Due questioni in tema di rinuncia a quota di proprietà.

  1. Introduzione

Scopo del presente contributo è quello di analizzare la fattispecie della rinuncia a una quota di proprietà in relazione alla questione fiscale della richiesta delle agevolazioni prima casa e in relazione alla problematica sostanziale della validità ed efficacia degli atti dispositivi di una quota di proprietà di un singolo bene facente parte di una più vasta comunione ereditaria.
2. Rinuncia a quota di proprietà e agevolazioni “prima casa”

In relazione alla prima delle due questioni qui affrontate occorre richiamare la Nota II- bis all’art. 1 Tariffa allegata al Decreto Presidente della Repubblica 26 aprile 1986 n. 131, ai sensi della quale, come noto, ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata dell’imposta di registro per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione occorre, tra le altre condizioni, che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare e di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale, su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni per la prima casa.
Stante quanto sopra ricordato, chi sia comproprietario con il solo coniuge di una abitazione situata nello stesso Comune o sia comunque titolare di una quota di proprietà acquistata con le agevolazioni prima casa su una abitazione nel territorio nazionale, non potrà usufruire delle agevolazioni per l’acquisto di altra abitazione, salvo che cessi di essere titolare della quota di proprietà acquistata precedentemente.
Tale risultato potrà essere conseguito mediante atti dispositivi a titolo gratuito o a titolo oneroso.
Sarà pertanto possibile trasferire la quota di proprietà precedentemente acquistata mediante vendita, permuta o altro contratto oneroso, oppure mediante donazione.
Il trasferimento a titolo oneroso comporterà, tuttavia, la necessità di prevedere un corrispettivo, mentre la donazione comporterà l’insorgere delle note problematiche relative alla circolazione degli immobili di provenienza donativa, stante il disposto degli artt. 561 e 563 codice civile.
Vi è, però, una terza alternativa, diversa sia dal trasferimento a titolo oneroso che dalla donazione.
Il titolare, infatti, potrà dismettere la quota di proprietà precedentemente acquistata anche mediante un atto di rinuncia sorretto da una volontà meramente abdicativa o dalla volontà di liberarsi dell’onere di contribuire alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune (art. 1104 codice civile).
In entrambi questi casi l’atto non sarà sorretto da alcuno spirito di liberalità e il comproprietario rinunciante non porrà in essere alcuna donazione, neanche indiretta.
L’automatico accrescimento delle quote degli altri comproprietari è, infatti, mero riflesso del venire meno del concorrente diritto di proprietà del rinunciante, non conseguenza di una attribuzione a titolo di liberalità (si rinvia per un approfondimento sull’argomento a M. Bellinvia, La rinunzia alla proprietà e ai diritti reali di godimento, Studio n. 216-2014/C, approvato dall’Area Scientifica Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato il 21 marzo 2014, e alla dottrina e giurisprudenza ivi citate).
Non troveranno, allora, applicazione le norme sulle azioni di riduzione e di restituzione relative alle donazioni e, in particolare, non troveranno applicazione i già citati artt. 561 e 563 codice civile, né l’art. 809 codice civile in tema di donazioni indirette.
Da ciò deriva che la rinuncia da parte del comproprietario non determinerà alcun problema di successiva circolazione dell’immobile.
Perduta tramite la rinuncia la titolarità della quota di proprietà precedentemente acquistata, non vi saranno ostacoli alla nuova richiesta di agevolazioni da parte del rinunciante.
In relazione alla correttezza fiscale di tale operazione, pare utile ricordare l’intervenuta modifica dell’artt. 20 Decreto Presidente della Repubblica 26 aprile 1986 n. 131.
A seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 87, Legge 27 dicembre 2017 n. 205 (Legge di bilancio 2018), l’attuale art. 20 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro recita testualmente che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
A seguito della modifica apportata, l’attività interpretativa dell’ufficio della Agenzia delle Entrate, chiamato a valutare il regime fiscale del nuovo acquisto in cui si richiedano le agevolazioni prima casa, dovrà riguardare il singolo atto presentato per la registrazione, sulla base dei soli elementi desumibili dall’atto stesso (in argomento si rinvia all’intervento di Giovanni Rizzi su questa Rivista). L’Agenzia, pertanto, non potrà, al fine di valutare la spettanza delle agevolazioni prima casa in relazione al nuovo acquisto, considerare unitariamente il nuovo atto di acquisto ed il distinto atto di rinuncia alla quota di proprietà.
La Legge di bilancio 2018 ha, tuttavia, modificato anche l’art. 53 bis del Decreto Presidente della Repubblica 26 aprile 1986 n. 131. Tale articolo dispone ora che “fermo restando quanto previsto dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, le attribuzioni e i poteri di cui agli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, possono essere esercitati anche ai fini dell’imposta di registro, nonché delle imposte ipotecaria e catastale previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347” (in argomento si rinvia ancora al sopra indicato intervento di Giovanni Rizzi).
Con la modifica dell’art. 53-bis viene, quindi, resa applicabile anche ai fini dell’imposta di registro la disciplina sostanziale e procedimentale dell’abuso del diritto di cui all’art. 10 bis Legge 27 luglio 2002 n. 212. Al riguardo, si ricorda che il primo comma della norma da ultimo citata così recita: “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.
Il secondo comma della norma da ultimo citata precisa, poi, che per operazioni prive di sostanza economica si considerano i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.
Appare, allora, evidente che la rinuncia alla quota di proprietà non possa essere considerata operazione priva di sostanza economica, posto che la stessa è certamente idonea a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali, quali la perdita della proprietà in capo al rinunciante e l’accrescimento della quota di proprietà in capo agli altri comproprietari.
Il secondo comma della norma da ultimo citata precisa, inoltre, che per vantaggi fiscali indebiti si considerano i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.
Anche sotto questo profilo non pare possibile ricondurre nell’ambito dell’abuso del diritto la rinuncia alla quota di proprietà connessa alla richiesta di agevolazioni prima casa su un nuovo acquisto. La finalità perseguita con le limitazioni normativamente previste per la richiesta di agevolazioni è, infatti, sostanzialmente quella di evitare che una stessa persona possa essere proprietaria contemporaneamente di più abitazioni acquistate con le agevolazioni prima casa, finalità che viene pienamente rispettata nella operazione qui prospettata.
Esclusa la possibilità di configurare un’ipotesi di abuso del diritto, sembra opportuno analizzare la fattispecie sotto tre ulteriori profili, sempre connessi alle agevolazioni per l’acquisto della prima casa.
Il primo profilo riguarda la possibilità che la rinuncia alla quota di proprietà acquistata con le agevolazioni prima casa da meno di cinque anni non seguita dall’acquisto di altra abitazione principale, determini la decadenza dalla agevolazione richiesta in sede di primo acquisto.
Il comma 4 della Nota II- bis all’art. 1 Tariffa allegata al Decreto Presidente della Repubblica 26 aprile 1986 n. 131 dispone, infatti, che in caso di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici fiscali prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa e gli interessi.
La norma da ultimo citata prevede espressamente che causa della decadenza dalle agevolazioni sia il “trasferimento” dell’immobile. Al riguardo occorre precisare che, secondo la tesi prevalente, l’atto di rinuncia non ha alcun effetto traslativo e, pertanto, nel caso di rinuncia alla quota di proprietà non può parlarsi di “trasferimento”. L’effetto di accrescimento delle quote degli altri comproprietari non deriva, infatti, da un trasferimento, ma, come già sopra precisato, è effetto indiretto del venire meno del concorrente diritto del rinunciante.
Sembrerebbe, allora, potersi ritenere che il rinunciante non decada dalle agevolazioni prima casa anche nel caso in cui la rinuncia sia perfezionata prima del decorso dei cinque anni dall’acquisto e non sia seguita da un riacquisto agevolato entro l’anno.
Occorre, tuttavia, considerare che l’articolo 1 della tariffa, parte I, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro equipara, ai fini fiscali, la rinuncia pura e semplice agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento.
Pare, allora, concreto il rischio che una rinuncia infraquinquennale, non seguita da riacquisto, possa essere ritenuta dalla Agenzia delle Entrate causa di decadenza dalle agevolazioni.
Il secondo profilo riguarda, invece, la disciplina del credito di imposta.
L’art. 7 Legge 23 dicembre 1998 n. 448, come noto, dispone che colui che provvede ad acquisire, a qualsiasi titolo, entro un anno dall’alienazione dell’immobile per il quale si è fruito dell’aliquota agevolata prevista ai fini dell’imposta di registro e dell’imposta sul valore aggiunto per la prima casa, un’altra casa di abitazione non di lusso, in presenza delle condizioni di cui alla nota II-bis all’articolo 1 della tariffa, parte I, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, è attribuito un credito d’imposta fino a concorrenza dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposta in relazione al precedente acquisto agevolato.
Presupposto per poter godere del credito di imposta è, allora, quello della “alienazione” della precedente abitazione.
Ci si può al riguardo domandare se la rinuncia rientri nel concetto di alienazione e, pertanto, se al rinunciante competa il credito di imposta in sede di nuovo acquisto.
Sembra potersi ritenere che il concetto di “alienazione” abbia un ambito semantico più ampio rispetto al sopra esaminato concetto di “trasferimento” e, pertanto, che sia tale da poter ricomprendere tutti gli atti che abbiano quale effetto la dismissione di un diritto da parte del suo titolare e, quindi, anche l’atto di rinuncia.
Se così è, il rinunciante, in occasione del nuovo acquisto agevolato che sia perfezionato non oltre un anno dalla rinuncia, potrà godere del credito di imposta.
Il terzo profilo è relativo alla modifica introdotta dall’articolo 1, comma 55, Legge 28 dicembre 2015 n. 208, in forza della quale l’aliquota agevolata si applica anche agli atti di acquisto per i quali l’acquirente è già titolare di altra abitazione acquistata con le agevolazioni prima casa, a condizione che quest’ultima abitazione sia alienata entro un anno dalla data del nuovo acquisto. Anche in questo caso il termine utilizzato dal legislatore è quello di “alienazione” e non di “trasferimento”. Sembra, allora, potersi ritenere, per i motivi sopra indicati, che anche la rinuncia alla quota di proprietà precedentemente acquistata con le agevolazioni e perfezionata entro dodici mesi dal nuovo acquisto agevolato impedisca la decadenza.
Quale considerazione di carattere sostanziale, sembra, infine, doversi indicare che, nel caso in cui l’immobile sia di proprietà di due sole persone tra loro coniugate in regime di comunione legale dei beni, l’atto di rinuncia debba essere preceduto dal perfezionamento di una convenzione matrimoniale con cui i coniugi adottino il regime patrimoniale della separazione dei beni. Così operando non si avranno dubbi sulla possibilità che la rinuncia sia perfezionata da uno solo dei coniugi e, per effetto della rinuncia, si produrrà l’accrescimento a favore del solo coniuge non rinunciante che, pertanto, diverrà proprietario esclusivo del bene.

3. Rinuncia a quota di proprietà di singolo bene ereditario

In relazione alla seconda delle due questioni affrontate nel presente contributo occorre richiamare il noto l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’atto traslativo a titolo oneroso avente ad oggetto una quota di proprietà di un singolo bene facente parte di una eredità non potrebbe avere efficacia immediata, in quanto sarebbe sottoposto necessariamente alla condizione sospensiva della assegnazione in sede di divisione di quel bene al coerede trasferente (Cassazione, ordinanza 23 febbraio 2018 n. 4428; Cassazione civile sez. II 23 aprile 2013 n. 9801; Cassazione civile sez. III 01 luglio 2002 n. 9543; Cassazione civile sez. II 29 novembre 1996 n. 10629).
E’ poi nota la giurisprudenza in materia di donazione di quota di proprietà di un singolo bene ereditario, giurisprudenza che, per i medesimi motivi sopra indicati, sanziona di nullità tale donazione per contrarietà agli artt. 769 e 771 codice civile che vietano la donazione di beni futuri (Cassazione civile sez. un. 15 marzo 2016 n. 5068).
Ci si può, allora, domandare se anche la rinuncia da parte di un coerede alla quota di proprietà di un singolo bene ereditario possa correre il rischio, alla luce della richiamata giurisprudenza, di essere ritenuta inefficace o, addirittura, nulla.
Sembra doversi certamente escludere la possibilità che tale atto possa essere considerato nullo posto che la mera rinuncia abdicativa, e ancor di più la rinuncia liberatoria, ha natura meramente dismissiva, e non attributiva a titolo di liberalità, dei diritti che ne formano oggetto.
Occorre, poi, rilevare che l’art. 809 codice civile estende alle donazioni indirette le sole norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli e quelle relative alla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari, mentre non contiene alcun riferimento al divieto di donazione di cosa futura o altrui. Anche nel caso in cui la rinuncia dovesse essere erroneamente qualificata quale donazione indiretta, non potrebbe, allora, considerarsi nulla per violazione dell’art. 771 codice civile (in senso parzialmente diverso C. De Lorenzo, Divieto di donazione di beni futuri e donazioni indirette, Studio n. 293-2012/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato del 20 luglio 2012).
Anche in relazione alla presunta inefficacia dell’atto fino alla assegnazione del bene al coerede disponente in sede di divisione, sembra doversi giungere, per la rinuncia, a conclusioni opposte rispetto a quelle fatte proprie dalla giurisprudenza in materia di trasferimenti a titolo oneroso.
Trasferimento e rinuncia divergono, infatti, sotto molteplici aspetti.
Il trasferimento dovrebbe, nelle intenzioni del disponente, determinare un immediato effetto traslativo a favore di altro soggetto. Tale immediatezza di effetti è impedita, secondo l’orientamento giurisprudenziale richiamato, dalla incertezza relativa alla effettiva assegnazione del bene al coerede trasferente in sede di divisione ereditaria.
In altre parole, gli orientamenti giurisprudenziali sopra indicati trovano la loro giustificazione nella considerazione che un atto traslativo avente ad oggetto la quota di proprietà di un singolo bene ereditario potrebbe contrastare con il contenuto di una successiva divisione ereditaria mediante la quale quel singolo bene venga assegnato a un coerede diverso dal trasferente. Se il bene fosse assegnato ad altro coerede sorgerebbe, infatti, un contrasto tra coerede assegnatario e terzo avente causa dal coerede trasferente non assegnatario. Da qui la necessaria efficacia condizionata del trasferimento.
Nel caso di rinuncia alla quota di proprietà di un singolo bene ereditario non accade nulla di tutto questo.
La rinuncia determina, infatti, la perdita immediata di ogni diritto del coerede rinunciante sul singolo bene, senza che tale diritto sia trasferito ad altro soggetto.
Non vi è alcun rischio di incompatibilità con una successiva divisione, posto che la rinuncia non presuppone la assegnazione di quel bene al rinunciante in sede di divisione, ma, al contrario, impedisce una tale assegnazione.
Non vi sono, in questo caso, soggetti acquirenti della quota di proprietà del singolo bene che possano essere pregiudicati dalla mancata assegnazione in sede di divisione della stessa quota al loro dante causa. Sono, infatti, gli altri coeredi non rinuncianti a subentrare, sia pure in via indiretta e per effetto dell’accrescimento delle loro quote, nella quota del coerede rinunciante.
Gli altri coeredi non vengono, pertanto, pregiudicati in alcun modo dalla immediata efficacia dell’atto di rinuncia.
La rinuncia ha, allora, un effetto sostanzialmente divisorio, sia pure oggettivamente parziale.
La rinuncia alla quota di proprietà sembra, in questo caso, rientrare tra gli atti, previsti dall’art. 764 codice civile, che hanno l’effetto di far cessare la comunione dei beni ereditari, con la sola precisazione che, nel caso in esame, la comunione cesserà o si concentrerà in capo ai coeredi non rinuncianti solo relativamente ad un singolo bene. Nel caso in cui vi siano due soli eredi, il coerede non rinunciante diventerà esclusivo proprietario del bene, mentre, se gli eredi sono più di due, la proprietà del bene oggetto di rinuncia spetterà in comunione a tutti i coeredi non rinuncianti.
Occorre, tuttavia, precisare che il richiamo all’art. 764 codice civile non consente, evidentemente, al coerede rinunciante di agire in rescissione, posto che la lesione che questi subisce per effetto della rinuncia è da lui voluta e perseguita.
In altre parole, quale conseguenza della rinuncia, quel singolo bene resterà definitivamente ed immediatamente assegnato in proprietà esclusiva al coerede non rinunciante, oppure in comproprietà ai coeredi non rinuncianti che vedranno accrescersi proporzionalmente le loro quote.
Sugli altri beni ereditari, invece, i coeredi, compreso il rinunciante, manterranno invariati i loro diritti, senza che il coerede rinunciante possa, per il solo fatto di aver rinunciato alla sua quota di proprietà di un singolo bene, pretendere di essere compensato con maggiori attribuzioni sugli altri beni.
La rinuncia ha, infatti, determinato in via definitiva l’impoverimento del rinunciante per un valore corrispondente al valore della quota di proprietà del singolo bene oggetto di rinuncia.
Per quanto sopra indicato deve, allora, ritenersi che la rinuncia alla quota di proprietà di un singolo bene ereditario abbia ad oggetto un diritto attuale, e non futuro, del rinunciante.
Stante l’effetto sostanzialmente dismissivo, latamente divisorio e non traslativo dell’atto di rinuncia, non vi è, allora, motivo di ritenere che l’atto abbia una efficacia condizionata.
Se si condivide quanto sopra esposto, deve allora ritenersi che l’atto di rinuncia alla quota di proprietà su un singolo bene ereditario non solo è perfettamente valido, ma anche immediatamente efficace.

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Due questioni in tema di rinuncia a quota di proprietà. ultima modifica: 2018-06-05T10:11:56+02:00 da Michele Laffranchi
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