Fenomenologia della comunicazione


Barnum e L'AcrobataTaccuino estemporaneo
di aspirazioni ispirate
ovvero di ispirate aspirazioni
per illusionisti giocolieri e saltimbanchi

Il gioco di oggi è di immaginare se l’aspirazione al trionfo della mediocrità sia una strategia vantaggiosa; se sia utile continuare a perseguire la tendenza a nascondersi, a non farsi vedere, a non farsi notare, a mimetizzarsi con l’irrilevante. Per conseguire, con poca dignità, la salvezza; per assicurarsi, ad ogni costo, senza farsi accorgere, la conservazione di uno status quo che quo non può essere più.

Partiamo con la verifica dell’apoteosi della mediocrità.

Al di là dell’ossimoro, infatti, non si può escludere una graduazione anche nella mediocrità che si appaleserebbe, ex se, immune da eccellenze.

Per cavalcare il luogo comune, potremmo aiutarci usando la chiave di volta: “tutto è relativo”; facendo il primo passo verso il nostro obbiettivo (goal).

Se è vero, com’è vero, che il medio è, per definizione, a metà, ci sarà sempre una metà più metà di una metà meno metà.

Ma ci sarà pure chi riesce ad avvicinarsi il più possibile alla mediocrità massima.

Ebbene:

Noi siamo mediocri!?

La nostra mediocrità è eccellente?

Possiamo vantarci, insomma, di una mediocrità veramente mediocre?

Dobbiamo aspirare al trionfo della mediocrità?

È bene sfruttare la nostra normale medietà a vantaggio della garanzia della nostra piatta (sussi)(e)sistenza?

Domande retoriche?

Vediamo.

Non so chi, recentemente, ha analizzato la condizione attuale delle classi sociali. Che ancora esistono.

La classe operaia che, dritto o storto, attira ancora le emozioni dei tempi passati, l’ammirazione per chi resta nobilmente sconfitto.

La grande borghesia, che ha concorso alla trasformazione della società, rendendola moderna, capitalistica e globale.

Il ceto medio (mediocre?) prigioniero malsano e ipnotizzato dai subiti guadagni, che conosce solo l’egoismo, l’angustia soffocante di una esistenza piccola piccola, esteticamente riprovevole.

Non vi sembri un’apologia di Noi stessi. Ma pure qui ci stiamo Noi. In medio stat virtus (con pronuncia anglofona off course).

Che non riconosciamo, e non vogliamo riconoscere, che uscire fuori dalla palude passa attraverso la coscienza e la coltivazione del non medio (della distinzione), evitando di venderci, nella più ordinaria autoreferenzialità, come una eccellenza della modestia. Con un risultato paradossale: aspirare all’apice della pochezza, che neanche le persone medie comprendono.

E in questo abbiamo perduto la strada, abbiamo confuso noi stessi e gli altri. Non ci vediamo più sicuri e rassicuranti e, conseguentemente, non siamo più visti così. Nessuno può trovare rassicurante un insicuro. Bisogna ritrovare la strada. Come?

Proviamo due vie.

La prima, quantitativa, rappresentativa del mantenimento dello status quo.

Aspirare alla modestia bella e buona, senza picchi (s.s.d.c.). Una mediocrità normale, da poter condividere con orgoglio, in una osmosi di solidarietà reciproca verso tutti. Per piacere (e farsi piacere) a tutti. Ma veramente. Senza furbe finzioni.

Fa ancora Eco, in una analisi quantitativa, considerare che la media rappresenta un termine di mezzo, e per chi non vi si è ancora uniformato, essa rappresenta un traguardo. Se la statistica è quella scienza per cui se giornalmente un uomo consuma due rapporti sessuali e un altro nessuno, quei due uomini hanno consumato un rapporto sessuale ciascuno; per l’uomo che non ha consumato niente, l’obbiettivo di un esercizio sessuale al giorno, anche solitario, è qualcosa di positivo cui aspirare.

La seconda, qualitativa, che proviamo ad immaginare dinamicamente orientata verso l’estremo, inteso come non ordinario, verso – appunto – la qualità.

Infatti, nel campo dei fenomeni qualitativi, il livellamento alla media corrisponde al livellamento a zero. Un uomo che possieda tutte le virtù morali e intellettuali in grado medio, si trova immediatamente a un livello minimale di evoluzione. Nutrire passioni in grado medio e aver una media prudenza significa essere un povero campione di umanità.

Concludendo, delle due l’una, nella fenomenologia della comunicazione, abbisogna:

o rappresentare un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al nostro livello;

o aspirare alla distinzione, respirando l’ossigeno che ci manca (la qualità), perchè da troppo tempo respiriamo solo una grande mediocrità.

continua

Un grazie di cuore a
(in ordine di ispirazione)
Umberto Eco
Gaetano Fierro
Michele Serra

Digiprove sealCopyright secured by Digiprove
Fenomenologia della comunicazione ultima modifica: 2014-12-18T17:39:05+01:00 da Antonio di Lizia
Vuoi ricevere una notifica ogni volta che Federnotizie pubblica un nuovo articolo?
Iscrivendomi, accetto la Privacy Policy di Federnotizie.
Attenzione: ti verrà inviata una e-mail di controllo per confermare la tua iscrizione. Verifica la tua Inbox (o la cartella Spam), grazie!


AUTORE