Convenzioni con diritto di superficie e convenzioni con diritto di proprietà

Sommario: 1. Introduzione. 2. Convenzioni con diritto di superficie e Convenzioni con diritto di (piena) proprietà; 3. Ambito di applicazione del comma 49bis, art. 31, L. n. 448/1998. 4. Convenzioni PEEP (edilizia pubblica) e Convenzioni Bucalossi (edilizia privata); 5. Ambito di applicazione del comma 49ter (art. 31, L. n. 448/1998); 6. Ambulatorietà dell’obbligo di prezzo massimo di cessione; 7. Violazione dell’obbligo di prezzo massimo; 8. Natura e durata del vincolo di prezzo massimo di cessione; 9. Conclusioni.

di Roberto Ferrazza

1. Introduzione

La sentenza della Cassazione SS.UU. 16.09.2015, n. 18135, ha principalmente affrontato “una questione di massima di particolare importanza“, ossia se “il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile costruito in regime di edilizia (convenzionata e) agevolata sia limitato al solo termine di vigenza del vincolo di inalienabilità e valga unicamente per il concessionario, e non anche per i successivi sub acquirenti.

In particolare, il problema è stato affrontato (e risolto nei termini di cui infra, par. 6) con l’esame (unificato) del primo e del secondo motivo del ricorso incidentale presentato dalla parte resistente. E sulle motivazioni di questi due singoli punti che si soffermeranno le presenti note.

I giudici della Suprema Corte osservano che “il problema della vendita degli alloggi di edilizia convenzionata soggetti al vincolo sulla determinazione del prezzo è stato oggetto, nel tempo, di un’interpretazione ondivaga, che ha risentito della successione, anche ad intervalli di tempo molto brevi, di emendamenti della disciplina legale”; e, più oltre, ricordano che “la ricostruzione ermeneutica della disciplina normativa è resa particolarmente laboriosa per effetto della ricordata stratificazione, ripetuta e ravvicinata nel tempo, di interventi legislativi che ne hanno modificato profondamente l’impianto originario. Come rivelato, del resto, dalle stesse oscillazioni giurisprudenziali sul tema”.

Queste osservazioni sono indubbiamente veritiere, ma, a mio parere, proprio per questa difficoltà di legislazione stratigrafica, la Corte avrebbe dovuto esaminare – considerando gli effetti che avuto il suo pronunciamento su tutte le tipologie di convenzioni, sia di diritto di superficie che diritto di proprietà piena – l’intera questione molto più approfonditamente, distinguendo meglio le caratteristiche delle diverse tipologie di convenzioni e soprattutto individuando, come in uno scavo archeologico, le diverse normative maturatesi nel corso del tempo, che però disciplinano le convenzioni stipulate nel vigore della loro vigenza. Invece, rebus sic stantibus, la sentenza potrebbe essere soggetta, in assenza di profonda riflessione e valutazione critica, ad una interpretazione radicale, eccessivamente basata sul dato letterale della motivazione, che possa addirittura risultare in contrasto con la normativa e i principi dell’ordinamento, oltre che con la effettiva portata della sentenza della Cassazione.

A distanza di poco più di due anni dalla “storica” decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte, si cercherà dunque di fare il punto della situazione, individuando le problematiche ancora esistenti e connesse all’applicazione dei commi 49 bis e 49 ter dell’art. 31, L. n. 448/1998.

  1. Convenzioni con diritto di superficie e Convenzioni con diritto di (piena) proprietà

Ma cominciamo con ordine, analizzando una delle prime importanti conclusioni della Corte, ritenuto “punto fermo”, per la soluzione della controversia: la distinzione fra le convenzioni per la cessione del diritto di superficie – che era strettamente pertinente alla controversia in esame della Cassazione –, e le convenzioni con la cessione del diritto di proprietà piena (naturalmente per ciò che concerne l’edilizia residenziale pubblica, ovvero i piani di edilizia economico e popolare).

Secondo la Suprema Corte, in estrema sintesi, la sola differenza riscontrabile riguarderebbe il regime di inalienabilità  che, nel caso delle convenzioni con oggetto la proprietà piena, sarebbe stato originariamente previsto (comma 15 dell’art. 35 L. n. 865/1971), al contrario delle convenzioni con diritto di superficie (L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, comma 8)1; “per contro,” – aggiunge la Cassazione – “il vincolo alla determinazione del prezzo discende, in tutti i casi, direttamente dalla legge”. Sembra quindi desumersi che tutte (in tutti i casi) le convenzioni di proprietà, oltre a quelle con oggetto la proprietà superficiaria, indipendentemente dall’epoca di stipula della convenzione e indipendentemente dalla normativa all’epoca vigente, siano da assoggettare al vincolo di prezzo massimo di cessione.

Questa lettura, però, contrasta con la legislazione vigente fino al 1996, in quanto:

– per le convenzioni con oggetto la piena proprietà stipulate prima dell’entrata in vigore della L. n. 179/1992 (15.03.1992), non era previsto un vincolo di prezzo massimo di cessione, ma una serie di vincoli di alienazioni assoluti e condizionati (commi 15-17, art. 35 L. n. 865/1971) e il vincolo di alienazione condizionato di cui al comma 17 non prevedeva certamente alcun beneficio di prezzo (massimo o imposto) per l’acquirente2;

– per le convenzioni con oggetto la piena proprietà stipulate dopo l’entrata in vigore della L. n. 179/1992 e prima dell’entrata in vigore della L. n. 662/1996 (01.01.1997), che ha introdotto il vincolo di prezzo massimo di cessione, non vi era previsione normativa di detto vincolo.

Quindi, l’assunto della Suprema Corte deve essere correttamente interpretato nel senso che il vincolo di prezzo massimo sussista ove questo vincolo derivi e sia previsto da (una) legge – come nel caso delle Convenzioni P.E.E.P. con diritto di proprietà stipulate ai sensi dell’attuale art. 35, comma 13, oppure quelle con diritto di superficie stipulate ai sensi dell’art. 35 co. 8 della L. n. 865/1971 –, con esclusione dei casi in cui questo vincolo non aveva alcuna previsione normativa, come nelle convenzioni con diritto di proprietà stipulate prima dell’01.01.1997.

Diversamente interpretando, si dovrebbe concludere che la stratificazione della normativa avrebbe avuto effetti retroattivi, senza neanche espressa specifica disposizione (transitoria), per i proprietari di immobili soggetti a convenzione con diritto di proprietà stipulate prima dell’01.01.1997, con violazione dell’art. 11 delle Preleggi e, a mio parere, con grave lesione degli interessi patrimoniali dei cittadini che vedrebbero il loro diritto (quesito) gravato da un vincolo originariamente non previsto, successivamente introdotto, e che limita pesantemente il valore economico del loro immobile, con dubbi di costituzionalità.

  1. Ambito di applicazione del comma 49bis, art. 31, L. n. 448/1998

Vi è dunque da chiedersi, quale sia l’effettivo ambito applicativo del comma 49 bis dell’art. 31 della L. n. 448/1998, dato che sono richiamate solo le convenzioni con oggetto la cessione della proprietà, di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (e successive modificazioni), stipulate prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/1992, e tutte le convenzioni stipulate (in ogni tempo) con oggetto la cessione del diritto di superficie.

Ora, nell’ambito delle convenzioni di edilizia residenziale pubblica, ossia quelle disciplinate dall’art. 35 della L. n. 865/1971, si possono individuare quattro tipologie di convenzioni, aventi ad oggetto la piena proprietà, in connessione con l’evoluzione della normativa in materia:

a) le convenzioni stipulate antecedentemente alla entrata in vigore della Legge n. 179/1992 cd. Ferrarini – Botta (ossia, prima del 15 marzo 1992), disciplinate dagli originari commi 11-19 dell’art. 35, L. n. 865/1971;

b) le convenzioni stipulate senza divieti di alienazione (e senza vincolo di prezzo massimo di cessione), fra il 15.03.1992 e il 31.12.1996, ossia dalla entrata in vigore della Legge n. 179/1992, che ha abrogato i commi 15-19, fino alla previsione normativa del vincolo di prezzo massimo di cessione, introdotto dal primo gennaio 1997, dalla Legge n. 662/1996.

c) le convenzioni stipulate fra l’01.01.1997 e il 30.06.2003, ossia dall’introduzione del vincolo di prezzo massimo alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001, con il nuovo comma 13 dell’art. 35 che richiamava l’art. 8, commi 1,4,5 della legge n. 10/1977;

d) le convenzioni stipulate dopo il 30.06.2003 (data di entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001), con il comma 13 dell’art. 35 che richiama l’art. 18, commi 1,4,5, del D.P.R. n. 380/2001, che ha sostituito l’art. 8 della legge n. 10/1977.

Il comma 49 bis include solo le convenzioni sub a), mentre quelle sub d), rientrerebbero nell’ambito di applicazione del successivo comma 49 ter.

Per ciò che concerne le convenzioni con oggetto la proprietà sub b), stipulate fra il 15.03.1992 e il 31.12.1996 (ossia quelle stipulate fra la legge 179/1992 e la legge n. 662/1996, che ha introdotto il vincolo di prezzo massimo), la mancata inclusione è giustificata dal fatto che la legge 179/1992 ha certamente abrogato, per le convenzioni stipulate post 15.03.1992, ogni vincolo di alienazione (e pertanto, anche quelli sommariamente ritenuti equivalenti al prezzo massimo, connessi agli originari commi 16-17 dell’art. 35 L. 865/1971), di modo che l’assenza di una normativa vigente all’epoca, prescrittiva di un vincolo di prezzo massimo di cessione, impedisce qualunque interpretazione estensiva del comma 49 bis.

Al contrario, ipotizzando l’inclusione delle convenzioni in proprietà stipulate fra il 15.03.1992 e il 31.12.1996, si dovrebbe forzatamente supporre che la legge n.179/1992 abbia solo abrogato i vincoli di inalienabilità, mantenendo quelli di prezzo massimo, ma questa è una lettura del dato normativo certamente errata, perché né la legge precedente (865/1971), né la legge n. 179/1992 prevedevano o hanno inserito un vincolo di prezzo massimo per le convenzioni aventi ad oggetto la piena proprietà; con la conseguenza, che si passerebbe da un orientamento (legittimo) di inapplicabilità del comma 49 bis, per le convenzioni ante 15.03.1992, ad una sostanziale non applicazione della legge n. 179/1992, per ciò che concerne le convenzioni stipulate fra il 15.03.1992 e il 31.12.1996.

Mancherebbero quindi dal novero delle convenzioni previste dal comma 49 bis le convenzioni sub c), stipulate fra l’entrata in vigore della L. n. 662/1996 (01.01.1997) e l’entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001 (30.06.2003). Per comprendere, le ragioni di tale omissione, si possono fare almeno tre ipotesi:

1) Il comma 49 bis ha voluto precisare che anche quelle convenzioni (stipulate ante 15.03.1992) sono soggette al vincolo di prezzo massimo, come tutte le (altre) convenzioni in proprietà stipulate successivamente.

Ma in tal caso la precisazione non avrebbe senso, perché era sufficiente far riferimento a tutte le convenzioni con oggetto la piena proprietà stipulate in ogni tempo ai sensi dell’art. 35 L. n. 865/1971 (così come fatto per quelle con diritto di superficie), altrimenti non è da respingere l’ipotesi infra sub 2) argomentando a contrario, di escludere tutte quelle stipulate dopo la data del 15.03.1992.

2) Il comma 49 bis ha voluto precisare che solo quelle convenzioni in proprietà (stipulate ante 15.03.1992) sono soggette al vincolo di prezzo massimo (unitamente a quelle stipulate ai sensi dell’art. 18 D.P.R. n. 380/2001, ex comma 49 ter).

A questa lettura, la più aderente al dato testuale, si potrebbe opporre il mancato riscontro di una ragione giustificativa dell’esclusione delle convenzioni in proprietà stipulate fra l’01.01.1997 e il 30.06.2003, che avevano parimenti una previsione legale di vincolo di prezzo massimo di cessione: l’inclusione di queste convenzioni, onde evitare ingiustificate disparità fra proprietari che si trovano nella medesima situazione giuridica, può quindi essere fatta solo accettando una interpretazione estensiva del comma 49 bis.

3) La legge (comma 49 bis) ha incluso solo le convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/1992 ed escluso le altre, semplicemente per una “svista”, come ritengo, per le ragioni che saranno di seguito indicate nel successivo paragrafo 3b.

3a. Applicabilità del comma 49 bis alle convenzioni con oggetto la proprietà stipulate prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/1992 (15.03.1992)

Come anticipato, il comma 49 bis ha incluso nell’ambito della sua applicazione le convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/19923 (15.03.1992).

Si potrebbe ritenere, al proposito, che la precisazione sia stata fatta per risolvere un problema interpretativo sulla valenza abrogativa della legge n. 179/19924 (la legge n. 179/1992 non avrebbe avuto effetti su queste convenzioni, disponendo solo per il futuro). Ma sul punto, si deve ricordare che le convenzioni stipulate ante 15.03.1992, non prevedevano vincoli di prezzo massimo di cessione, ma solo vincoli di inalienabilità assoluti e condizionati, vincoli abrogati dalla legge 179/1992, e certamente non inseribili per le convenzioni stipulate dopo tale data. Quindi:

– o il comma 49 bis ha interpretato (erroneamente) i vincoli di inalienabilità condizionati come sostanziali vincoli di prezzo massimo di cessione (specie con riferimento all’ipotesi del comma 16);

– o, addirittura, li ha convertiti, tacitamente, di imperio (e illegittimamente, in assenza di espressa previsione di conversione, eventualmente da sottoporre a vaglio costituzionale) in vincoli di prezzo massimo di cessione, modificandosi termini, struttura ed efficacia di istituti, quali il divieto di alienazione e il vincolo di prezzo massimo di cessione, chiaramente espressi, delineati e determinati dal legislatore del 1971. Ciò legittima il dubbio che la norma in oggetto, il comma 49 bis, nel far riferimento alla normativa precedente (ossia alla legge n. 865/1971 e, per le convenzioni in proprietà, per la legislazione anteriore all’entrate in vigore della legge n. 179/1992), abbia avuto un’efficacia interpretativa, o piuttosto un’efficacia addirittura innovativa, la cui valenza sarebbe però discutibile, perché incidente, come detto, su diritti quesiti. E rimane ancora più confermato il dubbio che lo stesso legislatore, vittima negli ultimi anni di un’ipertrofia normativa, spesso di non eccelsa qualità tecnica, specie nel suo aspetto testuale, abbia effettivamente conosciuto la materia e previsto le conseguenze della sua scelta.

Qualora l’art. 49 bis avesse una portata interpretativa, nel senso che la legge n. 179/1992 non avrebbe avuto effetti sulle convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della Legge n. 179/1992, ma solo su quelle successive, allora dovrebbe conseguire che:

– dette convenzioni sono ancora disciplinate dai commi 15-19, la cui efficacia o reviviscenza è pertanto limitata alle sole convenzioni stipulate ante 15.03.1992;

– il proprietario ha quindi diritto di estinguere il diritto di alienazione condizionato post ventennale, azionando la procedura prevista dal comma 175 dell’art. 35, senza essere obbligato ad avvalersi della procedura del comma 49 bis che riguarda un diverso vincolo (prezzo massimo di cessione), del quale mancano, nel comma 17 stesso, i criteri per una eventuale determinazione;

– il venditore (ex proprietario) che fosse convenuto in giudizio dal suo avente causa per la restituzione della somma di prezzo eccedente, avrebbe tutto il diritto ad eccepire l’inammissibilità della domanda e chiedere l’applicazione del versamento della somma determinata dal comma 17 a favore del comune o del consorzio dei comuni, ma non a beneficio dell’attore-avente causa, salvo addirittura pretendere la nullità dell’intero contratto6, ex comma 19.

In definitiva, se si ritiene ancora efficace una normativa, valendo l’abrogazione solo per i rapporti instauratisi successivamente all’entrata in vigore della legge abrogratrice, allora la precedente normativa deve essere coerentemente e integralmente applicata per i rapporti pregressi e quindi per le tutte convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/1992.

Sarebbe quindi opportuno che, un giorno, la Suprema Corte esaminasse l’effettivo contenuto (e applicabilità) della comma 49 bis alle convenzioni con oggetto la proprietà stipulate, prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/19927, e quindi precisasse:

– quali norme prevedevano un effettivo vincolo di prezzo massimo di cessione per le convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della legge  n.179/1992 (cd. Ferrarini-Botta), stante il diverso tenore dell’art. 35, commi 15-17, L. n. 865/1971;

– quale incidenza abbia avuto l’abrogazione dei commi 15-19 dell’art. 35 L. 865/1971 da parte della legge Ferrarini-Botta sulle convenzioni in proprietà stipulate anteriormente alla sua entrata in vigore, in assenza di  norma transitoria;

– quale sia l’attuale portata prescrittiva dei commi 15-19, nel caso in cui fosse asserita la persistenza dei vincoli in essi previsti per le convenzioni stipulate ante 15.03.1992;

– se i commi 16 e 17 fossero vincolanti per i soli concessionari (cooperative edilizie e singoli, preferibilmente proprietari delle aree espropriate), considerando che il comma 15 (vincolo di inalienabilità assoluta), lo era certamente, impedendo al primo proprietario(concessionario) la vendita per dieci anni.

Riterrei, come già altrove espresso8, che la legge n. 179/1992 abbia eliminato i vincoli di inalienabilità e le limitazioni ad essi inerenti: 1) perché quei commi non erano inseriti nel contenuto tipico della convenzione in proprietà (originario comma 12, lett. a,b,c,d, art. 35), ma disciplinavano, in generale, tutte le situazioni in cui un concessionario avesse avuto la proprietà di un bene convenzionato; altrimenti, si dovrebbe ritenere che vi erano convenzioni di contenuto identico (originario comma 12, lett. a-d, art. 35, L. n. 865/1971), ma alcune soggette a divieto di alienazione ed altre non soggette al medesimo divieto, senza una ragione logico-giuridica; 2) infatti, se la legge elimina un vincolo alla cessione, ciò fa presumere che abbia ritenuto, in base ad una valutazione di utilità e convenienza pubblica, non necessario quel vincolo e, pertanto, non sarebbe comprensibile, né costituzionalmente equo, il perdurare di quel medesimo vincolo solo per alcuni proprietari, pur trovandosi nelle medesime condizioni soggettive degli altri; 3) le norme favorevoli per i destinatari, in generale, hanno e possono avere efficacia retroattiva9.

Alla luce di tutto ciò, la prima parte del testo del comma 49 bis, poteva più correttamente essere del seguente tenore: “49-bis. I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze, nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, sia aventi ad oggetto la cessione del diritto di superficie, sia aventi ad oggetto la cessione del diritto di proprietà, quanto a quest’ultime, limitatamente a quelle stipulate successivamente alla data di entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996, n. 662, possono essere rimossi, … 

3b. Applicabilità del comma 49 bis alle convenzioni sostitutive ex comma 46 del medesimo articolo 31 (L. n. 448/1998)

Le convenzioni sostitutive ex comma 46 non sono incluse nel disposto del comma 49 bis. Si può quindi porre l’interrogativo se anche i proprietari di beni di edilizia residenziale pubblica che abbiano stipulato dette convenzioni prima del 30.06.2003 (e quindi con riferimento all’art. 8 della L. n. 10/1977) possano beneficiare della convenzione estintiva ex comma 49 bis del vincolo di prezzo massimo di cessione.

Si ricorda, in sintesi, il contenuto del comma 46: le convenzioni stipulate ai sensi dell’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, e precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, per la cessione del diritto di proprietà, possono essere sostituite con la convenzione di cui all’articolo 8, commi primo, quarto e quinto della legge 28 gennaio 1977, n. 10, avente la durata di 30 anni (poi ridotta a 20, a seguito della legge n. 135/2012), diminuita del tempo trascorso fra la data di stipulazione della convenzione che ha accompagnato la concessione del diritto di superficie o la cessione in proprietà delle aree e quella di stipulazione della nuova convenzione e in cambio di un corrispettivo, per ogni alloggio edificato, calcolato ai sensi del comma 48 del medesimo articolo 31 (al medesimo comma 48 fa pure rinvio il comma 49 bis per il calcolo del corrispettivo dovuto dal proprietario per l’estinzione del vincolo).

Si può innanzitutto osservare: che il comma 49 bis fa riferimento alle medesime tipologie di convenzioni previste dal comma 46, e stipulate ai sensi dell’art. 35 L. n. 865/1971 (convenzioni con diritto di superficie e convenzioni con piena proprietà stipulate prima dell’entrata in vigore della L. n. 179/1992); in secondo luogo, che il comma 46 riprende letteralmente lo stesso riferimento alla tipologia di convenzioni di cui all’art. 3, comma 78, della Legge n. 549/199510 (abrogato dalla stessa legge n. 448/1998); in terzo luogo, che, nonostante la legge preveda la sostituzione con la convenzione di cui all’articolo 8, commi primo, quarto e quinto della legge 28 gennaio 1977, n. 10, il cui schema-tipo è utilizzato dalle convenzioni di edilizia privata, la convenzione sostitutiva non dovrebbe perdere la sua natura di originaria convenzione di edilizia residenziale pubblica (sul punto, amplius, vedi successivi paragrafi 4 e 5).

– Convenzioni con diritto di superficie. Per quanto concerne le convenzioni con diritto di superficie, seppur non specificato dalla norma, è logico presumere che la convenzione abbia per oggetto la trasformazione del diritto in piena proprietà, di modo che il proprietario possa avere, oltre che a un diritto più ampio, un limite temporale alla convenzione (essendo quello con diritto di superficie di durata pari, normalmente, a 99 anni) e quindi un pari limite temporale del vincolo di prezzo massimo di cessione.

Ritengo che le convenzioni sostitutive possano anch’esse beneficiare della convenzione estintiva ex comma 49 bis, laddove sia confermata e mantenuta la loro natura di edilizia residenziale pubblica, e risulti conveniente al proprietario ottenere la immediata estinzione del vincolo di prezzo massimo, nel caso, ad es., occorrano ancora molti anni alla scadenza della convenzione sostitutiva, mediante un’interpretazione estensiva della norma, stante l’intento effettivo di liberalizzazione del mercato immobiliare da parte del legislatore del 2011.

– Convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della L. n. 179/1992. Per quanto concerne, le convenzioni aventi ad oggetto la piena proprietà stipulate prima della entrata in vigore della legge Ferrarini-Botta, si fatica a comprenderne la convenienza, per un proprietario che, ormai giunto alle soglie di durata dei vent’anni della convenzione, con facoltà quindi di liberarsi di tutti i vincoli di alienazione con la procedura di cui al comma 17, decida di sottoscrivere una convenzione ex comma 46 che allunghi di altri 10 anni (in quanto fino al 2012, la nuova convenzione doveva avere la durata di 30 anni) la persistenza di un vincolo (diverso da quello di alienazione condizionata, quale il prezzo massimo di cessione), salvo non ipotizzare la convenienza economica del corrispettivo da calcolarsi ai sensi del comma 48 (art. 31 L. n. 448/1998), invece che ai sensi del(l’abrogato) comma 17 (art. 35, L. n. 865/1971). Comunque, qualora il proprietario avesse stipulato la convenzione sostituiva ex comma 46, anche in questo caso riterrei, per le medesime ragioni sopra indicate, che possa beneficiare della convenzione estintiva ex comma 49 bis.

Tuttavia, si può sostenere che la presenza del comma 49 bis ha oggi reso, di fatto, inapplicabile il comma 46 a questa tipologia di convenzioni, che sono ormai state stipulate da oltre un quarto di secolo: a fronte della possibilità di estinzione immediata del vincolo di prezzo massimo di cessione, il proprietario non ha alcuna convenienza a stipulare la convenzione sostitutiva ex art. 46; o meglio, nel caso in cui siano già trascorsi venti anni dalla stipula della convenzione originaria, potrebbe optare per l’una o l’altra convenzione, a seconda della convenienza economica e del minor importo del corrispettivo.

– Convenzioni con oggetto la proprietà stipulate fra il 15.03.1992 e il 31.12.1996. Il comma 46 non ha previsto questa tipologia di convenzione, in quanto non esistendo per le stesse un vincolo di prezzo massimo di cessione o altri particolari vincoli gravosi, non vi era alcuna convenienza a stipulare di una convenzione sostitutiva.

– Convenzioni con oggetto la proprietà stipulate dopo l’entrata in vigore del prezzo massimo di cessione ai sensi della legge n. 662/1996 (art. 3, co. 63). Il comma 46 non ha previsto questa tipologia di convenzione, in quanto non aveva senso logico proporre al proprietario la sostituzione con una convenzione dal medesimo contenuto e dalla medesima durata.

A questo punto, si può comprendere perché il comma 49 bis non preveda questa tipologia di convenzioni: avendo ricopiato il testo di legge dal precedente comma 46 (che a sua volta, si era rifatto a quello del comma 78, art. 3, L. n. 549/1995), per ciò che concerne il riferimento alle tipologie di convenzioni (superficie e proprietà ante 15.03.1992), non ha considerato che l’omissione ivi risultante, per quelle con proprietà stipulate dopo l’01.01.1997, era dovuta a motivazioni logico-giuridiche, che invece il legislatore del 2011 non ha tenuto presente, creando così una lacuna normativa per dette convenzioni, mentre ha introdotto il comma 49 ter quando si è accorto che dall’indicazione mancavano tutte le convenzioni stipulate ai sensi (o meglio, con richiamo) del nuovo Testo Unico dell’Edilizia, entrato in vigore successivamente alla legge n. 448/1998.

  1. Convenzioni PEEP (edilizia pubblica) e Convenzioni Bucalossi (edilizia privata)

Prima di addentrarsi nella specifica analisi della questione principale all’esame delle Sezioni Unite (ambulatorietà dell’obbligo di prezzo massimo di cessione), non si può non tener conto di un’altra fondamentale distinzione fra le convenzioni edilizie, che la Suprema Corte, seppur senza soffermarsi (trattandosi di materia estranea all’oggetto del contendere), ha comunque voluto puntualizzare, quale obiter dictum, ossia la (ulteriore) distinzione tra le convenzioni in proprietà ex art. 35  L. n. 865 del 1971 (in breve, Convenzioni cd. PEEP), stipulate nell’ambito dei piani di edilizia economico e popolare, e quelle ex artt. 7 e 8 L. 28 gennaio 1977, n. 10, (Convenzioni cd. Bucalossi, convenzioni edilizie di natura privata, prevalentemente finalizzate ad ottenere una riduzione del contributo concessorio a favore del costruttore (oggi soggette a nuova normativa, l’art. 18 D.P.R. n. 380/2001).

La Corte ritiene che solo per le seconde, il titolare di alloggio, avente causa dal costruttore, non sarebbe obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzione-tipo approvata dalla regione, ai sensi della L. n. 10 del 1977, art. 7: e questo perché, destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione (od il canone di locazione), nei limiti fissati dalla detta convenzione, è soltanto il costruttore titolare della concessione, apparendo evidente nelle Convenzioni cd. Bucalossi che il destinatario degli obblighi assunti di contenere il prezzo di cessione degli alloggi, nei limiti indicati, è colui che ha ottenuto la concessione edilizia (permesso di costruire) a contributo ridotto.

In effetti, per entrambi le tipologie di Convenzioni (Convenzione PEEP /edilizia convenzionata residenziale pubblica, e Convenzione Bucalossi /edilizia abitativa convenzionata privata) il destinatario degli obblighi, in prima istanza, è sempre e soltanto il costruttore, sia titolare della concessione comunale che titolare del permesso di costruire, dato che non si ricava dal confronto delle norme PEEP/Bucalossi alcuna differenza fra le due figure di contraenti, perché nessuna norma fa espresso riferimento al permanere degli obblighi per gli aventi causa del concessionario o del costruttore (in particolare, la sanzione della risoluzione per inadempimento della Convenzione o la decadenza dalla concessione non può che essere riferita al concessionario). Semmai, si può osservare che mentre nelle Convenzioni PEEP (ved. art. 35 co. 12/13 L. n. 865/1971) si ha un particolare  minor  costo  per l’acquisto delle aree da edificare, nelle Convenzioni Bucalossi, si ha piuttosto la riduzione degli oneri concessori (per il costruttore che è già proprietario): da questa sola differenza di vantaggio per il concessionario si dovrebbe argomentare la eventuale differenza di disciplina fra gli aventi causa. Fra l’altro, le convenzioni PEEP in proprietà (art. 35 co. 13), per quanto concerne la problematica della determinazione e del rispetto del prezzo massimo di cessione, devono contenere le medesime disposizioni dei commi 1, 4 e 5 dell’art. 8 della legge n. 10/1977 (oggi art. 18 DPR 380/2001), di modo che la disciplina delle due tipologie di convenzioni appare sempre più connessa e più sfumata la loro differenziazione. Non solo: in virtù del comma 46 dell’art. 3 della legge  448/1998, vi è la possibilità di sostituire le convenzioni stipulate ai sensi dell’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, per la cessione del diritto di proprietà, con la convenzione di cui all’articolo 8, commi primo, quarto e quinto della legge 28 gennaio 1977, n. 10, alimentandosi, anche in questo caso, il dubbio se detta convenzione sostitutiva debba essere assimilata alla disciplina delle convenzioni PEEP, oppure a quella delle convenzioni ex legge n. 10/1977 (oggi art. 18 D.P.R. n. 380/2001), perdendo la sua originaria natura di convenzione PEEP.

Ciò che in effetti segna una marcata differenza fra le due tipologie di convenzioni – che giustificherebbe la diversa incidenza del vincolo di prezzo massimo sui successivi aventi causa – è l’aspetto pubblicistico: le convenzioni disciplinate dall’art. 35 della legge n. 865 del 1971 sono vere e proprie convenzioni urbanistiche che costituiscono l’attuazione di una programmazione comunale di edilizia abitativa, articolato con l’individuazione di piani di zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, a seguito di  espropriazioni di aree da parte del comune (acquisite al patrimonio indisponibile). Le convenzioni disciplinate dall’art. 18 D.P.R. n. 380/2001 (e prima dall’art. 8, L. n. 10/1977) sono invece convenzioni pattizie di diritto privato contenenti specifiche limitazioni per il costruttore, a fronte di alcuni vantaggi o risparmi di spesa; si tratta, quindi, non tanto di convenzioni urbanistiche, quanto, più propriamente, di convenzioni meramente edilizie, aventi il solo scopo di disciplinare la concreta realizzazione di una determinata costruzione nell’ambito del territorio comunale11.

Pertanto, la differenza fra le due discipline (in particolare, quella concernente il prezzo massimo di cessione) non è data dalla stretta lettura delle norme che compongono il contenuto delle convenzioni ma dall’ambito, pubblico o privato, nel quale esse si inseriscono.

La conclusione, o meglio, la distinzione12, della Corte, però, non trova conferma nel dato testuale del comma 49 ter  che ricomprende nel suo ambito le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. n. 380/2001, senza distinguere fra quelle di edilizia residenziale pubblica e quelle di edilizia residenziale privata. Quindi, si rileva una vera e propria contraddizione logica motivazionale: da una parte – per la questione della persistenza del vincolo di prezzo massimo di cessione, anche cessato il termine di inalienabilità –,   il testo normativo è ritenuto dirimente dalla Cassazione, dall’altra – per la distinzione fra Convenzioni cd. Bucalossi e Convenzioni cd. PEEP –, il testo normativo è trascurato, in quanto il comma 49 ter (art. 31 L. 448/1998) non fa differenziazioni di sorta.

  1. Ambito di applicazione del comma 49 ter (art. 31, L. n. 448/1998)

In realtà, le argomentazioni sulla su esposta distinzione della Suprema Corte, possono essere ritenute condivisibili, qualora si specificasse un presupposto fondamentale, stante il diverso testo del comma 49 ter: le convenzioni con diritto di proprietà, disciplinate dall’art. 35, comma 13, della L. n. 865/1971, sono convenzioni di edilizia residenziale pubblica e il richiamo che detto comma 13 fa all’art. 8, commi 1,4,5, della L. n. 10/1977 (oggi art. 18 D.P.R. n. 380/2001), al solo fine di indicare parte delle prescrizioni che devono essere contenute nella convenzione, non ne muta la natura, ma costituisce solo una relatio formale di parte del contenuto della convenzione medesima, alla convenzione-tipo utilizzata per l’edilizia privata, cd. Bucalossi (oggi convenzione ex  T.U.E.).

Pertanto, in coerenza con quanto affermato dalla Suprema Corte si dovrebbe concludere che sarebbero soggette al disposto dell’art. 49 ter soltanto le convenzioni stipulate nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica ex art. 18 D.P.R. n. 380/2001 – rectius:  ex art. 18, come richiamato dall’art. 35, comma 13 L. n. 865/1971 – e non quelle stipulate nell’ambito dell’edilizia residenziale privata, che adottano, tout court, lo schema della convenzione-tipo di cui all’art. 18 (e prima dell’art. 8 della Legge Bucalossi). In particolare, per quest’ultime, escluso che il costruttore che ha stipulato la convenzione edilizia ex art. 18  possa beneficiare della convenzione sostitutiva di cui all’art.49 ter (poiché è ammissibile solo per le alienazioni successive al primo trasferimento), non si comprende come ne possano beneficiare gli acquirenti successivi, dato che il vincolo di prezzo massimo di cessione, stando alle condivisibili argomentazioni della Cassazione, non si trasmette loro, insistendo sul solo  costruttore.

E allora, a ben vedere, la Cassazione ha evidenziato, incidentalmente, una imprecisione tecnico-giuridica del comma 49 ter: così come formulato, esso non dovrebbe essere paradossalmente applicato alle convenzioni con oggetto la proprietà di edilizia residenziale pubblica, le quali sono stipulate ai sensi dell’art. 35, comma 13, L. n.865/1971 e non ai sensi dell’art. 18 D.P.R. n. 380/2001 (come del resto, precisato dallo comma 49 bis, le cui disposizioni si applicano al comma 49 ter: i vincoli …, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865), cosicché l’interpretazione della Cassazione seppur indirettamente, ci consente di individuare l’effettivo ambito applicativo della norma, limitandolo alle sole Convenzioni stipulate in ambito PEEP. Del resto, le disposizioni di cui ai commi 45-50 dell’art. 31, L. n. 448/1998 sono chiaramente riferite all’edilizia residenziale pubblica.

Un’applicazione “onnicomprensiva” (ossia, estesa a tutte le convenzioni ex art. 18 D.P.R., comprese quelle di edilizia convenzionata privata) avrebbe conseguenze di immotivate disparità di trattamento, lesive del dettato costituzionale, fra i proprietari titolari di immobili soggetti a convenzioni di edilizia privata, stipulata con il modello tipo dell’art. 18 D.P.R. n. 380/2001, e i proprietari che hanno invece stipulato convenzioni, sempre nell’ambito dell’edilizia convenzionale privata, secondo l’identico modello tipo dell’art. 8, L. n. 10/1977, durante il suo periodo di vigenza,  convenzioni, queste ultime, non incluse dalla norma in esame (e neanche dal comma 49 bis) ed espressamente escluse dalla Cassazione dalla normativa vincolante dell’edilizia residenziale pubblica, con orientamento costante (SS.UU. n. 18135/2015; Cass. n.  13006/2000; Cass. n. 7630/2011).

Conseguentemente, sulla base del presupposto sopra evidenziato, sarebbe stata sufficiente l’emanazione di un unico comma (comprensivo del contenuto dei commi 49 bis e del 49 ter), nei termini formulati alla fine del paragrafo 3a, oppure, nel caso si fosse optato per due diversi commi, uno riservato alle sole convenzioni con diritto di superficie (49 bis), e l’altro, riservato alle sole convenzioni in proprietà, quest’ultimo avrebbe potuto essere del seguente tenore : “49-ter. Le disposizioni di cui al comma 49-bis si applicano anche alle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e s.m.i., per la cessione del diritto di proprietà, stipulate successivamente alla data di entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996, n. 662…”

  1. Ambulatorietà dell’obbligo di prezzo massimo di cessione

Veniamo quindi al punto essenziale della controversia posta all’esame delle Sezioni Unite: l’ambulatorietà dell’obbligo di prezzo massimo di cessione.

La suprema Corte ritiene dirimente, ai fini della soluzione della questione, la disposizione contenuta nel D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazioni, in L. 12 luglio 2011, n. 106) che ha aggiunto al comma 49 dell’art. 31 della L. 23 dicembre 1998, n. 448, il comma 49 bis, che qui si riporta: I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero13 per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del presente articolo. La percentuale di cui al presente comma è stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 3 (dall’01.01.2012, dal Comune, per modifica ex lege n.14/2012, art. 29, comma 16-undicies).

 Ora, per la Suprema Corte, da detto testo normativo emerge, dunque, con chiarezza che il vincolo del prezzo non è affatto soppresso automaticamente a seguito della caduta del divieto di alienare, ed anzi in assenza di convenzione ad hoc, segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita. Conseguentemente, l’orientamento contrario della Corte (sentenza n. 13006/2000 e n. 7630/2011), sarebbe superato per intervenuta novella, ossia il legislatore avrebbe direttamente preceduto ad una lettura interpretativa della pregressa normativa, in contrasto con parte dell’orientamento della Cassazione14.

La Suprema Corte, inoltre, giustifica tale conclusione (facendo propri i principi enunciati dalla sentenza  n. 9266/1995  della Corte di Cassazione e dell’ordinanza della Sezione remittente la questione alle Sezioni Unite,  la n. 15406 del 4 luglio 2014), anche sotto il profilo teleologico, in quanto essa appare altresì conforme ad una politica del diritto volta a garantire il diritto alla casa, facilitando l’acquisizione di alloggi a prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pubblico15), ai ceti meno abbienti; e non certo quella di consentire successive operazioni speculative di rivendita a prezzo di mercato16.

Quindi le due vere ragioni, secondo la Cassazione, per le quali dovrebbe sussistere l’ambulatorietà dell’obbligo di prezzo massimo di cessione dall’originario concessionario ai successivi aventi causa, sono:

A) il profilo teleologico (tutela dei meno abbienti, contrasto a fenomeni speculativi)

B) il testo dell’art. 31, comma 49 bis, della L. n. 448/1998 (come introdotto dalla L. n. 106/2011)

 A) Sotto il profilo teleologico, occorre fare alcune valutazioni, cercando di liberarsi da un’impostazione meramente ideologica. Indubbiamente, nel caso esaminato dalla sentenza balza in evidenza la triplicazione del bene rispetto al valore (ved. nota 16). Tuttavia, se il cittadino compra una casa di valore corrispondente a quello di mercato, nel suo patrimonio, tale valore sarà rappresentato, anche per le future cessioni, seppur a fronte di uno sforzo iniziale maggiore per l’acquisto; al limite, risulterebbe solo censurabile moralmente l’arricchimento/speculazione del primo cessionario (avente causa dal concessionario) – che lucra sulla differenza fra prezzo di acquisto agevolato e prezzo di vendita di mercato – ma a ciò si può ovviare prevedendosi un equo indennizzo, in sede di prima rivendita, a favore del Comune (da versare direttamente al Comune in sede di cessione), ove il prezzo vantaggioso iniziale fosse correlato da un minor introito del Comune.

In effetti, esaminando l’impianto della Legge n. 865/1971 traspare chiaramente che l’intento prioritario della norma fosse quello di sopperire al bisogno abitativo con case di tipo economico e popolare (categorie sociali di limitate capacità economiche o ccdd. senzatetto), mediante la locazione degli immobili (immaginando che gran parte dei beneficiari non fosse in grado economicamente di acquistare l’immobile), essendo la cessione degli alloggi ipotesi straordinaria, in quanto previsto un lungo lasso di tempo di inalienabilità, per le convenzione con cessione in proprietà, mentre per le convenzioni con diritto di superficie, la cessione (della proprietà superficiaria), era permessa, solo se (eccezionalmente) consentita dalla convenzione17.

Tuttavia, si può al contempo osservare che nelle norme introdotte dalla legge n. 106/2011, le aspettative e le tutele dei cittadini meno abbienti sembrano sostituite, con il presupposto (o il pretesto) della liberalizzazione nel settore dei trasferimenti immobiliari18, dalla esigenza di consentire ai Comuni di (poter) implementare le entrate finanziarie (mediante la stipula di convenzioni modificative che rimuovono i vincoli di prezzo massimo di cessione, dietro il pagamento di una somma), in una fase storica in cui il trasferimento di risorse agli enti locali è stato ridotto dallo Stato, e in cui si tenta di acquisire risorse evitando la strada impopolare dell’imposizione diretta, mediante forme, anche occulte, di condoni o sanatorie, indirizzate solo ad alcune categorie di cittadini.

In definitiva, da tutto questo impianto motivazionale emerge un paradosso. Da una parte, il presupposto e principio della tutela e della garanzia dei meno abbienti, alla base della normativa precedente, sarebbe confermato da una normativa successiva (la legge n. 106/2011), che quei presupposto e principio però sconfessa, poiché prevede l’eliminazione (a pagamento, per chi se lo può permettere oppure è in procinto di vendere la casa) di quel vincolo (di prezzo massimo di cessione o locazione) che dovrebbe tutelare e garantire l’acquisto della casa ai meno abbienti; dall’altra parte, il fenomeno della speculazione non è del tutto negato, considerato che, per l’art. 49 bis (e 49 ter), dopo solo cinque anni è possibile vendere il bene a prezzo di mercato, versando una somma che, comunque, almeno per gli immobili delle grandi città, può rappresentare solo una quota  (da un terzo ad un ottavo) dell’aumento di valore del bene.

B) Per quanto riguarda il dettato normativo (comma 49 bis), è da criticarsi la formulazione alquanto infelice di detta norma, per tutte le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi, nonché per alcune considerazioni che saranno svolte nei successivi paragrafi.

Non si possono nascondere perplessità quando viene utilizzato come dirimente un dato testuale che in realtà mostra errati presupposti, lacune diffuse, imprecisioni tecniche e difficoltà interpretative, dovendosi ricorrere, in diversi punti, ad operazioni di interpretazione analogica o estensiva (spesso addirittura dovuta per evitare disparità costituzionali), non coerenti con la visione  di un norma che si asserisce di “evidenza” logica. Era auspicabile che la stessa Suprema Corte, per il suo autorevole potere e per il suo alto profilo giuridico, avesse analizzato la coerenza e l’esaustività della norma, correggendo/integrando il mero dato testuale, a seguito di una circostanziata attività ermeneutica, almeno per ciò che concerne le convezioni con diritto di proprietà, soprattutto qualora si pretenda, da parte degli operatori e dei comuni, di applicare i principi desumibili dalla stessa sentenza anche a questa tipologia di convenzioni.

Un ultimo rilievo è dedicato alle convenzioni con oggetto la proprietà stipulate anteriormente al 15.03.1992, cercando di individuarsi pure in esse le motivazioni che giustificherebbero l’ambulatorietà dell’obbligo del prezzo massimo di cessione.

Sulla loro discutibile inclusione, fatta dal comma 49 bis, fra le convenzioni contenenti un vincolo di prezzo massimo di cessione, si è diffusamente analizzato nel precedente paragrafo 3a.

Quanto ai motivi di natura teleologica, l’analisi deve essere essenzialmente svolta per il comma 17 dell’art. 35 della L. n. 865/1971 (nel quale sarebbe individuato dal comma 49 bis una sorta di vincolo di prezzo massimo di cessione), l’unico caso oggi di pratica utilità, essendo trascorso per tutte le convenzioni in oggetto, oltre un ventennio dalla stipula.

In base a questo comma era consentito di vendere, dopo i venti anni (dal rilascio dell’abitabilità) a chiunque, ossia senza riferimento a determinati requisiti soggettivi dell’acquirente: ciò, in primo luogo, esclude, a priori, qualunque tipo di riferimento alla garanzia del diritto alla casa a favore dei meno abbienti; in secondo luogo, era indubbiamente difficile riscontrare operazioni speculative dopo un così lungo lasso di tempo, oltre vent’anni, poiché il divieto di alienazione (prolungato) è probabilmente lo strumento più valido per evitare fenomeni speculativi (quelli che sostanzialmente si verificano nel breve periodo), così come avviene in altri settori dell’edilizia economica e popolare (ad es. in materia di edilizia sovvenzionata oppure agevolata, con inalienabilità decennale o quinquennale)19.

D’altra parte, i divieti originariamente previsti dai commi 15-16-17 furono abrogati (dalla L. n. 179/1992), perché la speculazione che poteva verificarsi sul prezzo di vendita degli alloggi, nell’edilizia convenzionata era sostanzialmente ridotta all’acquisto dell’area, mentre la costruzione dell’alloggio veniva realizzata prevalentemente a spese del costruttore. Per di più l’indennità espropriativa dell’area, dopo le sentenze n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983 della Corte Costituzionale, non era più basata sul valore agricolo, ma si avvicinava al valore venale maggiorato del costo delle opere di urbanizzazione: di qui la attenuazione di qualsiasi speculazione su un eventuale prezzo politico di acquisizione dell’area, che più non sussiste (CASU20). Senza dimenticare che in diversi casi i proprietari delle aree rientranti nei piani di zona e che acconsentivano quindi a destinare i propri terreni alla realizzazione della programmazione urbanistica comunale, invece di essere espropriati, preferivano cedere volontariamente (e in parte gratuitamente) tali aree al Comune, riottenendone poi indietro la proprietà, in sede di Convenzione, al fine di effettuare, a loro cura e spese, l’attuazione del programma edificatorio; oppure, come previsto dal comma 11 dell’art. 35 (L. n. 865/1971), in caso di avvenuta espropriazione, i proprietari espropriati dovevano avere la preferenza in caso di cessione in proprietà delle medesime aree. È evidente, quindi, in questi casi, che il proprietario (originario) non potesse realizzare fini speculativi in relazione alla differenza tra il valore di mercato dell’area al momento dell’alienazione ed il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto, in quanto tale differenza non si era realizzata, essendo i loro stessi terreni oggetti di esproprio o di cessione gratuita al comune.

  1. Violazione dell’obbligo di prezzo massimo di cessione

Vi è un ulteriore interrogativo fondamentale, al quale la giurisprudenza dà prevalentemente risposta affermativa: la violazione del prezzo massimo di cessione comporta effettivamente la nullità ex art. 1418 cod. civ., o meglio, la nullità parziale del contratto ex art. 1419 co. 2, c.c. (o meglio della clausola relativa al prezzo), con conseguente sostituzione del corrispettivo imposto dalla legge?

La Suprema Corte non sembra aver dubbi sul punto21, richiamando anche precedenti orientamenti.

Pure in questo caso occorre però distinguere fra convenzioni con diritto di superficie e convenzioni con proprietà piena, nonché esaminare attentamente le diverse normative succedutesi nel tempo. Non vi è dubbio che esistano leggi in materia che prevedono espressamente una forma di nullità parziale per le convenzioni PEEP, con sostituzione di diritto della clausola nulla ex art. 1419 comma 2 cod. civ., e precisamente la nullità della pattuizione del prezzo per la parte eccedente:  l’art. 35 comma 13, della legge n. 865/1971 (come modificato dall’art. 3 comma 63 della L. n. 662/1996), laddove richiama l’art. 8, comma 5 della legge 10/1977 (oggi art. 18 D.P.R. n. 380/2001); ma questa norma riguarda solo le convenzioni con oggetto la piena proprietà.

Per le convenzioni con diritto di superficie (PEEP) manca invece un’analoga disposizione. Infatti, il comma 8 dell’art. 35 dispone (e ha sempre disposto), al punto f), che la Convenzione deve prevedere le sanzioni a carico del concessionario per l’inosservanza degli obblighi stabiliti nella convenzione ed i casi di maggior gravità in cui tale inosservanza comporti la decadenza dalla concessione e la conseguente estinzione del diritto di superficie.

Da ciò si desume che la legge (ancora oggi in vigore) non faccia riferimento espresso alla violazione del prezzo massimo di cessione, ma si limiti ad indicare “sanzioni” per l’inosservanza dei vari obblighi della convenzione – senza necessaria adozione della sanzione della nullità – prevedendo, per i casi più gravi, la risoluzione del contratto. Pertanto, le Convenzioni potevano prevedere la nullità – eventualmente del prezzo superiore a quello massimo, valutandosi se l’autonomia privata possa prevedere la sanzione della nullità, salvo non ricondurla, come fa la Cassazione, ad una (presunta) “delega legislativa” – oppure, una sanzione alternativa, come, ad es., una sanzione pecuniaria (una multa doppia o quadrupla commisurata alla parte eccedente del prezzo)22. Invece, l’originario testo dell’art. 35 L. n. 865/1971, per le convenzioni con diritto di proprietà, prevedeva espressamente (comma 19) la sanzione della nullità per la cessione (e locazione) del bene convenzionato senza il rispetto delle condizioni previste nei commi 15-18.

Rimangono, quindi, da spiegare le ragioni per le quali il legislatore dell’epoca (1971) abbia differenziato la disciplina fra le convenzioni con diritto di superficie e le convenzioni con piena proprietà, lasciando supporre, per determinate violazioni della legge stessa, la nullità virtuale per le prime, mentre, per le seconde, ha previsto espressamente la nullità. A riprova di ciò è il fatto che il legislatore della legge Bucalossi (art. 8) e, successivamente, quello del D.P.R. n. 380/2001 (art. 18), abbiano espressamente disposto che ogni pattuizione stipulata in violazione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione è nulla per la parte eccedente, introducendo così, per la prima volta, una espressa nullità (parziale) per la violazione dell’obbligo del prezzo massimo di cessione.

Pertanto, ove la Convenzione in diritto di superficie ex art. 35 co. 8 non preveda, per il caso di eccedenza del prezzo, espressamente la sanzione della nullità parziale (qualora ritenuta possibile per “delega” legislativa che però non si desume dall’impianto normativo, salvo che la Convenzione stessa non richiami l’ultimo comma dell’art. 8 della L. n. 10/1977 o dell’art. 18 del D.P.R. n. 380/2001), non si comprende perché la nullità debba essere presunta o imposta in sostituzione della diversa sanzione, anche pecuniaria, o di natura obbligatoria (come la decadenza – risoluzione) prevista dalla Convenzione in ottemperanza allo stesso dettato normativo (art. 35, co. 8, lett. f).

Riassumendo, riterrei, in sintesi, di sostenere quanto segue.

– Convenzioni con oggetto la proprietà piena:

a) convenzioni stipulate a partire dal 1 gennaio 1997 (L. n. 662/1996): la nullità parziale è ravvisabile per la violazione del prezzo massimo, essendo tale sanzione contenuto obbligatorio (e quindi anche in assenza di previsione nella stessa Convenzione), in virtù del riformulato comma 13 dell’art. 35 della L. n.865/1971, come modificato dalla legge n. 662/1996 (art. 3.63), mediante il riferimento/rinvio al comma 5 dell’art. 8 della Legge n. 10/1977, oggi comma 5 del l’art. 18 D.P.R. n. 380/2001.

b) convenzioni stipulate a partire dal 1 gennaio 1997 (L. n. 662/1996): la nullità parziale non è ravvisabile, in quanto non risulta previsto normativamente il vincolo di prezzo massimo di cessione.

c) convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della legge n. 179/1992 (15.03.1992): la nullità parziale non è ravvisabile, in quanto non solo risulta previsto normativamente un vincolo di prezzo massimo di cessione (bensì vincoli di alienazione), ma perché è addirittura prevista la nullità dell’intero contratto (originario comma 19 dell’art. 35), in violazione dei commi 15-17, senza quindi ambulatorietà degli obblighi derivanti dai vincoli.

– Convenzioni con oggetto la proprietà superficiaria:

per la violazione del prezzo massimo, la nullità parziale è ravvisabile solo se prevista espressamente dalla convenzione, sempre che si accetti il teorema della delega legislativa, a cui la Cassazione aderisce, ma ciò a mio parere sarebbe possibile solo per le convenzioni stipulate con lo schema-tipo dell’art. 18 del D.P.R. n. 380/2001 (o dell’abrogato art. 8 L. n. 10/1977), dato che, ancora oggi, il testo del comma 8 dell’art. 35 L. n. 865/1971 non prevede la sanzione della nullità parziale per violazione del prezzo massimo di cessione al contrario dell’art. 18 citato. Salvo non ipotizzarsi una nullità virtuale (o lacuna da colmarsi con interpretazione analogica più che estensiva), che però non sarebbe giustificabile dal confronto con il dettato normativo previsto per le convenzioni con diritto di proprietà: se il riferimento a tale comma 5 manca per le convenzioni avente oggetto la proprietà superficiaria, ciò non può non essere privo di conseguenze sotto l’aspetto della disciplina, salvo ipotizzare che la lacuna sia dovuta a mancato adeguamento/svista del legislatore.

  1. Natura e durata del vincolo di prezzo massimo di cessione

Infine, alcuni valutazioni a latere si possono effettuare su due concetti espressi dalla Corte relativi a natura e durata del vincolo di prezzo massimo: secondo la Suprema Corte, il vincolo del prezzo massimo ….. in assenza di convenzione ad hoc (da redigere in forma pubblica soggetta a trascrizione) segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita.

Quanto alla natura del vincolo, più che di onere reale, dovrebbe ravvisarsi la natura di obbligazione propter rem o reale. Per la dottrina, l’onere reale è il vincolo che inerisce ad un immobile obbligando tutti i successivi proprietari al pagamento di prestazioni periodiche (ad es. il contributo consortile dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario, i tributi fondiari di bonifica; nel passato, i censi, livelli e decime). Al pari delle obbligazioni reali anche l’onere reale presenta i caratteri della tipicità dell’accessorietà e dell’ambulatorietà, ma ha per oggetto solo somme di denaro o altre cose generiche da prestarsi periodicamente. Invece, nelle obbligazioni reali, la prestazione può consistere anche in un facere e può esaurirsi in un unico adempimento, come appunto il pagamento della somma versata per l’estinzione del vincolo di prezzo massimo di cessione.

Quanto alla durata del vincolo, è opportuna una precisazione, in quanto non è chiaro se la Suprema Corte, nell’uso del concetto di efficacia indefinita,  si riferisca a tutte le convenzioni, con diritto di superficie e con diritto di piena proprietà, oppure soltanto a quelle con diritto di superficie, dato che l’esame della disciplina dei giudici della Suprema Corte sembra svolto parallelamente per entrambe le tipologie di Convenzione, stante che l’unica differenza riscontrata consisterebbe (o consisteva) nel solo regime di inalienabilità.

Anche in questo caso, si pone quindi un problema di effettiva interpretazione della sentenza, cercando di evitarne conseguenze pregiudizievoli per i cittadini proprietari.

Ora, è ben noto che le concessioni con diritto di superficie PEEP hanno una durata di 60/99 anni (comma 3, art. 35, rinnovabile) e non indefinita, mentre quelle con diritto di proprietà PEEP hanno una durata determinata in 20/30 anni (durata però introdotta solo per quelle stipulate dopo il 01.01.1997, con rinvio all’art. 8 L. 10/1977). Quindi, il termine “indefinito”, riferito indistintamente a tutte le Convenzioni PEEP, sembrerebbe, a prima vista, essere un errore, anche se può addirittura ritenersi corretto, se associato alle convenzioni PEEP in proprietà stipulate prima dell’01.01.1997, non essendovi, nella legislazione all’epoca vigente, specifica previsione di durata.

Pertanto, rimane da chiarire, quanto alla durata del vincolo di prezzo massimo di cessione, se la sentenza si riferisca alle sole convenzioni con diritto di superficie, ritenendo che la Cassazione abbia equiparato il termine “efficacia indefinita” al lasso di tempo assai lungo della durata del diritto di superficie, che è di 99 anni.

Nel caso la Corte si riferisse anche alle convenzioni con diritto di proprietà, non riscontrerei alcuna coerenza con il nostro ordinamento in una siffatta affermazione, in quanto il vincolo di prezzo massimo di cessione (e ogni altro vincolo) è comunque legato alla durata della stessa convenzione, perché il lungo lasso di tempo previsto dalla legge (minimo 20 anni, massimo 30 anni), impedisce certamente la realizzazione di intenti speculativi23; del resto, non si comprende, perché una convenzione debba avere una durata di efficacia, se i suoi vincoli sopravvivono in perpetuo o indefinitivamente, rendendo poi difficile, a distanza di tanti anni, la loro individuazione mediante le indagini presso i Registri Immobiliari. Ove fosse questa l’interpretazione “autentica” del passo della sentenza in esame, non si può non rilevare l’assoluta mancanza di motivazione sul punto che possa giustificare il persistere dell’efficacia del vincolo, nonostante il decorso del termine convenzionale.

Del resto, è lo stesso legislatore che ha deciso, in base ad una valutazione politica e sociale e assegnando un termine di durata alla convenzione, che l’immobile fosse del tutto liberalizzato allo scadere del termine, sia per l’evidente attenuazione degli effetti speculativi, sia per una progressiva sottrazione del bene dal più ristretto ambito della fascia di popolazione meno abbiente.

Come accennato, per ciò che concerne la durata delle convenzioni in proprietà, essa non era originariamente prevista dall’art. 35 della L. 865 citata; fu introdotta con la legge n. 662/1996, che modificò il comma 13 dell’art. 35, mediante il richiamo alla legge 10/1977, art. 8, comma 1, lett. d)   (sostituto dall’art. 18, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001). Si può quindi rilevare che l’assenza di previsione di durata comporti l’assoggettabilità sine die delle convenzioni in proprietà stipulate prima del primo gennaio 1997, ai vincoli in esse presenti, diversamente che dalle convenzioni stipulate successivamente a detta data. Fra l’altro, il comma 49 bis prevede che il corrispettivo per la liberazione del vincolo di prezzo massimo, da attuarsi mediante apposita convenzione, debba essere determinato in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del medesimo articolo 31, stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo.

Si può facilmente immaginare che l’assenza di previsione di durata delle convenzioni in proprietà stipulate prima del 15.03.1992 possa rendere inapplicabile questa parte della norma, sempre che lo stesso comma sia considerato applicabile a dette convenzioni in proprietà. Diversamente apparirebbe chiara l’imperizia del legislatore: come è possibile applicare un “residuo durata” a convenzioni che non avevano previsione normativa di durata ?

Si potrebbe argomentare per l’estensione della medesima durata di efficacia (massima: 30 anni) di cui all’art. 18 D.P.R. n. 380/2001 alle convenzioni stipulate prima dell’1 gennaio 1997, applicando di fatto, una normativa successiva. E in effetti, il problema, sotto l’aspetto pratico, è stato risolto da molti comuni ritenendo sussistente per le convenzioni stipulate prima del primo gennaio 1997 la durata prevista dalla legge per convenzioni in proprietà ex art. 18 D.P.R. n. 380/2001 (minimo 20 anni, massimo 30 anni), oppure avendo in considerazione il tempo minore (20 anni) previsto dalle convenzioni sostitutive ex art. 31 comma 46, L. n. 448/199824. Ciò, ad esempio, ha comportato che, coerentemente, i comuni25 hanno dichiarato ormai decaduto il vincolo di prezzo massimo di cessione per le convenzioni stipulate da oltre venti o trent’anni, essendo decorso il termine ventennale o trentennale di efficacia della convenzione26.

L’applicazione di una norma successiva porta però con sé i rischi connessi all’applicazione retroattiva anche di altre norme della medesima legge, eventualmente sfavorevoli: se si ritiene possibile estendere la durata di norma successiva ad una convenzione pregressa, perché non potrebbe essere possibile estendere anche il vincolo di prezzo massimo, previsto per le convenzioni PEEP solo dal 1997, e con la medesima legge introduttiva della durata di efficacia?

La questione involge chiaramente l’annoso problema dell’efficacia dello ius superveniens e delle tesi dei diritti quesiti o del fatto compiuto (oggi prevalente in giurisprudenza).

Sotto l’aspetto pratico e giuridico, riterrei che sia possibile un’estensione della disciplina successiva solo se favorevole alla sfera giuridica di tutti i proprietari interessati e consentire loro l’esercizio dei diritti (onde evitare di fatto disparità costituzionali e specialmente il rispetto dell’art. 11 delle Preleggi) e non pregiudizievole, come sarebbe, invece, l’introduzione “postuma” di un vincolo, quale il prezzo massimo di cessione, ove non previsto dall’originaria convenzione edilizia.

  1. Conclusioni

In ultima analisi, si possono individuare alcuni punti fermi, considerando che il legislatore del 2011, con la legge n. 106 si è indirizzato, per ciò che concerne il comma 49 bis e il comma 49 ter alla edilizia economica popolare, essendo questo il settore destinato alla liberalizzazione del mercato immobiliare, come emerge chiaramente dal contesto dei commi 45-50 della L. n. 448/1998.

A) Per ciò che concerne il comma 49 bis:

1) la norma è lacunosa laddove non riconosce ai proprietari di immobili soggetti a convenzioni, aventi ad oggetto la piena proprietà, stipulate fra l’01.01.1997 e il 30.06.2003, il diritto alla liberazione del vincolo della determinazione del prezzo massimo di cessione; la lacuna non è dovuta ad una precisa scelta del legislatore, ma ad una svista (ved. paragrafo 3b), ossia ad un difetto di coordinamento con il comma 46 del medesimo articolo e legge, essendo stato introdotto il comma 49 bis ben 13 anni dopo.

Pertanto, per le ragioni sopra chiarite, non vi dovrebbero essere dubbi sulla inclusione di dette convenzioni nell’ambito di applicazione del comma 49 bis, onde evitare immotivate disparità di trattamento fra cittadini proprietari, lesive del dettato costituzionale.

2) la norma prevede una tipologia di convenzioni (stipulate prima della entrata in vigore della Legge n. 179/1992), che, invece, per le ragioni sopra espresse (paragrafo 3a), dovrebbe essere esclusa dalla sua applicazione, fermo rimanendo che esse non presentano neanche un termine di efficacia sul quale parametrare la riduzione della percentuale di corrispettivo per la riduzione del vincolo.

B) Per ciò che concerne il comma 49 ter:

1) la norma è imprecisa laddove assoggetti tutte le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 18 D.P.R. n. 380/2001, e non limiti la sua applicazione a quelle stipulate ai sensi dell’art. 35 L.865/1971, che richiama, mediante il suo comma 13, l’art. 18 stesso, al solo fine di indicare parte delle prescrizioni che devono essere contenute nella convenzione.

C) Per ciò che concerne le risultanze della Sentenza n. 18135:

1) La sentenza n. 18135 riguarda essenzialmente le convenzioni con diritto di superficie; la Suprema Corte ha ritenuto questa tipologia di convenzioni (di edilizia residenziale pubblica) soggetta a vincolo di prezzo massimo di cessione, indipendente dalla data di stipula della Convenzione, obbligazione propter rem trasmissibile a tutti i successivi acquirenti, con efficacia indefinita (o meglio, con efficacia connessa alla durata della Convenzione, che essendo di 99 anni, rinnovabili, può considerarsi “indefinita”), la cui violazione comporta la nullità parziale (per il prezzo eccedente) del contratto, indipendentemente da qualunque disposizione (o lacuna) al riguardo della convenzione (nullità virtuale);

2) per ciò che concerne le convenzioni con oggetto la proprietà, le motivazioni della Cassazione devono essere attentamente “soppesate”, senza travalicarne la portata applicativa, in quanto è troppo scarna nell’analizzare a fondo la normativa in materia, essendo altro il thema decidendum (convenzioni con diritto di superficie) posto all’attenzione della Suprema Corte. Insomma, in mancanza di specifico esame di un caso strettamente connesso con la problematica delle Convenzione con oggetto la piena proprietà, non si può dare alla sentenza in esame una sfera di applicazione ulteriore, che addirittura coinvolga nel vincolo di prezzo massimo le convenzioni in proprietà stipulate fra il 15.03.1992 e il 31.12.1996, normativamente prive di qualunque vincolo sia di alienazione (ad eccezione di quello quinquennale previsto dalla legge n. 85/1994, per gli alloggi di edilizia agevolata, in modifica dell’art. 20 L. n. 179/1992) che di prezzo massimo di cessione.

3) La sentenza n. 18135, confermando sostanzialmente l’orientamento precedente, ha evidenziato, quale obiter dictum, la differente disciplina fra le convenzioni di edilizia residenziale pubblica (art. 35 L. n. 865/1971) e le convenzioni di edilizia residenziale privata (convenzioni Bucalossi, stipulate in base alla convenzione tipo di cui all’art. 8 della legge n. 10/1977), con particolare riferimento all’ambulatorietà dell’obbligo di prezzo massimo di cessione, presente nelle prime ma non nelle seconde, di modo che i successivi proprietari non essendo gravati dall’obbligo di prezzo massimo di cessione, non devono conseguentemente stipulare una convenzione estintiva del vincolo, in quanto non sussistente. Dopo l’abrogazione dell’art. 8 delle legge n. 10/1977, queste medesime convenzioni sono stipulate secondo la convenzione-tipo di cui all’art. 18 D.P.R. n. 380/2001, che ha sostituito l’art. 8 citato, ricalcandone il testo. Conseguentemente, nonostante il tenore del comma 49 ter, dovuto ad una evidente e imprecisa formulazione, sono soggette all’applicazione di detta norma solo le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 35 L. n. 865/1971, che richiama nel suo comma 13, l’art. 18 del D.P.R. n. 380/2001.

D) Per ciò che si deve desumere secondo i principi dell’ordinamento:

1) Decorso il previsto termine di durata delle convenzioni (20 o 30 anni), tutti i vincoli decadono, compreso quello di prezzo massimo di cessione; nessuna norma prevede il contrario, né la Cassazione n. 18135 ha affermato espressamente, con motivazione, l’ultravigenza del vincolo di prezzo massimo di cessione rispetto al termine di durata della convenzione con diritto di proprietà.

2) Le convenzioni con oggetto la proprietà stipulati dopo l’entrata in vigore della legge n. 179/1992 (15.03.1992) e prima dell’entrata in vigore della legge n. 662/1996 (01.01.1997) non sono soggette al vincolo di prezzo massimo per assenza di specifica previsione normativa27, stante l’abrogazione dei commi 15-19 dell’art. 35 della Legge n.865/1971, ad opera dell’art. 23 della L. n. 179/1992; nessuna norma ha espressamente ripristinato i vincoli precedenti, o aggiunto vincoli di prezzo massimo di cessione, né la Cassazione ha fatto ad esse espresso riferimento.

E) Da valutarsi, in eventuale sede di riesame della questione, per ciò che concerne le convenzioni con oggetto la piena proprietà:

1) l’applicabilità del termine di cui al comma 1, lett. d) dell’art. 18 del D.P.R. n. 380/2001, alle convenzioni stipulate senza termine di durata;

2) l’inapplicabilità del comma 49 bis alle convenzioni stipulate prima del 15.03.1992, in correzione del tenore della norma; laddove non si riconoscesse la valenza abrogativa dell’art. 23 della L. n. 179/1992, si dovrebbe almeno ritenere decaduti tutti i vincoli di alienazione (e specialmente quello ex comma 17, l’unico di attuale interesse, per le ragioni sopra indicate), decorsi trent’anni dalla stipula della convenzione, parificando equitativamente la durata di queste convenzioni a quelle stipulate in base alla legge n. 10/1977 e al D.P.R. n. 380/200128;

3) l’applicabilità dell’art. 49bis alle convenzioni stipulate fra l’01.01.1997 e il 30.06.2003 (ved. sopra A1), nonché alle convenzioni sostitutive stipulate ex comma 46 dell’art. 31, L. n. 448/1998.

F) Da valutarsi, in eventuale sede di riesame della questione, per ciò che concerne le convenzioni con oggetto la sperficie:

1) L’applicabilità della diversa sanzione espressamente prevista dalla Convenzione, per i casi di violazione del prezzo massimo di cessione, in sostituzione della nullità parziale (virtuale).

Alla luce di tutto ciò, sarebbe quindi auspicabile, un intervento legislativo che provveda a correggere e chiarire meglio il contenuto precettivo dei commi 46, 49 bis e 49 ter dell’art. 31 della L. n. 448/1998, in coerenza con la legislazione pregressa, senza effetti innovativi pregiudizievoli, e che risolva i diversi dubbi che le norme pongono agli operatori; intervento che sarebbe stato auspicabile che fosse stato richiesto dalla stessa Suprema Corte, per la sua autorevolezza, proprio perché si trattava di questione di particolare importanza, con effetti patrimoniali ricadenti su centinaia di migliaia di persone (indubbiamente, in questi numeri solo a Roma).

In ultimo, rimane da esaminare i casi in cui, nel tempo, si siano verificati trasferimenti immobiliari nei quali, per i motivi più vari, non si sia stato rispettato il vincolo di prezzo massimo di cessione, ossia i casi (cd. patologici), in cui l’acquirente abbia comprato un bene a prezzo di mercato, in realtà soggetto al vincolo di prezzo massimo, essendo costretto, per il caso di rivendita, o ad applicare il prezzo convenzionato (subendo così un pregiudizio economico da “svalutazione”), oppure a stipulare una previa convenzione estintiva del vincolo (pagando così una ulteriore somma, che si aggiunge all’originario prezzo di acquisto)29.

Innanzitutto, occorre valutare se il bene sia effettivamente soggetto al vincolo di prezzo massimo, oppure sia oggetto di convenzione priva di contenuto precettivo in tal senso (ad. es., le convenzioni in proprietà stipulate prima del 31.12.1996), oppure, inefficace per decorrenza del termine di durata, in modo da opporsi, se del caso, a comportamenti illegittimi da parte del comune.

In secondo luogo, anche al fine di evitare contenziosi, sarebbero auspicabili specifici provvedimenti di “sistemazione/soluzione ponderata” delle situazioni pregresse¸ prevedendosi lo snellimento delle procedure burocratiche30 finalizzate alla stipula delle convezioni estintive, la riduzione e la rateizzazione degli importi dovuti, e, nell’ottica di una maggior equità, provvedimenti tesi a far gravare l’importo o la maggior parte dell’importo dovuto per l’estinzione del vincolo fra tutti i proprietari succedutisi (e venditori a prezzo di mercato), oppure a carico di coloro che effettivamente, nella catena dei trasferimenti, hanno beneficiato della differenza di importo fra acquisto a prezzo calmierato e vendita a prezzo di mercato.

In terzo luogo, al fine di evitare fenomeni di speculazione all’inverso a discapito dei danti causa, sarebbe opportuno imporre, in sede di eventuale procedimento giudiziario, la liberazione del vincolo di prezzo massimo (con effetti solutori ed estintivi per tutti i proprietari, anche precedenti31), all’acquirente-attore, altrimenti potrebbe accadere che questi, una volta ottenuta in giudizio l’intera somma di prezzo eccedente dal venditore, suo dante causa, proceda, subito dopo, alla liberazione del vincolo di prezzo massimo con una somma assai inferiore alla stessa eccedenza di prezzo, procurandosi un ingiustificato arricchimento nei confronti del suo dante causa 32.

NOTE

1 Ad onor del vero, originariamente, anche per le convenzioni con diritto di superficie era stata concepita una sostanziale inalienabilità, in quanto la cessione, a prezzo determinato, era contemplata solo se “consentita” dalla convenzione, quindi quale ipotesi eccezionale.

2 Sulla questione delle convenzione PEEP con oggetto il diritto di proprietà piena, v., più ampiamente, la mia analisi “Vincolo di prezzo massimo di cessione e convenzioni ex art. 35 l. n. 865/1971 con diritto di piena proprietà stipulate entro il 31.12.1996“, pubblicata in data 18 settembre 2017, su “Federnotizie”, in  www.federnotizie.it

3 Il comma 49 bis, come noto, nel fare riferimento alle convenzioni in proprietà stipulate prima della entrata in vigore della L. n. 179/1992, riprende un identico testo di altre norme: l’abrogato comma 78 dell’art. 3 della L. n. 549/1995 e il vigente comma 46 dell’art. 31 della L. n. 448/1998. Tuttavia, nessuna di queste norme, nel comprendere nella loro disciplina le convenzioni stipulate prima della entrata in vigore della L. n. 179/1992, faceva riferimento alla presenza di “vincoli di prezzo massimo di cessione”; la prima norma (art. 3.78) prevedeva la possibilità di stipulare una convenzione per sopprimere i vincoli di godimento decennali e ventennali (non di prezzo massimo di cessione), la seconda (art. 31.46) prevedeva semplicemente la possibilità di sostituire dette convenzioni ante 15.03.1992 con una convenzione ex art. 8 , co. 1,4 e 5, L.10/1977 (art. 18 D.P.R. n. 380/2001), della durata di 30 anni (oggi 20, dopo la legge n. 135/2012), pagando un determinato corrispettivo. Quindi, il legislatore del 2011, pur riprendendo il testo di precedenti norme, nell’accomunare nuovamente, per la terza volta, la disciplina delle convenzioni con diritto di proprietà stipulate ante 15.03.1992 e delle convenzione con diritto di superficie (stipulate in ogni tempo), indica erroneamente, per la prima tipologia di convenzioni, un vincolo di prezzo massimo, esistente, invece, solo per la seconda tipologia, le convenzioni con la cessione del diritto di superficie.

4 Secondo la Cassazione (sez. II), n. 21/2017, “sembra dunque evidente che il legislatore ha ritenuto vigenti, anche dopo l’abrogazione dell’art. 35 L. n. 865/1971 ad opera dell’art. 23 1.179/1992, i limiti alla determinazione del prezzo massimo di cessione degli alloggi costruiti sulla base di convenzioni per la cessione di aree in diritto di superficie, ovvero per la cessione del diritto di proprietà se stipulate, quest’ultime, precedentemente l’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992 n. 179”. Ora, l’evidenza del contenuto letterale della norma non presuppone la sua evidenza logica o, quantomeno, la sua correttezza interpretativa di norme precedenti. Infatti, la Corte in una precedente sentenza (Sentenza n. 26915 del 10/11/2008), aveva invece affermato il contrario, per ciò che concerne le convenzioni con diritto di proprietà stipulate prima del 15.03.1992: “In tema di vendita di alloggi di edilizia agevolata, l’art. 3 della l. n. 85/1994, nel modificare l’art. 20, comma I, della l. n. 179/1992, ha liberalizzato, pressoché integralmente, le operazioni di dismissione di tali beni da parte dei proprietari o assegnatari, stabilendo solo il vincolo del rispetto di un termine di mantenimento quinquennale in proprietà (o assegnazione), peraltro derogabile, previa autorizzazione della regione, ove sussistenti gravi, sopravvenuti e documentati motivi. La nuova disciplina è di immediata applicazione, e vale anche per le alienazioni successive alla sua entrata in vigore, ma relative ad alloggi oggetto di convenzioni ed assegnazioni anteriori alla L.n. 179/1992, poiché a seguito dell’abrogazione, da parte di quest’ultima, delle più restrittive disposizioni dell’art. 35 della L.n. 865/1971, sono cadute le clausole, contenute nelle convenzioni tra enti pubblici e cooperative di costruzione di tali alloggi, ispirate alle disposizioni abrogate, ed è venuta meno, per i contratti stipulati in violazione dei limiti di alienazione di cui all’art. 35 della legge n. 865 cit., la nullità prevista da tale norma, non essendo più in vigore il divieto di libera alienabilità postquinquennale”. Indubbiamente, l’evidenza è riferita al nuovo testo di legge (art. 49bis), ma si rileva appieno la diversa interpretazione che la Suprema Corte aveva dato della portata abrogatrice della legge n. 179/1992 rispetto al legislatore del 2011, senza dimenticare che analogo testo (copiato dall’art. 49 bis, per ciò che concerne il riferimento alle convenzioni in proprietà ante 15.03.1992) era già apparso, ai tempi della sentenza del 2008, nel 1995 (legge n. 549, art. 3 comma 78), poi abrogato dalla legge n. 448/1998, e nella stessa legge n. 448, al comma 46 dell’art. 31 (quest’ultima senza però riferimento alla sussistenza dei vincoli di godimento decennali e ventennali).

Quindi, secondo la citata sentenza n. 26915 lo ius superveniens della legge n. 179/1992 avrebbe rimosso i vincoli alla alienabilità con effetto alla entrata in vigore e con effetto espansivo sino a travolgere anche le clausole meramente ripetitive delle statuizioni di legge. In tal senso erano anche la dottrina, la magistratura contabile, la magistratura amministrativa, nonché il Ministero del Lavori Pubblici (nota 2166 del 7/6/1996).

5 Per quanto concerne il vincolo di alienabilità condizionato di cui al comma 17, che è quello ormai applicabile, essendo trascorso abbondantemente il tempo di 20 anni per le convenzioni stipulate ante 15.03.1992, si rinvia alla mia analisi “Vincolo di prezzo massimo di cessione e convenzioni ex art. 35 l. n. 865/1971 con diritto di piena proprietà stipulate entro il 31.12.1996″, cit., nella quale si erano evidenziate le differenze fra vincolo di prezzo massimo di cessione e vincolo di cui al comma 17. Quest’ultimo vincolo consisteva non in un prezzo di cessione, né massimo, né fissato (come nel caso del comma 16) ma nell’obbligo di liquidazione (una sorta di indennizzo) di una somma, da effettuarsi con particolari criteri e particolare procedura, da versarsi contestualmente all’atto della registrazione del contratto di vendita al competente ufficio del registro, che provvedeva poi a versarla al comune o al consorzio di comuni. Inoltre, la violazione di questo comma non comportava la riduzione di un prezzo eccedente, rimanendo valido il trasferimento, ma la nullità dell’intero atto di cessione, senza alcun beneficio a favore del cessionario, essendo il pagamento della somma condizione stessa per la validità dell’atto.

6 Infatti, qualora si ritenesse ancora applicabile alle convenzioni con oggetto la piena proprietà l’originario dettato dell’art. 35 (e quindi gli originari commi 15-19 poi abrogati), nonostante l’intervenuta legge n. 179/1992, si dovrebbe conseguentemente ritenere non l’esistenza di un vincolo di prezzo massimo gravante sull’immobile ceduto a carico dei  successivi aventi causa (con eventuale applicazione della riduzione  del prezzo), bensì la nullità assoluta del primo trasferimento nel caso non fosse stata pagata la somma dovuta e prevista dal comma 17. Quindi, la violazione di questo comma non comportava la riduzione di un prezzo eccedente, rimanendo valido il trasferimento, ma la nullità dell’intero atto di cessione, senza alcun beneficio a favore del cessionario, essendo il pagamento della somma condizione stessa per la validità dell’atto, Inoltre, il comma 17, a differenze del comma 8, lett. e) del medesimo articolo 35, nonché l’art. 8, comma 1, lett. b) della L. n. 19/1977 e l’art. 18, comma 1 lett. c) D.P.R. n. 380/2001, non prevedeva l’indicazione in convenzione della determinazione del prezzo di cessione, né i criteri per la sua determinazione o rivalutazione.

7 La Corte, nella sentenza SS.UU. n. 18135, non ha preso espressa posizione sulla vigenza dei commi 15-19, in seguito all’abrogazione della Legge Ferrarini-Botta, ma ha solo precisato che nelle convenzioni con diritto di superficie mancava al comma 8 dell’art. 35, L. n. 865/1971, il regime di inalienabilità “……. a differenza del successivo comma 15, che lo contemplava, in origine, per la cessione del diritto di proprietà“. Dal che si dovrebbe supporre che le convenzioni con oggetto la proprietà fossero sottoposte ad un regime ancor più restrittivo  rispetto a quelle con diritto di superficie, contemplando sia il vincolo di non alienazione che quello di prezzo massimo di cessione.

8 V. Vincolo di prezzo massimo di cessione e convenzioni ex art. 35 l. n. 865/1971 con diritto di piena proprietà stipulate entro il 31.12.1996, cit.

9 Diversa è l’ipotesi in cui, invece, la legge stabilisca l’introduzione di un vincolo: in tal caso, proprio perché essa va a modificare situazioni giuridiche soggettive formatesi nella normativa precedente, già definite o acquisite, la nuova disciplina è da considerarsi irretroattiva (art. 11 Preleggi); in caso, invece, di espressa estensione del vincolo anche alle situazioni giuridiche in atto o definite, la norma può essere soggetta al vaglio della Corte Costituzionale.

10 Sul riferimento ai limiti di godimento decennali e ventennali dell’art. 3, comma 78, L. n. 549/1995, per ciò che concerne le convenzioni in proprietà stipulate prima dell’entrata in vigore della legge Ferrarini-Botta, si rilevano almeno tre imprecisioni del legislatore: la prima è che si trattava di vincoli di disposizione (inalienabilità assoluta e condizionata) e non di godimento (ved. l’art. 832 c.c. sul contenuto del diritto di proprietà); la seconda  imprecisione, è che non è fatta menzione del terzo vincolo, quello post ventennale (ved. comma 17 art. 35 L. n. 865/1971). La terza svista è laddove sono accomunate le convenzioni in superficie a quelle in proprietà, per ciò che concerne l’esistenza di detti vincoli di godimento decennali e ventennali, in quanto, in realtà, non sussistenti nelle convenzioni con diritto di superficie, per le quali i vincoli inerenti avevano la durata della medesima convenzione (60/99 anni). Inoltre, non sembrava chiara la connessione fra il comma 78 e il comma 78 bis (aggiunto con legge n. 662/1996), perché il comma 78 prevedeva una convenzione estintiva dei vincoli di godimento decennali e ventennali, mentre il comma 78 bis prevedeva che le aree di cui ai commi 75-78 fossero disciplinate dalle convenzioni di tipo Bucalossi,  introduttive, fra altri limiti, del vincolo di prezzo massimo, tramite il richiamo all’art. 8 della L. n.10/1977; non si comprende, quindi, come una fattispecie “estintiva” di un vincolo (comma 78) dovesse essere disciplinata da una fattispecie “introduttiva” di analogo vincolo (comma 78 bis). I due commi sono stati comunque abrogati dalla legge n. 448/1998, art. 31 co.50.

11 G. Casu, Convenzioni previste dalla legge Bucalossi. Divieti e sanzioni, studio CNN n. 187-2007/C, approvato dalla Commissione Studi Civilistici del 13 aprile 2007.

12 Sullo stessa linea di pensiero, in riferimento alla Convenzioni ex artt. 7-8 L. n. 10/1977, sono anche due precedenti sentenze della Cassazione, la n. 13006/2000 e la n. 7630/2011. Precisa la sentenza n. 13006/2000 che la previsione di cui all’art. 8, comma 4, è coerente con il limite soggettivo del vincolo di prezzo massimo al concessionario-costruttore; ma a questo punto, è logico supporre che il medesimo limite soggettivo, in virtù del richiamo a detto comma da parte dell’art. 35 comma 13 L. n. 865/1971, valga anche per le convenzioni PEEP.

13 È da rilevare che il termine “ovvero” in questo caso non ha né il suo senso tipico disgiuntivo (oppure), né quello, subordinato, esplicativo (ovverossia), ma addirittura una funzione anomala di congiunzione.

14 Secondo la sentenza n. 18135, questo orientamento contrario (Cass., Sez. 2, 2 ottobre 2000 n. 13006; Cass., Sez. 2, 4 aprile 2011 n. 7630) ha valorizzato soprattutto l’autonomia negoziale delle parti, quale principio informatore generale in materia; pervenendo alla conclusione che sia i divieti di alienazione, che i criteri normativi di determinazione del prezzo (o del canone di locazione) fossero applicabili, soggettivamente, solo al primo avente causa; e cioè, al costruttore, titolare della concessione rilasciata a contributo ridotto e parte della convenzione-tipo stipulata con il Comune: senza alcun riflesso sui successivi subacquirenti. Tuttavia, è bene evidenziare che queste due sentenze concernevano solo le Convenzioni cd. Bucalossi, legge n. 10/1977, e la Sentenza SS.UU. n. 18135 condivide pienamente, per queste convenzioni, gli assunti delle precedenti sentenze, di modo che il contrasto è soltanto apparente.

15 In relazione all’eventuale concorso del contributo pubblico e alle sue modalità di elargizione, occorrerebbe fare un specifica disamina sui tre settori con i quali viene tradizionalmente suddivisa l’edilizia residenziale pubblica (edilizia sovvenzionata, edilizia convenzionata, edilizia agevolata), dato che ognuno di questi settori ha la sua normativa precipua che la Corte non affronta, e che si interseca con quella della L. n. 865/1971.

16 La questione posta all’attenzione della Corte, in effetti, riguardava proprio un sensibile aumento del prezzo di vendita, triplicatosi nel periodo di quattro anni, passando da lire 97 milioni del 1993 (anno di acquisto), a 315 milioni di lire nel 1996 (anno della promessa di vendita). Fra l’altro, si tratterebbe di un bene venduto prima dei cinque anni come termine, ciò consentito, per l’edilizia agevolata, solo previa autorizzazione regionale.

17 Infatti, la lettera e) del comma 8 dell’art. 35, L. n. 865/1971 prevede che siano indicati i criteri per la determinazione e la revisione periodica dei canoni di locazione, nonché per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi, ove questa sia consentita.

18 L’Italia, in effetti, si distingue in Europa per aver favorito una politica di acquisto del bene “casa”, anche con legislazione fiscale agevolata, presentando un’alta percentuale di cittadini proprietari di prima casa. Inoltre, nel corso degli anni 2000-2010 si è assistito ad una vorticosa impennata dei prezzi delle case, alimentandosi così il problema della speculazione, alla quale, ritengo, che non siano estranei interessi di natura macro-economica e di bilancio di grandi enti proprietari o mutuanti, ben più incidenti del “mercato” realizzatosi spontaneamente fra i cittadini.

19 Nel caso invece di convenzioni con diritto di superficie, la proprietà dei beni rimane sempre del patrimonio indisponibile del Comune, il quale potrà accordarsi con il proprietario superficiario per la trasformazione in proprietà piena, ottenendo una congrua somma che compensi il minor valore iniziale di cessione previsto nella convenzione.

20 G. Casu, L’Edilizia residenziale pubblica. Problematiche notarili, Studio C.N.N. n. 171/2008/C, approvato dalla Commissione studi civilistici in data 28 marzo 2008, in Studi e Materiali, 3/2008, Milano 2008, pp. 993 e ss. Per quanto concerne le operazioni di speculazione relative al comma 17 dell’originario art. 35 L. n. 865/1971, proprio in base alle predette sentenze e anche a seguito della legge n. 359/1992, considerato che il valore dell’indennizzo di esproprio si avvicina ormai all’effettivo valore di mercato del terreno, il divario fra il prezzo di acquisto (commisurato all’indennità di esproprio) e il prezzo di mercato all’epoca riferibile al terreno, oggetto di convenzione, si è molto attenuato. Non si deve dimenticare che poi il Comune richiede ai concessionari e ai suoi danti causa in solido, il pagamento di quanto pagato per l’effettivo esproprio, a seguito dell’intervenuta definizione delle controversie giudiziarie con i proprietari espropriati, di modo che vi è il rischio che il proprietario, che si sia avvalso della procedura ex comma 17 citato, paghi due volte la medesima somma dovuta.  E, pertanto, a maggior ragione, considerata tale eventualità di pagamento aggiuntivo, che si deve confermare l’intervenuta abrogazione definitiva dei commi 15-19 dell’art. 35 cit., ad opera della legge n. 179/1992, anche per le convenzioni stipulate prima del 15 marzo 1992.

21 Cass. SS.UU. n. 18135/2015: “la disciplina vincolistica promana da norme imperative, anche se per il medio di convenzioni tra il Comune e il concessionario (a contenuto, peraltro, predeterminato dalla legge ed inderogabile): con la conseguenza che l’eventuale violazione dei parametri legali sul prezzo di cessione sarebbero affetti da nullità ex art. 1418 cod. civ. e sostituiti mediante inserzione automatica del corrispettivo imposto dalla legge (art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2”;  in tal senso, anche Cass., sez. II, n. 11032/1994, Cass., sez. II, n. 3018/2010; Cass. SS.UU. n. 506/2011.  Parte della dottrina ha contestato la tesi della nullità parziale, con conseguente applicazione dell’art. 1339 c.c., dato che i prezzi massimi sono fissati da un atto amministrativo (la delibera del Consiglio Comunale di approvazione del contenuto della convenzione PEEP) e non imposti dalla legge. Sul punto, la Cassazione (ved. sentenze sopra citate) giustifica l’applicazione dell’art. 1339, in quanto la norma non si riferirebbe solo alle clausole imposte direttamente o espressamente dalla legge, ma anche a quelle da essa “autorizzate”, ossia agli atti amministrativi emanati in forza della predetta delega legislativa, come la convenzione PEEP del Comune.

22 Per un’analisi compiuta e puntuale delle (possibili) sanzioni applicabili nel caso di violazione dei vincoli sul prezzo massimo di cessione, si rinvia a G. Rizzi, La disciplina sull’edilizia residenziale convenzionata dopo il decreto sullo sviluppo 2011, Studio CNN n. 521-2011/C approvato dalla Commissione studi civilistici del C.N.N. il 20 ottobre 2011, pubblicato in CNN Notizie del 26 gennaio 2012; Ulteriori considerazioni in tema di edilizia residenziale convenzionata integrazione dello studio 521-2011/C, approvato dalla Commissione studi civilistici del C.N.N. il 17 gennaio 2013, pubblicato in “CNN Notizie” del 14 maggio 2013, e infine, aggiornato come “Guida Operativa” a seguito della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18135 del 16 settembre 2015, cit.; in particolare, vedasi, il paragrafo 7.2.); nonché, I prezzi vincolati nell’edilizia convenzionata alla luce dell’ultima sentenza delle Sezioni Unite, in “Edilizia e Urbanistica”, 2/2016, pp. 91-98.

23 In effetti, non si può negare che in altri settori (case di enti pubblici, case ex IACP, ecc.), alla cui base vi sono sostanzialmente gli stessi principi di politica della casa, gli “effetti speculativi” siano stati attenuati proprio dai limiti di alienabilità quinquennali o decennali previsti dalla legge, ossia da vincoli (di inalienabilità) di durata ancor più ridotta.

24 Il Comune di Roma (delibera n. 40 del 6 maggio 2016), ha ritenuto di assumere come termine convenzionale, quello di venti anni, per dare omogeneità e uniformità di trattamento, in considerazione del fatto che la normativa succedutasi nel tempo ha attribuito varie conseguenze allo scadere di tale termine e che, inoltre, esso è stato assunto come durata delle convenzioni de quo sia dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 31 del 22 febbraio 2007 che dalla deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 60 del 18 settembre 2014.

25 Il Comune di Roma, in una nota di chiarimento sulla vigenza di vincoli per una Convenzione in proprietà stipulata prima del 1981, ha precisato la decadenza di ogni vincolo, essendo trascorsi ormai più di trenta anni dalla sua stipula, in considerazione dell’art. 18 comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001. Detta nota è del gennaio 2016, successiva quindi alla Sentenza delle Sezioni Unite (settembre 2015), ma antecedente alla delibera n. 40 del maggio 2016 del commissario Tronca. Pertanto, è possibile ipotizzare che questo indirizzo sia stato superato dalla successiva delibera Tronca, in base alla quale il vincolo di prezzo massimo di cessione “resiste” anche dopo la scadenza del termine di durata della Convenzione, considerando, in base ad un’interpretazione discutibile, detto vincolo ad efficacia indefinita (mutuando le parole della motivazione della sentenza n. 18135) e quindi, ai fini della sua estinzione, sempre soggetto alla convenzione ex comma 49bis.

26 Ciò, argomentando in coerenza, potrebbe verificarsi anche nel caso di trasformazione del diritto di superficie in proprietà (ex art. 31.46 L. n. 448/1998), decorsi ormai trenta anni dalla stipula della convenzione originaria: la trasformazione in diritto di proprietà, unita al decorso dei trenta anni, comporterebbe anche la contestuale estinzione del vincolo di prezzo massimo di cessione; tale soluzione si desume anche da Cass., sez. II, n. 4948/2016. Con la legge n.135/2012, il termine è oggi ridotto a 20 anni per le nuove convenzioni ex comma 46.

27 Comunque, occorre esaminare il contenuto specifico della Convenzione, riscontrando in essa eventuali riferimenti al prezzo massimo di cessione, per fonte pattizia, o in riferimento allo schema di cui all’art. 8 L. n. 10/1977, eventualmente richiesto dalla legislazione regionale; ad esempio, in base all’art. 20 della legge n. 179/1992, in materia di edilizia agevolata (ossia per enti che avevano usufruito di agevolazioni pubbliche, statali o regionali), in determinati casi, la Regione poteva concedere l’autorizzazione a cedere gli alloggi convenzionati a condizione, fra altre, che, fosse stipulata una  specifica convenzione comunale, per la determinazione del prezzo di cessione delle abitazioni, di cui alla lettera b) del primo comma dell’articolo 8 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ove non previsto nella precedente convenzione (questa prescrizione è però stata subito eliminata dalla L. n. 85/1994).

28 Operando diversamente, si creerebbe una ingiusta disparità fra i proprietari di immobile convenzionati ante 15.03.1992 e i proprietari di immobili convenzionati ex legge n. 10/1977 o D.P.R. n. 380/2001, in quanto solo i secondi possono beneficiare della decadenza dei vincoli per decorso del termine di durata della convenzione.

29 Infatti, a Roma, molti proprietari di beni di edilizia convenzionata PEEP, acquistati a prezzo di mercato, sono ora costretti, alla luce del comma 49bis (e della Sentenza n. 18135), a versare ulteriori somme per stipulare la convenzione liberatoria dal vincolo di prezzo massimo; al contempo, in molti casi, la norma ha scatenato reazioni (cause giudiziarie o extragiudiziarie) tese alla restituzione della somma di prezzo eccedente. La confusione è dettata anche dal fatto che le convenzioni con diritto in proprietà fino al 1996, salvo rare eccezioni, non contemplavano il vincolo di prezzo massimo di cessione e gran parte delle cessioni con diritto di superficie, stipulate almeno fino al D.P.R. n. 380/2001 (specie quelle di Convenzioni stipulate prima dell’entrata in vigore della legge Ferrarini-Botta), non erano considerate dal Comune di Roma come soggette al vincolo di prezzo massimo di cessione, dopo che era intervenuto il primo trasferimento dal concessionario, rilasciando apposita liberatoria. E ciò sia riconoscendo la valenza abrogratrice della legge n. 179/1992 (che ad onor del vero non aveva effetti sulle convenzioni con diritto di superficie), sia desumendo la decadenza dei vincoli per i successivi acquirenti dalle  sentenze n. 13006/2000 e n.7630/2011 della Cassazione (che più propriamente si riferivano alle sole convenzioni Bucalossi, ex art. 8 L. n.10/1977).

30 I comuni, specialmente quelli maggiori, come Roma, hanno difficoltà ad ottemperare alle richieste, in tempi ragionevolmente brevi, sia di determinazione del prezzo massimo di cessione, sia che di determinazione dell’importo dovuto per l’estinzione del vincolo, con grave paralisi o pregiudizio della circolazione immobiliare.

31 Altro grave problema si può infatti verificare nei casi in cui un proprietario venditore non possa difendersi in giudizio, chiedendo all’acquirente-attore, in via conciliativa, l’estinzione del vincolo di prezzo massimo con la convenzione ex comma 49bis o 49ter, in quanto il suo avente causa, che lo ha citato, non ha più la titolarità del bene. Riterrei, inoltre, che il venditore-convenuto abbia diritto di chiedere all’acquirente-attore di provare l’effettiva presenza, al momento dell’acquisto, dei requisiti soggettivi e reddituali richiesti normalmente dalle convenzioni PEEP, al fine di evitare che possa giovarsi illegittimamente di una disciplina volta a tutelare le persone con effettive e reali limitate capacità economiche.

32 Sul punto, invece, Cass. sez. II, n. 28949 del 4.12.2017, non vi rileva un ingiustificato sacrificio, sproporzione o abuso del diritto, ma utilizzo di mezzi leciti, in quanto l’acquirente “può procedere alla rimozione del vincolo di prezzo dell’immobile, semmai proprio approfittando dell’importo eccedente ricevuto in restituzione dal suo dante causa, per poi rivenderlo al valore di mercato”. La Corte, tuttavia, non considera che il corrispettivo occorrente per la rimozione del vincolo è ben inferiore all’eccedenza del prezzo che potrebbe essere restituita dal dante causa.

 

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Convenzioni con diritto di superficie e convenzioni con diritto di proprietà ultima modifica: 2018-01-24T10:50:12+01:00 da Redazione Federnotizie
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