Dalla nullità all’inefficacia parziale delle vendite di immobili di edilizia residenziale pubblica a prezzo eccedente quello massimo: un’ipotesi applicativa

1. Dalla nullità all’inefficacia parziale delle vendite di immobili di edilizia residenziale pubblica a prezzo superiore a quello massimo di cessione

di Massimo Saraceno

La degradazione da nullità a inefficacia, in entrambi i casi parziale[1], della sanzione per la violazione dei limiti costituiti dal prezzo massimo di cessione degli immobili interessati dalle convenzioni ex art.35 della legge 22 ottobre 1971 n.865 ad opera dell’art.25 undecies del D.L. 23 ottobre 2018 n.119, convertito nella legge 17 dicembre 2018 n.136, che ha modificato il comma 49 bis e introdotto il comma 49 quater nell’art.31 della legge 23 dicembre 1998 n.448, induce più d’una riflessione, sia di ordine sistematico che pratico-applicativo, sugli spazi che la novella ha dischiuso all’autonomia negoziale nella stipula degli atti di compravendita aventi ad oggetto gli immobili suddetti per i quali non sia stato intrapreso o non sia completato l’iter per l’affrancazione.

La ricostruzione del “nuovo” statuto normativo della circolazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica convenzionata avrà, d’ora in avanti, anche il pregio della stabilità (salvi successivi interventi riformatori) alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.210 del 23 settembre 2021 che, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale del suddetto art. 25 undecies del D.L. 119/2018 e dell’art.31 commi 49 bis, 49 ter e 49 quater  della legge 23 dicembre 1998 n.448 in riferimento agli artt.3, 24, 42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, ha confermato la plausibilità della scelta legislativa di qualificare in termini di inefficacia parziale, e non più di nullità parziale, la patologia negoziale dalla quale sono affetti gli atti di vendita a prezzo superiore a quello massimo di cessione.

E’ vero che il percorso argomentativo della Corte delle leggi, e il suo decisum, sono maggiormente incentrati sull’affermazione dell’inconsistenza dei dubbi di legittimità costituzionale del nuovo impianto normativo in ordine all’applicazione retroattiva del meccanismo di rimozione dei limiti di prezzo massimo anche per gli immobili oggetto di contrattazione anteriore all’entrata in vigore del D.L. 119/2018[2], ma è indubbio che il punto di partenza logico – peraltro non contestato da nessuna delle parti del giudizio – sia stato quello di legittimare il nuovo rimedio, che è indice della precisa scelta di politica legislativa di sanzionare con minor rigore, pur nella rilevanza pubblicistica degli interessi sottesi alla novellata disciplina, la violazione dei limiti del prezzo massimo di cessione.

La ratio giustificatrice della modifica normativa è stata, evidentemente, quella di individuare una patologia negoziale che permettesse il recupero dell’atto laddove l’immobile fosse liberato dall’onere del vincolo di prezzo[3], pur nella consapevolezza che la colorazione pubblica dell’interesse protetto non poteva condurre all’affermazione di una indiscriminata disponibilità dei diritti circolatori sugli immobili gravati dal detto onere.

Le opzioni ricostruttive, alternative all’inefficacia, astrattamente ipotizzabili avrebbero potuto spaziare dalla nullità relativa all’annullabilità fino all’esperibilità delle cc.dd. azioni edilizie, a loro volta graduabili, quanto all’entità, dalla riduzione del prezzo fino alla risoluzione del contratto.

L’esigenza di coniugare l’interesse pubblico consistente nell’esigenza di evitare intenti speculativi nella commercializzazione di immobili costruiti in regime di edilizia pubblica convenzionata con quello di affermare la “limitata” diponibilità dell’interesse circolatorio dei medesimi immobili subordinando la piena esplicazione dell’autonomia negoziale nella determinazione del prezzo di cessione alla previa affrancazione dal vincolo del prezzo massimo di cessione ha, in limine, sgombrato il campo da quei possibili rimedi che avrebbero determinato, nelle more della caducazione dei vincoli, l’efficacia, sia pur claudicante, del contratto di vendita, rimettendo alla successiva iniziativa dell’acquirente il compito di far valere l’interesse protetto.

Così sarebbe stato se il contratto di vendita fosse stato considerato affetto, nelle more dell’affrancazione, dalla sanzione dell’annullabilità o, ancor più, ove fosse stata rimessa all’iniziativa di parte l’esperibilità del rimedio della risoluzione del contratto o della mera riduzione del corrispettivo.

Neanche il rimedio della nullità relativa, attivabile – in deroga all’art.1421 c.c. – solo da una delle parti (nel caso di specie la parte acquirente), avrebbe realizzato appieno le  finalità pubblicistiche poste a fondamento della normativa vincolistica in quanto la sanzione non è qui posta a tutela della classe di interessi di cui dovrebbe essere portatore il titolare della legittimazione a far valere la nullità, ma di un interesse generale, quello di evitare la speculazione privata nella commercializzazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica convenzionata[4].

L’incidenza dell’apparato sanzionatorio messo a punto dal legislatore della novella esclusivamente sul piano dell’efficacia del contratto concluso in violazione dei limiti di prezzo denota una precisa scelta d’ordine sistematico.

L’inefficacia, che può dipendere anche dall’inesistenza o dalla invalidità del contratto, indici questi ultimi di un vizio strutturale e genetico, assume in talune circostanze (e quella in esame è una di queste) un rilievo autonomo, che ha indotto la civilistica tradizionale[5] a schematizzare tale categoria negoziale in termini di inefficacia generica, suscettibile di ricomprendere una gamma indefinita di ipotesi, tutte caratterizzate da un tratto distintivo comune: l’integrità del contratto inefficace e l’estraneità del fatto condizionante l’effetto (o una porzione di esso) alla struttura contrattuale. In altri termini, il contratto nullo (o parzialmente nullo) è carente di effetti in modo formalmente non diverso da quello inefficace in senso stretto, ma mentre “l’invalidità è il trattamento rispondente a una carenza intrinseca del negozio nel suo contenuto precettivo, l’inefficacia si presenta, invece, come la risposta meglio adeguata a un impedimento di carattere estrinseco che incide sul divisato regolamento di interessi nella sua pratica attuazione”[6].

La soluzione tecnica adottata è stata, pertanto, alla stregua di una valutazione di politica legislativa, quella di sottoporre a una condicio iuris sospensiva non l’intero contratto di compravendita, ma una porzione dell’effetto della clausola relativa al prezzo e, segnatamente, quella porzione eccedente il prezzo massimo di cessione, da determinarsi secondo i criteri normativamente previsti.

L’evento dedotto in condizione è, quindi, costituito dalla stipula della convenzione di affrancazione, nelle forme previste dall’art.31 comma 49 bis della legge n.448/1998, ad iniziativa della parte acquirente, ovvero della parte venditrice, ancorché non più titolare di alcun diritto reale sull’immobile vincolato.

Il carattere legale della condizione deve, pertanto, intendersi nel senso che la stipula della convenzione di affrancazione è un requisito necessario di efficacia del contratto, comunque rimessa all’iniziativa di una delle parti e non completamente dipendente da elementi estranei alla volontà delle stesse[7].

Potrà trattarsi, com’è intuitivo, di una condizione potestativa[8] quando la convenzione di affrancazione dovrà essere stipulata, per espresso accordo, da una delle parti dell’atto condizionato, condizione che peraltro non potrà mai essere tacciata di nullità per violazione dell’art.1355 c.c.; in primo luogo in quanto si tratta di una condicio iuris che, per scelta di politica legislativa, è stata trattata quale elemento estrinseco alla fattispecie contrattuale naturalmente condizionante l’efficacia di una porzione dell’atto, ma soprattutto perché essa non può essere considerata “meramente potestativa”, anche quando l’onere dell’affrancazione sia posto a carico della parte venditrice, non essendo rimesso al suo mero arbitrio l’avveramento dell’evento dedotto in condizione dal momento che la stessa parte sopporterà il peso economico del pagamento del corrispettivo per la rimozione del vincolo e per la stipula della relativa convenzione[9].

Sarà sicuramente abbastanza remota l’ipotesi in cui le parti concludano la compravendita deducendo, quale evento condizionante, la stipula della convenzione di affrancazione ad opera di un terzo, che comunque vi abbia interesse, quale potrebbe essere un remoto dante causa (o suoi eredi), non parte dell’atto condizionato, che abbia violato il vincolo sul prezzo massimo di cessione e intenda evitare le possibili conseguenze sanzionatorie o risarcitorie, ovvero un soggetto che, originariamente destinatario di provvedimenti sanzionatori da parte dell’amministrazione comunale per violazione della convenzione, abbia trovato con quest’ultima un accordo che passi dalla stipulazione della convenzione ex art.31 comma 49 bis della legge 448/1998[10].

E’ molto più verosimile che la condicio iuris si atteggi quale condizione potestativa avente ad oggetto il comportamento di una delle parti e, segnatamente, di quella (generalmente la parte venditrice, ma non può escludersi che sia la parte acquirente) a cui carico venga posto l’onere di stipulare la convenzione di affrancazione, con la particolarità che l’evento dedotto in condizione potrà essere previsto quale mero fatto condizionante l’efficacia della parte residua della clausola relativa al prezzo (quella eccedente il prezzo massimo) ovvero quale vero e proprio obbligo posto a carico di una di esse.

La deducibilità in condizione, sospensiva o risolutiva, dell’adempimento di una delle obbligazioni contrattuali è ormai pacificamente affermata dalla giurisprudenza di legittimità[11], la quale ha chiarito – superando le posizioni di una parte della dottrina[12] –  che la sussistenza dei requisiti fisiologici della condizione, la futurità e l’incertezza dell’evento, non vengono meno per il solo fatto che il comportamento costituente l’evento condizionante non sia libero ma caratterizzato da doverosità in quanto appunto, al tempo stesso, adempimento di un obbligo e evento condizionante.

La particolare conformazione della condicio iuris in parola è tale per cui dall’evento si intende far dipendere il verificarsi soltanto di alcuni e non tutti gli effetti del contratto, per cui il contratto determina l’immediata insorgenza dell’obbligo ed il suo adempimento, operando anche come evento condizionante, dà luogo alla produzione dei residui effetti: un’ipotesi, quindi, di condizionamento parziale ovvero di condizionamento sospensivo di certi effetti[13].

Nulla esclude, peraltro, che le parti, nella piena esplicazione della loro autonomia privata, convengano di apporre alla compravendita una condizione, questa volta volontaria, di efficacia dell’intero contratto di compravendita e, pertanto, anche dell’effetto traslativo ad esso correlato[14].

Con la fondamentale differenza, sul piano della pubblicità, che nel caso di condicio iuris condizionante una porzione degli effetti dell’atto, non sarà necessario evidenziare nella nota di trascrizione la presenza della condizione ex art.2659 c.c. (anche perché non incidente sull’effetto traslativo)[15], mentre nel caso di condizione volontaria apposta all’intero contratto andrà pienamente osservato il meccanismo pubblicitario di cui agli artt.2659 e 2668 comma 3 c.c.

L’applicazione del meccanismo condizionale non è da ritenersi incompatibile con la risarcibilità del danno conseguente all’inadempimento, e finanche con l’apposizione di una clausola penale funzionale alla risarcibilità dell’inadempimento condizionato, la cui ammissibilità si fonda sulla generale previsione di risarcibilità prevista dell’art. 1453, comma 1 c.c., che mira a sanzionare in ogni caso la lesione dell’interesse della parte non inadempiente, nonché sulla concreta applicazione del principio di buona fede, richiamato anche dall’art. 1358 c.c.[16]; disposizione, quest’ultima, idonea a supportare il fondamento logico della responsabilità della parte inadempiente e la risarcibilità del danno, anche per le condizioni potestative.

E’, invece, da affermarsi l’inapplicabilità dell’art.1359 c.c. in ordine alla fictio di avveramento della condizione alla fattispecie al vaglio; inapplicabilità, in linea generale, correlata alla natura di condicio iuris di natura potestativa[17] della medesima condizione, ma soprattutto dipendente dalla circostanza che la mancata stipula della convenzione di affrancazione non potrebbe mai condurre alla piena efficacia della porzione residua del contratto per effetto di un comportamento della parte che ha un interesse contrario all’avveramento della condizione (quindi l’acquirente, che ha interesse a riottenere l’eccedenza di prezzo) in quanto ciò non determina in ogni caso la rimozione del vincolo di prezzo massimo, che è l’unico, e non surrogabile, presupposto cui la legge subordina la piena efficacia del contratto di compravendita.

La natura di onere reale del vincolo del prezzo massimo di cessione rimuovibile ad opera della parte venditrice, quando tale obbligo venga posto a suo carico, determina, per via legislativa, un rafforzamento della tutela della posizione della parte acquirente: dal sistema delle garanzie di cui agli artt.1476 ss c.c., dal quale discende l’obbligo del  venditore di far acquistare un immobile libero da oneri di qualunque tipo e che assicura, in caso di violazione di quell’obbligo, l’approntamento di un apparato rimediale di tipo risolutorio (o di tipo riduttivo), per effetto dell’applicazione dell’art.1489 c.c., si passa a una sanzione di inefficacia parziale suscettibile di venir meno solo alle condizioni legislativamente previste.

Questo mutamento di prospettiva disciplinare si giustifica appunto con la natura pubblicistica degli interessi sottesi alla novella legislativa: la violazione del vincolo di prezzo massimo è stata giudicata dal legislatore, in base a una scelta di politica legislativa, non tanto grave da meritare la censura di nullità parziale, ma neanche tanto blanda – essendo in gioco l’interesse pubblico ad evitare intenti speculativi –  da rimettere alla piena disponibilità della parte acquirente la caducazione dell’efficacia del contratto[18].

Per lo stesso motivo deve ritenersi che non sia possibile “trasformare” la condicio iuris da sospensiva a risolutiva, in quanto la completa efficacia, sia pure parzialmente instabile, della compravendita nelle more della procedura di affrancazione è stata da ritenersi incompatibile con gli interessi in gioco.

Apparentemente potrebbe ritenersi che l’obbligo del venditore di rimuovere il vincolo attraverso la stipula della convenzione di affrancazione costituisca una prestazione alternativa a quella di rimborso dell’eccedenza del prezzo riscosso rispetto a quello massimo di cessione, quasi che fossero entrambe idonee a soddisfare in maniera equipollente l’interesse dell’acquirente-creditore secondo lo schema delle obbligazioni alternative e che fosse, in conseguenza, rimessa al debitore – salvo patto contrario –  la scelta fra quale di esse eseguire ex art.1286 c.c.

Nella fattispecie in esame, invece, è preminente l’interesse dell’acquirente a conseguire il bene compravenduto nelle condizioni materiali e giuridiche su cui aveva posto il suo affidamento, mentre il pagamento dell’indebito assume una posizione subordinata, laddove quella principale (la rimozione del vincolo) non sia eseguita[19]. Potrebbe allora attagliarsi, sempre in ipotesi, al rapporto di principalità e subordinazione in cui versano l’obbligazione di rimozione del vincolo e quella di rimborsare l’indebita parte di prezzo percepita la sussunzione nello schema delle obbligazioni con facoltà alternativa, di guisa che l’impossibilità di eseguire la prestazione principale non estinguerebbe l’obbligazione ma renderebbe comunque dovuta quella subordinata.

In realtà, se si considera che il venditore-debitore non può scegliere quale delle due prestazioni eseguire, essendo il diritto alla ripetizione dell’indebito esigibile dall’acquirente-creditore solo se non viene adempiuta l’obbligazione principale[20], appare più coerente ricostruire la fattispecie negoziale come vendita soggetta alla condicio iuris dell’affrancazione, il cui mancato avveramento determina la definitiva inefficacia (parziale) del contratto e legittima l’azione di ripetizione dell’indebito, salvo quanto si dirà in appresso.

L’inefficacia (parziale) originaria del contratto, qual è quella delineata dall’art.31 comma 49 quater della legge n.448/98, non può che essere fisiologicamente transitoria in vista di un avvenimento che lo renda completamente efficace o definitivamente inefficace: non può, pertanto, esservi un negozio valido destinato ab origine a rimanere inefficace[21].

Il che è in linea con la ratio della novella: l’ordinamento “tollera”, ma non a tempo indeterminato, che si verifichi l’evento a cui è subordinata la piena esplicazione dell’autonomia privata in ordine alla determinazione del prezzo anche in un momento successivo alla conclusione del contratto, concedendo un certo “spatium deliberandi” alle parti e sospendendo, nelle more, quella porzione degli effetti del contratto che incidono sugli interessi pubblici che si vogliono preservare.

Il termine può, ovviamente, essere convenuto dalle parti ma, in mancanza, la parte che vi abbia interesse potrà chiederne la fissazione al giudice ex art.1183 c.c.; decorso il termine convenzionalmente stabilito o quello giudizialmente fissato senza che sia stata stipulata la convenzione di affrancazione, il contratto è definitivamente inefficace anche per quella porzione degli effetti relativi all’eccedenza di prezzo e ciò legittimerà l’esperibilità (ovvero la proseguibilità, come meglio in appresso evidenziato) dell’azione di ripetizione  dell’indebito e, quindi, di una domanda giudiziale di condanna al pagamento della parte di prezzo eccedente quello massimo di cessione[22].

L’eventuale assenza dei requisiti soggettivi in capo all’acquirente-successivo cessionario, non determina, al contrario dell’eventuale violazione dei vincoli di prezzo massimo, alcun problema di inefficacia (né, tantomeno, di nullità) della vendita[23]; requisiti soggettivi, eventualmente previsti nella convenzione ex art.35 della legge 865/71, la cui assenza potrà rilevare solo sul piano del risarcimento del danno, oltre che in ordine all’eventuale risoluzione dalla convenzione (o alla decadenza del diritto di superficie) nei soli rapporti fra l’ente e soggetto contraente[24].

A tale conclusione, come osservato dal Tribunale di Roma, sezione X, con ordinanza del 17 aprile 2018, si perviene in virtù della constatazione che la ricorrenza di determinati requisiti soggettivi era prevista dal comma 16 dell’art.35 della legge 865/1971 (tra l’altro solo per i primi acquirenti), ora abrogato dall’art.23 comma 2, della legge 17 febbraio 1992 n.179, residuando pertanto solo l’eventualità di una previsione convenzionale dei requisiti soggettivi, la cui assenza, come detto, non potrà in ogni caso riverberarsi sull’efficacia (né, tanto meno, sulla validità) del contratto di compravendita in favore dei successivi acquirenti[25].

Anche ove la convenzione prevedesse impropriamente la nullità per la violazione dei vincoli pattizi, tale sanzione dovrebbe rimanere inoperante poiché la nullità non è una sanzione prevedibile convenzionalmente, cioè rimessa alla disponibilità delle parti[26].

La rimozione dei vincoli di natura soggettiva per effetto della stipula della convenzione di affrancazione, ai sensi dell’art.31 comma 49 quater della legge 448/98, non inciderà quindi sull’efficacia dell’atto di compravendita per i motivi anzidetti, ma determinerà il venir meno di qualsiasi residuo potere dell’amministrazione di risoluzione della convenzione originaria o di richiesta del risarcimento del danno per assenza dei requisiti soggettivi in capo al primo acquirente o in capo ai successivi aventi causa (se previsto nella convenzione originaria).

Da tali riflessioni, ove ritenute condivisibili, può trarsi una prima conclusione operativa: il contratto di compravendita avente ad oggetto immobili di edilizia residenziale pubblica interessati da convenzioni ex art.35 della legge 865/71 a prezzo superiore a quello massimo di cessione è strutturalmente perfetto, quindi geneticamente valido, ma inefficace solo quanto all’eccedenza di prezzo e, pertanto, perfettamente ricevibile dal notaio, il quale non solo non andrà incontro ad alcuna responsabilità disciplinare, ma sarà altresì immune da ogni profilo di responsabilità civile sul presupposto di aver adeguatamente informato le parti circa le conseguenze di tale parziale inefficacia[27].

Rimane solo da verificare se tale conclusione possa essere estesa anche alla circolazione degli immobili interessati da convenzioni ex art.18 ultimo comma del D.P.R. 380/2001 (già art.8 legge n10/1977), tra l’altro richiamato dall’art.35 comma 13 della legge n.865/71 (il cui tenore letterale sembrerebbe peraltro far propendere per il mantenimento della sanzione della nullità), in virtù di un’interpretazione orientata a valorizzare il profilo dell’abrogazione tacita di tale disposizione per effetto della nuova disposizione di cui all’art.31 comma 49 quater della legge n.448/1998[28] ovvero se, in mancanza di espressa abrogazione, detta ultima norma si configuri quale lex specialis rispetto alla prima (l’art.18 D.P.R. 380/01), da considerarsi come norma generale, che manterrebbe una sua applicabilità residuale[29].

E’ appena il caso di aggiungere che, secondo la sentenza della Corte Costituzionale n.210 del 23 settembre 2021, con un’affermazione che sembra essere un obiter dictum in quanto incidentalmente espressa in un contesto motivazionale finalizzato – come detto – a suffragare la legittimità costituzionale del nuovo impianto normativo in ordine all’applicazione retroattiva del meccanismo di rimozione dei limiti di prezzo massimo anche per gli immobili oggetto di contrattazione anteriore all’entrata in vigore del D.L. 119/2018, le convenzioni originariamente aventi ad oggetto la concessione in piena proprietà (e non in diritto di superficie) e quelle stipulate per la trasformazione del diritto di superficie in piena proprietà e per la sostituzione dei vincoli originari con quelli della convenzione di cui all’art.18 D.P.R. n.380 del 2001, disciplinate dall’art.31, commi 45 e 46 della legge 448/1998 non possono comportare vincoli di prezzo massimo di durata superiore ai venti anni[30].

A fronte dell’effettiva opinabilità della questione relativa all’applicabilità della disciplina in esame agli immobili interessati dalle convenzioni ex art.18 ultimo comma del D.P.R. 380/01, può escludersi l’esportabilità della stessa in ambiti diversi dall’edilizia residenziale pubblica convenzionata, in particolare a quella agevolata e sovvenzionata[31].

2. Le conseguenze della stipula della compravendita “in pendenza della rimozione dei vincoli”

L’art.31 comma 49 quater della legge n.448/1998 sembra circoscrivere l’ambito di applicazione della disciplina dell’inefficacia parziale temporanea alle ipotesi in cui sia già pendente la rimozione dei vincoli, rectius il procedimento di rimozione dei vincoli[32], con ciò escludendone, almeno apparentemente, la portata quando, al momento della stipula della compravendita, non sia neanche stata presentata la domanda di affrancazione.

In realtà, sarebbe veramente irrazionale far dipendere l’invalidità (ove la domanda non sia stata ancora presentata) o l’inefficacia dell’atto (ove la domanda sia stata presentata) dalla mera pendenza di un procedimento amministrativo: sembra più coerente intendere la disposizione come se la stessa prevedesse che la nuova disciplina possa trovare applicazione “fino alla rimozione dei vincoli” indipendentemente dalla previa presentazione della domanda di affrancazione al momento della stipula dell’atto.

Nonostante la diversa sanzione prevista del legislatore per la violazione dei vincoli di prezzo massimo (l’inefficacia al posto della nullità), è stato ritenuto che le conseguenze pratiche sarebbero le medesime[33]: la legittimazione in capo all’acquirente all’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito per la parte di prezzo eccedente il prezzo massimo e la rimozione dei vincoli ad opera della convenzione di affrancazione con un effetto di “sanatoria” ex tunc dell’atto parzialmente nullo o inefficace.

Se volesse tentarsi di ricondurre l’azione spettante all’acquirente nella sistematica codicistica delle azioni recuperatorie, si scorgerebbe che si tratta dell’azione di ripetizione di un indebito oggettivo parziale[34], derivante non dall’insussistenza del titolo, ma dalla circostanza che il titolo prevedeva una prestazione più limitata di quella che è stata ricevuta dall’accipiens, come tale soggetta alla disciplina di cui all’art.2033 c.c.

Benchè storicamente il rimedio dell’azione di ripetizione dell’indebito sia intimamente connesso al principio consensualistico, la cui introduzione nel diritto vigente ha determinato la sopravvivenza della sola condictio indebiti mutandone peraltro profondamente la natura giuridica[35], e abbia pertanto tradizionalmente svolto una funzione recuperatoria di una cosa determinata indebitamente consegnata a colui che l’ha acquistata per effetto del consenso manifestato sulla base un titolo nullo, non è dubbio che essa si riferisca anche alla prestazione relativa al pagamento del prezzo da parte dell’acquirente sulla base di un titolo che non ha prodotto i propri effetti, o li ha prodotti solo in parte.

È opinione condivisa, infatti, che sia indebita la prestazione eseguita in adempimento di un’obbligazione durante la pendenza di una condizione sospensiva[36] e che la relativa disciplina trovi applicazione anche alle restituzioni conseguenti alla definitiva inefficacia del contratto, indipendentemente dalla sua causa[37].

La nuova disposizione normativa si limita a prevedere che l’affrancazione dei vincoli determini l’estinzione dell’eventuale pretesa di rimborso della differenza di prezzo, omettendo di regolare a quale regime giuridico sia soggetta l’azione di ripetizione dell’indebito fino a quando non sopraggiunga detta affrancazione.

Non esistendo condizioni di procedibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito, la stessa potrebbe essere esercitata immediatamente dopo la stipula della compravendita parzialmente inefficace quale diretta conseguenza sanzionatoria di tale inefficacia.

E’ pur vero, peraltro, che l’esercizio di tale azione recuperatoria (almeno in pendenza del termine convenuto o fissato dal giudice per l’affrancazione) da parte di un acquirente che abbia deliberatamente acquistato a un prezzo concordato e non imposto, seppure superiore al prezzo massimo di cessione, realizzerebbe una sorta di c.d. speculazione inversa[38], cioè assicurerebbe all’acquirente un arricchimento contrario al generale principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art.1375 c.c., in quanto tendente a recuperare la differenza di prezzo pur nella consapevolezza che il vincolo di prezzo sia suscettibile di essere rimosso con una convenzione che gli consentirebbe in futuro di vendere a prezzo libero.

Sarebbe paradossale se, da un lato, l’ordinamento tendesse ad arginare i potenziali intenti speculativi dei proprietari di alloggi di edilizia convenzionata mediante l’imposizione di limiti all’esercizio dell’autonomia negoziale e, dall’altro, consentisse all’altra parte del rapporto contrattuale, appunto l’acquirente, di lucrare sulla medesima differenza di prezzo.

Di qui gli sforzi ricostruttivi compiuti dall’apprezzabile ordinanza del Tribunale di Roma, sezione X, del 17 aprile 2018 volti a individuare gli strumenti tecnico-giuridici atti a paralizzare l’indiscriminato esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito che, pur essendo la naturale conseguenza della nullità o dell’inefficacia parziale della clausola di prezzo, condurrebbe a risultati aberranti rispetto alla stessa ratio della normativa vincolistica.

Nella richiesta di rimborso dell’eccedenza prezzo è stata ravvisata dal Tribunale di Roma un’ipotesi di abuso del diritto, espressamente regolato dall’art.54 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, che consente al giudice di merito di sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del corrispondente divieto oppure di condannare chi ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale.

In questa prospettiva, l’abuso del diritto, costituendo un limite esterno alla libertà contrattuale, inevitabilmente collegato ai principi di buona fede e correttezza ex artt.1175 e 1375 c.c., impone al titolare del diritto di selezionare – tra tutte le modalità in astratto ipotizzabili – le forme del suo esercizio che incidano sull’assetto contrattuale di interessi in modo proporzionato.

Applicando tali principi al caso di specie, la possibilità che l’acquirente (attuale proprietario) ha, con l’affrancazione, di rimuovere il vincolo dimostra la volontà del legislatore di liberare tali beni dal vincolo di prezzo massimo e determina l’assenza di “intento speculativo” nella compravendita a prezzo di mercato in quanto, in realtà, è lo stesso legislatore a consentirla una volta rimosso il vincolo con la convenzione di affrancazione. A valle, quindi, ne consegue che l’acquirente che, pur potendo affrancare il bene per renderlo alienabile a prezzo di mercato, richieda la differenza di prezzo, esercita sì un suo diritto, ma in maniera contraria ai doveri di buona fede e correttezza, con ingiustificato sacrificio e sproporzione della prestazione richiesta alla controparte contrattuale; il che legittima, in capo alla parte venditrice, l’exceptio doli generalis[39], che consente al debitore di opporsi a pretese le quali, pur apparentemente conformi al diritto esercitato, realizzano un modo scorretto di perseguire tale diritto.

La pronuncia dell’ordinanza del Tribunale di Roma, sezione X, del 17 aprile 2018 è, peraltro, anteriore all’introduzione del comma 49 quater nell’art.31 della legge n.448/1998, ad opera dell’art.25 undecies del D.L. 23 ottobre 2018 n.119, che ha chiaramente correlato la paralizzazione della pretesa di rimborso dell’eccedenza di prezzo alla pendenza del procedimento di rimozione dei vincoli, prevedendo che “in pendenza della rimozione dei vincoli”, rectius “in pendenza del procedimento di rimozione dei vincoli” il contratto è parzialmente inefficace e che “l’eventuale pretesa di rimborso della differenza si estingue con la rimozione dei vincoli”.

È evidente che se l’acquirente non potesse mai esercitare l’azione di ripetizione dell’indebito, non avrebbe avuto alcun senso sospendere l’esercitabilità della pretesa per tutto il tempo di durata del procedimento di rimozione dei vincoli o, più precisamente, fino al termine previsto per la rimozione degli stessi.

Un’interpretazione coerente con la nuova disciplina, e che nel contempo eviti comportamenti della parte acquirente contrari al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto tendenti a fargli conseguire un indebito arricchimento sulla differenza di prezzo, potrebbe essere quella per cui l’azione di ripetizione dell’indebito è improcedibile ovvero, se esercitata, è improseguibile[40] fino al termine convenuto fra le parti o fissato dal giudice ex art.1183 c.c. per la stipula della convenzione dell’affrancazione, decorso il quale l’azione diventerebbe procedibile o proseguibile.

Con l’ulteriore distinguo che ciò dovrebbe valere per la sola ipotesi in cui l’onere dell’affrancazione sia stato posto a carico della parte venditrice e il mancato rispetto del termine sia a lui imputabile e non derivante da ritardi dell’amministrazione, non nel caso in cui tale onere sia stato posto a carico della parte acquirente, in quanto in quest’ultima ipotesi costui potrebbe in mala fede lasciar decorrere infruttuosamente il termine per l’affrancazione, esercitare la pretesa di rimborso della differenza e, successivamente, procedere all’affrancazione del vincolo.

In ogni caso, le parti potrebbero convenire la sospensione convenzionale del diritto all’esercizio dell’azione con la previsione di un termine entro il quale deve essere stipulata la convenzione di affrancazione ed, eventualmente, con la individuazione del soggetto a carico del quale gravi il relativo onere.

La natura patrimoniale dell’azione di ripetizione dell’indebito dovrebbe poi consentirne la piena disponibilità e, pertanto, la cedibilità e la rinunciabilità o, più correttamente, dovrebbe potersi affermare la cedibilità e la rinunciabilità del relativo diritto di credito sotto la condizione della mancata rimozione del vincolo di prezzo massimo nei termini convenuti fra le parti o fissati dal giudice.

Non osta alla rinunciabilità dell’azione la natura pubblicistica degli interessi sottesi alla disciplina vincolistica, in quanto la stessa mira ad evitare gli intenti speculativi dei proprietari venditori senza, peraltro, vietare all’altra parte del rapporto di rinunciare a un diritto soggettivo di natura patrimoniale, che è entrato a far parte del proprio patrimonio per effetto dell’inefficacia parziale del contratto di compravendita.

3. Il deposito prezzo nelle vendite degli immobili di edilizia residenziale pubblica

Un equo contemperamento degli interessi in gioco potrebbe realizzarsi mediante il ricorso pattizio all’istituto del c.d. deposito prezzo di cui all’art.1 comma 66, ultima parte, della legge 27 dicembre 2013 n.147, come modificata dalla legge 4 agosto 2017 n.124.

Dall’interpretazione letterale dell’art.31 comma 49 quater della legge n.448/1998 si evince che, una volta “convenuto” un prezzo in misura maggiore a quello massimo di cessione, il contratto di compravendita è parzialmente inefficace[41], limitatamente alla clausola di prezzo che preveda tale eccedenza, indipendentemente dalla circostanza che la stessa sia stata corrisposta e/o sia entrata nell’effettiva disponibilità della parte venditrice.

In questa prospettiva, il ricorso al c.d. deposito prezzo, qualora convenuto dalle parti, si accompagnerà in ogni caso a un contratto parzialmente inefficace, sia che detto deposito venga ricostruito come pagamento a “persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge… a riceverlo” ex art.1188 c.c.[42] sia che il ruolo del notaio depositario venga piuttosto accostato a quello del terzo del quale il debitore si avvale nell’adempimento dell’obbligazione ex art.1228 c.c.

La configurazione del deposito prezzo quale pagamento a un indicatario (il notaio) del creditore potrebbe condurre all’apprezzamento dell’esecuzione della prestazione dell’acquirente come adempimento non satisfattivo, nel senso che il debitore abbia sì tenuto il comportamento dovuto e, quindi, l’obbligazione si sia estinta, ma l’interesse del creditore non si sia ancora realizzato[43], oppure – valorizzando il profilo del “buon esito dell’operazione” – ad ancorare il carattere liberatorio del pagamento al successivo svincolo del prezzo alla parte venditrice in esito al verificarsi da parte del notaio depositario della condizione dedotta in contratto[44].

Si è anche ritenuto[45] che sia rimessa all’autonomia negoziale la qualificazione del deposito prezzo al notaio come satisfattivo dell’interesse del venditore-creditore, nel qual caso lo stesso sarà pienamente legittimato a rilasciare quietanza nella stessa compravendita, ovvero come non satisfattivo, e in tale ultima ipotesi la quietanza dovrà essere rilasciata con atto successivo ovvero essere pattiziamente surrogata dalle risultanze bancarie con le quali l’acquirente – debitore avrà versato il prezzo al notaio e quelle con cui quest’ultimo l’avrà svincolato al venditore – creditore.

Esula dai limiti del presente lavoro la verifica se il deposito prezzo al notaio, quale adempimento dell’obbligazione, sia pure non satisfattivo, costituisca esclusione del titolo per l’iscrizione dell’ipoteca legale conformemente al disposto dell’art.2834 c.c.[46]

Quel che rileva è, piuttosto, la constatazione che il deposito dell’eccedenza del prezzo al notaio rientra a pieno titolo nello schema previsto dall’art.1 comma 66, ultimo capoverso, della legge 147/2013, nella parte in cui assegna all’autonomia negoziale il potere di prevedere che “il prezzo o il corrispettivo sia pagato dopo l’avveramento di un determinato evento o l’adempimento di una determinata prestazione”.

La peculiarità di tale fattispecie rispetto a quella tipizzata di cui all’art.1 comma 63 lett.c) della legge 147/2013, attivabile a richiesta di una delle parti e circoscritta alla verifica notarile dell’assenza di gravami e formalità pregiudizievoli ulteriori rispetto a quelle esistenti alla data dell’atto o da questa risultanti, è costituita dalla necessità dell’accordo delle parti, espressamente formalizzato nell’atto e funzionale a subordinare lo svincolo del prezzo alla verifica notarile dell’evento dedotto in condizione o dell’esecuzione della prestazione.

Nell’ipotesi fisiologica in cui l’onere della stipula della convenzione di affrancazione sia posto a carico di una delle parti, la prestazione della stipula di detta convenzione sarà un obbligo dedotto nella condicio iuris, pienamente verificabile dal notaio depositario mediante l’esibizione della copia autentica dell’atto pubblico della scrittura privata di affrancazione.

In altri termini, la parte di prezzo corrispondente al prezzo massimo di cessione, determinato alla stregua dei criteri matematici risultanti dalle convenzioni e opportunamente fatto risultare da un’attestazione del Comune, a seguito di apposita richiesta dell’interessato, ovvero una relazione tecnica richiamata o allegata in atto[47], verrà corrisposta alla parte venditrice, che rilascerà quietanza per il corrispondente importo, contestualmente alla stipula della compravendita, mentre l’eccedenza fra il prezzo convenuto e quello massimo di cessione verrà concordemente depositato al notaio e da questi svincolato i) alla parte venditrice, qualora entro il termine convenuto, venga esibita copia autentica della convenzione di affrancazione ovvero ii) alla parte acquirente, qualora entro tale termine non venga esibita copia autentica dell’affrancazione.

E’ evidente che il meccanismo del deposito prezzo a garanzia della stipula della convenzione di affrancazione si attagli più propriamente alle ipotesi in cui essa venga configurata come obbligo posto a carico del venditore ovvero quale evento dipendente dal fatto di un terzo (remoto dante causa che sia legittimato e che via abbia interesse, secondo quanto sopra previsto nel testo), non quando la convenzione di affrancazione debba essere stipulata a cura della parte acquirente, il quale – contrariamente a quanto sopra osservato in ordine agli obblighi di comportamento secondo buona fede nell’esecuzione del contratto – potrebbe in mala fede lasciare infruttuosamente decorrere il termine e riottenere alla scadenza l’eccedenza di prezzo.

Il deposito del prezzo al notaio avrebbe il pregio di paralizzare, sin dalla conclusione del contratto, l’esercizio dell’azione dell’indebito senza far ricorso ad istituti, quali la buona fede nell’esecuzione del contratto, l’abuso del diritto e l’exceptio doli generalis, la cui applicazione necessariamente giudiziale sarebbe circondata in ogni caso da un certo margine di aleatorietà.

L’estinzione dell’azione di ripetizione continuerebbe ad essere ancorata, per l’espressa previsione di cui all’art.31 comma 49 quater della legge 448/1998, alla rimozione dei vincoli per effetto della stipula della convenzione di affrancazione, ma in concreto l’ipotesi di un suo esercizio verrebbe preclusa dal deposito dell’eccedenza del prezzo al notaio, il quale sarebbe eventualmente responsabile a diverso titolo nei confronti dell’acquirente in tutte le ipotesi in cui – nonostante il mancato avveramento dell’evento dedotto in condizione, ovvero la stipula della convenzione di affrancazione nei termini convenuti – omettesse di svincolare in maniera negligente[48] l’eccedenza di prezzo alla parte acquirente.

Il c.d. deposito prezzo nelle vendite aventi a oggetto alloggi di edilizia residenziale pubblica convenzionata in pendenza della rimozione dei vincoli, ponendo al centro dell’attuazione del rapporto obbligatorio fra le parti il ruolo del depositario, arbitro del verificarsi della condizione cui è subordinato lo svincolo della parte di prezzo depositata, avrebbe più in generale, l’indubbio pregio di assicurare alle parti il contemporaneo soddisfacimento degli interessi privati e di quelli pubblici, ovvero di evitare la speculazione del venditore e la speculazione c.d. inversa dell’acquirente, valorizzando appieno la carneluttiana funzione antiprocessualista del notaio.


Ipotesi di clausola di deposito parziale del prezzo

ARTICOLO ..

Il prezzo della presente compravendita è stato dalle parti convenuto ed a me dichiarato in euro

Le parti danno atto che la presente compravendita, ai sensi dell’art.31 comma 49 quater della legge 23 dicembre 1998 n.448, non produce effetti limitatamente alla differenza fra il prezzo convenuto di euro ….e il prezzo massimo di cessione di euro…, quale risultante da apposita attestazione rilasciata dal Comune di…(oppure risultante da relazione tecnica asseverata con giuramento in data….che si allega al presente atto sotto la lettera “   “), fino alla rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione, come in appresso precisato.

Ai sensi dell’art.47 del D.P.R. 445/2000 e per gli effetti delle disposizioni di cui all’articolo 35 comma 22 del Decreto Legge 4 luglio 2006 n.223, convertito con Legge del 4 agosto 2006 n.248, consapevoli della responsabilità penale in caso di dichiarazione mendace, della sanzione amministrativa e dei poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria in caso di omessa, incompleta o mendace indicazione dei dati, le parti dichiarano, in sostituzione di atto di notorietà, che il pagamento del prezzo sopra indicato viene regolato con le seguenti modalità:

  • quanto a euro….., corrispondente al prezzo massimo di cessione, è somma che viene corrisposta contestualmente alla stipula del presente atto dalla parte acquirente alla parte venditrice, che ne rilascia quietanza, mediante..(indicazione modalità di pagamento);
  • quanto a euro…., pari all’eccedenza di prezzo convenuta, è somma che – ai sensi dell’art.1 comma 63 lett.c) e comma 66 della legge 27 dicembre 2013 n.147 – le parti concordemente fra loro dichiarano di avere richiesto a me notaio di trattenere in deposito a tal fine intestando a mio nome gli assegni circolari …. da versarsi, a mia cura dopo la stipula del presente atto, sul conto dedicato previsto da detta normativa.

Per espresso accordo fra le parti, io notaio provvederò a svincolare la somma in deposito alla parte venditrice qualora, entro la data del…., mi venga consegnata copia conforme all’originale della convenzione di affrancazione del vincolo di prezzo massimo di cui all’art.31 comma 49 bis della legge 23 dicembre 1998 n.448 previsto nella convenzione ex art.35 della legge 22 ottobre 1971 n.865 a rogito notaio…in data…; convenzione di affrancazione da stipularsi a cura e spese della parte venditrice entro la detta data del..

In caso contrario, ove cioè entro la predetta data del…., non mi venga consegnata copia conforme all’originale di detta convenzione di affrancazione, io notaio provvederò a svincolare la somma in deposito alla parte acquirente. In tale ultima eventualità, il prezzo della presente compravendita s’intende definitivamente confermato in misura pari al prezzo massimo di cessione, come sopra determinato.

Costituirà prova dell’avvenuto pagamento della differenza fra il prezzo convenuto e il prezzo massimo di cessione la mia certificazione attestante l’avvenuto svincolo della somma in deposito alla parte venditrice; senza alcun onere a carico di quest’ultima di rilascio di formale quietanza di saldo.

Ai fini dello svincolo delle somme in deposito, alla scadenza del termine come sopra convenuto, io notaio provvederò a:

– comunicare alle parti per iscritto, con mezzi che assicurino la prova dell’avvenuta ricezione, l’avveramento o il mancato avveramento dell’evento cui è subordinato lo svincolo delle somme in deposito (la stipula della convenzione di affrancazione);

– in caso di mancata contestazione entro tre giorni dal ricevimento della comunicazione, a svincolare le somme in deposito all’avente diritto;

– in caso di contestazione, a mantenere in deposito sul conto dedicato gli importi depositati fino al:

  1. a) raggiungimento di un accordo scritto fra le parti; ovvero fino al
  2. b) passaggio in giudicato di una pronuncia giudiziale o irrevocabilità di un lodo arbitrale che individui l’avente diritto alla restituzione.

A tal fine le parti si obbligano ad esperire il procedimento di mediazione, ai sensi del D.lgs.28/2010, innanzi all’organismo di mediazione “Adr Notariato S.r.l.” per qualsiasi controversia insorga in ordine all’interpretazione e/o all’esecuzione del presente contratto di compravendita, ivi comprese quelle relative all’individuazione dell’avente diritto alla restituzione delle somme in deposito. In caso di esito negativo di detto procedimento, le parti si obbligano a devolvere le medesime controversie alla cognizione di un arbitro unico da nominarsi secondo il regolamento della Camera Arbitrale “Adr Notariato S.r.l.”, il quale giudicherà ritualmente secondo diritto.

La parte venditrice rinuncia all’ipoteca legale.

 

 


Note

[1] Come ampiamente noto, secondo la sentenza della Cass. sez. un. 16 settembre 2015, n. 18135, il vincolo del prezzo massimo di cessione di immobili costruiti in regime di edilizia residenziale pubblica convenzionata ex art.35 della legge 22 ottobre 1971 n.865 è trasmissibile anche ai successivi subacquirenti a titolo di onere reale. La Corte, attribuendo alla disciplina in esame carattere di imperatività, in ragione della fonte legale da cui promana, anche se attuata per il tramite di provvedimenti e convenzioni adottati dagli organi comunali, ha ritenuto sanzionabile con la nullità parziale la violazione del vincolo del prezzo massimo di cessione, con conseguente applicazione degli art. 1339 c.c. e 1419, co. 2 c.c. Come si legge nella relazione di accompagnamento al D.L. 119/18, la volontà legislativa è stata quella di porre rimedio alla sanzione della nullità parziale previsto dalle sezioni unite della Cassazione.

[2] Nel promuovere il giudizio di legittimità costituzionale il rimettente ha rilevato, tra gli altri, un potenziale contrasto della nuova disciplina con il principio di tutela dell’affidamento e della certezza dei rapporti giuridici: mediante la modifica retroattiva del regime di rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione, le norme oggetto di scrutinio giungerebbero a regolare diritti sorti da contratti soggetti alla normativa previgente ed interferirebbero su singole cause o su determinate tipologie di controversie già pendenti a vantaggio di una delle parti del giudizio ed in assenza di motivi imperativi di interesse generale, traducendosi in un’indebita ingerenza del legislatore nell’esercizio della funzione giurisdizionale.

La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione, precisando che, ai fini della legittimità costituzionale di una norma retroattiva, è sufficiente che la retroattività stessa non contrasti con valori ed interessi costituzionalmente protetti e non sia finalizzata alla risoluzione, mediante legge, di specifiche controversie, in contrasto con il principio di separazione dei poteri. In relazione al principio di tutela dell’affidamento, poi, la Corte non ha mai escluso la possibilità per il legislatore di introdurre modifiche alla disciplina dei rapporti giuridici dalle quali derivi un pregiudizio alla posizione degli interessati, a condizione che essa non sia qualificabile quale legittimo affidamento; in tal senso, rileva il grado di consolidamento della situazione soggettiva antecedente la modifica normativa che, nel caso di specie, non è stato ritenuto sufficiente a giustificare la pronuncia di illegittimità costituzionale. In particolare, la Corte ha osservato che, da un lato, il lasso di tempo intercorso tra la pronuncia della sentenza della Cass. sez. un. 16 settembre 2015 n. 18135, alla base delle richieste restitutorie degli acquirenti, e la modifica normativa introdotta nel 2018 non può dirsi sufficiente a considerare definitivamente consolidato il quadro normativo previgente; dall’altro, ha rilevato che la stessa sentenza non risolve le incertezze derivanti dalla perdurante mancanza di idonee tutele per i precedenti proprietari che abbiano già alienato a prezzo di mercato. Questi ultimi, non godendo più della titolarità del bene, risultavano del tutto privi di legittimazione all’affrancazione ed esposti a future azioni restitutorie da parte dei propri aventi causa i quali, di contro, avrebbero avuto diritto, al tempo stesso, alla restituzione di quanto indebitamente versato al proprio venditore ed all’affrancazione dell’immobile, con conseguente rimozione del vincolo di prezzo massimo di cessione in sede di alienazione.

In tale ottica, l’estensione soggettiva del potere di affrancazione e la sua retroattività appaiono giustificati dall’esigenza di tutelare gli interessi dell’alienante ad assolvere l’obbligo contrattuale di trasferire il bene libero da pesi senza subire azioni restitutorie, da considerare prevalente rispetto al controinteresse dell’acquirente a conservare il vincolo di prezzo ed agire in restituzione dell’indebito, in ragione della volontà già manifestata da entrambe le parti, in sede di compravendita, a vendere ed acquistare a prezzo di mercato.

La normativa sopravvenuta è, dunque, supportata da una <<causa normativa adeguata>> e, in accordo con la giurisprudenza della Corte EDU, la sua retroattività è giustificata dall’<<esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”>>.

[3] Così U.GRASSI, Edilizia convenzionata: una nuova proposta ricostruttiva, in Rassegna di diritto civile, 1/2020, p.102.

[4] È vero che, come ricordato da ultimo dalla sentenza della Corte Cassazione in data 22 novembre 2019 n.30555 e, ancora prima, dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezioni unite, 12 aprile 2014, n.26242, accanto alla protezione dell’interesse del contraente ritenuto di volta in volta come debole da parte del legislatore, la nullità relativa ha lo scopo anche di assicurare la protezione di un interesse generale, così che “la legittimazione ristretta non comporterebbe alcuna riqualificazione in termini soltanto privatistici e personalistici dell’interesse (pubblicistico) tutelato dalla norma attraverso la previsione della invalidità”, ma nel caso di specie non si assiste a quello squilibrio contrattuale tipico della nullità di protezione che giustifica la legittimazione all’azione in capo alla sola parte debole del rapporto: la parte acquirente è in posizione di perfetta parità contrattuale con la parte venditrice e. anzi, potrebbe trovarsi nella posizione di realizzare forme di speculazione c.d. inversa (come più avanti riportato nel testo) mediante l’ azione tendente alla restituzione della parte di prezzo eccedente quello massimo.

[5] Per tutti G.SANTORO-PASSARELLI, Dottrine Generali del diritto civile, Napoli, 1989, p.259; E.BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Camerino, Ristampa, 1994, p.457.

[6] E.BETTI, op.cit., p.457.

[7] Di qui il carattere sui generis di tale condicio iuris.

[8] Ipotizza che si tratti, in ogni caso, di condizione sospensiva potestativa R.FERRAZZA, Edilizia convenzionata “PEEP”: spunti di riflessione sulla legge 136/2018, in Federnotizie, 2019.

[9] Da ultimo sent. Cass. civ., sez.III, 26 agosto 2014 n.18239.

[10] In tal senso M.LEO, CNN Notizie n.3 del 9 gennaio 2019 e n. n.208 dell’11 novembre 2020, il quale – a ragione – ipotizza che gli eredi di un venditore, succedendo nella medesima posizione del de cuius, rinvengono nell’universalità dei beni ereditari anche la facoltà di stipulazione della convenzione di affrancazione. La legittimazione degli eredi deriva dall’interesse, sicuramente meritevole di tutela, di evitare di essere destinatari di richieste restitutorie, pur non essendo stati – a stretto rigore – mai titolari di un diritto reale sul bene.

[11] Sentt. Cass. civ., sez.II, 8 agosto 1990, n. 8051, Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1993, n. 10074, n.483920, Cass. civ., sez. II, 24 novembre 2003, n. 17859, Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2006, n. 24299, Cass. civ., sez.I, 10 novembre 2015, n.22591, Cass. civ., sez II, 31 luglio 2018 n.20226.

[12] Cfr. G.PETRELLI, Clausole condizionali e prassi notarile, in Notariato, n. 3/2001, p. 274, nel quale si richiama quale dottrina contraria F.SANTORO-PASSARELLI, op.cit., p. 199; G.CASTIGLIA, Promesse unilaterali atipiche, in Riv. dir. comm., 1983, I, p. 376; S.SANGIORGI, Regolamento contrattuale e diritti reali, in Annali del Sem. giuridico di Palermo, vol. XXXV, Palermo, 1974, p. 178 ss. (dell’estratto); A.BELFIORE, Pendenza negoziale e conflitti di titolarità, in Riv. dir. civ., 1971, I, p. 231 ss.; G.TATARANO, “Incertezza”, autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976, p. 137 ss.; A.LUMINOSO, La vendita con riscatto, in Il codice civile, Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1987, p. 29, nota 67; G.AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 94; M.COSTANZA, Condizione nel contratto, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1997, p. 8, e p. 53-54; M.COSTANZA, La condizione unilaterale: una fattispecie variegata, in Scritti in onore di Angelo Falzea, II, 1, Milano, 1991, p. 254 ss.

[13] Così R.LENZI, In tema di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, in Riv. not., 1986, p. 87 ss.

[14] Si potrebbe discutere se, in questo caso, la convenzione di affrancazione possa essere stipulata anche dalla parte acquirente, quale titolare di un diritto condizionato sull’immobile (argomentando dall’art.1356 c.c.) e, pertanto, titolare di un interesse giuridicamente rilevante, ovvero se tale possibilità debba essere riservata alla parte venditrice, che è ancora l’unico titolare sull’immobile, in aderenza alla lettera dell’art.31 comma 49 bis della legge n.448/1998.

[15] Sull’inapplicabilità dell’art.2659 comma 2 c.c. alla condicio iuris P.NASTI, La pubblicità immobiliare degli elementi accidentali del negozio, in Giust. Civ., 1966, 224; G.TATARANO, Retroattività (dir. Priv.), in Enc. Dir., Milano, 1989, 89; G.GABRIELLI, Pubblicità degli atti condizionati, in Riv. Dir. Civ., 1991, 45; G.CASU, Testo unico in materia di beni culturali e ambientali, in Studi e materiali, 6.2, Milano, 2001, 909).

[16] L’applicabilità dell’art. 1358 c.c. anche alla condizione potestativa è stata sancita dal revirement delle Sezioni Unite (sent. Cass., sez. un., 19 settembre 2005, n. 18450, in Giur. it., 2006, I, 1, 1141, con nota di C.Restivo), che hanno risolto il contrasto fra l’orientamento già pacifico, contrario all’applicabilità (v. da ultimo sent. Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2003, n. 6423, in Contr., 2003, 1096 e inter multas v. sent. Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1999, n. 8584, in Giur. it. 2000, I, 1, 1619; sent. Cass. civ., 7 marzo 1983, n. 9, in Giust. civ., 1983, I, 1524 con nota di M.Costanza) e quello favorevole, minoritario (sent. Cass. civ., sez. I, 28 luglio 2004, n. 14198, in Corriere giur., 2005, 1109); sul risarcimento per violazione dell’art. 1358 cfr. sent. Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1992, n. 6676. In dottrina, sull’art. 1358 codice civile, cfr. L.Bruscuglia, Pendenza della condizione e comportamento secondo buona fede, Milano, 1975.

[17] Sull’inapplicabilità della finzione di avveramento alla condicio iuris cfr. P.RESCIGNO, voce Condizione, in Enc.Dir., p.775 ss.; V.ROPPO, Il Contratto, in Trattato Iudica e Zatti, p.636 ss e, in giurisprudenza, sent. Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2011 n.13099 e sent. Cass. civ., sez. I, 10 marzo 1992 n.2875. In senso favorevole a tale applicabilità C.M.BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2019, p. 563 e E.GIACOBBE, La condizione, in Diritto civile, diretto da N.LIPARI e P.RESCIGNO, Giuffrè, 2009, 481.

A sostegno della inapplicabilità dell’art. 1359 c.c. al caso di specie rileva la natura della condicio iuris.  Essa si qualifica come requisito legale di efficacia o di validità del negozio, non quale elemento accidentale dello stesso; alla base vi è la necessità di tutelare interessi esterni di ordine superiore, dunque prevalenti, rispetto a quelli negoziali ed incompatibili con questi ultimi fino all’avveramento dell’evento dedotto in condizione. Per tale ragione è legittimo ritenere che alla volontà legislativa o della p.a., espressa nella condicio iuris, non possa sostituirsi la condotta, colposa o dolosa, della parte avente interesse contrario all’avveramento della stessa.

L’art. 1359 c.c. si ritiene inapplicabile anche alle condizioni potestative, nelle quali il verificarsi dell’evento in esse dedotto è rimesso alla volontà di una delle parti; essa soltanto ha facoltà di tenere o meno la condotta necessaria all’avveramento della condizione.

[18] Ritiene che la parte acquirente mantenga il potere di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo ex art.1489 c.c. U.GRASSI, op.cit., p.106.

[19] Così U.GRASSI, op.cit., p.105.

[20]U.GRASSI, op.cit., p.105.

[21] Così, chiaramente, G.SANTORO-PASSARELLI, op.cit., p.261.

[22] Propende per consentire all’acquirente, in caso di mancata stipula della convenzione di affrancazione nel termine convenzionalmente o giudizialmente fissato, la scelta fra l’azione di risoluzione del contratto ex art.1489 c.c. in ragione dell’inadempimento della parte venditrice all’obbligo di rimuovere il vincolo, e l’azione di ripetizione dell’indebito, U.GRASSI, op.cit., p.106.

[23] In tal senso G.RIZZI, Le novità in matria di edilizia residenziale convenzionata, in Federnotizie, 15 gennaio 2019, p.15.

[24] Cfr. A.CRIVELLI E E.GASBARRINI, Immobili di edilizia residenziale pubblica e vendita forzata, in Studio CNN n.31 del 21 giugno 2021, p.11. Ritiene che la risoluzione per eventuale violazione di limiti convenzionali sia comunque inopponibile ai terzi aventi causa che abbiano acquistato diritti dall’ente stipulante la convenzione in quanto si tratterebbe di una retroattività (conseguente alla risoluzione) operante solo inter partes ex art.1458 c.c. G.M.ANTONELLI, L’edilizia residenziale pubblica, Napoli, 2020, p.41.

[25] L’unica ipotesi, peraltro marginale, in cui continua a rilevare – tra l’altro nella fase di acquisto delle aree, ma non per i successivi acquirenti – la presenza di determinati requisiti soggettivi in capo all’acquirente è quella presa in esame dall’art.35 comma 11 della legge 865/71, nel quale si dispone che le aree in proprietà sono cedute in proprietà a cooperative edilizie e loro consorzi e ai singoli, con preferenza per i proprietari espropriati ai sensi della medesima legge, sempre che questi abbiano i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni per l’assegnazione di alloggi di edilizia agevolata. Ritiene che la necessità dei requisiti soggettivi in capo ai successivi acquirenti possa desumersi, nonostante l’abrogazione del comma 16 dell’art.35 della legge 865/71, dalla stessa ratio della medesima normativa, che mira alla soluzione del problema abitativo per le persone meno abbienti, R.FERRAZZA, Edilizia convenzionata, Note di commento all’ordinanza del Tribunale di Roma del 17.04.2018, in Federnotizie, 23 maggio 2018, p.12, il quale osserva che, pertanto, un bene affrancato sarà cedibile a chiunque, mentre un bene vincolato (con vincolo di prezzo massimo) sarà cedibile solo ad acquirente con determinati requisiti soggettivi, anche reddituali, previsti dalla convenzione, fermo restando che, comunque, anche in assenza dei detti requisiti, l’atto sarà perfettamente valido ed efficace per assenza di specifica norma sanzionatoria.

[26] Così G.M.ANTONELLI, op.cit., p.42. Nello stesso senso G.CASU, L’edilizia residenziale pubblica – Risposte a problemi concreti, Studio CNN 172/2008C.

[27] Sul dovere di consiglio del notaio e la responsabilità professionale per omessa informazione cfr. V.AMENDOLAGINE, La responsabilità del notaio, Giuffrè, 2022 p. 34 s.s.; V.TENORE, Il notaio e le sue quattro responsabilità, Giuffrè, 2016, p. 386 ss.; R.TRIOLA, La responsabilità del notaio, Giuffrè, 1999; e, tra le altre e da ultimo, la sentenza della Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2019 n. 3984.

[28] Propende per l’abrogazione tacita G.RIZZI, op.cit., p.17.

[29] Così G.M.ANTONELLI, op.cit., p.24 nota 20 e R.FERRAZZA, op.cit.,p.10, i quali fanno riferimento al mantenimento della vigenza della sanzione della nullità (parziale) in tutti i casi in cui non sia possibile effettuare l’affrancazione (ed esempio per gli immobili di persone giuridiche).

[30] Il Comune di Roma, con Delibera di Giunta Comunale n.133 del 21 dicembre 2021, contenente proposta di deliberazione da sottoporre all’approvazione dell’assemblea capitolina, successivamente approvata in data 2 febbraio 2022, recependo le indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale, ha adottato i seguenti criteri:

  1. riguardo alle convenzioni già all’origine sottoscritte in piena proprietà si farà riferimento alla durata stabilita nella convenzione medesima;
  2. nei casi di convenzione in diritto di proprietà ma quale trasformata poiché originariamente stipulata in diritto di superficie, la durata della convenzione trasformata è stabilita in anni venti quali derivanti dall’applicazione del comma 46 lettera a) dell’art.31 della legge n.448/1998, norma che a riguardo stabilisce la suddetta durata di 20 anni; detta durata è da computarsi diminuendo del tempo trascorso fra la data di stipulazione della convenzione per la concessione del diritto di superficie e quella di stipulazione della nuova convenzione di trasformazione;

e, pertanto, nessun atto di affrancazione si renderebbe necessario quando sia decorsa la scadenza specificata nella convenzione, in quanto i vincoli (compresi quelli del prezzo massimo di cessione) si intendono già cessati per effetto del decorso del tempo.

[31] In particolare, non si ritiene condivisibile l’opinione espressa da G.VULPIANI, Unità, frammentazione e sanabilità della nullità del contratto, 2021, p.271 ss., secondo la quale sarebbe possibile ipotizzare un’affrancazione ex post (mediante il pagamento del dieci per cento del valore catastale del bene) del vincolo derivante dalla prelazione prevista dall’art.1 comma 25 della legge 560/1993 in materia di edilizia pubblica sovvenzionata con ciò dando luogo a una sanatoria (implicita) della compravendita nulla per violazione della prelazione. E’ agevole osservare, in disparte che un’applicazione analogica non sarebbe consentita da carattere eccezionale della disciplina dell’art.49 bis della legge 448/98, che la ratio del diritto di prelazione è quello di consentire all’ente di riappropriarsi, a parità di condizioni, dell’immobile costruito in regime di edilizia pubblica sovvenzionata, mentre quella della disciplina in esame si sostanzia nell’esigenza di evitare speculazioni di prezzo in caso di rivendita: due interessi pubblici riconducibili ai principi espressi dall’art.47 Cost., ma sensibilmente diversi.

[32] Di recente il Tribunale di Roma (Trib.Roma, 8 gennaio 2019, n.21472, in Riv.giur.edil., 2019, p.211 ss.) ha affermato che l’espressione “pendenza della rimozione dei vincoli” sarebbe un’espressione impropria giacché il vincolo sussiste o non sussiste. Com’è stato giustamente osservato da U.GRASSI, op.cit., p.103, nota 60, la locuzione “in pendenza” si riferisce al procedimento di rimozione e non ai vincoli; vuol dire, cioè, che fino a quando non è completato il procedimento di rimozione dei vincoli, il contratto mantiene la sua parziale inefficacia.

[33] La questione se il prezzo massimo di cessione si sostituisca (come avviene per il contratto affetto da nullità parziale) a quello pattuito ex art.1339 c.c. ha scarsa rilevanza pratica, in quanto – come esposto nel testo – l’acquirente è legittimato all’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito. Propende per la sostituzione automatica G.RIZZI, op.cit, p.31. Esclude, invece, che vi sia sostituzione di diritto della clausola inefficace con quella legale R.FERRAZZA, Edilizia convenzionata “Peep”: spunti di riflessione sulla legge 136/2018, p.10.

[34] Sent. Cass. civ., sez. lav., 23 agosto 1996 n.7772; P.SIRENA, La ripetizione dell’indebito, in Il rapporto obbligatorio, Trattato di diritto civile diretto da Nicolo’ Lipari e Pietro Rescigno, 2009, p.503.

[35] Per il fondamento storico della condictio indebiti cfr. E.MOSCATI, Indebito (pagamento e ripetizione dell’), in Enc.Dir. XXI, Milano, 1971, p. 83 ss., nonché B.CORTESE, Indebiti solutio ed arricchimento ingiustificato. Modelli storici, tradizione romanistica e problemi attuali, Cedam, Padova, 2009. Nella sistematica delle fonti delle obbligazioni di origine romanistica, il pagamento d’indebito assumeva carattere di quasi-contratto. L’originaria quadripartizione è stata progressivamente abbandonata, fino al suo completo superamento nell’attuale formulazione dell’art. 1173 c.c..

In tale cornice storico-sistematica il pagamento dell’indebito fu oggetto di ampio dibattito con particolare riferimento, da un lato, al valore attribuibile all’errore del solvens nel perfezionamento della fattispecie, dall’altro, all’apparente inconciliabilità tra principio di efficacia reale dei contratti e condictio indebiti, quale mezzo di tutela a natura obbligatoria.

[36] P.GALLO, Ripetizione dell’indebito. L’arricchimento che deriva da una prestazione altrui, in D.disc.priv.sez.civ., XVIII, Torino, 1998, p.3.

[37] Sent. Cass. civ., sez. III, 1 agosto 2001 n.10498; sent. Cass. civ., sez. III, 24 novembre 1981 n.6245; A.DI MAJO, Restituzioni e responsabilità nelle obbligazioni e nei contratti, in Riv.crit.dir.priv., 1994, p.291.

[38] M.MINUTILLO e G.A.CHIESI, Edilizia popolare convenzionata: tra abuso del diritto, buona fede e solidarietà contrattuale, per evitare la c.d. “speculazione inversa”, in Immobili & Proprietà, n.11, 2018, p.n.647 ss.

[39]T.DALLA MASSARA, L’eccezione di dolo generale nel pensiero attuale della Corte Suprema, Riv. dir. civ., 2008, II, 223 ss.; Sent. Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5273; l’exceptio in analisi costituisce rimedio di carattere generale, derivante dal diritto romano classico (exceptio doli generalis seu praesentis). La sentenza menzionata riafferma la finalizzazione dell’exceptio doli generalis alla sanzione, per violazione dei principi di correttezza e buona fede, del dolo prodotto da un esercizio fraudolento o sleale di diritti attribuiti dall’ordinamento.

[40] Si esprime in termini di “improseguibilità” dell’azione la sentenza del Tribunale di Roma, sezione X civile, n.7629/2020, pubblicata il 25 maggio 2020, che giustifica tale meccanismo processuale con l’assenza di alcun meccanismo di sospensione del giudizio in attesa della definizione del procedimento amministrativo di affrancazione.

[41] Cosi G.SCIUMBATA, I vincoli di prezzo nelle cessioni di fabbricati di aree 167 e Bucalossi, in “70 anni della scuola di Notariato di Roma”, Roma, 2019, p.445.

[42] V.TAGLIAFERRI, Il conto corrente dedicato e i conseguenti obblighi in capo al notaio, Studio n.419-2017/C del 13 marzo 2018, del Consiglio Nazionale del Notariato, par.8.6; F.MECENATE, Il deposito del prezzo, il notaio nell’attuazione del rapporto obbligatorio, in “70 anni della scuola di Notariato di Roma”, cit., p.188 ss.; R.ROMOLI, Il deposito del prezzo: aspetti teorici e tecniche redazionali (parte III – Atti del convegno tenutosi a Verona il 2 marzo 2018).

[43] G.AMADIO, Profili civilistici del deposito del prezzo, Relazione al convegno Deposito del prezzo: modalità operative e tecniche redazionali, Fondazione Nazionale del Notariato, Verona, 2 marzo 2018; V.TAGLIAFERRI, op.cit.

[44] G.PETRELLI, Destinazioni patrimoniali e trust, Milano, 2019, p.609.

[45] V.TAGLIAFERRI, op.cit.

[46] E’ interessante la tesi proposta da F.MECENATE, op.cit., p.195, secondo il quale – indipendentemente dalla configurazione del pagamento del prezzo al notaio quale adempimento (non satisfattivo) dell’obbligazione atto ad escludere, ex art.2834 c.c., la sussistenza del titolo per l’iscrizione dell’ipoteca legale – un’applicazione analogica funzionale dell’art.1179 c.c. potrebbe condurre ad assegnare al deposito prezzo una funzione di garanzia (anche se, secondo detto autore, i negozi destinatori non sarebbero negozi di garanzia pleno iure ma negozi in cui la garanzia costituisce il motivo e non la causa) alternativa all’ipoteca legale, che impedisce l’applicazione dell’art.2834 c.c. in quanto il debitore – acquirente che si sia avvalso della facoltà del deposito del prezzo avrà con ciò adempiuto gli obblighi di prestare garanzia a presidio dell’obbligazione principale di pagare il corrispettivo.

[47] Per il Comune di Roma i criteri per la determinazione del prezzo massimo di cessione risultano dalle “Linee guida per l’univoca applicazione delle norme di riferimento vigenti in materia di determinazione del corrispettivo massimo di cessione alloggi, di cui all’art.11 del disciplinare di norme, patti, oneri condizioni, allegato agli schemi di convenzione, approvati con deliberazioni C.C. n.173/2005 e n.31/2007” contenute nella Determinazione Dirigenziale numero rep.n.QI/440/2019 del 27 marzo 2019 e, in particolare, nel relativo allegato “B”, contenente “Relazione dimostrativa della determinazione del corrispettivo massimo di cessione al metro quadrato convenzionale”. E’ evidente che, laddove non si riuscisse a ottenere l’attestazione del prezzo massimo di cessione da parte del Comune, nella relazione il tecnico incaricato dovrà applicare in maniera prudenziale i parametri previsti e, comunque, alle parti potrebbe essere suggerito di convenire un prezzo (da svincolare contestualmente alla stipula della compravendita) prudenzialmente inferiore rispetto a quella risultante dalla relazione tecnica.

[48] La responsabilità del notaio per omessa restituzione delle somme in deposito alla parte acquirente deriverebbe dal contratto di deposito e/o di mandato, salva la configurabilità del reato di peculato ex art.314 c.p., ove ne ricorrano i presupposti.

Dalla nullità all’inefficacia parziale delle vendite di immobili di edilizia residenziale pubblica a prezzo eccedente quello massimo: un’ipotesi applicativa ultima modifica: 2022-02-16T08:30:06+01:00 da Redazione Federnotizie
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