Gli effetti dell’illegalità sull’economia nazionale

Congresso Federnotai 2016

intervento a cura di Marco Mazzoli
(Professore di Politica Economica – Università di Genova)

Introduzione

Che l’illegalità diffusa abbia dei costi economici e sociali altissimi è un fatto ovvio e noto: i furti generano perdite di reddito significative per le persone, per le imprese e per la pubblica amministrazione, così come le frodi assicurative o di altra natura e i crimini contro le persone e le proprietà.

L’ammontare, a livello macroeconomico, dei costi generati dall’attività criminale ed illegale è conoscibile solo con una certa approssimazione, poiché si tratta di un dato stimato sulla base di metodologie statistiche (oppure econometriche, come in Ardizzi et al., 2012) che hanno un certo margine di errore.

Tuttavia, oltre a questo genere di costi che definiremo “diretti” e che descriveremo brevemente nel paragrafo 2, esiste un altro genere di costi, “indiretti” imputabili all’illegalità diffusa e alle modifiche permanenti da essa generate nel comportamento collettivo o nella percezione del rischio e dell’incertezza degli individui.

Quest’ultima tipologia di costi, benché non immediata, è più pervasiva e può generare significativi danni all’attività economica, poiché deprime gli investimenti, aumenta la percezione del rischio per gli investitori finanziari (e dunque il premio di rischio e il costo dei finanziamenti) e genera effetti e costi permanenti non facilmente eliminabili in tutte le decisioni di carattere finanziario basate su valutazioni probabilistiche (basti pensare all’attività delle imprese di assicurazione e ai contratti di assicurazione, in cui il prezzo delle polizze dipende dall’ammontare potenziale dei danni legati ad eventi non rimborsabili e non assicurabili).

Esiste infine un ulteriore problema, generalmente sottostimato nelle analisi economiche riferite a questo tipo di letteratura: i comportamenti illegali sono “contagiosi” e tendono ad autoalimentarsi e ad accrescere nel tempo se non sono adeguatamente contrastati da interventi correttivi.

Tutte le stime e le analisi economiche sui costi dell’illegalità contengono delle “proiezioni” o selle “simulazioni” più o meno sofisticate, ma quasi sempre basate sull’ipotesi che una certa percentuale di costi (in termini di PIL) delle attività illegali si mantenga “costante”.

In questo modo si trascura il drammatico problema dell’espansione dell’economia illegale, criminale e corruttiva, sottostimando il fenomeno del crescente condizionamento che essa è in grado di esercitare nei confronti della pubblica amministrazione e dello Stato, come, purtroppo, testimoniano alcuni episodi di cronaca nel nostro Paese e in alcuni Paesi dell’America Latina.

Illegalità ed attività economica nella teoria economica e nelle analisi empiriche

La misurazione del peso dell’illegalità sul contesto economico e sociale di un Paese è assai complessa, poiché si tratta di un fenomeno legato sia alla criminalità che alle tensioni sociali.

Alesina e Perotti, già in un famosissimo studio del 1996 (pubblicato in una versione precedente nel 1993 come NBER Working Paper) mostrano, attraverso analisi econometriche basate su un campione statistico di 70 Paesi per il periodo 1960-85, che tensioni sociali (associate spesso alla criminalità e alla diseguaglianza) deprimono fortemente gli investimenti, causando un forte rallentamento della crescita economica.

Il lavoro di Alesina e Perotti enfatizzava in realtà l’importanza delle politiche sociali e di lotta alla povertà per la crescita economica, ma il loro “indicatore di tensioni sociali”, oltre a variabili di carattere socio-politico, includeva indicatori di atti criminali ed illegali e mostrava una correlazione negativa molto forte con gli investimenti. Tale effetto negativo sugli investimenti era talmente forte e significativo che alcuni Paesi che nel 1960 si trovavano nel gruppo dei 20 Paesi più ricchi in termini di reddito pro-capite, cadevano negli ultimi posti della classifica nel 1985.

Alcune interpretazioni di teoria economica e le loro implicazioni logiche

Sotto il profilo dello studio delle scienze sociali è lecito domandarsi attraverso quali canali l’illegalità si diffonda e, soprattutto, attraverso quali meccanismi i comportamenti illegali “contagino” un numero crescente di soggetti nelle loro interazioni reciproche ripetute.

Una disciplina che studia in modo analitico le relazioni reciproche ripetute tra soggetti che interagiscono per un periodo indefinito di tempo è la “Teoria dei Giochi” (una branca della matematica e, in particolare, della “Teoria delle Decisioni”), resa nota al grande pubblico qualche anno fa da un film hollywoodiano di grande successo, sulla vita del m atematico John Nash (insignito del Premio Nobel per l’economia nel 1994 e scomparso tragicamente un anno fa).

Cercherò di spiegare come la “Teoria dei Giochi” (e in particolare gli equilibri dei “giochi evolutivi”) possano spiegare la diffusione e il “contagio” di comportamenti illegali in modo molto semplice e comprensibile anche per chi non possiede nozioni di economia, poiché ritengo che gli economisti abbiano non solo il compito di svolgere analisi e ricerche, ma anche il dovere morale di renderne noti i contenuti e i risultati anche ai “non addetti ai lavori”, evidenziandone in modo onesto i limiti.

La Teoria dei Giochi analizza le scelte simultanee di individui, ognuno dei quali è consapevole delle modalità con cui le proprie decisioni e quelle degli altri concorrono a determinare l’esito (o la convenienza o la remuneratività) delle alternative disponibili.

In altre parole, la Teoria dei Giochi è una teoria dell’interazione strategica tra individui razionali, che anticipano le ripercussioni che le scelte di ognuno hanno sulle scelte di tutti gli altri e che adottano dunque la scelta e la condotta che appare più “remunerativa” sulla base delle loro previsioni.

Nella teoria dei giochi, il concetto di “equilibrio” riflette la configurazione che, sulla base delle scelte razionali congiunte di tutti gli individui, tende ad essere “invariante” e a riprodursi nel tempo, generando comportamenti stabili e, dunque, prevedibili. Gran parte degli studi di Teoria dei Giochi sono volti a studiare se e a quali condizioni il comportamento simultaneo di tutti gli individui genera situazioni prevedibili correttamente dagli individui stessi e alle quali gli individui possano conformarsi in modo ottimale.

Affinché una configurazione di equilibrio possa riprodursi immutata nel tempo, è necessario che nessun individuo abbia incentivo a modificare la propria condotta, quando tutti gli altri individui si attengono alla condotta prevedibile.

Il cosiddetto “equilibrio di Nash” (le cui proprietà matematiche furono individuate dal giovane John Nash nel 1951, nella sua tesi di dottorato di ricerca a Princeton) individua un criterio di scelte simultanee per ogni individuo, date le scelte ottimali prevedibili di tutti gli altri individui.

Esempi di “equilibrio di Nash” sono le scelte di prezzo tra imprese oligopolistiche che devono scegliere una strategia, date le strategie prevedibili dei rivali, le proposte che un governo nazionale può formulare ad altri governi nazionali in un contesto di negoziazioni internazionali, tenendo conto di tutte le possibili proposte degli altri governi, oppure, nel nostro caso, la scelta dei cittadini di una nazione di relazionarsi nei loro rapporti reciproci attenendosi alle leggi e rispettando la legalità, oppure di relazionarsi nei loro rapporti reciproci comportandosi in modo illegale o, peggio, criminale.

Possiamo già anticipare che la Teoria dei Giochi (e in particolare, il concetto di equilibrio di Nash evolutivo) dimostri come, in presenza di “drastici cambiamenti” nel comportamento di un sottoinsieme di cittadini (inizialmente anche relativamente piccolo) che “improvvisamente” ed “imprevedibilmente” cessino di relazionarsi agli altri rispettando la legalità, si possano diffondere gli incentivi a comportarsi in modo “illegale”, generando una sorta di “contagio” del comportamento illegale.

Sto parlando ad una platea di giuristi, consapevoli di quanto sia difficile ottenere il rispetto della legge in presenza di diffusi comportamenti illegali e di come il legislatore tenda spesso a modificare o ad affievolire alcuni principi normativi quando sono largamente disattesi nei comportamenti pratici degli individui…

Torniamo però ora al concetto di equilibrio di Nash, che, in pratica, costituisce un requisito minimale per la definizione di un criterio stabile di comportamento simultaneo di tanti individui. Occorre considerare però che un criterio di comportamento simultaneo, per essere veramente “stabile” e riproducibile nel tempo, deve “resistere” ad eventuali “piccole perturbazioni”, ossia, in altre parole, la strategia di equilibrio di Nash deve continuare ad essere ottimale per la generalità degli individui anche se “qualche individuo isolato” modifica per qualche motivo il proprio comportamento.

Se non fosse così, basterebbe che qualche individuo si sbagliasse, deviando “per errore” dalla propria strategia di equilibrio per convincere altri individui a deviare dall’equilibrio di Nash, destabilizzando lo schema comportamentale sopra descritto.

La letteratura di Teoria dei Giochi mostra come gli individui potrebbero anche volersi tutelare contro quest’ultima eventualità, adottando una “strategia di equilibrio di Nash” solo se essa continua ad essere ottimale anche in presenza di “perturbazioni” di qualche natura.

Queste osservazioni teoriche hanno dato origine alla letteratura sui “raffinamenti dell’equilibrio di Nash”, ossia, sulle condizioni “aggiuntive” che devono essere soddisfatte da un equilibrio di Nash affinché questo possa essere considerato un modello logico e fondato per uno schema di comportamento stabile (per una trattazione rigorosa e formale da un punto di vista matematico, si veda in proposito, Osborne e Rubinstein, 1994).

Il limite di questa letteratura teorica sui “raffinamenti dell’equilibrio di Nash” sta nel fatto che questi cosiddetti “raffinamenti” ipotizzano che gli agenti siano in grado di elaborare ragionamenti piuttosto sofisticati e complessi circa i possibili comportamenti degli altri individui (e circa gli incentivi che li motivano).

Nelle analisi di tipo “empirico” ed applicato si ritengono “irrealistiche” queste ipotesi sui “raffinamenti” dell’equilibrio di Nash e si preferisce considerare modelli con individui che formulano congetture semplici circa il comportamento degli altri individui o che basano le loro congetture esclusivamente sull’osservazione passata di tali comportamenti e non su elaborati processi logici.

Se vogliamo dunque trasferire la logica stringente dei modelli di Teoria dei Giochi all’ambito empirico degli effettivi comportamenti socio-economici degli individui, dovremo dunque concludere che l’interazione reciproca degli individui che compongono una comunità o una nazione possa essere ragionevolmente rappresentata dall’ipotesi che le congetture individuali si basino sulla osservazione passata dei comportamenti degli altri individui. In questo contesto è dunque molto ragionevole ipotizzare che le congetture di ogni individuo sui comportamenti altrui siano basate sulla imitazione di strategie che si sono rivelate in passato “migliori” o “più remunerative” o “più idonee alla sopravvivenza”.

I ricercatori che svolgono analisi empiriche ipotizzano comunemente che gli individui mettano in atto un processo di selezione delle strategie “migliori” restringendo il campo delle opzioni di scelta sulla base delle performance relative delle varie strategie disponibili osservate in passato.

La Teoria dei Giochi ha elaborato una variante del concetto di equilibrio di Nash che riflette questi requisiti: l’equilibrio evolutivo o, in inglese, evolutionary equilibrium (si veda in proposito Osborne e Rubinstein, 1994)[1].

Intuitivamente, potremo dire che un equilibrio evolutivo è un equilibrio di Nash in un gioco ripetuto indefinitamente in cui la condotta di equilibrio di ogni individuo è ottimale non solo rispetto alle scelte ottimali degli altri agenti, ma anche rispetto a scelte “soggette a perturbazione” da parte di altri individui, in corrispondenza delle quali una piccola frazione della popolazione adotta una strategia diversa da quella di equilibrio.

Tuttavia, la ricerca economica (in questo ambito effettuata attraverso simulazioni numeriche di modelli matematici) dimostra che quando le “perturbazioni” o le “deviazioni” casuali dall’equilibrio di Nash superano una certa soglia di diffusione, l’equilibrio evolutivo subisce delle modifiche. In altre parole, se si verifica un “evento esterno” che induce “perturbazioni” o “deviazioni” abbastanza frequenti dal comportamento ottimale, tale comportamento non è più ottimale e, nelle ripetizioni successive delle interazioni reciproche tra individui, tende a modificarsi, lasciano il posto ad un altro “equilibrio evolutivo”.

Un contributo in italiano (purtroppo non sono molto numerosi i contributi teorici in italiano su questo tipo di letteratura) sull’andamento dell’equilibrio evolutivo in presenza di “perturbazioni” è quello di Sacco (1998), che utilizza in realtà in concetto di “equilibrio evolutivo” per descrivere il diffondersi di comportamenti “cooperativi” o “non cooperativi” tra individui e tra imprese. Ai fini della nostra analisi, potremmo interpretare il “comportamento cooperativo” nell’interazione tra individui come il rispetto della legalità e il “comportamento non cooperativo” come comportamento illegale.

Ebbene, Sacco (1998) dimostra attraverso simulazioni numeriche basate su un modello matematico che descrive l’equilibrio evolutivo nell’interazione tra soggetti che il “comportamento cooperativo” tende a essere prevalente solo se gli individui che si attengono ad esso sono sufficientemente numerosi (ossia superano una certa “massa critica”) e solo nelle situazioni in cui le interazioni reciproche tra individui si verificano dopo periodi lunghi di “comportamento cooperativo”.

L’ovvia implicazione di politica economica è che quando i comportamenti illegali superano una soglia critica di diffusione, il loro contenimento diventa sempre più difficile e nel lungo periodo tendono ad essere prevalenti. Dunque, per evitare una diffusione generalizzata di illegalità, il legislatore e, soprattutto, il decisore di politica economica deve porre il mantenimento della legalità e dello stato di diritto in cima alle priorità.

Che i comportamenti illegali colpiscano maggiormente le persone a basso reddito è facilmente comprensibile, dato che i luoghi in cui si concentrano in misura più significativa gli atti di microcriminalità sono le periferie degradate e l’impatto della microcriminalità sul reddito delle fasce più povere è, in percentuale, molto più alto dell’impatto della microcriminalità sul reddito delle fasce più ricche della popolazione.

Resta però il problema della misurazione effettiva dei costi economici dell’illegalità, su cui esistono metodologie indirette di una certa complessità tecnica[2] che presentano un notevole margine di approssimazione statistica.

La misurazione e l’analisi empirica dei “costi diretti” dell’illegalità

Uno studio di Martone e Sciarrone (2012) analizza i meccanismi economici e gli interessi influenzati da una diffusione generale dell’illegalità, a partire dalla corruzione (il cui costo macroeconomico è stimato dagli autori in un valore compreso tra i 50 e i 60 miliardi di euro l’anno), fino alla criminalità organizzata, il cui costo, in termini macroeconomici, è stimato intorno ai 40 miliardi di euro l’anno … Un valore superiore a quello della prima Legge di Stabilità del Governo Monti.

Per quanto riguarda la diffusione della corruzione (fenomeno che ho potuto descrivere nella relazione che ho avuto l’onore di tenere in occasione del Congresso di Federnotai del 30 giugno 2015, che conteneva i dati di Transparency International riferiti al 2014), la modalità di misurazione più diffusa è costituita dal CPI (l’indice di corruzione percepita), un indicatore statistico che assume un valore tanto più alto quanto più piccolo è il livello di corruzione percepita.[3]

Il CPI classifica Paesi e territori in base alla percezione della corruzione ed è un indice composito, costituito da una combinazione di “survey” e di valutazioni raccolte attraverso istituzioni che godono di accertata reputazione. Non esiste un metodo efficace di misurazione dei livelli assoluti di corruzione in Paesi o territori che sia basato semplicemente su dati empirici grezzi ed è proprio per questo che è necessario ricorrere alla molteplicità di fonti di informazioni incluse nel CPI e alle ponderazioni statistiche che ne costituiscono la metodologia di analisi.

Nel 2015 il CPI dell’Italia ha registrato un lieve miglioramento rispetto al 2014, dato che l’Italia è passata dal 69° posto su 175 Paesi e territori al 61° (alla parti con Lesotho, Montenegro, Senegal e Sud Africa). La situazione resta comunque assai critica per il nostro Paese, che è preceduto nella graduatoria da (ed è dunque percepito come “più corrotto” di) Cuba, Ghana, Grecia, Romania ed Oman. Come discusso da Saisana e Saltelli (2012) nella loro valutazione metodologica della statistica CPI, l’indice è stato perfezionato nel 2012, calcolandolo come media di indicatori (di corruzione) standardizzati. Senza entrare in dettagli eccessivamente tecnici (per i quali rimandiamo a Saisana e Saltelli, 2012) la standardizzazione delle misure specifiche è effettuata misurandone la distanza relativa dal valore medio e pesando tale distanza relativa con una misura statistica di volatilità e variabilità (la deviazione standard) ed introducendo alcuni successivi accorgimenti per rendere i dati omogenei e confrontabili (ossia, per l’appunto “standardizzati”).[4]

Per altri dettagli rimandiamo al sito di Transparency International, riportato in bibliografia.

Se, da un lato, l’indice CPI mostra un pur tenue miglioramento nel 2015, restano alcuni seri interrogativi sui dati relativi al monitoraggio e al controllo delle procedure degli appalti nel nostro Paese. Perché, ad esempio, come rilevano Martone e Sciarrone (2012), un kilometro di linea ferroviaria ad alta velocità può costare nel nostro Paese fino a 45 milioni di euro contro i 9 milioni di euro della Spagna?

Non ci sembra, in questo caso, che si possano invocare le asperità del territorio, dato che anche la Spagna è attraversata da catene montuose…

I dati sulla dimensione economica dell’illegalità riportati da Centro Studi Confcommercio (2013) sono drammatici.

L’82,5% delle imprese del terziario si sentono colpite da meccanismi commerciali “sleali” e fuori dalle regole, un fenomeno particolarmente diffuso nel Mezzogiorno. Nel settore terziario, più della metà delle imprese si ritiene danneggiato dall’azione dell’illegalità (il 37,3% delle imprese “molto” o “abbastanza”, danneggiate, il 20% “mediamente” danneggiato), mentre solo il 17,6% si ritiene esente dal problema.

Il 34,9%, ritiene che il fenomeno dell’illegalità sia in crescita rispetto a tre anni fa nel territorio in cui opera e solo il 7,2% ritiene che i fenomeni illegali siano diminuiti.

Per il 57,9% delle imprese del terziario, l’intensità si sarebbe mantenuta allo stesso livello. La differenza tra gli imprenditori che ritengono i fenomeni illegali in crescita e quelli coloro che lo ritengono in diminuzione è pari al 27,7%.

Il 75,3% degli imprenditori del terziario ritiene che l’illegalità (in tutte le sue forme) generi concorrenza sleale o riduca i ricavi e il fatturato a causa delle “mancate vendite”. Proprio a causa della concorrenza sleale di chi segue comportamenti illegali nei costi di gestione, il 13,6% degli imprenditori dichiara di dover rinunciare ad assumere lavoratori o di non poter mantenere i livelli occupazionali preesistenti.

Per il 66,4% degli imprenditori intervistati, la crisi economica sta favorendo l’acquisto di prodotti e servizi illegali. Per oltre il 70% degli imprenditori il motivo principale dell’acquisto di prodotti o servizi illegali è prevalentemente di natura economica.

Un consumatore su quattro, secondo l’indagine, avrebbe effettuato nell’ultimo anno almeno un acquisto consapevole di merci contraffatte.

Secondo gli imprenditori intervistati, la crescente diffusione presso i consumatori dell’acquisto di merci contraffatte o vendute abusivamente sarebbe determinata da:

  • l’idea di risparmiare denaro (79,3% degli imprenditori intervistati);
  • l’idea che un bene o un servizio abusivo sia meno costoso (71,2% degli intervistati);
  • la convinzione che l’acquisto di un prodotto illegale, benché rischioso, sia più economico (per il 70,6% degli imprenditori intervistati);
  • la mancanza di informazione sui rischi associati all’acquisto di beni o servizi illegali (per il 28% degli imprenditori intervistati).

Il metodo analitico dell’equilibrio evolutivo, descritto nel paragrafo precedente come utile strumento per interpretare la diffusione e il “contagio” dei comportamenti illegali sembra descrivere con impressionante precisione la realtà descritta dall’indagine del Centro Studi di Confcommercio.

Questo suggerisce purtroppo che il fenomeno dei comportamenti illegali debba essere studiato ed affrontato non solo in termini “statici” (ossia cercando di individuarne la dimensione attuale), ma anche in termini “dinamici”, con la triste consapevolezza che l’illegalità tende a diffondersi attraverso fenomeni di “contagio”, poiché di fronte ad una crescente diffusione di comportamenti illegali da parte di concorrenti, la risposta ottimale tende ad essere quella di “affrontare i concorrenti con le stesse armi”.

Osservazioni conclusive

Questa breve relazione ha cercato di individuare i tratti salienti dei costi “diretti” ed “indiretti” dei comportamenti illegali in un sistema economico e di offrire uno schema teorico (e logico) di interpretazione di motivi che causano il “contagio” e la diffusione dei comportamenti illegali nell’economia.

L’ovvia implicazione di questa analisi è che grande è la responsabilità del legislatore e, ancora di più, la responsabilità di chi, investito del potere esecutivo, è chiamato a far rispettare le leggi. Bloccare la diffusione e il “contagio” di comportamenti illegali significa renderli “meno convenienti” o “meno remunerativi” da un punto di vista economico e questo risultato si può raggiungere solo rendendo efficienti (e non burocratici) i meccanismi di monitoraggio e rendendo più efficace l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine. Di certo questi risultati non sono ottenibili tagliando le risorse economico-finanziarie destinate all’attività della magistratura e delle forze dell’ordine.

Una delle “tattiche” processuali più efficaci per chi segue comportamenti illegali consiste nel puntare sulla prescrizione dei reati, cercando di allungare il più possibile i tempi di un processo. Una possibile contromisura verso tali “tattiche” processuali potrebbe consistere nella sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, come suggerito da personaggi pubblici ben più autorevoli di chi scrive.

La tutela della legalità non si persegue nei talk show televisivi o con slogan elettorali.

Abbassare la soglia della legalità avrebbe dei costi economici e sociali enormi non solo nel presente, ma anche nel futuro, per il Paese che affideremo ai nostri figli.


Riferimenti bibliografici e sitografici

Alesina, A. Perotti, R. (1996), “Income distribution, political instability, and investment”, European Economic Review, Vol. 40, 1203-1228.

Ardizzi, G., Petraglia, C., Piacenza, M., Turati G. (2012), “Measuring the underground economy with the currency demand approach: a reinterpretation of the methodology, with an application to Italy”, Banca d’Italia, Temi di Discussione, 864, 2012.

Arnone, M, Iliopulos, I., (2006), “La corruzione costa”, Milano, Vita e Pensiero.

Centro Studi – Confcommercio (2013), “Legalità mi piace – Una prima quantificazione dei riflessi economici dei mercati irregolari, abusivi, illegali”, Confcommercio Harsanyi, J., C., (1973), “Games with Randmoly Distributed Payoffs: A new Rationale for Mixed-Strategy Equilibrium Points”, International Journal of Game Theory, 2, 1-23.

Martone, V., Sciarrone, R., (2012) “Mafiosi, corrotti e faccendieri. Quanto pesa l’illegalità sul sistema-Paese”,  Newsletter n. 97 del 30/10/2012, La Newsletter di Nuovi Lavori, http://www.academia.edu/8508113/I_costi_dellillegalit%C3%A0_sul_sistema_Paese Osborne, M., J., Rubinstein, A., (1994), “A Course in Game Theory”, Cambridge, MA, M.I.T.

Sacco, P.L., (1998), “L’evoluzione del sistema cooperativo: la dimensione strategica”, in Fiorentini, G., Scarpa, C., (eds.) “Co-operative e Mercato” Roma, Carocci Editore, 1998.

Transparency International, Corruption Perception Index, http://www.transparency.org/research/cpi/overview


Note:

[1] Il concetto di equilibrio evolutivo è anche ricollegabile ad alcune interpretazioni dell’equilibrio di Nash in “strategie miste”, già diffusamente interpretato fin dai contributi originari di Harsanyi (1973).

[2] A questo proposito, è molto rilevante il contributo di Ardizzi et al. (2012) basato su di una stima econometrica della domanda di liquidità.

[3] Per una dettagliata rassegna e analisi su questi temi, si veda Arnone, M, Iliopulos, I. “La corruzione costa” (2006, Milano, Vita e Pensiero). L’analisi di Arnone e Iliopulos analizza in dettaglio anche i nessi causali attraverso i quali la corruzione pervade il tessuto sociale di un Paese e come la corruzione percepita generi una forte distorsione nell’allocazione delle risorse e un forte disincentivo agli investimenti e alla crescita.

[4] Come mostrano Saisana e Saltelli (2012), il CPI 2012 è calcolato utilizzando una semplice media di misure standardizzate In particolare, tutte le tredici fonti utilizzate nell’indice sono standardizzate, sottraendo al loro valore la media (ossia sono calcolate come distanza dalla loro specifica media) e dividendo il risultato per la deviazione standard. Il risultato così ottenuto viene ridefinito su una nuova scala di misura, in modo da avere una media pari a 45 e una deviazione standard pari a 20. La formula per la standardizzazione è dunque la seguente:

     ximean(xi)

————————— ×(segno di “xi”) ×20+45

       std(xi)

dove xi è un generico indicatore di corruzione, mean(xi) la sua media e std(xi) la deviazione standard.

 

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Gli effetti dell’illegalità sull’economia nazionale ultima modifica: 2016-06-30T12:40:17+02:00 da Redazione Federnotizie
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