Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT): opinioni a confronto

L’entrata in vigore della legge n. 219 del 2017 pone fine ad una parte del dibattito sul Biotestamento (o Testamento biologico) ma restano evidentemente aperti una serie di temi di natura etica, culturale, politica, giuridica e operativa su cui non mancherà (ed è un bene che sia così) il necessario confronto tra i vari protagonisti della materia. Dopo avere pubblicato, ancor prima dell’approvazione in parlamento della legge, opinioni diverse sulle D.A.T. (favorevole e contraria) e alcune prime indicazioni operative , diamo spazio ad un nuovo confronto di idee:

Disposizioni anticipate di trattamento: le opinioni dei notai Carmelo di Marco e Michele Laffranchi

Le DAT, il notaio e l’applicazione di coscienza

E’ importante che i notai analizzino l’intero testo della legge n. 219 del 2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018. Essa infatti non tratta solo delle Disposizioni Anticipate di Trattamento ma anche, in primo luogo, del “consenso informato”:da un lato, per disciplinarlo con riferimento alle ipotesi in cui la somministrazione di una terapia o di un trattamento sanitario o l’esecuzione di un esame siano attuali; dall’altro, per farne – come appare evidente in più passaggi del testo normativo – il principio essenziale in base al quale interpretare la disciplina degli altri istituti coinvolti. Le DAT sono uno di questi istituti.

La persona che sta per essere curata o per sottoporsi ad un esame affronta una vicenda certa nel “se” e nel “quando”: il suo consenso (o l’eventuale dissenso) è quindi preceduto da informazioni la cui chiarezza ed esaustività si misurano in relazione a diagnosi già formulate, a condizioni cliniche già verificate, a conoscenze scientifiche già acquisite. E’ un consenso successivo a tutto questo, espresso nell’imminenza del trattamento.

Al contrario, il consenso o il dissenso della persona che esprime Disposizioni Anticipate di Trattamento è riferito ad ipotesi che sono totalmente incerte nel “se” e nel “quando”, e che si accompagnano alla prospettata mancanza della capacità di autodeterminazione nel momento del loro avverarsi.

C’è un requisito che accomuna il consenso “successivo” della prima ipotesi e il consenso “anticipato” della seconda: deve comunque trattarsi di consenso “informato”.Anche chi esprime le sue DAT deve essere informato sui benefici e sui rischi delle analisi e delle cure che prende in considerazione, sulle possibili alternative e sulle conseguenze dell’eventuale rifiuto.

Dall’acquisizione delle informazioni su cui si basa il consenso deriva la volontà di esprimere le DAT che il notaio è tenuto ad indagare ai sensi dell’articolo 47 della legge notarile, il che pone un problema molto delicato: la mancanza delle conoscenze e delle competenze del medico ostacola (o addirittura impedisce) la corretta attività di indagine da parte del notaio della volontà della persona che gli chiede di ricevere o di autenticare le sue DAT?

Ora che la legge è entrata in vigore, prevedendo espressamente l’atto pubblico e la scrittura privata autenticata tra le forme ammesse per le DAT, la questione non può essere elusa né discussa in astratto ma deve essere affrontata e risolta sul piano operativo, in considerazione dell’obbligo del notaio – sancito dall’articolo 27 della legge notarile – di prestare la sua attività a chiunque gli richieda di ricevere o autenticare un atto conforme alla legge.

Ritengo che il notaio non possa in alcun caso rifiutarsi di ricevere o di autenticare le DAT in base ad una propria obiezione di coscienza discendente dall’incapacità di valutare se le informazioni fornite dal medico al disponente siano state effettivamente chiare e complete. Penso al contrario che il notaio debba comportarsi secondo coscienza nel ricevere o autenticare DAT rispondenti al dettato e alla ratio della legge, e quindi debba verificare che la volontà del disponente trovi fondamento in un consenso o in un dissenso informato; ma che debba anche tenere presente (e non pretendere di valicare) il confine tra la propria competenza professionale e quella del medico.

Così il notaio non potrà prestare la sua opera a favore della persona che gli si rivolga dichiarando di non avere assunto alcuna informazione presso il proprio medico. In caso contrario, il notaio sarà tenuto ad eseguire la prestazione richiesta, ma non dovrà accontentarsi di recepire la notizia dell’avvenuta interlocuzione tra il dichiarante e il medico come un semplice dato formale, né di darne conto nell’atto con una semplice “clausola di stile”.

Non parliamo, è bene ricordarlo, di dichiarazioni di contenuto patrimoniale: la persona che sceglierà di esprimere le sue DAT – e di farlo con l’ausilio di un notaio essendo ammessa una semplice scrittura privata depositata presso il Comune o l’azienda sanitaria – arriverà al momento della dichiarazione all’esito di un percorso di formazione della sua volontà serio e approfondito (e sofferto, in molti casi) o sarà disponibile ad approfondirlo ulteriormente.

Questo consente, e impone al tempo stesso, al notaio di dare corso ad un’attività istruttoria, e poi redazionale, che valorizzi e documenti i contenuti e gli esiti di quel percorso. In concreto, oltre ad inserire nell’atto la menzione del nome del medico consultato, il notaio farà bene ad indagare la volontà del dichiarante con riferimento al perimetro delle patologie prese in considerazione nella relazione con il medico; alla definizione dettagliata dei trattamenti, delle terapie e delle analisi rispetto ai quali sia stato maturato il consenso o il dissenso; alla fissazione o meno di un termine di efficacia delle disposizioni e – nel caso in cui ne sia fissato uno – alla scelta tra la necessità di una nuova espressione di volontà e la proroga tacita del termine stabilito in assenza di diversa dichiarazione.

Potrà essere di grande aiuto la partecipazione all’atto del soggetto eventualmente designato quale fiduciario: l’individuazione di quest’ultimo si fonda infatti sulla piena sintonia di pensiero e di convincimento con il disponente, che difficilmente può esservi in assenza di un serio percorso di acquisizione delle informazioni che li abbia coinvolti entrambi.

Sul piano pratico, un aiuto potrà derivare dalla prassi medica: l’articolo 1, comma 4, della legge 219/2017 disciplina la redazione per iscritto e la conservazione dei documenti da cui risulta il consenso informato. La medesima disciplina dovrebbe trovare applicazione per le informazioni poste alla base delle DAT, se si legge la disposizione in combinazione con l’articolo 38 del Codice di Deontologia dei medici. Adottato nel 2014, prescrive al medico di “tener conto” delle DAT del paziente (indicazione oggi superata dalla nuova legge, che vincola il medico al loro rispetto, salvi i casi indicati dall’articolo 4, comma 5) “successive ad una informazione medica di cui resta traccia documentale”. Il notaio potrà quindi consultare, con il consenso della persona che gli si rivolge per esprimere le DAT, i documenti da cui risulti l’avvenuta acquisizione delle informazioni.

Il notaio dovrà invece evitare che la propria coscienza lo influenzi nel giudicare sufficiente o insufficiente (secondo il proprio metro di valutazione) il livello di informazione raggiunto dal dichiarante nella relazione con il medico e dovrà impedire che questo giudizio orienti la scelta se ricevere o meno l’atto. Diversamente, il notaio – in modo paradossale, se l’assunto di partenza è di non possedere le conoscenze e le competenze del medico – finirebbe per sovrapporre la propria relazione con il dichiarante a quella tra quest’ultimo e il medico. E dedicherebbe la propria attività di indagine alla “volontà terapeutica” del dichiarante anziché alla sua “volontà dispositiva”, che è invece la sola di sua competenza.

Carmelo Di Marco

Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), autonomia professionale e convinzioni etiche

L’entrata in vigore della Legge 22 dicembre 2017 n. 219 in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) determina la necessità di aggiornare la riflessione sia sul ruolo della autonomia professionale, che sulla rilevanza delle convinzioni etiche del medico e, limitatamente all’ambito in cui ne è previsto l’intervento, anche del notaio.

L’articolo 4 della Legge introduce nel nostro ordinamento le DAT prevedendo che una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.

La Legge prevede, poi, che il medico è tenuto al rispetto delle DAT e può disattenderle solo in accordo con il fiduciario, se nominato, e solo qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

Il comma 6 dell’articolo 1 prevede, comunque, che il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali.

La Legge detta, quindi, una nuova regolamentazione del rapporto tra volontà pregressa del disponente, poi divenuto incapace, e autonomia professionale del medico chiamato ad intervenire, dando prevalenza alla prima, ancorché manifestata in epoca anteriore all’insorgere della concreta esigenza di cura, rispetto alla seconda.

La caratteristica principale delle DAT, come regolate dalla nuova legge, è, infatti, quella della loro futura vincolatività per il medico curante.

L’innovazione normativa è rilevante in quanto l’attuale articolo 38 del Codice di Deontologia Medica dispone solo che il medico, qualora il malato versi in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà cognitive o valutative che impediscono l’espressione di volontà attuali, è obbligato a tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non si desidera vengano attuati qualora siano espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale.

E’ allora evidente che l’ambito per l’esercizio della autonomia professionale del medico chiamato ad intervenire risulta ridimensionato in quanto, da un obbligo di tenere conto di una volontà pregressa, si passa a un obbligo di dare esecuzione, salvo casi eccezionali, a detta volontà.

Nel limitare l’ambito di autonomia professionale del medico la legge italiana risulta più rigorosa anche rispetto a quanto previsto in normative internazionali.

Basti ricordare che anche l’articolo 9 della Convenzione Consiglio d’Europa per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, prevede solo che i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, devono essere tenuti in considerazione . Il concetto é chiarito ulteriormente all’articolo 62 del Rapporto esplicativo della medesima Convenzione ove si dice che se una persona ha precedentemente espresso dei desideri, questi devono essere presi in considerazione, ma che l’obbligo di prenderli in considerazione non significa che debbano necessariamente essere seguiti.

Nella nuova legge é, inoltre, assente ogni riferimento alla facoltà di obiezione di coscienza per il medico che dissenta rispetto a quanto contenuto nelle DAT non sotto il profilo delle proprie convinzioni professionali, ma sotto il diverso profilo delle proprie convinzioni etiche.

Tale scelta legislativa è stata criticata dall’Istituto Superiore di Sanità – Unità di Bioetica nel Parere rilasciato dal suo Presidente nell’ambito della audizione in Commissione Igiene e Sanità del Senato nella Seduta n. 455 del 1 giugno 2017 nel quale si dice che “l’obiezione di coscienza, che non è prevista nella formulazione attuale del testo, non è disattendere, con superficialità, le volontà espresse dal paziente, alle quali ogni professionista sanitario deve attribuire la massima considerazione: è, invece, la facoltà di astenersi da atti contrari alla propria coscienza. Tale facoltà non può essere negata al medico: l’obiezione di coscienza è costituzionalmente fondata”.

Il medico non è, però, l’unico professionista coinvolto dalla nuova normativa.

Il comma 6 dell’articolo 4 della Legge prevede, infatti, che le DAT debbano essere redatte secondo certe formalità, tra le quali rientrano l’atto pubblico e la scrittura privata autenticata.

Sotto questo profilo viene allora in considerazione anche il ruolo del notaio.

Occorre pertanto valutare, anche con riferimento al ruolo del notaio e non solo con riferimento al ruolo del medico, quali siano le regole che disciplinano il suo intervento sia sotto il profilo della sua attività professionale, sia sotto il diverso profilo della eventuale rilevanza dei sui convincimenti etici.

Sotto il primo profilo, occorre evidenziare che la redazione delle disposizioni anticipate di trattamento richiede necessariamente competenze di carattere medico, mai prima d’ora così coinvolte nell’esercizio dell’attività notarile.

Basti pensare che l’articolo 4 della Legge, già sopra riportato, prevede che il disponente possa perfezionare le DAT solo dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte.

E’ del tutto evidente, allora, che ci troviamo su un piano totalmente differente rispetto a quello giuridico con cui il notaio ha dimestichezza e sul quale è impostato il suo percorso formativo di studi.

La necessità di ricorrere a competenze mediche cambia radicalmente il ruolo che il notaio svolge nella redazione delle disposizioni anticipate di trattamento rispetto a quello che svolge nella redazione di un qualsiasi altro atto notarile.

Ci si riferisce in particolare a quella che viene generalmente definita funzione di adeguamento: vale a dire la funzione di correttamente interpretare la volontà delle parti e di trasformare la stessa in un idoneo strumento giuridico che sia in grado di far raggiungere alle parti il loro obiettivo.

Tale funzione è sancita dall’articolo 47 della Legge Notarile ai sensi del quale il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto.

Rientra tipicamente in questa funzione il dovere per il notaio di illustrare alle parti le conseguenze delle scelte che vengono formalizzate nell’atto.

Nell’ambito delle DAT, tuttavia, questo ruolo non può essere svolto solamente dal notaio che non ha le competenze sufficienti per decifrare con precisione la volontà espressa dal disponente, né per illustrare compiutamente le conseguenze mediche che le differenti disposizioni anticipate di trattamento possono determinare. Sembra, allora, inevitabile che nell’ambito delle DAT la funzione di adeguamento sia svolta dal notaio congiuntamente ad un medico.

L’intervento del notaio avrà allora utilità prevalentemente con riferimento alla seconda delle sue funzioni, vale a dire quella di certificazione. Il notaio potrà attestare con efficacia di piena prova legale l’identità del disponente e le circostanze di tempo e di luogo in cui le disposizioni sono state rese, nonché le modalità con cui sono state acquisite dal disponente le informazioni mediche.

Da quanto sopra indicato, discende anche la necessità di rideterminare, in relazione a questa nuova tipologia di atti, i corretti criteri applicativi delle norme deontologiche. Ci si riferisce, in particolare, all’articolo 37 dei Principi di deontologia professionale dei notai, ai sensi del quale compete in ogni caso al notaio il compito di svolgere di persona, in modo effettivo e sostanziale, tutti i comportamenti necessari per l’indagine sulla volontà delle parti, da svolgere, in modo approfondito e completo, mediante proposizione di domande e scambio di informazioni intese a ricercare anche i motivi e le possibili modificazioni della determinazione volitiva come prospettatagli. Nell’ambito delle DAT, non sembra che tali attività possano essere svolte dal notaio senza l’ausilio di uno o più medici. Si potrebbe allora valutare l’opportunità di approvare norme deontologiche che diano orientamenti di massima in materia al fine indicare una corretta suddivisione dei reciproci ruoli tra notaio e medico nell’ambito della comune attività di adeguamento della volontà del disponente.

Sotto il secondo profilo della eventuale rilevanza dei convincimenti etici del notaio, ci si può domandare se, anche con riferimento alle DAT, debba trovare applicazione l’art. 27 della Legge Notarile ai sensi del quale, come noto, il notaio è obbligato a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto.

La risposta a questa domanda non sembra, ancora una volta, poter prescindere dalla considerazione che le DAT sono atti qualitativamente diversi rispetto a tutti gli altri atti che la legge ha sino ad ora affidato alla competenza del notaio.

Nell’ambito della redazione delle disposizioni anticipate di trattamento, infatti, vengono inevitabilmente in considerazione aspetti mai prima d’ora coinvolti nell’esercizio dell’attività notarile. Il processo decisionale che si riferisce al trattamento medico, in particolare nelle situazioni di fine vita, solleva, infatti, questioni che riguardano i principi etici.

Né la questione etica può essere semplicisticamente elusa sulla base della considerazione che la concreta attuazione delle disposizioni anticipate di trattamento non sarà affidata al notaio.

Mi sembra, allora, che un tale nuovo ambito di competenza possa risultare non adeguatamente disciplinato da una norma risalente a un’epoca in cui l’intervento notarile era limitato alla regolamentazione di vicende aventi prevalentemente, se non esclusivamente, contenuto patrimoniale.

Sembra, quindi, potersi ritenere che anche per il notaio possa valere quanto affermato dall’Istituto Superiore di Sanità – Unità di Bioetica nel sopra citato Parere e che, pertanto, anche il notaio possa, in questo ambito, rivendicare il riconoscimento da parte del legislatore della facoltà di astensione dettata da motivi etici.

In conclusione, e per riassumere, occorre rilevare che la normativa sulle DAT solleva questioni inedite per i notai e, probabilmente, richiede l’adeguamento di alcune regole che ne disciplinano l’attività.

Non si può, allora, rinunciare a discutere e a confrontarsi all’interno del notariato, come d’altra parte avviene negli ambienti politici, filosofici e medici, sui temi anche etici che la nuova legge solleva, senza pensare che, per il solo fatto di essere pubblici ufficiali, occorra recepire ogni modifica legislativa senza esercitare spirito critico.

Michele Laffranchi

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Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT): opinioni a confronto ultima modifica: 2018-02-19T14:44:55+01:00 da Redazione Federnotizie
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