Gli acquisti dei Comuni alla luce delle norme sul c.d. patto di stabilità

I vizi e la revoca dei provvedimenti amministrativi e la connessa responsabilità notarile con particolare riferimento agli acquisti dei Pubblica Amministrazione alla luce delle norme sul c.d. “patto di stabilità”[1]

Occorre anzitutto evidenziare che, sul tema della responsabilità notarile in relazione ad atti rogati in base a provvedimenti amministrativi in qualche modo viziati ed in particolare a quelli che conducono e sono in qualche modo prodromici all’acquisto da parte di un Pubblica Amministrazione[2], esiste poco o nulla di specifico.

Anche per chiarire il quadro d’insieme, ho ritenuto necessario partire dai principi fondamentali, principi, che nella materia in esame sono quelli delle patologie degli atti di diritto amministrativo.

In diritto amministrativo un atto è illegittimo quando si presenta difforme dal modello astrattamente delineato dalla legge.

A seconda della gravità di tale difformità la dottrina distingue tre tipologie di illegittimità: la nullità (art.21 septies della legge 7 agosto 1990, n° 241 così introdotto dalla Legge 11 febbraio 2005 n° 15), quando manca un elemento essenziale dell’atto, l’annullabilità (art. 21-octies sempre della l. 241/1990) quando l’atto ha tutti gli elementi essenziali, ma presenta un vizio (incompetenza relativa, la violazione di legge e l’eccesso di potere) in uno dei suoi requisiti di legittimità ed infine l’irregolarità, quando la difformità è talmente poco importante da non comportare difformità.

Può affermarsi che la tecnica di disciplina, utilizzata dal legislatore del 2005 (l. 15/2005) comprende l’utilizzo dell’annullabilità quale principale rimedio contro l’illegittimità dell’atto amministrativo.[3]

Residua poco spazio quindi, per l’applicazione della c.d. “nullità virtuale”, con l’eccezione delle ipotesi di nullità per mancanza (o carenza) di potere, comunque espressamente previste dalla legge.[4]

Entrando nel vivo del discorso il primo passo è quindi capire quale sia il tipo di invalidità che affligge il provvedimento amministrativo (vale a dire, per quanto qui ci interessa, quello del Pubblica Amministrazione che dispone l’alienazione), che non rispetti il disposto della normativa e quale sia poi il riflesso sull’atto notarile stipulato in base a tale provvedimento.

Ancora una volta devo sottolineare che nello specifico è stato scritto pochissimo ed è quindi utile e necessario un parallelo con il rapporto intercorrente tra l’aggiudicazione e successivo contratto di appalto pubblico, materia regolata, quella degli appalti pubblici, dal  Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17*CE e 2004/18/CE” , in vigore dal 1º luglio 2006[5].

In particolare, l’art. 11 del Codice disciplina le diverse fasi delle procedure di affidamento, introducendo una netta distinzione tra la fase di scelta del contraente, che culmina nell’aggiudicazione quale atto unilaterale dell’amministrazione, e la stipulazione del contratto.

Va in proposito evidenziato che la stipulazione del contratto tra stazione appaltante ed impresa aggiudicataria dà luogo, a differenza proprio della aggiudicazione che è atto chiaramente unilaterale ed amministrativo, ad un rapporto paritetico e costituisce il primo atto della fase privatistica e negoziale (come l’atto notarile che segue alla delibera del Pubblica Amministrazione) attinente alla esecuzione del rapporto (art. 11 codice appalti).

Il legislatore del Codice dei contratti, però, ha purtroppo deciso di non occuparsi della questione relativa alla sorte del contratto a seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’atto di aggiudicazione, probabilmente perché si trattava (nel 2005) e si tratta di una questione su cui non vi è ancora sufficiente chiarezza in giurisprudenza e dottrina.[6]

Mi pare quindi che, per cercare di individuare una soluzione al problema che ci occupa occorra guardare alle “conclusioni” elaborate in relazione al rapporto tra aggiudicazione e successivo contratto di appalto pubblico.

Prima di iniziare una precisazione è però necessaria.

Dobbiamo infatti anzitutto individuare le diverse patologie che possono affliggere il provvedimento del Pubblica Amministrazione. Esso potrebbe cioè essere nullo, annullabile o venire revocato.

La nullità si manifesta in assenza di un elemento essenziale.

Ma quali sarebbero nel caso concreto[7] gli elementi essenziali?

L ‘attestazione di indispensabilità e indilazionabilità del responsabile del procedimento?

La pubblicazione delle notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente?

Personalmente mi senterei di affermare che solo l’attestazione della congruità del prezzo da parte dall’Agenzia del Demanio, requisito chiaramente ispirato a tutela della finanza pubblica, possa essere considerato un elemento essenziale.

Negli altri casi si può ritenere lecito parlare forse addirittura di semplice irregolarità, senza dubbio quando manca la pubblicazione sul sito internet[8] e probabilmente anche nell’ipotesi di assenza della attestazione del responsabile del procedimento.

Non ritengo tuttavia che il differente vizio che affligga il provvedimento amministrativo possa incidere sulla sorte del successivo atto notarile, in quanto la situazione “finale” è sempre la medesima, un atto stipulato in assenza di un suo presupposto, quale sia dunque e logicamente il motivo di tale carenza.

Detto ciò possiamo esaminare le tesi elaborate in riferimento all’annullamento della aggiudicazione e ai suoi riflessi sul successivo contratto.

1) Secondo la tesi per anni maggioritaria in dottrina e nella giurisprudenza della Cassazione l’annullamento dell’aggiudicazione determinerebbe l’annullabilità relativa, ex 1441 c.c., del contratto[9].

Secondo una prima ricostruzione per vizio del consenso ex art. 1427 c.c. che inficia la formazione della volontà della Pubblica Amministrazione, secondo una diversa accezione per difetto della capacità di contrattare ex art. 1425 c.c.. Tale tesi si basa sulla considerazione delle norme disciplinanti la procedura dell’evidenza pubblica, come dettate a tutela dell’esclusivo interesse della Pubblica Amministrazione, al fine di assicurare la corretta formazione del consenso e della volontà della parte pubblica del contratto.

La tesi in esame è stata però oggetto di critiche. Infatti le norme di evidenza pubblica, anche per l’influenza della disciplina Pubblica Amministrazionetaria, non possono considerarsi dettate nell’interesse esclusivo della Pubblica Amministrazione, cioè a tutela di uno solo dei contraenti, esprimendo le esigenze di cura degli interessi generali, in particolare di tutela dei principi di concorrenza e non discriminazione dei contraenti privati (il procedimento non è volto solo a realizzare l’interesse pubblico, ma anche a tutelare le imprese concorrenti).

Sotto il profilo dell’effettività della tutela, tale tesi, comportando il riconoscimento del solo potere della pubblica amministrazione di agire per ottenere la pronuncia di annullamento, rischia di pregiudicare l’interesse del ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento dell’aggiudicazione; inoltre  i riferimenti all’incapacità di contrattare o ai vizi del consenso si rivelano imprecisi, non essendo chiariti i caratteri della presunta incapacità legale né il tipo di vizio riscontrabile.

1bis) Tesi dell’annullabilità assoluta.

Tale impostazione contesta il principio di relatività dell’azione riconoscendo il diritto di agire per l’annullamento del contratto anche in capo al privato vittorioso in sede di annullamento dell’aggiudicazione, ritenendolo, ai sensi dell’art. 1441 c.c., al pari della pubblica amministrazione, parte nel cui interesse le norme sulla formazione del consenso della pubblica amministrazione stessa sono dettate[10].

In alternativa alla tesi dell’annullabilità, soggetta alle critiche riportate in precedenza, sono state proposte differenti soluzioni:

2) la nullità del contratto (strutturale o virtuale);

3) la caducazione automatica degli effetti della stipulazione (assoluta o relativa);

4) l’inefficacia sopravvenuta relativa.

2) Tesi della nullità

a) Per carenza dell’accordo.

Alla stregua degli artt. 14182 c.c. e art. 1325 c.c. n. 1), l’annullamento dell’aggiudicazione comporterebbe la nullità del contratto, per mancanza originaria del consenso dell’amministrazione all’assunzione del vincolo negoziale[11].

Questo tipo di interpretazione si basa sulla valutazione dell’aggiudicazione come accettazione dell’offerta idonea a perfezionare l’accordo, secondo l’abrogata disciplina dell’art. 16, co.4, r.d. n. 2440 del 1923, che stabiliva: “i processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni effetto legale al contratto”. Attualmente, in relazione a tale profilo l’art. 11, co.7, d.lgs. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) opera una netta separazione tra procedura ad evidenza pubblica che si chiude con l’aggiudicazione e la formale stipulazione del contratto, affermando che: “l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta”. Di conseguenza è chiaro che la tesi in esame non sia predicabile in relazione all’ipotesi di acquisto del Pubblica Amministrazione che si sta esaminando in parallelo.

b) Tesi della nullità virtuale

La nullità del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione (ndr: per noi, della delibera del Pubblica Amministrazione) è stata prospettata anche come nullità virtuale derivante dalla violazione di norme imperative, ex art. 1418.

In tal senso la disciplina dell’evidenza pubblica è considerata come imperativa ed inderogabile, vincolante sia l’Amministrazione sia coloro che intendano contrattare con essa.

Conseguenze: la nullità è insanabile, rilevabile d’ufficio e la relativa azione è imprescrittibile e proponibile da chiunque vi abbia interesse[12].

E’ stato tuttavia in maniera puntuale osservato che il richiamo alla nullità è atecnico in quanto riconosce ad un fatto sopravvenuto la valenza di un difetto genetico; mentre la nullità civilistica è una patologia propria del contratto che sorge in relazione ad un vizio genetico che lo inficia fin dall’origine.

Il regime civilistico della nullità rischia di pregiudicare le esigenze di certezza dei rapporti giuridici della pubblica amministrazione e di stabilità dei relativi negozi, la deroga a tale regime comporta il richiamo ad una figura ibrida non prevista dal legislatore.

3) Tesi della caducazione automatica

Giurisprudenza autorevole[13] ha sostenuto la tesi in base alla quale il contratto sarebbe automaticamente travolto, con efficacia ex tunc, in seguito all’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione. Il tutto sulla base del rapporto di consequenzialità logico-necessaria esistente tra gli atti del procedimento ad evidenza pubblica ed il contratto.

Il rispetto delle norme di evidenza è presentato quale condizione di efficacia del contratto, quale presupposto indefettibile il cui venir meno determina l’automatica caducazione del contratto.

Effetti: inefficacia assoluta e meccanica del contratto, rilevabile da chiunque vi abbia interesse.

4) Tesi dell’inefficacia sopravvenuta relativa

Un altro filone interpretativo ha affermato che l’annullamento dell’aggiudicazione ( per noi della delibera comunale) privando la pubblica amministrazione della legittimazione a negoziare determini l’inefficacia ex tunc del contratto concluso per il venir meno di un suo presupposto o condizione legale di efficacia; ciò comporterebbe la cessazione degli effetti del contratto non in via automatica, ma per effetto della necessaria iniziativa giurisdizionale del contraente pretermesso (unico legittimato ad invocarla in suo favore) che ha ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione (della delibera comunale).

Tale tesi fa salvi i diritti dei terzi in buona fede, per effetto dell’applicazione analogica degli artt. 23 e 25 c.c. dato che anche le p.a. sarebbero persone giuridiche. (in virtù di tali norme l’annullamento della delibera formativa della volontà contrattuale degli enti “non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima”).

In particolare tali previsioni consentono di tutelare il contraente che abbia concluso il contratto in buona fede[14].

E’ palese che questa è una tesi in materia e di invalidità della aggiudicazione nei pubblici appalti e sulle sue conseguenze sul successivo contratto, predicabile perfettamente anche al problema degli acquisti dei Pubblica Amministrazione e che consente senza dubbio di sostenere:

a) che l’atto notarile è fuori dal perimetro applicativo dell’art. 28 ( lo sarebbe in ogni caso anche con riferimento alle altre tesi, ad eccezione di quella della nullità assoluta);

b) che il privato che acquista dal Pubblica Amministrazione in buona fede fa salvo il suo acquisto e quindi non sussisterebbe la responsabilità notarile in sede civile per il risarcimento di eventuali danni.

Da ultimo resta da accennare all’ipotesi, invero remota, in cui, la Pubblica Amministrazione revochi il provvedimento che sta a monte del nostro atto o l’annulli d’ufficio in presenza dei presupposti.

In particolare, con la revoca (per vizi di merito e con efficacia ex nunc) e con l’annullamento d’ufficio (per vizi di legittimità e con efficacia ex tunc), l’amministrazione esercita un potere uguale e contrario a quello posto in essere con il provvedimento revocato o annullato ed espleta nuovamente la medesima funzione realizzata con l’adozione del primo atto.

In siffatta ipotesi mi sento di escludere senza dubbio sia la responsabilità disciplinare che quella risarcitoria. E i diritti del terzo di buona fede si devono ritenere salvi in ogni caso.

E’ inutile comunque evidenziare che, nella pratica, raramente la pubblica amministrazione revoca o annulla d’ufficio un suo precedente provvedimento, anche perchè se così facesse le potrebbe essere richiesto di risarcire i danni.


[1] Il presente contributo segue un mio analogo intervento tenuto nella   giornata di studio dell’11 febbraio 2015 presso il Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Como e Lecco.

[2] La normativa attorno a cui ruota la problematica degli acquisti da parte dei Pubblica Amministrazione (ad eccezione di quelli riferibili al T.U. in materia di espropri) è contenuta nel comma 1 ter dell’art. 12 del D.L. 98/2011 convertito con L. 111/2011 il quale recita: “1-ter. A decorrere dal 1° gennaio 2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo  rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente.”

[3] La regolamentazione della materia è integrata, peraltro, dalla previsione della non annullabilità del provvedimento (l’irregolarità) adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato in concreto

[4] Con l’art. 21 septies della L. n. 241/1990, introdotto dalla citata L. n. 15/2005, la categoria della nullità è stata positivizzata e sono state tipizzate le fattispecie di nullità dell’atto amministrativo che debbono, dunque, considerarsi un numero chiuso. La norma, nel tipizzare le ipotesi di nullità dell’atto amministrativo, ha, invero, positivizzato la casistica precedentemente individuata ed elaborata dalla giurisprudenza amministrativa.

[5] Disciplina italiana di recepimento della Direttiva unica Appalti 2004/18/CE, oltre che della direttiva 2004/17/CE, per i settori esclusi, che ha accorpato in unico testo normativo le norme europee in materia di appalti pubblici.

[6] Tale scelta è parsa condivisibile al Consiglio di Stato, nel parere del 6 febbraio 2006 da esso dato sul testo del Codice dei contratti pubblici, approvato in via preliminare dal Governo, vista l’assenza di un dato acquisito dell’ordinamento giuridico italiano, a fronte di una giurisprudenza non consolidata, in assenza di una norma espressa e vincolante di carattere generale.

[7] Il riferimento è al già citato comma 1 ter dell’art. 12 del D.L. 98/2011 convertito con L. 111/2011 il quale recita: “1-ter. A decorrere dal 1° gennaio 2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio  sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo  rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente.”

[8] Con riferimento in particolare, ai vizi formali e procedimentali, l’annullamento – e finché non vi è l’annullamento l’atto è giuridicamente esistente ed efficace – non è ammesso allorché il giudice accerti, in caso di attività vincolata, che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere difforme.

[9] Cass., Sez. II, 8 maggio 1996, n. 4269

[10] In tal senso: T.a.r. Lombardia, sez. I, n. 335 del 2007 e T.a.r. Piemonte, Torino, n. 464 del 2007. “Con riferimento, invece, alla sorte del contratto stipulato, deve osservarsi, come in parte già precisato, che, in conseguenza dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 163/2006 – che ha previsto all’art. 11, comma 7, il definitivo superamento dell’equivalenza tra aggiudicazione definitiva e contratto (L’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta) –  deve ritenersi mutata la natura dell’atto di aggiudicazione, che riveste, ora, esclusivamente natura provvedimentale, mentre è il contratto che contiene e riceve le uniche dichiarazioni negoziali dell’amministrazione. Di conseguenza, a parere del collegio, non può più ritenersi sussistente quell’ effetto diretto di eliminazione dell’atto di volontà negoziale dell’amministrazione che i fautori della tesi più accreditata ricollegavano all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione e che determinava la nullità del contratto per mancanza del consenso. Il contratto stipulato resta, dunque, valido, salvo l’eventuale annullamento dello stesso in esito ad azioni che l’amministrazione o gli altri potenziali interessati riterranno di intraprendere, la prima anche in via di autotutela.”

[11] Cons. Stato, Sez. IV, 21 maggio 2004, n. 3355 (ordinanza) “Va rimessa all’adunanza plenaria la questione concernente la sorte del contratto per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione e, in particolare, se debba essere seguita la tesi dell’annullabilità, della caducazione automatica o inefficacia sopravvenuta, della nullità per violazione di norme imperative ovvero, come si propone, per mancanza dell’accordo”.

[12] Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281 “L’annullamento dell’aggiudicazione avvenuta all’esito di un procedimento compiuto in violazione delle norme imperative e non derogabili sulla capacità contrattuale dell’ente appaltante, determina la nullità del contratto stipulato e la sua conseguente inidoneità a produrre effetti giuridici”.

In tal senso anche Cons. Stato, Sez. V, 5/3/2003, n. 1218

[13] Cons. Stato,14 maggio 2003 n. 2332 .“La Sezione ritiene che a sostegno della tesi dell’efficacia caducante, deponga la valorizzazione del rapporto di consequenzialità necessaria tra la procedura di evidenza pubblica ed il contratto successivamente stipulato. Il previo esperimento delle fasi di evidenza pubblica, laddove mira a tutelare interessi obiettivi dell’ordinamento anche nella ricordata prospettiva Pubblica Amministrazionetaria, assume la fisionomia propria di un presupposto o di una condizione legale di efficacia del contratto, qualificazione pacificamente riconosciuta all’approvazione. Ne deriva che, così come è pacifico che  l’approvazione del contratto mira  ad operare un accurato controllo sul procedimento di evidenza pubblica con l’effetto che il relativo annullamento travolge gli effetti della stipulazione, non si vede perché lo stesso effetto condizionante non debba essere riconosciuto anche alla fase sostanziale di aggiudicazione; di qui il corollario che anche l’annullamento dell’aggiudicazione fa venir meno retroattivamente detto presupposto condizionante  del contratto e ne determina, con effetto caducante, la perdita di efficacia. La mancanza del procedimento di evidenza pubblica deve in ultima analisi essere equiparata all’ipotesi di mancanza legale del procedimento, derivante dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione”. Ex multis anche Cons. Stato n. 7470 del 2003; Id., n. 7578 del 2006; Id. n. 41 del 2007.

In tal senso anche Cass., 15 aprile 2008, n. 9906

“L’annullamento del verbale di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito ad un provvedimento giurisdizionale comporta che nessun effetto possa essere riconosciuto al provvedimento invalido (ed agli atti presupposti ad evidenza pubblica su cui era fondato) fin dal momento del suo venire in essere e ai diritti soggettivi dallo stesso attribuiti, in quanto sorti da un atto non conforme alle condizioni prescritte dalla legge per la sua operatività; l’annullamento del verbale di aggiudicazione, infatti, pone nel nulla l’intero effetto-vicenda derivato dall’aggiudicazione fin dall’origine, a cominciare dal contratto di appalto.Tale contratto non ha alcuna autonomia propria e non costituisce la fonte dei diritti ed obblighi tra le parti, ma, assumendo il valore di mero atto formale e riproduttivo, è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è inscindibilmente collegato e a restare automaticamente e immediatamente caducato, senza necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto o di atti di ritiro dell’amministrazione, in conseguenza della pronunciata inefficacia del provvedimento amministrativo “ex tunc”, travolto”. Ex multis anche Cass. Civ.  n. 7481/2007; 12629/2006; n. 17673/2004. Cass., 15 aprile 2008 n. 9906. In senso parzialmente difforme ma sempre sulla stessa linea: Cons. Stato,28 maggio 2004, n. 3465 (“Al riguardo il Collegio, in parte diversamente argomentando rispetto agli arresti or ora citati,  ferma restando l’adesione alla tesi della caducazione automatica, che i termini della questione debbano essere ricostruiti alla luce della categoria dell’inefficacia successiva, che ricorre allorché il negozio pienamente efficace al momento della sua nascita divenga inefficace per il sopravvenire di una ragione nuova di inefficacia, quest’ultima da intendersi come inidoneità funzionale in cui venga a trovarsi il programma negoziale per l’incidenza ab externo di interessi giuridici di rango poziore incompatibili con l’interesse interno negoziale. Tale interferenza non implica alcuna alterazione strutturale della fattispecie contrattuale, incidendo unicamente sulla funzione dell’atto ovvero, per meglio dire, sul momento effettuale; in tali casi l’ordinamento è chiamato a risolvere un problema di contrasto fra situazioni effettuali: non viene in rilievo l’atto sotto il profilo genetico (validità o invalidità), bensì la sua efficacia.

L’inefficacia successiva, al pari della nullità successiva, agisce retroattivamente ma differentemente dalla seconda incontra il duplice limite delle situazioni soggettive che si siano già consolidate in capo ai terzi fino alla domanda volta a far dichiarare l’inefficacia (arg. Ex. Artt. 1452, 1458, comma 2, 1467 e 2901 c.c.) e delle prestazioni già eseguite nei negozi di durata.”)

[14] Cons. Stato, 27 ottobre 2003, n. 6666:“La caducazione in sede giurisdizionale o amministrativa del provvedimento di aggiudicazione di una gara d’appalto pubblico comporta il venir meno, retroattivamente, della legittimazione dell’amministrazione a negoziare, sicché il contratto medio tempore stipulato diviene ab origine inefficace e tale inefficacia sopravvenuta – fatti salvi, in applicazione analogica degli articoli 23 e 25 del c.c., i diritti eventualmente acquisiti da terzi di buona fede – può essere fatta valere solo dalla parte che abbia ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione; in tal caso, pur dovendosi considerare in linea di principio prioritaria la reintegrazione in forma specifica, intesa come istituto speciale del diritto processuale amministrativo, l’amministrazione può denunciare la gravosità o l’impossibilità del subentro nel rapporto già in essere, rimettendo all’apprezzamento del giudice l’eventualità di un risarcimento per equivalente, ex articolo 2058 del c.c. (Nella fattispecie il Consiglio di Stato ha ritenuto che il subentro nel rapporto in essere fosse eccessivamente oneroso per il pubblico interesse e ha, pertanto, optato per una tutela solo risarcitoria dell’impresa pretermessa).”Cons. Stato, sez.V, 12 febbraio 2008 n. 490“L’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione, intervenuta dopo la stipula del contratto d’appalto, non comporta la caducazione con effetto retroattivo di detto contratto, bensì la sua c.d. inefficacia successiva, con salvezza delle prestazioni medio tempore eseguite”

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Gli acquisti dei Comuni alla luce delle norme sul c.d. patto di stabilità ultima modifica: 2015-04-21T08:51:04+02:00 da Luca Donegana
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