La recente Sentenza n. 1649 del 23 gennaio 2017 della II sezione della Corte di Cassazione affronta il tema del procedimento di formazione del testamento pubblico, disciplinato dall’art. 603 cod. civ.
Per meglio comprendere il tema giuridico sotteso alla sentenza, andiamo subito a rileggere questa disposizione (sulla quale, forse, non tutti siamo soliti tornare molto spesso).
Dopo aver affermato, al comma 1°, che “il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni”, l’art. 603 delinea l’attività del notaio e, prima ancora, quella del testatore.
Quest’ultimo, ai sensi del comma 2°, “in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà, la quale è ridotta in iscritto a cura del notaio stesso”. Successivamente, il notaio “dà lettura del testamento al testatore in presenza dei testimoni. Di ciascuna di tali formalità è fatta menzione nel testamento”.
Com’è noto a tutti, questa disposizione rappresenta il nucleo fondamentale della disciplina del “cerimoniale” del testamento pubblico. E l’ossequio ad essa è essenziale ai fini della validità dell’atto, come si evince dall’art. 606 cod. civ., il quale sanziona con la nullità la mancanza della “redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore” e la mancanza della “sottoscrizione dell’uno o dell’altro” (comma 1°), e con l’annullabilità “ogni altro difetto di forma” (comma 2°).
Ebbene, la vicenda su cui è intervenuta la Cassazione riguarda una lite tra fratelli, uno dei quali lamenta di essere stato leso nella legittima dal testamento del genitore, favorevole all’altro fratello. Nel tentativo di far cadere il testamento, il fratello leso lo impugna facendo valere diversi vizi, tra cui la violazione dell’art. 603.
In particolare, egli lamenta il fatto che il notaio abbia incontrato il testatore, al fine di raccogliere le sue volontà, in data antecedente a quella del ricevimento del testamento pubblico, per poi procedere, in un momento successivo, alla redazione dell’atto e, in un momento ancora successivo, al ricevimento dello stesso in presenza del testatore e dei testimoni.
Ciò, ad avviso dell’attore, non sarebbe conforme alla legge, dal momento che l’art. 603 cod. civ. vorrebbe che il testamento pubblico si formi in un contesto spazio-temporale unitario, alla costante presenza dei testimoni. In altre parole, tutte le attività previste dalla disposizione – dalla prima dichiarazione di volontà del testatore fino alla sottoscrizione dell’atto – dovrebbero svolgersi in unità di luogo e di tempo, senza soluzione di continuità. Ove ciò non avvenisse, il testamento sarebbe annullabile ai sensi dell’art. 606, comma 2°, cod. civ.
Questa tesi ha avuto poca fortuna in entrambi i gradi di merito. Infatti, tanto il Tribunale di Lodi quanto la Corte d’appello di Milano hanno ritenuto che la condotta del notaio non sia stata tale da inficiare la validità del testamento.
Nessun problema di validità si pone allorché il notaio dia lettura, in presenza del testatore e dei testimoni, dell’atto riportante la volontà che il testatore ha espresso in un momento precedente e che lo stesso testatore ha ripetuto al momento del rogito. E ciò era sicuramente avvenuto nel caso di specie, come testimonia anche la circostanza che l’atto fosse stato completato con alcune postille volute all’ultimo dal testatore.
Il ricorrente, però, ci riprova in Cassazione, censurando la sentenza d’appello per il fatto di aver ritenuto valido il testamento, nonostante che lo stesso notaio avesse ammesso, in sede processuale, che l’atto era stato materialmente redatto in data antecedente a quella del rogito, a seguito della visita dello stesso notaio al domicilio del testatore.
Il Supremo Collegio, nel confermare la soluzione adottata dai giudici del merito, afferma che occorre distinguere “fra operazioni attinenti al ricevimento delle disposizioni testamentarie e quelle relative alla confezione della scheda che, pertanto, possono svolgersi al di fuori di un unico contesto temporale. Ai fini della validità del testamento, qualora la scheda sia stata predisposta dal notaio, condizione necessaria e sufficiente è che egli, prima di dare lettura della scheda stessa, faccia manifestare di nuovo al testatore la sua volontà in presenza dei testi”.
La Cassazione, dunque, avalla la consolidata prassi notarile consistente nel suddividere in tre momenti cronologicamente distinti il procedimento di formazione del testamento pubblico: prima la raccolta della volontà del testatore; poi la redazione dell’atto, con esercizio della funzione notarile di adeguamento; infine, il ricevimento del testamento in presenza del testatore e dei testimoni.
Questa prassi, del resto, appare del tutto legittima alla luce di un’interpretazione non puramente letterale, ma sistematica e logica, dell’art. 603.
Da una tale interpretazione emerge, in primo luogo, che la riduzione in iscritto della volontà del testatore a cura del notaio può avvenire anche in assenza dei testimoni. Infatti, l’art. 603, comma 2°, primo periodo, impone la presenza di questi ultimi solo al momento della dichiarazione della volontà del testatore; mentre, laddove il legislatore ha inteso imporre la “assistenza dei testimoni a tutte le formalità”, lo ha fatto espressamente (art. 605, comma 3°, cod. civ., in tema di verbale di consegna del testamento segreto). Inoltre, com’è stato affermato, la riduzione in iscritto rappresenta “un’attività intellettuale di esclusiva competenza del notaio, rispetto alla quale … nessuna influenza o controllo può spettare ai testimoni, il cui compito è invece quello di verificare, attraverso la successiva lettura, la conformità tra la dichiarazione di volontà del testatore e la sua traduzione documentale” (così Boero, Il testamento, in AA.VV., Diritto delle successioni, a cura di Calvo e Perlingieri, II, Napoli, 2009, 735).
In secondo luogo, la dichiarazione del testatore davanti ai testimoni e la riduzione in iscritto da parte del notaio non devono necessariamente svolgersi l’una nell’immediatezza dell’altra, ossia in un unico contesto di spazio e tempo. Anche qui, la contestualità delle diverse attività, che la legge impone per il testamento segreto (art. 605, ult. comma, secondo periodo), non è richiesta espressamente per il testamento pubblico. Inoltre, si è giustamente osservato che “un certo intervallo temporale può essere utile al notaio, nei casi complessi, per una formulazione tecnicamente più precisa della volontà” (così ancora Boero, Il testamento, cit., 734).
Infine, da una lettura non puramente formalistica dell’art. 603 cod. civ. emerge che la dichiarazione del testatore e la sua riduzione in iscritto non devono neppure svolgersi necessariamente nell’ordine in cui la legge menziona tali attività: in altre parole, la riduzione in iscritto della volontà testamentaria ben può precedere la formale dichiarazione di questa davanti ai testimoni. Ciò perché, come ha riconosciuto un’autorevole dottrina, l’inversione dei due momenti rispetto al loro ordine legale “non incide sulla garanzia della esatta corrispondenza del testo alla volontà del legislatore” (Bianca, Diritto civile. 2. La famiglia. Le successioni4, Milano, 2005, 759, nt. 30).
In senso conforme alla recente sentenza della Cassazione possono citarsi non solo il precedente evocato dalla stessa Corte (Cass., 11 luglio 1975, n. 2742, in Giust. civ., 1975, I, 1615 ss.), ma anche molti altri, di merito e di legittimità, benché più datati (Cass., 28 febbraio 1927, senza num., in Giur. it., 1927, I, 1, 1007 ss.; App. Torino, 16 aprile 1944, in Giur. it., 1944, I, 2, 139 ss.; App. Brescia, 22 giugno 1950, in Rep. Foro it., 1951, voce Testam., n. 60; Cass., 7 dicembre 1971, n. 3552, in Rep. Foro it., 1971, voce Succ. ered., nn. 83 s.), nonché la maggior parte della dottrina (tra le voci più recenti, oltre agli autori già citati, v. Di Fabio, sub art. 603, nel Comm. Gabrielli, Torino, 2010, 335; Tagliaferri, La forma del testamento, nel Tratt. Bonilini, II, Milano, 2009, 1334; Santarcangelo, La forma degli atti notarili3, Roma, 2006, 345).
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In conclusione, merita di essere segnalato un altro passaggio della sentenza in esame, relativo al modo d’indicare gli immobili nel testamento (pubblico).
Com’è noto, la legge notarile (art. 51, comma 2°, n. 6, alinea) stabilisce – peraltro non a pena di nullità – che, “quando l’atto riguarda beni immobili, questi saranno designati, per quanto sia possibile, con l’indicazione della loro natura, del Comune in cui si trovano, dei numeri catastali, delle mappe censuarie, dove esistono, e dei loro confini”.
Ebbene, il legittimario ricorrente, nel suo intento di far “saltare” il testamento, aveva dedotto anche la violazione dell’art. 51 l. not. “non essendo state adottate le prescrizioni stabilite per la redazione degli atti che abbiano ad oggetto beni immobili”: in altre parole, egli lamentava la mancata indicazione nel testamento dei dati catastali dei beni di cui il testatore aveva disposto.
La Corte, naturalmente, boccia anche questo motivo di ricorso, sulla base dell’assunto che “il testamento – olografo o pubblico che sia – non deve necessariamente contenere, a pena di nullità, le indicazioni catastali e di configurazione degli immobili cui si riferisce, essendo invece sufficiente, per la validità dell’atto, che questi siano comunque identificabili senza possibilità di confusioni” (in questo senso si era già espressa Cass., 14 febbraio 1980, n. 1112, in Vita not., 1981, 363 ss.). Ciò che conta, dunque, è soltanto la determinatezza o determinabilità dell’oggetto delle disposizioni di ultima volontà; non è invece necessario, in materia testamentaria, che i beni siano indicati secondo le modalità richieste dalla legge notarile.

AUTORE

Nato a San Daniele del Friuli nel 1985, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Bocconi di Milano e ha conseguito il dottorato di ricerca in Diritto privato presso l’Università degli Studi di Padova. Notaio dal 2014, è attualmente assegnista di ricerca di Diritto privato presso l’Università Bocconi. E’ responsabile scientifico di Federnotizie.