzo di questa nuova figura contrattuale, rendendola impraticabile proprio nella maggior parte dei casi nei quali potrebbe tornare utile, ossia nella vendita di fabbricato nuovo a persona fisica da parte di costruttore, qualora preceduta da un preliminare stipulato quanto l’immobile era in corso di costruzione. In pratica se il costruttore ha stipulato un mutuo per finanziare la costruzione, mutuo garantito da ipoteca, per procedere alla stipula di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione avente per oggetto unità facenti parte del fabbricato così costruito, lo stesso dovrà preventivamente:
- procedere al frazionamento del mutuo e della relativa ipoteca;
- procedere all’estinzione della quota di mutuo relativa alle unità da vendere ed ottenere, conseguentemente, un titolo idoneo alla cancellazione dell’ipoteca (il costruttore dovrà, in questo caso, disporre di risorse proprie da destinare all’estinzione del mutuo, visto che il prezzo della cessione lo incasserà differito nel tempo);
- in alternativa, convenire con il conduttore, l’accollo della quota del mutuo derivata dal frazionamento (sulla possibilità di prevedere nel contratto di godimento in funzione della successiva alienazione l’accollo del mutuo vedi supra sub § 1). Si rammenta che, per superare il divieto alla stipula posto dall’art. 8 D.Lgs. 122/2005, si è ritenuto non sia sufficiente il solo frazionamento del mutuo e della relativa ipoteca, ma che sia anche necessario o ottenere un titolo idoneo per la cancellazione dell’ipoteca ovvero prevedere l’accollo della quota del mutuo da parte dell’acquirente (in questo senso lo Studio 5812/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20 luglio 2005: “Il D.Lgs. 122 del 2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo, revocatoria fallimentare e le altre novità legislative” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 1009 e segg.).
5. L’inadempimento del conduttore
5.1 Dalla stipula di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione sorgono vari obblighi a carico del conduttore, il principale dei quali, è certamente l’obbligo del pagamento del canone. Altri obblighi sono quelli che, invece, discendono dalla disciplina in materia di usufrutto espressamente richiamata nella norma de quo: l’obbligo a fare l’inventario ed a prestare garanzia (art. 1002 c.c.), l’obbligo di sostenere le spese per la custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria e di procedere alle riparazioni straordinarie rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione (art. 1004 c.c.), l’obbligo di corrispondere al proprietario gli interessi legali sulle somme spese per le riparazioni straordinarie (art. 1005 c.c.), l’obbligo di denunciare al proprietario eventuali usurpazioni di terzi (art. 1012 c.c.), l’obbligo di sostenere le spese delle liti che riguardassero il proprio diritto (art.1013 c.c.) (vedi supra sub § 3).
In caso di inadempimento da parte del conduttore agli obblighi posti a suo carico, il concedente potrà a sua scelta:
- o avviare una procedura di esecuzione forzata su beni del conduttore, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2910 c.c., e ciò al fine di conseguire quanto gli è dovuto (e ciò nel caso in cui l’inadempimento del conduttore consista nel mancato pagamento dei canoni previsti in contratto)
- o chiedere l’adempimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2931 c.c. (se l’inadempimento riguarda un obbligo di fare, come ad es. l’obbligo di curare la manutenzione ordinaria dell’immobile)
- ovvero la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1453 e segg. c.c.
fermo restando, in ogni caso, il diritto al risarcimento del danno.
5.2 Con riguardo all’ipotesi di cui al precedente punto 5.1 sub 1) (esecuzione forzata ex art. 2910 c.c.) si rammenta che, giusta quanto disposto dall’art. 474 c.p.c.:
- l’esecuzione forzata può aver luogo solo in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile;
- sono titoli esecutivi gli atti ricevuti da notaio e le scritture private autenticate (queste ultime, peraltro, solo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro).
La circostanza che il contratto de quo debba rivestire la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata (al fine di poter essere trascritto) certamente facilita l’avvio di una procedura di esecuzione forzata (ovviamente sempre che si agisca per ottenere il pagamento di un debito certo, liquido ed esigibile, come potrebbe essere il debito del conduttore per il pagamento di canoni scaduti e non ancora versati).
5.3 Nell’ipotesi di cui al precedente punto 5.1 sub 3) (risoluzione per inadempimento), peraltro, bisogna escludere che qualsiasi inadempimento possa legittimare la richiesta di risoluzione: anche in questo caso si applica la disposizione generale dell’art. 1455 c.c. in base alla quale “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”.
Ad esempio, con riguardo a quello che è l’obbligo principale posto a carico del conduttore, ossia l’obbligo di pagamento dei canoni, è lo stesso legislatore, con la norma de quo, che indica il “parametro” per stabilire se l’inadempimento debba considerarsi importante ovvero di scarsa importanza: il comma 2 dell’art. 23, D.L. 133/2014, infatti, stabilisce che “Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo”. In base a detta disposizione, pertanto, non è sufficiente il mancato pagamento di uno o più canoni per chiedere la risoluzione, ma è necessario che il numero di canoni non pagati non sia inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo. I canoni non pagati possono essere anche non consecutivi. Le parti possono anche alzare il limite di “rilevanza” del mancato pagamento dei canoni, prevedendo, per poter chiedere la risoluzione del contratto, un numero di canoni non pagati superiore al ventesimo del loro numero complessivo. Non sembra, invece, possibile una deroga al “ribasso” e cioè al di sotto del ventesimo. In questo senso va interpretato l’inciso della norma de quo che rimette alla “determinazione delle parti” il numero minimo di canoni non pagati, anche non consecutivamente, rilevante ai fini della risoluzione, purché “non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo”.
5.4 La risoluzione è dichiarata dal giudice, con apposita sentenza (da annotare presso i RR.II. ai sensi dell’art. 2655 c.c., al fine di far cessare gli effetti della trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione a suo tempo trascritto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645bis c.c.).
Potrà trovare applicazione, nel caso di specie, anche la disciplina dettata dall’art. 1454 c.c.. Pertanto se sussistono tutti i presupposti per chiedere la risoluzione del contratto, ex art. 1455 c.c., il concedente potrà intimare al conduttore per iscritto di adempiere entro un congruo termine, non inferiore a quindici giorni, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto. Decorso il termine senza che l’obbligo sia stato adempiuto, il contratto è risoluto di diritto; rimane in questo caso il problema della cancellazione della trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione a suo tempo trascritto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645bis c.c.: o la cancellazione è consentita dalle parti interessate (anche se, nel caso di specie, appare problematico per il concedente ottenere la collaborazione da parte del conduttore) ovvero è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato (il concedente dovrebbe, comunque, adire l’autorità giudiziaria, non tanto per ottenere la sentenza di risoluzione, bensì la sentenza che, accertato il verificarsi della risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c., ordini la cancellazione della trascrizione dell’atto risoluto). Il tutto in conformità al disposto dell’art. 2668, co. 4, c.c., espressamente richiamato, peraltro, nel comma 3 dell’art. 23, D.L. 133/2014.
È lecito, al riguardo, chiedersi cosa succede se, una volta intervenuta la diffida ad adempiere, il conduttore proceda ad un pagamento parziale, e cioè al pagamento solo di alcuni dei canoni non pagati nei termini, in quantità tale, peraltro, da ricondurre il numero dei canoni non pagati al disotto del ventesimo del complessivo; riteniamo che nel caso di specie il pagamento parziale non sia sufficiente ad evitare la risoluzione del contratto; la risoluzione può essere evitata solo se viene adempiuta l’intera obbligazione oggetto della diffida ad adempiere.
5.5 Quali sono le conseguenze, per il conduttore, della risoluzione, per suo inadempimento, di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione?
L’art. 23, co. 5, D.L. 133/2014, stabilisce che “in caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell’immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto.”
Pertanto, una volta intervenuta la risoluzione del contratto, il concedente:
- avrà, innanzitutto, diritto alla restituzione dell’immobile. Se il conduttore non provvede al rilascio dell’immobile il concedente dovrà intraprendere una nuova azione giudiziaria nei suoi confronti (vedi in appresso sub § 7);
- avrà inoltre diritto ad acquisire i canoni sino a quel momento pagati, per l’intero loro importo, e quindi anche per la parte da imputare al prezzo di trasferimento. Gli importi pagati dal conduttore a titolo di prezzo vengono, in questo caso, fatti propri dal concedente a titolo di indennità, come dice espressamente la norma. Indennità dovuta a ristoro dell’indubitabile danno subito dal concedente causa l’inadempimento del conduttore (come nel caso di mancato pagamento dei canoni) o, comunque, per il fatto di essersi il concedente obbligato “unilateralmente”, con la sottoscrizione del contratto, alla cessione dell’immobile, riservando al conduttore il diritto all’acquisto e privandosi per tutta la durata del rapporto della possibilità di trasferire a terzi l’immobile medesimo. Le parti, tuttavia, possono, introdurre in contratto una diversa disciplina, sia più favorevole al conduttore (prevedendo, ad esempio, che, comunque, una certa percentuale della parte dei canoni da imputare a prezzo sia restituita al conduttore) che più favorevole al concedente (prevedendo, ad esempio, a carico del conduttore, in caso di suo inadempimento l’obbligo di corrispondere ulteriori somme a titolo di penale ex art. 1382 c.c.). Ovviamente l’adozione dell’una o dell’altra delle soluzioni facoltative molto dipende da quanto incide sull’importo del canone la parte da imputare al corrispettivo di cessione.
Resta fermo il diritto del concedente ad ottenere il pagamento dei canoni scaduti e non pagati.
6. Il mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore
6.1 Bisogna escludere, nella maniera più categorica, che costituisca inadempimento del conduttore (con conseguente applicazione della disposizione dell’23, co. 5, D.L. 133/2014) il mancato esercizio del diritto all’acquisto dell’immobile concesso in godimento. Come già ricordato Il conduttore, in quanto titolare di un diritto e non destinatario di un obbligo, alla scadenza del termine convenuto, è libero di decidere se procedere o meno all’acquisto.
Tale ricostruzione trova conforto nella disposizione del comma 1bis dell’23, D.L. 133/2014, introdotto in sede di conversione in legge del decreto suddetto, che così dispone “Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito”.
Con il dettare una disciplina specificatamente riferita all’ipotesi del mancato esercizio del diritto di acquisto (diversa da quella prevista per l’inadempimento), il legislatore ha voluto marcare la netta differenza tra questa ipotesi e quella dell’inadempimento del conduttore, disciplinata, invece, nel comma 5 dell’art. 23.
6.2 Pertanto, se il conduttore dovesse decidere di non esercitare il proprio diritto all’acquisto, il contratto, alla scadenza del termine convenuto, cesserà di produrre ogni effetto, senza che tale circostanza possa essere considerata alla stregua di un inadempimento del conduttore, con la conseguenza che:
- il concedente avrà diritto alla riconsegna dell’immobile (vedi in appresso sub § 7);
- il concedente avrà diritto di trattenere i canoni sino a quel momento pagati, per la sola parte riferita alla remunerazione del godimento, mentre dovrà restituire, al conduttore la quota dei canoni sino a quel momento pagati, per la parte da imputare a corrispettivo della cessione, quale definita nel contratto (ai sensi dell’art. 23, co. 1bis, DL. 133/2014).
È essenziale, quindi, nel redigere un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, disciplinare in maniera espressa e compiuta le conseguenze del mancato esercizio del diritto all’acquisto da parte del conduttore, ed in particolare definire la quota della parte dei canoni imputabile al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore.
La norma, peraltro, non pone dei limiti (massimi o minimi) alla quota da restituire. Pertanto tutto è rimesso alla autonomia delle parti, libere di adottare la soluzione ritenuta preferibile. Potrebbero le parti anche prevedere che la quota da restituire sia pari al 100% della parte dei canoni imputabile a corrispettivo ovvero al contrario che nulla debba restituire il concedente con suo diritto a trattenere tutto quanto corrisposto nel corso del rapporto, compresa la parte dei canoni destinata ad essere imputata al prezzo di cessione.
6.3 Quid iuris se le parti in contratto nulla dispongono al riguardo? Si ritiene che in questo caso il concedente possa trattenere tutto quanto corrisposto nel corso del rapporto, compresa la parte dei canoni destinata ad essere imputata al prezzo di cessione e questo non tanto in applicazione analogica del disposto dell’23, co. 5, D.L. 133/2014, dato che non si è in presenza di un inadempimento contrattuale, come già chiarito, ma in quanto deve essere adeguatamente remunerata la prestazione complessivamente fornita dal concedente; il concedente, infatti, con il vincolarsi alla cessione, si preclude la possibilità di sfruttare tutte le occasioni di vendita che dopo la conclusione del contratto possono presentarsi; al concedente deve essere, pertanto, riconosciuto il valore patrimoniale del diritto all’acquisto che lo stesso ha riservato al conduttore. Non si ritiene, neppure, applicabile, in via analogica, al caso di specie, la disposizione dell’art. 1526 c.c., dettato in tema di vendita con riserva di proprietà, il quale stabilisce che “se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno”, e ciò in quanto:
- l’art. 1526 c.c. riguarda una fattispecie (la vendita con riserva di proprietà) completamente diversa da quella del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione; nel caso della vendita con riserva della proprietà si è in presenza di un contratto ad effetti traslativi (seppur differiti) e, tutto ciò che viene pagato nel corso del rapporto, viene corrisposto a titolo di prezzo, per cui, se per cause imputabili al compratore, non si produce l’effetto traslativo, come il bene rimane di proprietà del venditore, il prezzo, sino a quel momento versato, deve essere restituito al compratore; il venditore, peraltro, avrà diritto ad un compenso per l’utilizzo che il compratore ha fatto della cosa e al risarcimento del danno. Nel contratto di godimento in funzione della successiva alienazione vi è una coesistenza di scopi, quello del godimento temporaneo e quello della vendita, e sia la concessione in godimento, da una parte, che l’obbligo a vendere, assunto unilateralmente dal concedente, dall’altro, debbono essere adeguatamente remunerati;
- l’art. 1526 c.c. riguarda espressamente l’ipotesi dell’inadempimento del compratore, mentre, nel caso di cui si discute (quello del mancato esercizio del diritto all’acquisto) si è escluso, in maniera categorica, si possa parlare di inadempimento del conduttore; la corrispondente ipotesi dell’inadempimento del conduttore trova nell’art. 23, D.L. 133/2014 espressa disciplina, nel senso opposto a quello dell’art. 1526 c.c., posto che, al terzo comma di detto art. 23, si stabilisce che “in caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente […] acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto”.
7. La restituzione dell’immobile
7.1 Sia nel caso di inadempimento del conduttore (vedi sopra § 5) sia nel caso di mancato esercizio del diritto di acquisto (vedi sopra § 6), il concedente ha diritto alla restituzione immediata dell’immobile.
La questione da porre, al riguardo, e che non trova risposta nella norma de quo, è se per il rilascio dell’immobile trovi applicazione:
- il procedimento “speciale” per convalida di sfratto, di cui agli artt. 657 e segg. c.p.c. in base al quale il concedente può intimare al conduttore licenza per cessato rapporto di godimento (eventualmente per morosità) con la contestuale citazione per la convalida, procedimento previsto per i contratti di locazione e/o di affitto;
- il procedimento “ordinario” in materia di esecuzione per consegna e rilascio di cui agli artt. 605 e segg. del c.p.c. (che disciplinano, per l’appunto, il processo di esecuzione per consegna o rilascio).
Riteniamo trovi applicazione nel caso di specie il procedimento ordinario di cui sub 2), in quanto il procedimento di cui sub 1), proprio perché procedimento speciale, non può trovare applicazione al di fuori del perimetro applicativo delineato dalla legge. Infatti il procedimento speciale ex artt. 657 e segg. c.p.c. si riferisce, specificatamente, ai rapporti di locazione e di affitto, mentre, come si è già avuto modo di precisare (vedi supra sub § 1), il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione è un contatto tipico, che nulla ha a che vedere con il contratto di locazione o col contratto di affitto (pur attribuendo al conduttore, al pari di questi contratti, un diritto personale di godimento di natura obbligatoria). Il contratto de quo si caratterizza (e in ciò si distingue dal contratto di locazione e/o di affitto) per il fatto che il godimento non è fine a sé stesso ma è finalizzato alla alienazione dell’immobile. Vi è in questo contratto, pertanto, una coesistenza di scopi, quello del godimento temporaneo e quello della vendita, che vale a differenziarlo nettamente dal contratto di locazione e/o affitto ed a escludere qualsiasi assimilazione tra questi contratti.
Più calzante, nel caso di specie, appare, pertanto il riferimento al procedimento ordinario, disciplinato dagli artt. 605 e segg. c.c., che riguarda, indistintamente, tutte le ipotesi di azione volte ad ottenere il rilascio di un immobile in virtù di un obbligo discendente da un rapporto di natura contrattuale. L’azione finalizzata ad ottenere la restituzione dell’immobile, ex artt. 605 e segg. c.p.c., in quanto azione contrattuale di natura personale (fondata com’è su un rapporto contrattuale e legittimata da un inadempimento di obblighi assunti con detto contratto) non ha nulla a che vedere con l’azione di rivendica di cui all’art. 948 c.c. volta invece a rivendicare il diritto di proprietà di un bene: per ottenere la restituzione del bene il concedente non sarà tenuto a dimostrare il suo titolo di acquisto della proprietà, ma sarà sufficiente che dimostri la avvenuta consegna del bene e la sua mancata restituzione da parte del conduttore.
7.2 Si rammenta che, giusta quanto disposto dall’art. 474 c.p.c.:
- l’esecuzione forzata (compresa l’esecuzione forzata per consegna e rilascio ex art. 2930 c.c.) può aver luogo solo in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile;
- che peraltro l’esecuzione forzata per consegna e rilascio non può aver luogo in forza di un qualsiasi titolo esecutivo ma solo in virtù di sentenze, di provvedimenti o altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva ovvero di atti ricevuti da notaio.
Può essere, pertanto, opportuno, sotto questo profilo, redigere il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione nella forma dell’atto pubblico, al fine di precostituire un titolo esecutivo idoneo ad avviare la procedura di esecuzione forzata per consegna e rilascio (sempre che ricorrano tutti i presupposti per avviare tale procedura, ovvero sia certo il diritto al rilascio, come ad es. nel caso di diritto del concedente al rilascio, alla scadenza del contratto, per mancato esercizio del diritto di acquisto del conduttore). Un contratto redatto nella forma di scrittura privata autenticata non potrà, invece, essere utilizzato come titolo esecutivo per avviare un’eventuale esecuzione forzata ex art. 2930 c.c., posto che le scritture private autenticate, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., costituiscono titolo esecutivo solo per obbligazioni di somme di denaro.
7.3 Le stesse ragioni per le quali si è esclusa l’applicabilità al contratto di godimento in funzione della successiva alienazione del procedimento speciale ex artt. 657 e segg c.c., portano anche ad escludere l’assoggettabilità di detto contratto a tutta la disciplina vincolistica propria della locazione, come si è venuta a delineare, con particolare riguardo alla locazione degli immobili ad uso abitativo, a partire dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 e sino alla legge 9 dicembre 1998 n. 431 (e va, anche, esclusa l’assoggettabilità alle eventuali disposizioni, emanate nel solco di una prassi legislativa ormai pluridecennale, portanti la sospensione delle procedure esecutive di rilascio degli immobili ad uso abitativo).
8. L’inadempimento del concedente
8.1 Dalla stipula di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione sorgono vari obblighi a carico del concedente, il principale dei quali, è certamente l’obbligo della consegna dell’immobile al conduttore (affinché ne possa fare uso secondo quella che ne è la destinazione economica). Altri obblighi sono quelli che, invece, discendono dalla disciplina in materia di usufrutto espressamente richiamata nella norma de quo: l’obbligo di eseguire le riparazioni straordinarie (art. 1005 c.c.), l’obbligo di riparare, in caso di rovina parziale, l’accessorio dell’immobile concesso in godimento (art. 1007 c.c.), l’obbligo di sostenere le spese delle liti riguardanti il proprio diritto (art.1013 c.c.) (vedi supra sub § 3).
Ai sensi dell’art. 1375 c.c. (“il contratto deve essere eseguito seconda buona fede) il concedente è pure obbligato ad adottare tutte quelle iniziative ed a tenere tutti quei comportamenti necessari per assicurare al conduttore il pacifico godimento dell’immobile e comunque ad astenersi da tutti quei comportamenti che possano pregiudicare il diritto del conduttore.
Altro obbligo fondamentale che si assume il concedente con la stipula di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione è quello di procedere alla cessione del bene qualora il conduttore intenda esercitare, nel rispetto dei termini convenuti, il proprio diritto all’acquisto.
8.2 Si ritiene che l’obbligo di cessione che assume il concedente possa riguardare oltre che la piena proprietà dell’immobile concesso in godimento (come avverrà nella stragrande maggioranza dei casi) anche un diverso diritto: ad esempio un diritto di usufrutto o un diritto di abitazione che, pertanto, avrebbero l’effetto di mantenere, senza soluzione di continuità, in capo al conduttore, la facoltà di godimento dell’immobile (passando, peraltro, da un piano obbligatorio ad un piano reale). Ma non si potrebbe neppure escludere un obbligo di cessione della sola nuda proprietà (con riserva dell’usufrutto a favore del concedente per sé ovvero per sé e dopo di sé a favore di altri soggetti), che però farebbe venir meno, alla scadenza del termine, la facoltà di godimento in capo al conduttore acquirente della sola nuda proprietà. La norma de quo, infatti, parla genericamente di contratto … in funzione della successiva alienazione, o di diritto del conduttore ad “acquistare” l’immobile, senza mai precisare il diritto oggetto di alienazione e/o acquisto, che ben potrebbe essere un diritto diverso dalla piena proprietà (anche se poi il contratto è stato pensato e strutturato proprio in funzione dell’acquisto della piena proprietà). Né il riferimento al “diritto di acquistare la proprietà dell’immobile” contenuto nel comma 1bis dell’art. 23 D.L. 133/2014, norma introdotta in sede di conversione in legge, appare rilevante in proposito. La disposizione è stata introdotta al fine di disciplinare le conseguenze del mancato esercizio all’acquisto del conduttore e non certo per limitare la tipologia di diritto trasferibile con il contratto de quo.
8.3 In caso di inadempimento da parte del concedente agli obblighi posti a suo carico, il conduttore potrà a sua scelta:
- o chiedere l’adempimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2931 c.c. (se l’inadempimento riguarda un “obbligo di fare”);
- o chiedere l’adempimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c. (se l’inadempimento riguarda l’obbligo alla cessione dell’immobile);
- ovvero la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1453 e segg. c.c.
Fermo restando, in ogni caso, il diritto al risarcimento del danno.
Per quanto riguarda l’ipotesi di cui sub 2) (adempimento in forma specifica ex art. 2932 c.c.) si rammenta che la possibilità di ricorrere al rimedio di cui all’art. 2932 c.c. nel caso di specie, è espressamente riconosciuta dall’art. 23, co. 3, ultimo periodo, D.L. 133/2014. Ovviamente per far salvo l’effetto “prenotativo”, connesso alla trascrizione ex art. 2645bis c.c. di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre dovrà essere trascritta (ex art. 2652, co. 1, n. 2, c.c.) entro il termine di durata del contratto medesimo e comunque non oltre i dieci anni dalla trascrizione originaria, così come si ricava dal combinato disposto dell’art. 2645bis, co. 2, c.c. e dell’art. 23, co. 3, D.L. 133/2014.
Per quanto riguarda l’ipotesi di cui sub 3) (risoluzione per inadempimento), bisogna escludere che qualsiasi inadempimento possa legittimare la richiesta di risoluzione: anche in questo caso si applica la disposizione generale dell’art. 1455 c.c. in base alla quale “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. A volte è la legge stessa che prevede rimedi alternativi alla risoluzione: si pensi, ad esempio alla disposizione dell’art. 1006 c.c. (richiamato dalla norma de quo) la quale stabilisce che se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l’esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà del conduttore di farle eseguire a proprie spese, con diritto al rimborso delle stesse e senza dover corrispondere sulle stesse interesse alcuno.
8.4 La risoluzione è dichiarata dal giudice, con apposita sentenza (da annotare presso i RR.II. ai sensi dell’art. 2655 c.c., al fine di far cessare gli effetti della trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione a suo tempo trascritto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645bis c.c.).
Potrà trovare applicazione, nel caso di specie, anche la disciplina dettata dall’art. 1454 c.c.. Pertanto se sussistono tutti i presupposti per chiedere la risoluzione del contratto, ex art. 1455 c.c., il conduttore potrà intimare al concedente per iscritto di adempiere entro un congruo termine, non inferiore a quindici giorni, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto. Decorso il termine senza che l’obbligo sia stato adempiuto, il contratto è risoluto di diritto; rimane anche in questo caso (vedi supra sub § 5) il problema della cancellazione della trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione a suo tempo trascritto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645bis c.c.: o la cancellazione è consentita dalla parti interessate ovvero è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato. Il tutto in conformità al disposto dell’art. 2668, co. 4, c.c., espressamente richiamato, peraltro, nel comma 3 dell’art. 23, D.L. 133/2014.
8.5 Quali sono le conseguenze, per il concedente, della risoluzione, per suo inadempimento, di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione?
L’art. 23, co. 5, D.L. 133/2014, stabilisce che “in caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali”.
Pertanto, una volta intervenuta la risoluzione del contratto, il concedente:
- potrà trattenere i canoni sino a quel momento pagati, per la sola parte riferita alla remunerazione del godimento;
- dovrà, invece, restituire, al conduttore i canoni sino a quel momento pagati, per la parte da imputare a corrispettivo della cessione, maggiorati degli interessi legali.
La norma de quo deve ritenersi inderogabile. La norma, infatti, è posta, essenzialmente a tutela del conduttore, al quale viene riconosciuto, in caso di risoluzione imputabile al concedente, il diritto ad ottenere la restituzione di tutto quanto pagato a titolo di corrispettivo più gli interessi legali. Le parti non possono derogare a tale disposizione, prevedendo ad esempio che al conduttore spetti solo una percentuale della parte dei canoni versata a titolo di corrispettivo. Il conduttore si presenta, normalmente, come il contraente “debole”, e la legge appresta, per il caso di inadempimento del contraente “forte”, una forma di tutela per l’altro contraente che è inderogabile. Tale ricostruzione sembra confermata dalla circostanza che la norma de quo non faccia salva, disciplinando la risoluzione per inadempimento del concedente, la diversa pattuizione convenuta nel contratto, come, al contrario, fa con riguardo alla diversa ipotesi della risoluzione per inadempimento del conduttore; si ritiene, invece, che le parti in contratto possano diversamente disciplinare le conseguenze a carico del concedente, se in senso peggiorativo rispetto alla previsione legale. Ad esempio, fermo sempre restando l’obbligo alla restituzione dei canoni sino a quel momento pagati, per la parte da imputare a corrispettivo della cessione, maggiorati degli interessi legali (tutela inderogabile), prevedendo anche una penale a carico del concedente ex art. 1382 c.c.
8.6 Si rammenta che i crediti del conduttore conseguenti alla risoluzione del contratto de quo per inadempimento del concedente, hanno privilegio speciale sull’immobile concesso in godimento, sempreché gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto, e ciò ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2775bis c.c., norma espressamente richiamata dall’art. 23, co. 3, D.L. 133/2014 (vedi supra sub § 2)
9. Il fallimento del concedente
9.1 L’art. 23, co. 6, D.L. 133/2014, stabilisce che “in caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l’applicazione dell’articolo 67, comma 3, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni.”
Il fallimento del concedente non determina, di per sé, la cessazione del contratto, contratto che pertanto prosegue, vincolando entrambe le parti. Non trova applicazione nel caso di specie la disposizione dell’art. 72 regio decreto 16 marzo 1942, n.267 che consente al curatore di scegliere (con l’autorizzazione del Comitato dei Creditori) tra il subentrare nel contratto o lo sciogliersi dal medesimo. Il contratto, pertanto, prosegue, senza che il curatore possa opporsi.
9.2 Il curatore fallimentare per non soggiacere al contratto (e quindi recuperare la disponibilità materiale dell’immobile, sciogliendosi dall’obbligo di cessione al termine del periodo della concessione in godimento) dovrà agire in revocatoria, sempre che ne ricorrano i presupposti; in particolare ai sensi dell’art. 67 co. 1, numero 1), regio decreto 16 marzo 1942, n.267, il contratto de quo potrà essere revocato, se compiuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, se le prestazioni eseguite dal concedente o le obbligazioni dallo stesso assunte sorpassino di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso, e sempre che il conduttore non riesca a provare che non conosceva lo stato di insolvenza del concedente.
Comunque e, in ogni caso, non sono soggetti a revocatoria fallimentare, ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n.267 (norma espressamente richiamata dall’art. 23, co. 6, D.L. 133/2014) i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione, debitamente trascritti, ai sensi del combinato disposto dell’art. 23, co. 1, D.L. 133/2014 e dell’art. 2645bis c.c. e sempre che non siano cessati gli effetti di detta trascrizione, che siano stati conclusi a giusto prezzo e che abbiano per oggetto immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale del conduttore o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero che abbiano per oggetto immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa del conduttore, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio.
9.3 Nel caso di mancata esecuzione del contratto, dipendente dalla dichiarazione di fallimento, trova comunque applicazione la disposizione dell’art. 2775bis c.c. (norma espressamente richiamata dall’art. 23, co. 3, D.L. 133/2014), a norma della quale i crediti del conduttore che ne conseguono (ad es. per la restituzione della parte dei canoni imputata al corrispettivo) hanno privilegio speciale sull’immobile oggetto del contratto de quo, sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della dichiarazione di fallimento (vedi supra sub § 2)
10. Il fallimento del conduttore
10.1 L’art. 23, co. 6, D.L. 133/2014, stabilisce che “in caso di fallimento del conduttore, si applica l’articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni; se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5”.
Il fallimento del conduttore se non determina, di per sé, la cessazione del contratto, ne determina la sospensione, giusta quanto disposto dall’art. 72 del R.D. 16 marzo 1942, n.267, e ciò sino a quanto il curatore fallimentare, con il consenso del comitato dei creditori, dichiari:
- o di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi;
- o di sciogliersi dal contratto in questione.
A tal fine il concedente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
10.2 Nel caso di scioglimento del contratto (a seguito della scelta operata dal curatore, appositamente autorizzato dal comitato dei creditori, ovvero in caso di decorso del termine assegnato dal giudice), il concedente:
- avrà, innanzitutto, diritto alla restituzione dell’immobile;
- avrà inoltre diritto ad acquisire i canoni sino a quel momento incassati ( 23, co. 5, come richiamato dall’art. 23, co. 6, in commento);
- avrà diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento (ad es. per il pagamento dei canoni scaduti e non pagati).
In pratica il concedente, in caso di scioglimento del contratto, come sopra già ricordato (sub § 5), avrà diritto ad acquisire i canoni sino a quel momento pagati dal conduttore, per l’intero loro importo, e quindi anche per la parte da imputare al prezzo di trasferimento (a meno che le parti non abbiano previsto in contratto una diversa disciplina più favorevole al conduttore); resta, inoltre, fermo il diritto del concedente ad ottenere il pagamento dei canoni scaduti e non pagati (il relativo credito dovrà essere insinuato nel passivo del fallimento).
Il concedente, invece, non potrà chiedere il risarcimento del danno eventualmente subito, essendo tale possibilità espressamente esclusa dall’art. 72, co. 4, R.D. 16 marzo 1942, n.267.
Un’eventuale azione di risoluzione del contratto promossa dal concedente prima del fallimento del conduttore, per un suo inadempimento, spiegherà i suoi effetti nei confronti del curatore. Sono, comunque, inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.
11. Formalità negli atti
Per quanto riguarda le formalità da osservare nella redazione di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione bisogna distinguere tra il contratto iniziale (ossia il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione vero e proprio, quale disciplinato dall’art. 23 D.L. 133/2014 in commento) ed il contratto finale (ossia il contratto comportante il trasferimento dell’immobile a seguito dell’esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore).
Obbligo della menzione degli estremi dei titoli edilizi abilitativi (art. 40 legge 28 febbraio 1985 n. 47 e art. 46 DPR. 6 giugno 2001 n. 380, cd. Testo Unico in materia edilizia)
ATTO INIZIALE | ATTO FINALE |
|
|
Va esclusa la necessità, ai fini della validità dell’atto iniziale, di menzionare gli estremi dei titoli edilizi abilitativi, dovendosi escludere l’applicabilità a detto atto, in quanto contratto ad effetti obbligatori, delle disposizioni degli artt. 46 D.P.R. 380/2001 e 40 legge 47/1985. Tuttavia è, quantomeno, opportuno, al fine di assicurare al conduttore le tutele previste dalla norma in commento, che l’atto iniziale contenga la menzione degli estremi dei titoli edilizi: si rammenta al riguardo che la Suprema Corte di Cassazione (con riguardo specifico al preliminare, ma tali considerazioni possono estendersi anche al contratto de quo) ha ritenuto che in assenza di tali menzioni il giudice non possa pronunciare la sentenza di trasferimento prevista dall’art. 2932 c.c.. (norma espressamente richiamata dall’art. 23 DL 133/2014 in commento) in quanto gli artt. 40 legge 47/1985 e 46 del T.U., che richiedono dette menzioni, a pena di nullità, nel caso di stipulazione di atti aventi per oggetto diritti reali, indirettamente influiscono anche sui presupposti per la pronuncia della sentenza di cui all’art. 2932 c.c. che ha funzione sostitutiva di un atto negoziale. Sotto questo profilo, pertanto, l’indicazione degli estremi del titolo edilizio è presupposto necessario per ottenere l’esecuzione in forma specifica del contratto a sensi dell’art. 2932 c.c. (Cass. 9 dicembre 1992 n. 13024; Cass. 27 aprile 2006 n. 9647; Cass. 22 maggio 2008 n. 13225, Cass. 7 aprile 2014 n. 8081). |
Nell’atto finale, a pena di nullità, debbono essere menzionati, a seconda dell’epoca di costruzione, gli estremi:
Per gli interventi anteriori al 1 settembre 1967 è valido l’atto nel quale anziché gli estremi della licenza sia riportata o allegata apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nella quale venga attestato, per l’appunto, l’avvenuto inizio dei lavori di costruzione sin da data anteriore al 1 settembre 1967. Non è invece prescritto, a pena di nullità, l’obbligo di citare gli estremi di altri provvedimenti edilizi (ad es. autorizzazione edilizia, titolo abilitativo in sanatoria relativo ad “abusi minori”, D.I.A., per interventi diversi da quelli di cui all’art. 22, c. 3 T.U. in materia edilizia, S.C.I.A., comunicazione di inizio lavori) anche se la menzione di tali titoli può essere opportuna al fine di ricostruire la “storia” urbanistico-edilizia dell’immobile. |
Menzioni sulla conformità alla situazione di fatto dei dati catastali e della planimetria depositata in Catasto (art. 19, co. 14, D.L. 31 maggio 2010 n. 78 convertito con Legge 30 luglio 2010 n. 122)
ATTO INIZIALE | ATTO FINALE |
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Particolare attenzione deve essere prestata nel caso di redazione di un atto iniziale avente per oggetto un “fabbricato esistente” alla luce della disciplina dettata dal D.L. 78/2010. Benché dall’art. 19, co. 14, D.L. 78/2010, non discendano specifiche prescrizioni da osservare ai fini della validità dell’atto iniziale (le prescrizioni di cui alla norma suddetta riguardano, infatti, i soli atti ad effetti traslativi e/o divisionali), tuttavia, quella della “regolarità catastale” è una circostanza che non può non trovare apposita disciplina in sede di stipula dell’atto iniziale, data la sua innegabile influenza sulla possibilità per il concedente di rilasciare la dichiarazione di conformità catastale e sulla possibilità, quindi, di addivenire alla stipula dell’atto finale con alienazione dell’immobile. Di conseguenza, sarà quanto mai opportuno far risultare dall’atto iniziale (avente per oggetto un fabbricato qualificabile anche come “unità immobiliare urbana”) quanto la norma in commento prescrive per gli atti traslativi, ossia:
Se invece si dovesse accertare una situazione di “irregolarità catastale” dovrà essere previsto l’obbligo a carico del concedente di procedere alla regolarizzazione prima della data fissata per la stipula dell’atto finale, sottoponendo, se del caso, l’efficacia dell’atto iniziale alla condizione risolutiva della inosservanza di tale obbligo, entro il termine convenuto. |
L’atto finale sarà assoggettato alla disciplina di cui all’art. 19, co. 14, D.L. 78/2010, se riguardante fabbricati già esistenti che siano anche qualificabili come “unità immobiliari urbane” e quindi fabbricati già ultimati e dichiarati agibili ovvero idonei ad essere dichiarati agibili (e come tali iscritti o iscrivibili in Catasto con deposito della planimetria ed attribuzione della rendita catastale). Restano esclusi dall’ambito di applicazione di detta normativa gli atti finali aventi per oggetto:
Si rammenta, inoltre, che la disciplina in commento non si applica nemmeno alle parti comuni condominiali (in questo senso la Circolare Agenzia del Territorio n. 3/2010 del 10 agosto 2010). I requisiti formali richiesti a pena di nullità sono i seguenti:
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Dichiarazione sostitutiva sulle modalità di pagamento (art. 35, co. 22, DL. 4 luglio 2006 n. 223 convertito con Legge 4 agosto 2006 n. 248)
ATTO INIZIALE | ATTO FINALE |
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Non trova applicazione l’obbligo di menzione delle modalità di pagamento (del corrispettivo e dei compensi a favore di eventuali mediatori) previsto dal DL. 223/2006, in quanto l’obbligo posto da detta norma risulta circoscritto alle ipotesi di “cessioni di immobili”, mentre l’atto iniziale è privo di effetti traslativi. | Ai sensi dell’art. 35, comma 22, D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con legge 4 agosto 2006 n. 248, nell’atto finale (in quanto atto di “cessione di immobili”) le parti hanno l’obbligo, di rendere apposita DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA di ATTO DI NOTORIETA’ recante:
a) l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del prezzo (estremi degli assegni, dei bonifici bancari, dei versamenti in c/c bancario, ecc.). Andranno riportati gli estremi dei pagamenti dei canoni, quantomeno per la parte dei canoni che è stata imputata al prezzo finale. È importante quindi che venga conservata la documentazione comprovante tutti i pagamenti eseguiti nel corso del rapporto. Si rammenta che a norma dell’art. 49 D.Lgs 231/2007 (cd. legge antiriciclaggio”) non sono consentiti pagamenti in contanti, mediante libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore quando il valore complessivo dell’operazione, anche frazionata, è pari o superiore ad €. 1.000,00, mentre i vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari di importo pari o superiore ad €. 1.000,00 devono recare la clausola di “non trasferibilità“; pertanto non appare possibile, con riguardo al contratto de quo, pagare più canoni in contanti, anche se ciascuno di importo inferiore ad €. 1.000,00, in quanto da considerarsi come pagamenti frazionati effettuati nell’ambito di operazione unitaria. In caso di violazione di tali disposizioni si applica una sanzione amministrativa pecuniaria dall’1 per cento al 40 per cento dell’importo trasferito; b) la dichiarazione se si è avvalsi di un mediatore; in caso affermativo le parti dovranno inoltre dichiarare:
In caso di omessa, incompleta o mendace indicazione dei predetti dati si applica la sanzione amministrativa da €. 500,00 ad €. 10.000,00 ed ai fini dell’imposta di registro, i beni sono soggetti ad accertamento di valore ai sensi dell’art. 52 DPR 131/1986 (e quindi scatta l’accertamento anche nel caso ci si sia avvalsi della regola del prezzo/valore). |
Certificazione energetica (D.Lgs 19 agosto 2005 n. 192)
ATTO INIZIALE | ATTO FINALE |
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L’obbligo di dotazione dell’attestato di prestazione energetica sussiste anche in occasione della stipula dell’atto iniziale.Tale conclusione si fonda:
Pertanto, in forza delle suddette disposizioni, non si può attendere il momento della stipula dell’atto finale per dotare l’immobile dell‘attestato di prestazione energetica. Il proprietario/concedente è tenuto a dotare l’immobile dell’attestato energetico nel momento stesso in cui decide di metterlo in vendita e, quindi, anche se lo strumento prescelto per addivenire alla cessione sia proprio il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione. Inoltre, la stipula dell’atto iniziale, segna la chiusura delle “trattative” di vendita”, per cui sorge anche l’obbligo di consegna dell’attestato energetico dal concedente al conduttore. Date queste premesse, è fortemente consigliabile che già nell’atto iniziale si faccia constare con apposita clausola:
Potrà essere, anche, opportuno allegare all’atto iniziale l’attestato di prestazione energetica a tal fine predisposto e ciò al fine di documentare materialmente l’avvenuto rispetto di tutti gli obblighi da osservare nella fase delle trattative, fermo restando che non vi è alcun obbligo di allegazione, con la conseguenza che la mancata allegazione non determina l’applicazione delle sanzioni pecuniarie; all’atto iniziale, infatti, in quanto contratto privo di effetti traslativi, non si applica la disciplina dettata dall’art. 6, c. 3, D.Lgs 192/2005. |
OBBLIGO DI DOTAZIONE: tutti gli edifici (a prescindere dall’epoca di costruzione), che comportino un “consumo energetico”, debbono essere dotati dell’attestato di prestazione energetica in occasione della stipula dell’atto finale. Rimangono, comunque, esclusi dall’obbligo di dotazione:
Ovviamente in occasione dell’atto finale sorgerà autonomo obbligo di dotazione solo se l’attestato già predisposto e consegnato al conduttore in occasione della stipula dell’atto iniziale sia scaduto e non sia più utilizzabile ai fini dell’allegazione all’atto finale (si rammenta che il termine di validità di detto attestato è di 10 anni, salvi interventi di ristrutturazione o di riqualificazione energetica incidenti sulla prestazione energetica e sempre che siano rispettate le prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare degli impianti termici). OBBLIGO DI ALLEGAZIONE E DI INFORMATIVA: in base alla vigente disciplina in materia di certificazione energetica, in occasione della stipula dell’atto finale si debbano osservare le seguenti formalità:
L’inosservanza delle suddette formalità comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da €. 3.000,00 ad €. 18.000,00; l’accertamento e la contestazione della violazione sono svolti dalla Guardia di Finanza o, all’atto della registrazione del contratto, dall’Agenzia delle Entrate. OBBLIGO DI CONSEGNA: il concedente è inoltre obbligato a consegnare al conduttore l’attestato energetico. Ovviamente, in occasione dell’atto finale, sorgerà autonomo obbligo di consegna solo se l’attestato già consegnato al conduttore in occasione della stipula dell’atto iniziale sia scaduto e quindi non sia più valido (per le condizioni di validità vedi supra). |
Consegna del libretto di impianto (art. 7. co. 5. DPR. 16 aprile 2013 n. 74)
ATTO INIZIALE | ATTO FINALE |
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Si ritiene che il concedente debba consegnare al conduttore il libretto di impianto sin dal momento di stipula dell’atto iniziale, e ciò in virtù di un principio generale quale si può ricavare dal sistema normativo vigente. L’art. 7 del D.Lgs 192/2005 dispone, infatti, che sono responsabili dell’impianto, tenuti a mantenere in esercizio gli impianti ed a provvedere affinché siano eseguite le operazioni di controllo e manutenzione previste dalla normativa vigente, ed a munire gli impianti stessi del Libretto di impianto:
Pertanto da tale norma si può desumere che, nel caso di dissociazione tra proprietà e disponibilità materiale dell’edificio, sia il soggetto cui spetta il godimento dell’immobile che deve curare la manutenzione deli impianti ed a munire gli impianti stessi del Libretto di impianto. A seguito della stipula dell’atto iniziale, pertanto, può fondatamente ritenersi che responsabile dell’impianto e quindi, anche, della tenuta del libretto di impianto, divenga proprio il conduttore, in quanto soggetto cui spetta il godimento dell’immobile stesso. Pertanto, in occasione della stipula dell’atto iniziale, il concedente dovrà consegnare detto libretto al conduttore, il quale, a sua volta, dovrà curarne la tenuta e l’aggiornamento, mediante annotazione degli interventi di manutenzione e degli interventi di controllo di efficienza energetica se obbligatori in relazione alla tipologia ed alla potenza dell’impianto. |
L’intera disciplina in tema di controllo dell’efficienza energetica degli impianti e in tema di libretti degli impianti ha grande rilevanza anche per la circolazione immobiliare; infatti l’art. 7, co. 5, DPR. 16.4.2013 n. 74 dispone, espressamente, che in caso di trasferimento a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’unità immobiliare, i libretti di impianto devono essere consegnati all’avente causa, debitamente aggiornati, con gli eventuali allegati. Inoltre, il rispetto delle prescrizioni discendenti dalla disciplina in tema di controllo dell’efficienza energetica degli impianti e in tema di libretti degli impianti incide sulla validità degli attestati di certificazione e/o di prestazione energetica da allegare agli atti traslativi a titolo oneroso. La validità massima dell’attestato di certificazione e/o prestazione energetica di un edificio, fissata dalla legge in 10 anni, è, infatti, subordinata al rispetto delle prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici, comprese le eventuali necessità di adeguamento, previste dalle normative vigenti. Nel caso di mancato rispetto delle predette disposizioni, l‘attestato energetico decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza energetica; al fine di consentire il controllo, circa la sussistenza di detta condizione, cui è subordinata la validità dell’attestato di prestazione energetica, la normativa vigente prescrive che i libretti di impianto debbano essere allegati, in originale o in copia, all’attestato di certificazione e/o prestazione energetica (così dispone l’art. 6 del D.M. 26 giugno 2009 di approvazione delle Linee guida Nazionali, per quanto riguarda l’attestato di certificazione energetica e l’art. 6, c. 5, D.Lgs 192/2005, nel testo in vigore dal 6 giugno 2013, per quanto riguarda l’attestato di prestazione energetica). Tuttavia, nel caso dell’atto finale, responsabile dell’impianto e, quindi, responsabile anche della tenuta del libretto di impianto, è il conduttore, quale, soggetto cui spetta il godimento dell’immobile stesso; pertanto il conduttore, nel momento in cui esercita il diritto di acquisto, già dispone di tale libretto, essendo suo onere, sin dall’immissione nel godimento dell’immobile ricevere in consegna e mantenere aggiornato il suddetto libretto di impianto. |

AUTORE

Notaio in Vicenza, ha iniziato l’attività notarile nel 1986. Svolge docenza presso la Scuola del Notariato del Comitato Triveneto di Padova.