Edilizia convenzionata “Peep”: spunti di riflessione sulla Legge 136/2018

La recente Legge 17 dicembre 2018, n. 136, conversione in Legge, con modificazioni, del Decreto Legge 23 ottobre 2018, n. 119 (recante disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293, del 18 dicembre 2018, ed entrata in vigore il giorno successivo, è intervenuta nel settore dell’edilizia residenziale convenzionata[1], con l’art. 25-undecies, con particolare riguardo alla determinazione del prezzo massimo di cessione (e del canone massimo di locazione) degli alloggi soggetti alle disposizioni della legge n. 865/1971.

Approfondimento[2] di Roberto Ferrazza notaio


Il contenuto dell’art. 25-undecies è il seguente:

«Art. 25-undecies (Disposizioni in materia di determinazione del prezzo massimo di cessione)

1. All’articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 49-bis è sostituito dal seguente:

«49-bis. I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà o per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile, e soggetti a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del presente articolo. La percentuale di cui al presente comma è stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il decreto di cui al periodo precedente individua altresì i criteri e le modalità per la concessione da parte dei comuni di dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione dal vincolo. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli immobili in regime di locazione ai sensi degli articoli da 8 a 10 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ricadenti nei piani di zona convenzionati;»

b) dopo il comma 49-ter è inserito il seguente:

«49-quater. In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. L’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai commi 49-bis e 49-ter. La rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta altresì la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva.»

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

3. Il decreto di cui al comma 49-bis dell’articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, come sostituito dal comma 1, lettera a), del presente articolo, è adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

1) ART. 25-UNDECIES, COMMA 1. LE MODIFICHE E LE NOVITA’

Oggetto della novella è l’art. 31 della legge 23.12.1998 n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo, legge finanziaria del 1999), modificato, in sintesi, mediante:

  • sostituzione del comma 49 bis, come era stato introdotto dall’articolo 5, comma 3-bis, legge n. 106 del 12 luglio 2011;
  • introduzione di un nuovo comma, il 49 quater.

Come è noto, la legge n. 106/2011 aveva introdotto i commi 49 bis e 49 ter all’art. 31 della L. n. 448/1998, con i quali, per agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari (e il reperimento di nuove finanze alle casse comunali), era stata concessa la facoltà al proprietario di immobile di edilizia pubblica convenzionata (L. n. 865/1971), soggetto al vincolo di prezzo massimo di cessione (o al canone massimo di locazione), di affrancare il bene da detto vincolo, pagando un corrispettivo al Comune, a seguito di apposita convenzione da redigersi con atto pubblico.

Successivamente la Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 18135 del 16 settembre 2015, giudicando su di un caso di convenzione avente ad oggetto la proprietà superficiaria e assumendo come dirimente proprio il testo normativo del comma 49bis, aveva affermato il principio che le alienazioni di immobili di cui alle convenzioni ex art. 35 L. n. 865/1971, anche successive alla prima, fossero soggette al vincolo di prezzo massimo di cessione e che, pertanto, all’acquirente, che avesse pagato un prezzo superiore a quello vincolato, spettava il diritto alla restituzione del prezzo versato in eccedenza, con nullità parziale della clausola relativa al prezzo (convenuto). Conseguentemente, come consentito dalla sentenza della Cassazione citata, diversi acquirenti, che avevano acquistato, a prezzo di mercato, beni immobili di edilizia convenzionata in piani di zona, fermo rimanendo la validità dell’atto, avevano intimato ai propri danti causa la restituzione del prezzo versato in eccesso, con rilevanti conseguenze economiche sulle famiglie coinvolte; contestualmente, le problematiche createsi sugli immobili siti nei piani di zona (PEEP), per varie ragioni, aveva comportato l’ingessatura del mercato immobiliare, invece che la sua liberalizzazione.

Il recente intervento normativo ha quindi inteso, oltre che correggere l’infelice formulazione delle norme precedenti, sia definire e precisare meglio il diritto e la procedura di affrancazione del vincolo (di prezzo massimo di cessione o di canone massimo di locazione), per agevolare la contrattazione immobiliare, sia rinvenire una soluzione al problema della cause giudiziarie e ai conflitti, in atto e potenziali, fra venditori e acquirenti. A tal fine, il legislatore ha previsto, in sintesi:

  • l’eliminazione del riferimento alle convenzioni con oggetto la proprietà stipulate prima della entrata in vigore della legge n. 179/1992;
  • che l’affrancazione possa essere effettuata mediante pubblico o scrittura privata autentica e non più, unicamente, mediante una convenzione in forma di atto atto pubblico;
  • che la richiesta di affrancazione possa essere fatta solo da persona fisica che vi abbia interesse;
  • che la richiesta di affrancazione possa essere fatta anche da chi non sia più titolare di diritti reali sul bene immobile convenzionato;
  • la possibilità di beneficiare di dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione;
  • che la facoltà di affrancazione è esclusa per gli immobili in regime di locazione ai sensi degli articoli da 8 a 10 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ricadenti nei piani di zona convenzionati;
  • che in pendenza della rimozione dei vincoli di prezzo massimo di cessione, il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato.
  • che l’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai commi 49-bis e 49-ter.
  • che la rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta altresì la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva;
  • che le disposizioni di cui ai commi 49bis/quater si applicano anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Nella presente trattazione si farà principalmente riferimento al vincolo del prezzo massimo, ma le medesime indicazioni saranno parimenti valide anche per il vincolo del canone massimo di locazione; del resto, l’atto di affrancazione estingue entrambe le tipologie di vincolo.

1a) COMMA 49BIS

A) Ambito di applicazione

Esaminiamo quindi il testo delle nuove disposizioni di Legge, partendo da quello del comma 49 bis e dal suo necessario confronto con il testo precedente (che per comodità è riportato integralmente in nota 3[3], unitamente al comma 49ter), così come era stato introdotto dalla legge n. 106/2011.

Intanto, ricordo che l’ambito applicativo della norma è sempre quello relativo ai piani di edilizia economica e popolare (cd. PEEP), di cui alle leggi n. 167/1962 e n. 865/1971, e, in particolare, agli immobili, con oggetto la piena proprietà o il diritto di superficie, soggetti alle convenzioni di cui all’art. 35 della legge n. 865 citata.

Una importante differenza, nella prima parte della norma, è il mancato riferimento, nel nuovo testo di legge, per le convenzioni PEEP in proprietà (ossia con cessione del diritto di proprietà piena), a quelle stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179 (15 marzo 1992): il legislatore (come confermato nella relazione che ha accompagnato l’emendamento modificativo del comma 49 bis), correggendo quello del 2011, ha finalmente preso atto che gli immobili edificati secondo tali convenzioni non erano soggetti a vincoli di prezzo massimo ma a divieti di alienazione, totali o parziali, la cui violazione comportava la nullità dell’intero contratto di cessione (art. 35, co. 15-19, L. n. 865/1971, poi abrogati).

Ciò premesso, dalla lettura comparata delle nuove norme (comma 49bis e 49 quater), si possono ricavare alcune importanti indicazioni:

a) il vincolo del prezzo massimo di cessione sussiste solo ove espressamente previsto dalla convenzione in tali termini (ossia come effettivo prezzo/canone massimo e non come altra tipologia di vincolo o di divieto). La mancanza a qualunque periodo/data di stipula della convenzione vuole evitare eccezioni (o fraintendimenti) a questo principio, considerata la notevole sovrapposizione di normativa avutasi nel corso del tempo.

La previsione del vincolo contenuta nella convenzione può derivare dalla legge, oppure avere natura pattizia.

Le clausole di vincolo di prezzo massimo di cessione nelle convenzioni con oggetto il diritto di superficie hanno tutte fonte normativa, supportate dal comma 8, lett. e), dell’art. 35 L. n. 865/1971, che è rimasto immutato nel tempo; è stata quindi sempre stata operante la norma che prevede la determinazione del prezzo massimo in caso di cessione degli alloggi in proprietà superficiaria.

Le clausole di vincolo di prezzo massimo di cessione nelle convenzioni con oggetto il diritto di piena proprietà hanno fonte normativa solo dal primo gennaio 1997, in virtù del comma 13 dell’art. 35, L. n. 865/1971, come modificato dalla legge n. 662/1996 (e come integrato dalla legge n. 136/1999, art. 7.6): pertanto, il vincolo di prezzo massimo di cessione deve essere previsto nelle convenzioni per gli immobili in proprietà oggetto dei piani di zona approvati dopo il primo gennaio 1997.

Per le convenzioni, invece, stipulate con riferimento alla Legge 27 gennaio 1977, n. 10 (nota come Bucalossi), e non rientranti, quindi, nell’ambito dei piani di zona, sussisteva già, da quasi un ventennio, la previsione di un prezzo massimo di cessione, in virtù della stessa legge n. 10, art. 8, co., 1 lett. b. Il comma 49bis non contempla le convenzioni cd. Bucalossi, in quanto disciplina solo i vincoli contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (convenzioni PEEP).

Sono quindi escluse dalla necessità di affrancazione del vincolo, le convenzioni con oggetto la proprietà stipulate prima della data dell’1 gennaio 1997 (ovvero afferenti a piani di zona approvati dopo il primo gennaio 1997). Per ciò che concerne, in particolare, le convenzioni con oggetto la proprietà stipulate prima del 15 marzo 1992 (entrata in vigore della legge n. 179/1992), esse possono essere soggette al vincolo di prezzo massimo di cessione (previsto dalla legge) nel solo caso in cui siano state modificate (dal 1 gennaio 1999) mediante la convenzione sostitutiva, di cui all’art. 31, comma 46, L. n. 448/1998, dovendosi conformare tale convenzione sostitutiva alla disciplina dell’art. 8 L. n. 10/1977 (poi art. 18 DPR n. 380/2001).

Inoltre, sono logicamente escluse dalla necessità dell’affrancazione tutte le convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della stessa legge n. 865/1971 (31 ottobre 1971) e quindi quelle disciplinate dall’art. 10 della legge n. 167/1962 (modificata dalla legge n. 904/1965), in quanto tale legge non prevedeva vincoli di prezzo massimo di cessione (la legge n. 904 cit., introdusse, invece, solo un canone annuo di locazione vincolato per i primi dieci anni dalla data del rilascio della dichiarazione di abitabilità); oppure, le convenzioni stipulate nella fase transitoria, ossia quelle relative alle aree dei piani di zona che, alla data di entrata in vigore della legge n. 865/1971 (31.10.1971), fossero state acquisite, previa assegnazione, da enti pubblici o da cooperative o fossero state cedute, anche in superficie, dal comune a privati, o per le quali, alla medesima data, fosse intervenuta l’assegnazione e fosse in corso il procedimento di espropriazione da parte di detti enti o cooperative: trattasi delle ipotesi di cui all’art. 36 della L. n. 865/1971.

Ciò precisato, il vincolo di prezzo massimo di cessione previsto nelle convenzioni solo in forma pattizia, ossia senza essere supportato da un’espressa previsione di legge che lo imponga, può solo verificarsi nelle convenzioni PEEP aventi ad oggetto immobili in piena proprietà, e precisamente:

a) nelle convenzioni (con oggetto la proprietà) stipulate prima del 15.03.1992, in aggiunta ai divieti di alienazione, di cui agli abrogati commi 15-19 dell’art. 35 L. 865/1971 (previsione raramente riscontrabile, se non addirittura solo ipotetica);

b) nelle convenzioni (con oggetto la proprietà) stipulate dopo il 15.03.1992 e prima del 1.1.1997, in sostituzione degli abrogati divieti di alienazione, e ispirandosi all’art. 8 della Legge n. 10/1977, che già prevedeva, per le convenzioni cd. Bucalossi, vincoli di prezzo massimo di cessione.

Indipendentemente dalla valutazione sull’efficacia o validità di tali clausole, certamente esse non hanno portata reale (ossia, citando la Cassazione, di onere reale), in quanto mancherebbe quel supporto normativo che conferirebbe loro una valenza pubblica e inderogabile: conseguentemente, la loro violazione non può determinare nullità della clausola del prezzo (la nullità, anche parziale, infatti, non può essere oggetto di previsione di disposizione pattizia); pertanto, potranno essere azionati solo i rimedi risarcitori o le sanzioni previste dalla stessa convenzione (ad esclusione di ipotesi di nullità), fermo rimanendo i termini di prescrizione e di decadenza (infatti, solo la nullità può essere fatta valere in ogni tempo), ed escludendosi pretese di restituzione dell’eccedenza fondata, appunto, sulla nullità parziale. In sintesi, la sentenza della Cassazione SS.UU. n. 18135/2015 non può avere effetti applicativi sulle (eventuali) disposizioni pattizie di previsione di prezzo massimo di cessione contenute nelle convenzioni, ove si volesse essere coerenti con le motivazioni della stessa sentenza, in base alla quale il carattere di imperatività delle convenzioni, e quindi dell’applicabilità dell’art. 1339 c.c. alle clausole ad esse contrarie, può derivare solo da espressa delega (o autorizzazione) legislativa.

Le medesime argomentazioni di principio offerte dalla Cassazione, possono utilizzate anche sotto il vigore dell’attuale novella, considerando che al concetto di nullità (parziale) si affianca oggi quello dell’inefficacia (ved. nuovo comma 49quater): anche l’inefficacia, come la nullità, della clausola del prezzo origina da contrarietà a norma imperativa che solo una legge, e non una disposizione pattizia, può prevedere (sul punto, ved. infra 1bis).

Pertanto, ciò precisato, l’affrancazione ex comma 49bis per dette convenzioni, ove applicabile, può solo paralizzare l’erogazioni di sanzioni o la richiesta di risarcimento danni, ma non la restituzione dell’indebito relativo alla parte di prezzo eccedente, in quanto essa non può essere domandata, non operando la sostituzione di clausole ex artt. 1339/1419 co. 2, c.c. o l’inefficacia, per mancanza di delega legislativa.

b) la rimozione del vincolo non è necessaria nel caso in cui questo risulti già estinto; infatti, il comma 49bis nella determinazione del corrispettivo di affrancazione fa riferimento all’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con ciò presupponendo una durata del vincolo, che indubbiamente sussiste almeno per le convenzioni con oggetto la proprietà.

Il vincolo, infatti, cessa la sua efficacia nel caso in cui la stessa convenzione che lo prevedeva abbia cessato di efficacia, per decorso del relativo termine (ventennale-trentennale) di durata. Sono quindi da comprendere in questo assunto:

  1. le convenzioni con oggetto la piena proprietà, il cui termine di efficacia (20/30 anni, a seconda della previsione della stessa convenzione, ex art. 8, co. 4, L. n. 10/1977, opp. art. 18, co. 4, DPR n. 380/2001) sia già decorso;
  2. le convenzioni, originariamente aventi ad oggetto immobili con diritto di superficie, in seguito trasformato ex comma 45 dell’art. 31 della L. n. 448/1998 in piena proprietà. Detti immobili, infatti, con la trasformazione, sono ormai equiparati a quelli in piena proprietà, i quali non possono essere soggetti a vincoli convenzionali, come sopra indicato, di durata superiore al termine (massimo) di trenta anni (assumendo sempre come riferimento temporale iniziale la data di stipula dell’originaria convenzione).
  3. le convenzioni sostitutive ex comma 46 dell’art. 31 legge cit., con oggetto la piena proprietà o il diritto di superficie, il cui termine di efficacia (20/30 anni, a seconda della previsione della stessa convenzione, ex art. 8, co. 4, L. n. 10/1977, opp. art. 18, co. 4, DPR n. 380/2001) sia già decorso, sempre con riferimento alla data di stipula dell’originaria convenzione (oggi, in base alla legge n. 135/2012, la durata deve essere di 20 anni, diminuita del tempo trascorso fra la data di stipulazione della convenzione che ha accompagnato la concessione del diritto di superficie o la cessione in proprietà delle aree e quella di stipulazione della nuova convenzione).

Per le convenzioni con oggetto il diritto di superficie, invece, il normale termine di durata è di 99 anni, ma in questo caso non potrà mai cessare il vincolo di prezzo massimo, perché o si rinnova la concessione per pari durata (e quindi anche il relativo vincolo di prezzo massimo), oppure termina la concessione e il bene immobile passa in proprietà al comune senza corrispettivo. Non può non ravvisarsi in questi casi, una evidente disparità (a mio parere, non giustificabile, ved. infra, 4. Appendice, sub C) fra immobili soggetti a convenzioni con oggetto la proprietà piena e le convenzioni con oggetto la proprietà superficiaria, in quanto per le seconde il vincolo di prezzo massimo di cessione non solo sussisterebbe ben oltre il trentennio dalla stipula della convenzione ma addirittura non potrebbe mai cessare (senza procedura di affrancazione).

c) il vincolo di prezzo massimo di cessione non può essere rimosso nel caso in cui vi sia un espresso divieto di legge (soggettivo od oggettivo).

Dalla lettura del nuovo comma 49bis si ricava che, sotto l’aspetto soggettivo, sono esclusi dalla facoltà di affrancare i costruttori, le cooperative edilizie, ossia coloro che hanno provveduto all’attività edificatoria e che sono stati primi proprietari del bene (in quanto l’affrancazione può essere effettuata solo a partire dal primo acquirente), e le persone giuridiche (a contrario: comma 49bis che conferisce la facoltà di affrancare alle sole persone fisiche).

Inoltre, sotto l’aspetto oggettivo, il nuovo testo del comma 49bis precisa che le disposizioni di cui al comma 49 bis non si applicano agli immobili in regime di locazione ai sensi degli articoli da 8 a 10 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ricadenti nei piani di zona convenzionati. Si escludono quindi tutte le abitazioni in locazione, con o senza proprietà differita, le abitazioni assegnate in godimento o realizzate, anche a cura dei Comuni, degli IACP o loro consorzi, ai sensi dell’edilizia agevolata, con i contributi di cui alla legge 5 agosto 1978, n. 457 (art. 19, come integrato dall’articolo 6 della L. n. 179/1992).

d) il vincolo di prezzo massimo, ove sussistente, può essere sempre rimosso, indipendentemente dalla data nella quale è stata stipulata la convenzione, trascorsi cinque anni dal primo trasferimento.

Come rilevato, nella norma è stato eliminato, per le convenzioni con oggetto la proprietà, il limite temporale di riferimento alla data di stipula della convenzione; anzi, in base al secondo comma dell’art. 25undecies, l’affrancazione può riguardare anche gli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della legge n. 136/2018.

È invece rimasto il limite (dies a quo) di cinque anni dalla data del primo trasferimento, prima del quale non può aver luogo la rimozione del vincolo. Questo limite temporale esclude altresì la facoltà di affrancazione ai primi proprietari del bene (ad. es. costruttori, cooperative edilizie), in quanto si richiede che sia già avvenuto un primo trasferimento.

B) Forma della rimozione del vincolo

Non è più previsto l’obbligo di redigere una convenzione nella forma dell’atto pubblico, ma è possibile effettuare la rimozione del vincolo sia con scrittura privata autenticata che con atto pubblico. Una simile previsione di “semplificazione”, alternativa alla convenzione con atto pubblico, nella quale necessariamente doveva intervenire il Comune, potrebbe indurre a far ritenere la possibilità di operare anche con atto unilaterale, con l’intervento dal solo avente diritto.

L’atto di affrancazione è da trascriversi comunque presso la conservatoria dei registri immobiliari. La trascrizione, nel caso specifico, ha la funzione di pubblicità notizia, ossia di rendere noto ai terzi che quel bene è libero dal vincolo di prezzo massimo di cessione.

C) Soggetti legittimati

Anche nel nuovo testo si conferma che all’avente diritto spetta la facoltà di esercitare la rimozione del vincolo, sussistendone i presupposti e avendovi interesse: all’amministrazione (comunale) non spettano poteri discrezionali nel valutare la relativa richiesta.

Il nuovo testo del comma 49bis prevede, tuttavia, che l’affrancazione dal vincolo di prezzo massimo di cessione possa essere richiesta non soltanto dall’attuale proprietario del bene (singolo proprietario), ma anche da altra persona fisica che vi abbia interesse.

a) con la locuzione “chiunque vi abbia interesse”, sono da ritenersi legittimati:

  • innanzitutto, e logicamente, gli attuali proprietari del bene;
  • in secondo luogo, coloro che hanno ceduto il bene, dato che la legge fa riferimento anche a coloro che non sono più titolari di diritti reali sul bene immobile; si sottolinea pure il riferimento a “diritti reali” e quindi non solo alla proprietà piena e alla proprietà superficiaria, ma anche ad eventuali cessioni del diritto di usufrutto, di abitazione e di nuda proprietà. L’interesse dei venditori, è evidente, in quanto potranno evitare di essere costretti a restituire l’eccedenza del prezzo, nel caso in cui abbiano ceduto il bene senza rispetto del prezzo massimo di cessione.

L’ampiezza del riferimento normativo (chiunque vi abbia interesse) consentirebbe anche di ritenere legittimati tutti coloro che:

  • a vario titolo, saranno chiamati nel giudizio per la dichiarazione di nullità parziale e alla conseguente restituzione della eccedenza di prezzo (salvo quanto precisato dall’art. 1422 c.c.), e in tale ipotesi, potrebbero essere chiamati in giudizi, ad es., gli eredi o i legatari dei venditori;
  • in base ad un accordo (oneroso o gratuito) con il venditore o l’acquirente, si assumano o accollino l’obbligo di eliminare il vincolo di prezzo massimo con il pagamento della somma prevista per l’affrancazione. Salvo che il successivo riferimento alla mancanza di attuale titolarità di diritti reali (“non sono più titolari”) sul bene immobile limiti necessariamente l’interesse di colui che intenda affrancare ad un effettivo e previo legame di natura reale con il bene oggetto della cessione; ma tale ultimo rilievo, non dovrebbe operare nei confronti degli eredi o dei legatari del venditore, in quanto essi subentrano in vece e luogo del loro dante causa, in tutti o in determinati rapporti giuridici attivi e passivi e quindi, anche in quelli inerenti ai beni già in titolarità del de cuius.

b) Inoltre, la norma, indirettamente (o a contrario), prevedendo la sola legittimazione delle persone fisiche, impedisce che l’affrancazione possa essere richiesta da una persona giuridica; si vogliono quindi escludere dalla predetta agevolazione, le società costruttrici o le cooperative edilizie assegnatarie degli alloggi: per esse deve sempre valere il vincolo di prezzo massimo di cessione, dato che l’affrancazione si potrà verificare solo dopo avvenuto il primo trasferimento.

Per quanto riguarda gli altri enti proprietari, che ne abbiano la titolarità, a qualunque titolo, prescindendo da eventuali requisiti soggettivi, comunque essi, non potranno mai avere dall’alloggio, come le persone fisiche, quella funzione abitativa, che è lo scopo della legge e che la stessa intende primariamente tutelare e garantire.

In assenza di espressa previsione testuale di legge, la compressione della facoltà di affrancare il bene dal vincolo non dovrebbe estendersi alle persone fisiche (proprietarie o ex) che agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche e professionali.

D) Corrispettivo di affrancazione e modalità di pagamento

Si conferma che il corrispettivo per l’affrancazione sarà proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48[4] dell’art. 31 della Legge n. 448/1998. Parimenti confermata è la disposizione in base alla quale detta percentuale è stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo[5], con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Il nuovo testo del comma 49bis prevede, inoltre, innovando la norma sostituita, la possibilità di concedere dilazioni di pagamento a coloro che intendano procedere all’affrancazione del vincolo; criteri e modalità per la concessione delle dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione dal vincolo saranno stabilite dal decreto di cui al terzo comma dell’art. 25 undecies della legge in esame. Ciò potrà essere indubbiamente utile nei casi in cui la somma calcolata per l’affrancazione possa essere consistente (e ciò si è verificato soprattutto nelle grandi città, in cui il valore degli immobili è maggiore) e quindi non facilmente solvibile in un’unica soluzione.

Per ciò che concerne la possibilità di affrancare il bene dal vincolo da parte di soggetti attualmente non proprietari, rimangono da chiarire le conseguenze che si produrranno nel caso in cui sia concessa la dilazione di pagamento; ossia, se l’affrancazione del vincolo consegua al pagamento della prima rata, oppure al pagamento dell’ultima rata. Nel primo caso, il Comune rimarrebbe esposto alla eventuale insolvenza dell’obbligato, salvo non richieda specifiche garanzie; nel secondo caso, l’attuale proprietario dell’immobile si vedrebbe limitato nella disposizione del bene fino al termine previsto per la dilazione, o peggio ancora, nel maggior termine di conclusione dell’azione giudiziaria (o mediazione/transazione) del Comune contro l’obbligato inadempiente, salvo non si conceda all’attuale proprietario di completare il pagamento del corrispettivo di affrancazione, surrogandosi nelle ragioni del Comune contro l’obbligato, oppure che l’inadempimento dell’obbligato determini la sua decadenza definitiva dal beneficio del pagamento dell’affrancazione, esponendolo alla richiesta di restituzione dell’indebito.

Ritengo che, in attesa dell’emanazione del Decreto di cui al terzo comma dell’art. 25undecies, si debba comunque optare per la soluzione più favorevole all’attuale proprietario, anche tenendo conto del contemperamento di interessi fra venditore e acquirente, alla luce del comma 2 dell’art. 25-undecies, non costringendo i proprietari a soggiacere incolpevolmente al comportamento di soggetti terzi.

1b) COMMA 49 QUATER

In base alla nuova disposizione di legge, l’affrancazione produce i seguenti effetti, oltre a quello specifico dell’eliminazione del vincolo di prezzo massimo di cessione:

a) rende efficace (e quindi valida) la clausola del prezzo convenuto (eccedente quindi al prezzo vincolato); b) estingue la pretesa di rimborso della differenza di importo fra prezzo convenuto e prezzo vincolato, ove inoltrata; c) elimina i vincoli soggettivi eventualmente previsti dalla convenzione o dalla legge per gli acquirenti.

A) Innanzitutto, la norma prevede che in pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato.

Rispetto alla previsione dell’art. 18, ultimo comma, del DPR 380/2001 (ex art. 8 L. n. 10/1977), per le convenzioni in proprietà[6], – ogni pattuizione stipulata in violazione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione è nulla per la parte eccedente – la recente norma opta per la sanzione dell’inefficacia, piuttosto che per la nullità della clausola del prezzo convenuto (limitatamente all’eccedenza rispetto al prezzo vincolato). L’art. 18, ricordo, è poi richiamato dal comma 13 dell’art. 35 L. n. 865/1971, per le convenzioni PEEP (con oggetto la proprietà).

Quindi, dovremo ritenere, in mancanza di espressa abrogazione, il comma 49quater come lex specialis rispetto all’art. 18, ultimo comma, del DPR n. 380/2001, da considerarsi come norma generale, che mantiene, comunque, una sua applicabilità residuale alle violazioni del vincolo di prezzo massimo nei casi in cui non sia possibile effettuare l’affrancazione (ad es., immobili di persone giuridiche); al contempo, per gli immobili in proprietà superficiaria e per i quali può operare la rimozione del vincolo di prezzo massimo con l’affrancazione, la nuova norma supera (ma al contempo conferma) l’interpretazione della sentenza Cass. SS.UU. n. 18135/2015, in base alla quale, ricordo ancora, la nullità della violazione del vincolo di prezzo massimo [pur in assenza di espressa previsione di nullità (parziale) da parte della legge della clausola contraria legge, n.d.r.], deriva dal fatto che la previsione del vincolo costituisce norma imperativa e inderogabile (c.d. nullità virtuale).

I termini inefficacia-nullità, come noto, non sono equivalenti, dato che il negozio (o sua clausola) inefficace è un negozio/clausola improduttivo di effetti in via provvisoria, mentre il negozio invalido, invece, è inefficace, ma per vizi dei suoi elementi costitutivi, e l’inefficacia (assoluta e definitiva) che ne consegue costituisce proprio una sanzione della irregolarità del contratto. Tuttavia, l’inefficacia definitiva non è conseguenza esclusiva della invalidità del contratto, ma può riguardare anche un contratto valido, laddove, ad es., non si verifichi una condizione sospensiva o si verifichi quella risolutiva, o ancora, nel caso in cui intervenga una revoca consensuale del contratto. In sostanza, il contratto nullo è inefficace ab origine e tale lo rimane, salvo sanatoria, se prevista dalla legge, mentre il contratto (provvisoriamente) inefficace (sic et semplicter) può diventare, in seguito, produttivo di effetti giuridici, al verificarsi di un determinato evento.

Quindi, nel caso specifico, il contratto di vendita è valido ed efficace, ad eccezione della parte eccedente di prezzo rispetto al valore determinatosi per il vincolo, parte che rimane quiescente, in attesa di acquistare efficacia (con il pagamento dell’affrancazione) o di diventare definitivamente inefficace (con il mancato pagamento o la rinuncia ad esso, oppure con la condanna definitiva alla restituzione dell’eccedenza di prezzo). Insomma, non vi è sostituzione di diritto della clausola nulla ex art. 1419, co. 2, c.c., con la clausola legale (art. 1339 c.c.), ma essa viene sospesa nell’efficacia.

Pertanto, il pagamento dell’affrancazione dal vincolo di prezzo massimo viene trattata dal legislatore alla stregua di una condizione sospensiva potestativa dell’efficacia dell’intero prezzo concordato (e l’evento condizionante è, appunto, il pagamento dell’affrancazione), evitandosi così i problemi inerenti alla sanatoria di un contratto nullo (seppur parzialmente), non sempre consentita dalla legge: se si fosse trattato di nullità (parziale), difficilmente essa sarebbe stata sanabile, in mancanza di un norma ad hoc (art. 1423 c.c.); invece, l’avverarsi della condizione (pagamento della somma di affrancazione) consente, operando un meccanismo già previsto dal nostro ordinamento, di rendere legittima, o meglio, interamente e definitivamente efficace la clausola del prezzo, e, quindi, del maggior prezzo di vendita convenuto rispetto al prezzo vincolato[7].

In sintesi: il pagamento dell’affrancazione non sana ma rende definitivamente efficace la clausola considerata contraria alla legge. Nella sostanza, però, la soluzione legislativa ha i medesimi effetti di una sanatoria (di nullità parziale): l’inefficacia (seppur momentanea) della pattuizione del prezzo convenuto nasce pur sempre da una situazione di illegittimità (o di contrasto alla legge) del contenuto del contratto (del prezzo, ossia della prestazione di una delle parti) e non da un elemento esterno ad esso.

Non risulta precisato un termine finale entro il quale la condizione (di rimozione del vincolo) debba avverarsi, al fine di non procrastinare una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche in atto. Probabilmente, in sede di giudizio, l’acquirente potrà scegliere di citare il proprio dante causa, in alternativa, sia per la restituzione dell’eccedenza di prezzo, che per il pagamento dell’affrancazione. eventualmente, potrà chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale il dante causa (venditore o proprietario/locatario) debba iniziare la procedura di affrancazione o completarla. La condanna definitiva alla restituzione dell’eccedenza di prezzo (per rinuncia espressa della facoltà di affrancazione, contumacia o mancata eccezione da parte del dante causa della facoltà di affrancazione) comporta, a mio parere, il mancato avveramento della condizione, con conseguente inefficacia definitiva della clausola del prezzo eccedente[8].

B) in secondo luogo, la norma prevede che l’eventuale pretesa di rimborso della differenza fra prezzo convenuto e prezzo vincolato, a qualunque titolo richiesto, si estingua con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai commi 49bis e 49ter.

Questa disposizione, pertanto, consente al venditore, al quale sia stata richiesta la restituzione dell’indebito prezzo (così come consentito dalla sentenza Cass. SSUU n. 18135), a qualunque titolo, quindi sia in via giudiziale che in via stragiudiziale, oppure, a titolo transattivo o di risarcimento del danno, di “paralizzare” la richiesta del creditore, procedendo direttamente[9] all’effettiva rimozione del vincolo, risolvendosi così, per i venditori danti causa, le rilevanti problematiche di tutela che si sono segnalate nel precedente articolo, Note di commento alla ordinanza del Tribunale di Roma, X sez. civile, del 17.04.2018 (cd. ordinanza Perinelli), pubblicato su Federnotizie, in data 23 maggio 2018. In sostanza, si è data attuazione normativa, senza richiamo all’abuso del diritto, all’ordinanza del Tribunale di Roma sopra indicata (e che è citata nella relazione che accompagna l’emendamento), con la quale il venditore è stato condannato al pagamento della sola affrancazione (e spese connesse) e non alla restituzione dell’eccedenza di prezzo rispetto a quello determinabile come prezzo massimo.

Ritengo che, salvi i diritti di prescrizione, colui che abbia pagato il corrispettivo di affrancazione potrà, a sua volta, richiederlo (ripeterlo) al suo dante causa, mentre, certamente non potrà chiedergli il rimborso dell’eccedenza di prezzo, in virtù della norma in esame, in base alla quale la rimozione del vincolo di prezzo estingue ogni pretesa di rimborso della parte di prezzo convenuto eccedente rispetto a quello vincolato.

Più complessa è la soluzione dell’ipotesi in cui nella convenzione ex art. 35 L. n. 865/1971[10] sia, invece, prevista a carico del venditore (superficiario), per la violazione del prezzo vincolato, una sanzione pecuniaria normalmente determinata in una somma pari da due a quattro volte la differenza tra prezzo convenuto e prezzo massimo di cessione. Le differenze rispetto alla fattispecie normativa sono evidenti: non si tratta di richiesta di restituzione del rimborso del prezzo e il rapporto non comprende le due parti del contratto di compravendita (o loro aventi causa), bensì le due parti della convenzione, ossia, la pubblica amministrazione concedente, e il superficiario venditore (avente causa dell’originario sottoscrittore della convenzione).

Il problema può essere risolto sia in base alla ratio della nuova legge, che in base ai principi enunciati dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18135. Secondo la Corte, la norma (art. 35 L. n. 865/1971) che prevede il vincolo (o meglio la determinazione) del prezzo massimo di cessione è inderogabile, perché norma imperativa; in tal senso, essa non solo si sostituisce alla diversa clausola convenuta dalle parti nel loro contratto di compravendita (ex art. 1339 c.c.), ma dovrebbe o sostituire la diversa clausola della convenzione ex art. 35 cit. che disponga diversamente, oppure integrare la stessa convenzione, laddove nulla sia previsto sulla determinazione del prezzo massimo di cessione.

Nel caso specifico, quindi, dovrebbe essere comunque essere fatta salva la facoltà dell’acquirente di richiedere al venditore la parte di prezzo eccedente. Tuttavia, la restituzione dell’eccedenza di prezzo e la contestuale pena pecuniaria consistente in un multiplo della stessa eccedenza di prezzo appare una reazione alla violazione del vincolo di prezzo massimo non solo troppo sproporzionata e irrazionale, ma costituisce, in effetti, una duplicazione sanzionatoria. Pertanto, ritengo che, alla luce della sentenza della Cassazione, il diritto al rimborso della somma a favore dell’acquirente non possa essere soppresso dalla convenzione, e quindi, la richiesta di restituzione del prezzo indebito debba impedire all’amministrazione la (ulteriore) richiesta del pagamento di sanzioni, consistente proprio un multiplo di quella stessa eccedenza di prezzo. Ora, medesime argomentazioni possono essere utilizzate per la nuova normativa: considerato che la richiesta di restituzione dell’eccedenza di prezzo è un diritto (qui tutelato con l’inefficacia) non derogabile dalla convenzione, e quindi prevalente rispetto ad ogni altra sanzione in essa prevista, il pagamento dell’affrancazione ai sensi dell’art. 49 bis (o 49ter) estingue il rimborso dell’eccedenza e, al contempo, le eventuali sanzioni comminate dall’amministrazione.

In sintesi, anche in assenza di richiesta di rimborso da parte dell’acquirente, sarei favorevole all’applicazione estensiva della nuova normativa alla suddetta ipotesi (anche in virtù della ratio del comma 49quater di risolvere le situazioni critiche pregresse di coloro che sono stati proprietari del bene), per il rispetto della parità di condizioni; altrimenti, i proprietari che si trovano nelle medesime condizioni di proprietari superficiari o pieni, verrebbero ad essere soggetti a differenti discipline convenzionali, nonostante la legge, come la Cassazione ha argomentato, preveda sul punto, come reazione primaria alla violazione del vincolo di prezzo massimo, la nullità parziale/inefficacia, oggetto di norma imperativa inderogabile. Ma questa considerazione è anche supportata da un’argomentazione logica: se la recente legge è intervenuta per attenuare le gravose conseguenze a carico dei venditori della violazione del prezzo di cessione, consistenti nella restituzione dell’eccedenza del prezzo convenuto rispetto al prezzo vincolato, normalmente di notevole entità, sarebbe in contrasto con lo spirito della legge prevedere, da un parte, la facoltà del venditore di evitare il pagamento dell’eccedenza di prezzo (“sostituendola” con il pagamento della somma dovuta per l’affrancazione del vincolo), e dall’altra, di ritenerlo tuttavia soggetto al pagamento di una sanzione pecuniaria di importo addirittura pari al doppio, triplo o quadruplo dell’eccedenza di prezzo.

La norma in esame disciplina, testualmente, solo l’estinzione della pretesa di rimborso della differenza fra prezzo convenuto e prezzo vincolato, e quindi con riferimento ad un contratto di vendita intercorso fra le parti; riterrei possibile, per eadem ratio, l’estensione della norma anche ai contratti di locazione, di modo che la pretesa di rimborso della parte di canone versato in eccedenza si estingua con la rimozione del relativo vincolo.

C) Infine, il comma 49quater prevede che la rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta altresì la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva. La norma, per la sua retroattività (art. 25undecies, co. 2), comporta l’eliminazione dei requisiti soggettivi anche agli acquirenti intermedi.

L’utilità della precisazione è data dal fatto che molti comuni, nonostante l’affrancazione del vincolo di prezzo massimo di cessione, ritenevano ancora persistenti i requisiti soggettivi (per i nuovi acquirenti), previsti da disposizioni pattizie della convenzione, gravando la proprietà di ulteriori vincoli non prescritti dalla legge.

Infatti, per quanto riguarda il possesso dei requisiti soggettivi, per le convenzioni in proprietà, è previsto attualmente un solo caso, il comma 11 dell’art. 35, L. n. 865/1971, nel quale si dispone che le aree in proprietà siano cedute in proprietà a cooperative edilizie e loro consorzi ed ai singoli, con preferenza per i proprietari espropriati ai sensi della presente legge, sempre che questi abbiano i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni per l’assegnazione di alloggi di edilizia agevolata. Quindi, i requisiti soggettivi sono richiesti nella fase di acquisto delle aree, ma non per i successivi acquirenti (di beni convenzionati in proprietà).

L’art. 35, comma 8, convenzioni con oggetto la superficie, invece, non prevede espressamente il possesso di particolari requisiti soggettivi, né per i primi, né per i successivi acquirenti, anche se dalla ratio della normativa, si potrebbe supporre la necessaria presenza di requisiti soggettivi.

Requisiti soggettivi sono invece richiesti dalla normativa per l’edilizia residenziale agevolata (leggi n. 457/1978 e n. 179/1992), la quale, se insiste su piani di zona di cui alla legge 167/1962 (ved. art. 22.2, L. n. 179/1992), diventa contestualmente edilizia convenzionata e agevolata, soggetta quindi alle due discipline.

Dall’analisi e dalla ratio delle norme (anche di quelle abrogate, quali il comma 17 dell’art. 35 dell’originario testo della legge n. 865/1971), si poteva ricavare il principio, per l’edilizia convenzionata (non agevolata), in base al quale un bene affrancato dal vincolo era cedibile a chiunque, mentre solo un bene vincolato (nel prezzo) poteva essere cedibile solo ad acquirenti con determinati requisiti soggettivi, anche reddituali, richiesti dalla convenzione[11]. Quindi, doverosamente, l’estinzione del vincolo di prezzo massimo di cessione doveva comportare il venir meno del requisito soggettivo reddituale dell’acquirente, in quanto esso era logicamente finalizzato a consentire l’acquisto di case di edilizia economica e popolare a prezzo contenuto per le fasce basse di reddito. Forse, l’unico requisito soggettivo che sarebbe potuto permanere, dopo l’affrancazione, era quello relativo all’impossidenza di altre case di abitazione, qualora si fosse inteso ritenere che le abitazioni realizzate ai sensi della legge n. 865/1971, debbano comunque essere destinate a favore di coloro che non abbiano la titolarità di diritti reali su altre abitazioni nel comune di residenza.

2) ART. 25-UNDECIES, COMMA 2. RETROATTIVITÀ DELLA NORMA

Al contrario della norma precedente che nulla disponeva per la fase transitoria, l’art. 25 undicies, al comma 2, prevede invece la retroattività: Le disposizioni di cui al comma 1 (ossia, i commi 49bis e 49quater dell’art. 31 della L. n. 448/1998) si applicano anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

La retroattività dovrebbe ritenersi estesa anche alle convenzioni di cui al comma 49ter, considerato che detta norma rinvia al comma precedente, 49bis, nonché per logica coerenza della novella; diversamente si verificherebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra le convenzioni stipulate ai sensi del DPR n. 380/2001 e quelle stipulate precedentemente all’entrata in vigore del testo unico sull’edilizia.

Pur in presenza dell’art. 11 delle preleggi, il legislatore civile (al contrario di quello penale, al quale si oppone il limite dell’art. 25 della Costituzione), può prevedere la retroattività delle norme (salvo la presenza di diritti quesiti o definiti/esauriti con sentenza passata in giudicato), ma in questo caso, devono essere ben soppesati gli interessi coinvolti e sacrificati (nel caso specifico, gli interessi, in conflitto, fra venditori e acquirenti)[12].

Per come si era definita la situazione negli anni, specialmente a Roma, un intervento normativo era opportuno. Come già proposto in Note di commento alla ordinanza del Tribunale di Roma, X sez. civile, del 17.04.2018, cit., sub punto A), la soluzione scelta dalla legge è stata quella di dare salomonicamente preferenza a colui che per primo, in ordine temporale, ha avuto la titolarità del bene, come se la legge n. 136/2018 (che consente l’affrancazione degli immobili dai vincoli di prezzo massimo di cessione) fosse stata già emanata al tempo della stipula della originaria convenzione: quindi, il diritto (e di converso, l’obbligo) di affrancazione spetterebbe, in primis, al primo proprietario (dopo il costruttore / cooperativa edilizia), e quindi ai successivi[13], secondo l’ordine di acquisto.

Pertanto, la norma, allo stato, è certamente applicabile per i contratti stipulati antecedentemente all’entrata in vigore della legge n. 136/2018 e che non siano ancora stati oggetto di contesa giudiziale, mentre non sarebbe applicabile per le situazioni già definite con transazione o provvedimento giudiziario passato in giudicato.

La questione di applicabilità è invece delicata per i giudizi in corso, dato che potranno essere mutuate le domande introduttive, alla luce della nuova legge, e ridefinito l’esito del procedimento, oppure si potrà chiedere in appello l’applicazione della nuova Legge[14].

3) ART. 25-UNDECIES, COMMA 3. IL DECRETO MINISTERIALE

Come già anticipato, il terzo comma dell’art. 25undecies prevede l’emanazione di un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281:

  1. a) per determinare la percentuale del corrispettivo di affrancazione dal vincolo (risultante dall’applicazione del comma 48 del medesimo articolo 31 della Legge n. 448/1998);
  2. b) per individuare i criteri e le modalità per la concessione da parte dei comuni di dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione dal vincolo (ved. comma 1)

Anche il precedente comma 49bis prevedeva l’emanazione di un decreto, ma, successivamente, a seguito della legge n. 14 del 24.02.2012 (art. 29 comma 16-undicies), la determinazione della percentuale di corrispettivo di corrispettivo, risultante dall’applicazione del comma 48 dell’art. 31 della Legge n. 448/1998, era stata demandata ai comuni dal primo gennaio 2012.

Il Decreto Ministeriale – per il quale il nuovo testo di legge ha eliminato la natura non regolamentare – dovrà essere adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge (art. 25-undecies, comma 3). Al contempo, sarebbe opportuno che l’autorità governativa solleciti le amministrazioni, prevedendone gli strumenti idonei, a definire in tempi rapidi le procedure di determinazione del corrispettivo di affrancazione, nonché a contenerli in somme adeguate e non eccessive, pur nel rispetto dei criteri di determinazione previsti dalla legge. E ciò anche alla luce delle problematiche che potranno scaturire nel conflitto fra venditori e acquirenti in ambito di legittimazione, termini, contenuto, modalità e dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione.

4) APPENDICE: QUESTIONI CONNESSE

A) Disciplina applicabile alle convenzioni (PEEP) con oggetto la proprietà stipulate antecedentemente al 15 marzo 1992.

Nel vigore del precedente comma 49, la disciplina delle convenzioni PEEP con oggetto la proprietà stipulate antecedentemente al 15 marzo 1992 era piuttosto “variegata”, ma fondamentalmente riassumibile in tre posizioni distinte:

1) applicazione del comma 49 bis, con la previsione di un vincolo di prezzo massimo di cessione;

2) applicazione dei commi 15-19 dell’art. 35 L. n. 865/1971, poi abrogati dalla legge n. 179/1992, ossia applicazione della disciplina esistente al tempo della stipula di dette convenzioni, anche se poi abrogata; in particolare, si pretendeva il versamento a favore del Comune di una somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato dell’area al momento dell’alienazione ed il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto, rivalutato sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi all’ingrosso calcolato dall’istituto centrale di statistica (comma 17).

3) applicazione della tesi liberale, secondo la quale detti immobili non erano più soggetti a vincoli o divieti, né di prezzo massimo di cessione (in quanto non previsti effettivamente dalla legge dell’epoca), né di alienazione, per intervenuta abrogazione dei commi 15-19.

Come detto nella parte iniziale dell’analisi, il legislatore, con il suo ultimo intervento, ha chiarito che le convenzioni con oggetto la proprietà di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 stipulate prima dell’entrate in vigore della legge n. 179/1992 (15 marzo 1992) non sono soggette al vincolo di prezzo massimo, con esclusione della posizione sub 1), oggi non più sostenibile. Invece, sull’attuale applicabilità dei commi 15-19 dell’art. 35 L. n. 865/1971, ormai abrogati da oltre 25 anni dalla legge n. 179/1992, alle convenzioni stipulate precedentemente all’abrogazione, la nuova legge non prende esplicita posizione.

Secondo la tesi più liberale e nettamente maggioritaria[16], sub 3), l’abrogazione dei commi 15-19 dell’art. 35 L. n. 865/1971 da parte dell’art. 23 della Legge n. 179/1992 avrebbe comportato l’immediata caducazione delle clausole contenute nelle convenzioni ispirate alle disposizioni abrogate, e sarebbe venuta quindi meno, per i contratti stipulati in violazione dei limiti di alienazione di cui all’art. 35 della legge n. 865 cit., la nullità prevista da tale norma. Pertanto, secondo la Cassazione sent. n. 26915/2008, lo ius superveniens della legge n. 179/1992 avrebbe rimosso i vincoli alla alienabilità con effetto alla entrata in vigore e con effetto espansivo, sino a travolgere anche le clausole meramente ripetitive delle statuizioni di legge.

Questa tesi, a mio parere, sarebbe confermata dalla lettura degli atti parlamentari di approvazione della legge n. 179/1992: pur in assenza di una precisa ed espressa disposizione transitoria di retroattività, emerge, a mio parere, la decisa volontà del legislatore dell’epoca di dare immediata attuazione all’abrogazione delle norme (co. 15-19 dell’art. 35) della legge n. 865, senza voler creare un doppio binario di disciplina fra convenzioni che regolano beni aventi medesima natura e caratteristiche (doppio binario che poteva, in astratto, perdurare per lungo tempo), in relazione al dato temporale della loro stipula, trattandosi di un disegno generale di liberalizzazione dei trasferimenti immobiliari che non ledeva posizioni di diritto soggettivo dei proprietari, ma, al contrario, le equiparava.

La tesi restrittiva, favorevole alla ultravigenza dei commi 15-19 dell’art. 35 (sub 2), sostenuta da qualche Comune, recentemente è stata stata condivisa dalla Corte dei Conti, Friuli Venezia Giulia, con delib. n. 58/2017[17], la quale ha addirittura affermato che i commi 15-19 dell’art.35 della legge n.865/1971 continuerebbero ad applicarsi anche a quelle convenzioni stipulate dopo il 15 marzo 1992 (ossia dopo l’intervenuta abrogazione), nelle quali siano stati riproposti espressamente nel testo i commi 15-19, in quanto i cittadini, con la sottoscrizione della convenzione, avrebbero accettato anche i vincoli non più discendenti dalla legge, bensì pattizi. Su quest’ultimo punto, in contrario, osservo che, normalmente, nonostante l’intervenuta abrogazione, le convenzioni riproponevano i commi 15-19 dell’art. 35, per lo più, per il mancato adeguamento formale dei modelli di convenzione, quasi una sorta di loro riproposizione inerziale, non riscontrandosi un’effettiva volontà negoziale dell’amministrazione di inserire le disposizioni riproduttive dei commi abrogati, in deciso contrasto alla legge n. 179/1992; dall’altra parte, dette clausole erano imposte ai cittadini, i quali le sottoscrivevano nella mera consapevolezza che esse fossero conformi al dettato legislativo, senza esercitare un’effettiva volontà negoziale.

Si ricorda, infine, che fu anche sollevata questione di legittimità costituzionale sull’art. 23, comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n. 179 (che aveva abrogato i commi 15-19 dell’art. 35), e la Corte Costituzionale con ordinanza n. 486/2006 ha dichiarato la manifesta inammissibilità, indipendentemente da ogni altra valutazione, per mancanza di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza da parte del giudice remittente.

B) Profili e problemi interpretativi del comma 49 ter.

Il comma 49ter è rimasto invariato, e, conseguentemente, si ripropone il contrasto interpretativo fra il legislatore e la Corte di Cassazione (per orientamento costante[18], compresa, in obiter dictum, la sentenza delle SS.UU. n. 18135[19]), già da me segnalato nei precedenti interventi su questa rivista.

Riassumiamo i termini della vicenda:

Nell’ambito della “Edilizia residenziale convenzionata”, vi sono due tipologie di convenzioni:

  • la convenzione di attuazione di un Piano di Edilizia Economico Popolare (P.E.E.P.), disciplinata dall’art. 35 della legge n. 865 del 1971 [da me definite come convenzione PEEP];
  • la convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso di costruire, originariamente disciplinata dall’art. 8 della legge n. 10/1977 (cd. convenzione Bucalossi). In seguito, l’articolo 8 della Legge 10/1977 è stato abrogato dal DPR n. 380/2001 (art. 136) e sostituito dall’art. 18 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia) che ne ha riprodotto il testo, ad eccezione dell’obbligo della trascrizione. Quindi, le convenzioni di cui all’art. 18 del DPR n. 380/2001, non stipulate nell’ambito dei piani di zona (quelle che ho chiamato sinteticamente convenzioni non PEEP), hanno la medesima natura, ambito e contenuto delle convenzioni Bucalossi, in quanto l’art. 18 ha sostituito proprio l’art. 8 della L. n. 10/1077.

Per ciò che concerne il contenuto delle convenzioni in proprietà PEEP, il comma 13 (dell’art. 35) richiama parte di quello dell’art. 8 della legge n. 10/1977, co. 1, 4 e 5, (oggi, art. 18 DPR n. 380/2001,co. 1,4, 5, in seguito dell’abrogazione dell’art. 8, che è stato sostituito, appunto, dall’art. 18).

Ora, La Cassazione ha sempre ritenuto che il vincolo di prezzo massimo di cessione, per le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 8 della L. n. 10/1977, cd. Bucalossi, fosse limitato al solo costruttore e non ai successivi proprietari, distinguendo tra le convenzioni della Legge n. 865 del 1971, articolo 35, e quelle (cd. Bucalossi) della Legge 28 gennaio 1977, n. 10, articoli 7 e 8; infatti, come ha ribadito la stessa Cass. SS.UU. n. 18135, solo per le seconde il titolare di alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non sarebbe obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzione-tipo approvata dalla regione, ai sensi della Legge n. 10 del 1977, articolo 7: e questo, perché destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione (od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta convenzione è soltanto il costruttore titolare della concessione …………. nei limiti indicati dalla stessa convenzione e per la prevista durata di sua validità.

Stando così le cose, medesime argomentazioni dovrebbero essere utilizzate per ritenere a carico del solo costruttore e non dei successivi proprietari, il vincolo di prezzo massimo di cessione anche alle convenzioni ex art. 18 DPR n. 380, cd. convenzioni non PEEP, ossia alle convenzioni non stipulate nell’ambito dei piani di zona ex art. 35 L. n. 865/1971, dato che l’art. 18 ha meramente sostituito l’art. 8 della legge Bucalossi (e l’art. 17 del DPR 380/2001 ha sostituito l’art. 7 della legge n. 10/1977);

Insomma, non sussistono ragioni sufficienti per affermare che le convenzioni Bucalossi (ex art. 8) abbiano diversi contenuto, oggetto e finalità delle convenzioni non PEEP (ex art. 18), anche perché entrambe condividono una natura maggiormente privatistica rispetto alla funzione eminentemente pubblica delle convenzioni PEEP ex art. 35 L. n. 865/1971.

Ulteriori precisazioni, anche per meglio comprendere la complessità della questione:

  1. come anticipato, la previsione del vincolo di prezzo massimo per le convenzioni (in proprietà) PEEP e per le convenzioni non PEEP/Bucalossi ha la medesima fonte e dato testuale, in quanto il comma 13 dell’art. 35, sul punto, richiama espressamente l’art. 8 della legge n. 10/1977 (ora art. 18 del DPR 380/2001);
  2. l’art. 8 della legge n. 10/1977 , non prevede espressamente l’ulteriore efficacia del vincolo di prezzo massimo di cessione per le alienazioni successive alla prima (almeno fino al termine di durata della convenzione), dato che la Cassazione lo ha riscontrato per il solo costruttore e non per i successivi acquirenti;
  3. conseguentemente anche l’art. 18 del DPR n. 380/2001, che ha “inglobato” l’art. 8 della legge Bucalossi) e ha il medesimo testo, non dovrebbe prevedere espressamente l’ulteriore efficacia del vincolo di prezzo massimo di cessione per le alienazioni successive alla prima;
  4. la previsione del vincolo di prezzo massimo per le convenzioni (in proprietà) PEEP e per le convenzioni non PEEP ha la medesima fonte e dato testuale, in quanto, come precisato, il comma 13 dell’art. 35, sul punto, richiama espressamente l’art. 8 della legge n. 10/1977 (ora art. 18 del DPR 380/2001): allora, la Cassazione, pur in presenza della medesima fonte regolatrice (art. 8 o 18 come richiamati dall’art. 35), distingue fra “convenzioni PEEP” e “convenzioni Bucalossi” (ossia, convenzioni non PEEP), facendo sussistere solo per le prime, anche per le ragione indicate nella nota 17, in virtù della loro funzione marcatamente pubblicistica, anche alle successive vendite, la permanenza del vincolo di prezzo massimo di cessione.

Tuttavia, il comma 49 ter, non toccato dal recente intervento legislativo (che anzi ne conferma il contenuto nella relazione di accompagnamento dell’emendamento), prevede che tutte le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 18 del DPR sono soggette all’affrancazione del vincolo di prezzo massimo di cessione, di cui al precedente comma 49bis, senza distinguere fra le convenzioni stipulate nel settore dell’edilizia residenziale privata (ossia, convenzioni non PEEP) e le convenzioni stipulate nell’ambito dei piani di zona di cui alla legge n. 167/1962, quale edilizia economica e popolare (ossia, convenzioni PEEP).

A questo punto, è da porsi l’interrogativo su come debba comportarsi l’operatore, e, in particolare, il notaio, a cui sia stato conferito l’incarico di vendere, da proprietario non costruttore, un bene oggetto di convenzione Bucalossi o di convenzione ex art. 18, DPR 380/2001, cd. non PEEP. Precisamente, l’interrogativo è: per dette convenzioni il vincolo di prezzo di prezzo massimo, come obbligazione reale, sussiste anche per i successivi acquirenti, ossia anche per le vendite successive a quella del costruttore?

In primo luogo, e intanto, è da analizzare, prudentemente, il contenuto della convenzione, e se essa disponga espressamente per tali casi. Ove non vi fosse esplicito riferimento, il problema deve essere sintetizzato in questi termini.

Quindi, in secondo luogo, riterrei che:

  • di fronte ad un espresso dato testuale, ripeto “espresso ed esplicito”, il notaio, prudentemente, deve ritenere sussistente il vincolo anche nelle vendite successive alla prima per le convenzioni di cui all’art. 18 DPR n. 380/2001, di cui si fa riferimento nel comma 49ter;
  • tuttavia, osservo che le sentenze della Cassazione che si sono espresse a favore della non sussistenza del vincolo per le vendite successive (n. 13006/2000 e n. 7630/2011) erano antecedenti alla emanazione della legge n. 106/2011 (che ha introdotto il comma 49ter all’art. 31 L. n. 448/1998), mentre la Cassazione del 2015 (SSUU n. 18135) – il cui thema decidendum, ricordo, era la diversa tipologia della convenzione con oggetto il diritto di superficie –, pur ritenendo il contenuto del precedente comma 49bis come elemento dirimente della controversia, autorizza addirittura a supporre (ma è una mia ipotesi semplicistica) un tratto distintivo fra le convenzioni di cui all’art. 8 della L. n. 10/1977 (cd. Bucalossi) e quelle di cui all’art. 18 DPR 380/2001, rientranti nell’ambito del comma 49ter (e, per tal motivo, soggette al vincolo di prezzo massimo di cessione).

Se la Cassazione fosse oggi investita della specifica questione in esame potrebbe:

  1. ribadire il suo orientamento sin qui costante ed univoco, offrendo una lettura correttiva della norma (comma 49ter), motivata e imperniata sulla differenze di natura pubblicistica fra le convenzioni PEEP rispetto a quelle non PEEP (e dell’effettivo destinatario delle concessione a contributo ridotto), anche considerando che il comma 49bis fa riferimento ai vincoli di prezzo massimo contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e non nelle altre convenzioni (non PEEP / Bucalossi); diversamente si avrebbe un comma 49bis che limita il suo ambito applicativo alle sole convenzioni PEEP e un comma 49ter che, invece (e immotivatamente) ampia la sua portata applicativa fino ad includere le convenzioni non PEEP;
  2. modificare il suo orientamento, assumendo come elemento dirimente il dato testuale della norma (comma 49ter), che però assumerebbe così un’efficacia interpretativa innovativa a distanza di oltre un trentennio rispetto alla emanazione della legge n. 10/1977, art. 8, poi richiamato dal comma 13 dell’art. 35 della L. n. 865/1971, come modificato dalla legge n. 662/1996, e ripreso dall’art. 18 del D.P.R. n. 380/2001, ponendo un improvviso arresto all’indirizzo giurisprudenziale, che accoglieva la tesi più liberale, ormai consolidato; tuttavia, in questo caso, rimarrebbe da valutare la sorte delle convenzioni Bucalossi stipulate prima dell’entrate in vigore del D.P.R. n. 380/2001, considerato che esse non sono soggette alla disciplina del comma 49bis, non essendo convenzioni PEEP;
  3. oppure, ritenere soggette a vincolo di prezzo massimo, anche per le cessioni ulteriori alla prima, solo le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. n. 380/2001 (così come testualmente precisato dal comma 49ter), ed escludere, invece, le convenzioni Bucalossi (stipulate ai sensi dell’ormai abrogato articolo 8 della L. n. 10/1977, ai sensi dell’art. 136 del DPR n. 380/2001). Ma, in tal caso, considerato che le convenzioni ex art. 8 della L. n. 10/1977, cd. Bucalossi, e quelle ex art. 18 DPR 380/2001, cd. non PEEP, hanno, come anticipato, la medesima natura, ambito e contenuto, sarebbe assai difficile motivarne la differente disciplina, anche sotto l’aspetto del principio costituzionale di eguaglianza[20].

C) Riflessioni sul diritto di superficie

Dopo oltre tre anni dalla sentenza della Cassazione a SS.UU. n. 18135/2015, vi è tuttavia un altro problema che deve risolvere il legislatore, di assoluta importanza: la liquidazione del diritto di superficie, consentendo la trasformazione in piena proprietà a tutti i cittadini, persone fisiche, che la richiedano, novellando così i commi 45 e 47 dell’art.31 della L. n. 448/1998.

Negli ultimi tre anni, infatti, le abitazioni con oggetto la proprietà superficiaria hanno perso valore commerciale (in misura maggiore rispetto al normale mercato immobiliare) per molteplici ragioni: la presenza di persistenti vincoli soggettivi per gli acquirenti, la presenza del prezzo massimo di cessione, nonché di eventuali conguagli di oneri di urbanizzazione ancora dovuti o di indennità di esproprio ancora in via di definizione (che possono quindi in futuro gravare sull’immobile), e ultimo, ma non ultimo, la caducità della proprietà superficiaria, la quale, una volta cessato il termine (lunghissimo) di 99 anni di efficacia della convenzione, determina o il pagamento di una somma per il suo rinnovo o il passaggio dell’immobile al proprietario del suolo (Comune), senza indennizzo. La recente novella ha posto rimedio alle prime due cause, ma non alle altre, e soprattutto alla questione della trasformazione della proprietà superficiaria in proprietà piena.

Molti degli attuali proprietari superficiari, oltre a far conoscenza con la proprietà superficiaria, istituto desueto (tornato un poco in auge, in materia di parcheggi ai sensi della legge Tognoli) e certamente ignoto ai più, si saranno chiesti le ragioni della scelta legislativa di un tale diritto nella gestione e nella programmazione dei piani di zona ex lege n. 167/1962. Per individuarne le motivazioni, occorre risalire indietro, al clima politico e sociale che portò all’emanazione della legge n. 865/1971, e in particolare dell’art. 35, concernente il regime di gestione delle aree espropriate (che sostituì, ricordo, l’art. 10 della legge n. 167/1962), inserito nell’ambito del titolo III della legge stessa. Proprio questo articolo, il più problematico dell’intera legge, è stato il risultato di un faticoso iter di approvazione, che ha quasi del tutto stravolto l’impostazione originaria.

La norma, presentata originariamente come articolo 26 del progetto di legge n. 3199, prevedeva che tutte le aree espropriate (appartenenti quindi al patrimonio indisponibile) potessero essere date dai Comuni in concessione ad enti pubblici, a cooperative edilizie ed aziende (con almeno cento dipendenti) e a privati, per una durata non inferiore a 20 anni e non superiore a 30 anni, mediante apposita convenzione: tutti gli alloggi costruiti sulle aree dovevano essere destinati alla sola locazione; al termine della concessione, i beni (alloggi e impianti) venivano incamerati dal Comune, previo pagamento di un indennizzo da determinarsi in base al loro valore attualizzato. Su parte di queste aree, per una percentuale non superiore al 10% dell’estensione del piano di zona, i comuni potevano costituire diritti di superficie a tempo indeterminato, in favore di cooperative edilizie, per la costruzione di case economiche e popolari.

Quindi, il disegno di legge prevedeva un controllo pubblico totale sul territorio e sull’edilizia in esso costruita (in radicale antinomia con lo spirito dell’art. 10 della precedente legge n. 162/1967), controllo rigido e totale che, all’epoca, fu giustificato con il fine di evitare “la speculazione e la rendita fondiaria”, con l’accentramento di ingenti possedimenti immobiliari, e la tutela di un bene indispensabile per la sopravvivenza dello sviluppo economico, quale era il territorio, che in Italia risultava particolarmente scarso, considerata la sua situazione orografica. Tale controllo doveva quindi essere garantito con l’istituto della mera concessione amministrativa (di beni pubblici) – senza contestuale concessione di diritti reali –, e, in misura modesta, con il diritto di superficie, seppur a durata indeterminata (e il suolo restava però sempre di proprietà pubblica).

Questa impostazione, all’epoca ritenuta da alcune forze politiche e da parte dell’opinione pubblica fortemente ideologizzata e di natura collettivistica (pubblicizzazione della casa), fu poi sconfessata dalla stessa maggioranza che aveva proposto il disegno di legge e che quindi si divise: il partito di maggioranza relativo, con alcun forze di opposizione, portò ad una diversa e mitigata impostazione “correttiva” della norma (che diventò prima art. 33 e poi, in ultimo, art. 35): secondo questa impostazione, il sistema di politica territoriale configurato dall’originario disegno di legge, avrebbe scoraggiato qualsiasi volontà di investimento, non tenendo conto sia del carattere pluralistico della società italiana e sia, soprattutto – punto particolarmente importante per il dibattito attuale –, della diffusa aspirazione degli italiani a diventare (pieni) proprietari della propria abitazione. Pertanto:

  • si eliminò l’istituto della mera concessione (in gestione) di beni (aree edificabili), sostituito dalla previsione della concessione di un diritto di superficie sulle aree di durata molto più estesa (minimo 60 anni e massimo 99 anni, rinnovabili, ma senza previsioni di indennizzi per gli alloggi, al termine del diritto), di modo che il territorio rimanesse comunque pubblico; le abitazioni ivi costruite potevano, in via eccezionale, se previsto dalla convenzione, essere cedute (naturalmente, col medesimo diritto di proprietà superficiaria); locazioni e cessioni dovevano avvenire a prezzi contenuti, stabiliti dalla convenzione, secondo le prescrizioni di legge;
  • si introdusse la possibilità di cessione in piena proprietà delle abitazioni a cooperative edilizie o a singoli, con particolari requisiti soggettivi e a prezzi determinati dalla legge, in una percentuale compresa fra il 20 e il 40% (in termini volumetrici) delle aree dei piani di zona, con l’obbligo di costruire case economiche e popolari.

Tuttavia, nonostante questi “correttivi”, la formulazione conclusiva della norma era pur sempre il frutto di un tormentato compromesso, che avrebbe determinato, come in effetti è poi accaduto, particolari problemi applicativi, con la duplice organizzazione e gestione del suolo in diritto di superficie e in diritto di proprietà, creando disparità e disuguaglianze fra i proprietari, anche a livello di disciplina degli immobili convenzionati, considerato, fra l’altro, che la cessione di immobili in proprietà superficiaria, da ipotesi eccezionale (solo ove consentita dalla convenzione), diventò ipotesi costante e abituale. Come già all’epoca si rilevò, il lungo periodo di tempo (99 anni) di proprietà superficiaria avrebbe potuto ingenerare la convinzione di avere la proprietà (piena) della casa, risultando attenuata la consapevolezza che nel tempo, col trascorrere dei decenni e dei conseguenti passaggi generazionali, la casa avrebbe inesorabilmente perso valore di mercato, fino a ridursi a zero in prossimità del termine del diritto, alla luce della mancata previsione di un indennizzo (o in presenza di un nuovo corrispettivo di acquisto per il rinnovo della concessione).

Inoltre, essendovi prevista una pianificazione del territorio addirittura “secolare”, almeno per la maggior parte delle aree, in diritto di superficie, trattandosi di concessioni di 99 anni, rinnovabili, si sarebbero condizionate anche le future generazioni, rendendole assoggettate a questa visione di politica territoriale nata in un contesto (e compromesso) politico e sociale ormai risalente, che sarebbe stato sconvolto, poco meno di un ventennio dopo, dalla caduta del Muro di Berlino.

Tutto questo sommario excursus della genesi e dell’iter parlamentare di approvazione dell’articolo 35, è finalizzato esclusivamente a far comprendere come, oggi, l’impostazione alla base della legge n. 865/1971 possa e debba essere rivista alla luce dell’affermazione dell’economia di mercato, della attuale situazione di proprietà diffusa, della nuova situazione territoriale (la città di oggi non è la città di 50 anni fa) e delle nuove esigenze (e condizioni economiche) della popolazione, non rilevandosi rischi di speculazione o di rendita fondiaria, né di accentramento della proprietà immobiliare (che invece è ormai diffusa), consentendo quindi ai cittadini, persone fisiche, di diventare pieni proprietari della loro abitazione, pagando il corrispettivo (equo e misurato) della trasformazione. È quindi auspicabile una riforma organica e coerente della materia, che accorpi anche le norme dell’art. 31 della L. n. 448/1998 e tutte quelle che concernono il settore dell’edilizia convenzionata.

Al momento, intanto, per rimediare in buona parte al terremoto che si è propagato a seguito della sentenza n. 18135/2015, occorre quindi riportare alla “normalità” il valore (di mercato[21]), degli immobili soggetti a convenzioni PEEP, in proprietà superficiaria, in particolare[22], in primo luogo, mediante una facoltà estesa di trasformazione da proprietà superficiaria in proprietà piena, e in secondo luogo, mediante la trasformazione a corrispettivi equi e contenuti, da determinarsi in tempi brevi e con operazioni di calcolo semplificate.


Note

[1] La relazione che accompagna il provvedimento individua con l’espressione “Edilizia residenziale convenzionata” quegli interventi di edilizia residenziale pubblica (ERP) posti in essere previa stipulazione di una convenzione con il Comune con la quale, a fronte di concessioni da parte dell’Amministrazione pubblica (riguardanti l’assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del contributo concessorio), vengono assunti obblighi inerenti all’urbanizzazione delle aree e l’edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi così realizzati. Nell’ambito della “Edilizia residenziale convenzionata”, secondo la relazione, rientrano le seguenti tipologie di convenzioni: la convenzione di attuazione di un Piano di Edilizia Economico Popolare (P.E.E.P.), disciplinata dall’art. 35 della legge n. 865 del 1971 (da me ora in avanti definite come convenzioni PEEP); la convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso di costruire, disciplinata dall’art. 18 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ovvero il T.U. in materia edilizia (da me ora in avanti definite come convenzioni non PEEP, alle quali sono da affiancare le convenzioni Bucalossi, stipulate ai sensi dell’abrogato art. 8 L. n. 10/1977).

[2] La presente analisi rinvia e fa riferimento ai miei precedenti scritti pubblicati su FedernotizieVincolo di prezzo massimo di cessione e convenzioni ex art. 35 L. N. 865/1971 con diritto di piena proprietàpubblicato in data 17 settembre 2017; Convenzioni con diritto di superficie e convenzioni con diritto di proprietà (Note a sentenza Cassazione SS.UU. n. 18135/2015)pubblicato in data 24 gennaio 2018Note di commento alla ordinanza del Tribunale di Roma, X sez. civile, del 17.04.2018, pubblicato in data 23 maggio 2018.

[3] 49-bis. I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del presente articolo. La percentuale di cui al presente comma è stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
49-ter. Le disposizioni di cui al comma 49-bis si applicano anche alle convenzioni di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

[4] Comma 48: «Il corrispettivo delle aree cedute in proprietà è determinato dal comune, su parere del proprio ufficio tecnico, in misura pari al 60 per cento di quello determinato attraverso il valore venale del bene, con la facoltà per il comune di abbattere tale valore fino al 50 per cento, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie, rivalutati sulla base della variazione, accertata dal l’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e quello di stipula dell’atto di cessione delle aree. Comunque il costo dell’area così determinato non può essere maggiore di quello stabilito dal comune per le aree cedute direttamente in diritto di proprietà al momento della trasformazione di cui al comma 47». Come si può rilevare, ai Comuni è riservato un buon margine di discrezionalità, avendo facoltà di abbattere i valori dei corrispettivi fino alla metà.

[5] Il riferimento alla durata residua del vincolo conferma che il vincolo di prezzo massimo ha una durata determinata (e non indefinita), e che essa non può che coincidere con quella prevista per la convenzione (per quelle in proprietà, in base alla leggi in vigore, si prevede un minimo di 20 anni, e un massimo di 30 anni).

[6] Per le convenzioni con oggetto il diritto di superficie, invece, non si rinviene espressamente nullità nel dato testuale (art. 35, co. 8, L. n. 865/1971), ma solo decadenze e risoluzioni per il concessionario. Molte convenzioni, per suddetta violazione, prevedevano/prevedono sanzioni pecuniarie (2-4 volte l’eccedenza di prezzo) a carico del superficiario.

[7] La presente analisi trova conferma nella volontà del legislatore. Sul punto, si rinvia, amplius, all’intervento (Edilizia convenzionata: una nuova proposta ricostruttiva secondo il principio di ragionevolezza) del sen. prof. Ugo Grassi al Convegno L’art. 25 undecies della legge 136/2018, rilievi critici e profili di incostituzionalità – svoltosi a Roma, in data 16 aprile 2019 e organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma –, intervento nel quale sono anche illustrate le ragioni per le quali si è fatto ricorso all’istituto dell’inefficacia, piuttosto che a quello della nullità parziale, essendo l’inefficacia “l’unica via per comporre tutti gli interessi in gioco”, ossia una patologia tale da consentire “il recupero dell’atto laddove l’immobile fosse stato liberato dall’onere del vincolo di prezzo.”

[8] Successivamente alla redazione del presente testo, si è rinvenuto che la mancanza di un termine, entro il quale il debitore deve adempiere all’obbligo di affrancazione, è stata una precisa scelta del legislatore, in quanto il conseguimento dell’affrancazione sarebbe dipeso da una procedura amministrativa di durata variabile in relazione alle circostanze. Sul punto, il sen. prof. Ugo Grassi, nell’intervento al Convegno L’art. 25 undecies della legge 136/2018, rilievi critici e profili di incostituzionalità, cit., ha suggerito che il termine de quo potrà essere convenuto dalle stesse parti o, in mancanza, dal giudice ai sensi dell’art. 1183 c.c. nella prima udienza di comparizione, considerando i tempi necessari per il completamento della pratica presso il Comune competente; decorso il termine senza che il debitore abbia adempiuto all’obbligo di eliminare il vincolo di prezzo massimo di cessione, l’acquirente creditore, in base alla domanda inizialmente proposta, potrà chiedere la risoluzione del contratto, ex art. 1489 c.c., oppure ottenere la condanna al pagamento dell’indebito (eccedenza del prezzo convenuto rispetto a quello vincolato).

[9] Ciò non esclude che le parti possano accordarsi, in via transattiva, prevedendo che il venditore fornisca le somme necessarie alla rimozione del vincolo, al quale poi procederà personalmente il proprietario. Tuttavia, il solo atto di rimozione del vincolo estingue effettivamente la pretesa di rimborso di prezzo eccedente.

[10] Sulla questione si segnalano, recentemente, le iniziative del Comune di Monterotondo (RM) che ha sanzionato, con pene pecuniarie (il triplo della eccedenza di prezzo), i venditori che hanno violato il prezzo massimo, ottenendo sentenze favorevoli presso il Tar del Lazio (sez. II bis, nn. 5256/2018 e 201/2019). Oltre a quanto argomentato nel testo, nutro perplessità sulla giurisdizione del giudice amministrativo in suddetta materia, ossia in ambito della violazione del prezzo massimo di cessione.

[11] Diversamente, si avrebbe il paradosso di consentire la restituzione dell’eccedenza di prezzo a favore di colui che non ha problemi reddituali e/o di abitazione, che magari ha acquistato la casa per mero investimento, e contro colui che ha acquistato la casa possedendo i requisiti soggettivi, sia reddituali che di impossidenza, corrispondendo proprio alla categoria di persone che la legge intendeva favorire con l’edilizia economica e popolare.

[12] «Al di fuori della materia penale (dove il divieto di retroattività della legge è stato elevato a dignità costituzionale dall’art. 25 Cost.), l’emanazione di leggi con efficacia retroattiva [oppure innovative con efficacia retroattiva n.d.r.

[13] Ved. Note di commento alla ordinanza  del Tribunale di Roma, X sez. civile, del 17.04.2018, cit., in particolare sub A);

[14] Una volta dedotta in giudizio, la fattispecie di diritto sostanziale è, in linea di massima, insensibile alle variazioni dello ius positum, salva, tuttavia, una differente determinazione del legislatore (con riferimento, ad es. ai giudizi pendenti). Sul punto, Cass. SS.UU. n. 21691/2016: « …….. la violazione di norme di diritto può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perché dotate di efficacia retroattiva……. è ammissibile un motivo di ricorso basato sulla norma sopravvenuta ed addirittura possibile che la Cassazione applichi tale norma qualora al momento del ricorso essa non era ancora entrata in vigore». Nel diritto processuale si è soliti citare il brocardo tempus regit actum.

[15] A mio parere, non si può  non  rilevare come, almeno a Roma, si sia fatto abuso dello strumento dei piani di zona, in quanto troppe aree della città e troppo immobili sono stati state destinati all’edilizia economica e popolare, anche oltre le effettive necessità.

[16] Sul punto, ved. Vincolo di prezzo massimo di cessione e convenzioni ex art. 35 L. N. 865/1971 con diritto di piena proprietà, cit. sub 2); Convenzioni con diritto di superficie e convenzioni con diritto di proprietà (Note a sentenza Cassazione SS.UU. n. 18135/2015), cit.,  sub. 3a). In tal senso, oltre alla ben nota sentenza della Cassazione n. 26915 del 10.11.2008, si citano nella più recente giurisprudenza amministrativa: TAR. Lombardia Milano, Sez. II, Sent. n. 1464 dell’8 giugno 2011; TAR Piemonte, sez. I, sent. n. 1916 del 28.11.2014 e, da ultimo, Cons. di Stato, sez. IV, sent. n. 1177/2019.

[17] In senso contrario alla Corte del Friuli V.G.,  nella magistratura contabile, più recentemente: Corte dei Conti della Regione Lombardia, parere n. 94/2011,  Corte dei Conti della Regione Toscana, deliberazione n. 274/2013, Corte dei Conti della Regione Campania, parere n. 69/2017.

[18] A detto orientamento, recentemente, ha aderito anche il Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 5300 del 10.09.2018.

[19] Cassazione, SS.UU., sent. 16.09.2015, n. 18135: «Un’ulteriore distinzione deve ravvisarsi tra le convenzioni Legge n. 865 del 1971, ex articolo 35 e quelle Legge 28 gennaio 1977, n. 10, ex articoli 7 e 8 (Norme per la edificabilità dei suoli). Solo per le seconde il titolare di alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non è obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzione-tipo approvata dalla regione, ai sensi della Legge n. 10 del 1977, articolo 7: e questo, perché destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione (od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta convenzione è soltanto il costruttore titolare della concessione.

[20] Le recenti sentenze della Cassazione, a seguito della sentenza SS.UU. n. 18135 (n. 4948/2016; n. 21/2017; n. 28949/2017; 13345/2018), non hanno approfondito il punto, ma si sono limitate a riportare il contenuto delle motivazioni della sentenza n. 18135, oppure il testo di legge (commi 49bis e 49ter), senza fornire ulteriori argomentazioni o cambi consapevoli di orientamento.

[21] Come sopra segnalatole fluttuazioni in ribasso dei valori di mercato, almeno a Roma, sono state determinate dalla tensione sociale, dalle dispute fra venditori e acquirenti, dagli oneri eventuali gravanti in futuro (di urbanizzazione e indennità di esproprio), dalla lentezza della burocrazia, dagli alti valori di determinazione dei corrispettivi di affrancazione e di trasformazione, e, quindi, dalle incertezze relative alla piena disponibilità e alla libera commer-ciabilità di questi beni.

[22] Per tutti gli immobili, anche quelli con oggetto la piena proprietà, occorre altresì dare certezze e indicazioni ai proprietari sulle questione degli oneri di urbanizzazione ancora dovuti e sui conguagli relativi alle indennità di espropriazione, oneri e indennità che avrebbero dovuto gravare interamente sui costruttori e non sui loro aventi causa.

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Edilizia convenzionata “Peep”: spunti di riflessione sulla Legge 136/2018 ultima modifica: 2019-04-17T09:45:03+02:00 da Redazione Federnotizie
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