Le conclusioni di Carmelo Di Marco, presidente di Federnotai
C’è una una questione importantissima che è emersa più volte negli interventi che abbiamo ascoltato: la questione dell’autonomia del professionista, della rilevanza della sua coscienza – e della eventuale obiezione di coscienza – nella futura applicazione delle norme sulle disposizioni anticipate di trattamento.
Credo che nell’attività dei notai non possa e non debba esservi spazio per una obiezione di coscienza che induca il notaio a non applicare la legge una volta entrata in vigore: se la si ammettesse, si rischierebbe – anche con riferimento ad altri settori e ad altri temi – di vedere applicata o disapplicata una norma a seconda del convincimento del singolo momento o delle inclinazioni personali di ciascun notaio.
Ma il fatto che la coscienza del notaio non incida sul “se” prestare o meno la sua attività non ne attenua la rilevanza; al contrario, il “peso” della coscienza del notaio sarà persino maggiore, incidendo sul “come” della sua prestazione professionale.
La DAT – se si vuole essere coerenti con l’impianto normativo e con i principi ai quali l’intero disegno di legge è ispirato – è da considerare quale espressione di un consenso anticipato rispetto ai trattamenti da somministrare o meno al ricorrere di una condizione di salute che, nel momento della dichiarazione, è futura ed eventuale, incerta.
Il fatto che il consenso sia anticipato non autorizza a credere che possa essere disinformato: il compito delicatissimo che i notai saranno chiamati a svolgere consisterà quindi nel verificare – secondo coscienza, appunto – che il presupposto della preventiva acquisizione delle “adeguate informazioni” di cui parla la norma sia soddisfatto.
Il notaio si trova di fronte ad una sfida impegnativa che è anche una occasione affascinante: quella di dare un significato moderno e sostanziale ai due pilastri fondamentali della funzione notarile che sono l’indagine della volontà e il suo adeguamento alla legge.
Per affrontare questa sfida e cogliere l’occasione i notai dovranno dare il meglio di sé rispetto a ciascun caso concreto, sfuggendo a qualsiasi tentazione di standardizzare la loro prestazione con riferimento a vicende come quelle di cui si discute.
A questo riguardo, osservo come gli strumenti formali che il notaio è tenuto ad usare quando riceve un atto pubblico o autentica una scrittura privata descrivono obblighi minimi, oltre i quali il notaio è libero di andare (e ritengo, con riferimento alle DAT, debba andare) in considerazione di quanto emerge nel singolo caso concreto.
Nulla impedisce al notaio, per fare un primo esempio, di fare ricorso – facoltativamente – alla assistenza dei testimoni per favorire una maggiore ponderazione da parte del dichiarante.
Nessuna norma del disegno di legge fissa un termine massimo di efficacia della DAT, ma si fa testualmente riferimento al “rinnovo” di una dichiarazione già espressa: nulla impedisce, quindi, che le circostanze del caso concreto inducano il notaio a consigliare, e il dichiarante a scegliere, di prevedere un termine di efficacia.
E ancora: i medici paventano un eccesso di burocratizzazione nel momento in cui si imponga di documentare il rilascio di qualsiasi consenso informato; al tempo stesso, sappiamo che nelle cartelle cliniche viene conservata la documentazione di ciò che il paziente e il medico si sono detti nell’ambito della loro relazione fiduciaria più volte descritta come essenziale nel disegno di legge. Allora, il notaio potrà benissimo consigliare di allegare alla DAT i documenti da cui risulti il compimento di quel percorso di acquisizione preventiva delle adeguate informazioni che può avere luogo solo nella relazione con il medico.
A questa relazione fiduciaria deve affiancarsene un’altra, tra notaio e dichiarante.
In questa relazione, il notaio dovrà sfuggire a qualsiasi atteggiamento burocratico: se un Ufficio Studi, o una associazione di categoria o un comitato di notai esperti fosse mai incaricato di predisporre testi standard o moduli da utilizzare per la redazione delle DAT, questo farebbe esplodere il rischio di ricevere o autenticare dichiarazioni anticipate senza la verifica del presupposto richiesto dalla norma.
Un presupposto che giudicherei discriminante della validità della dichiarazione, con tutte le conseguenze ben note ai notai e immaginabili dai non notai della invalidità dell’atto.
Se i notai devono quindi spogliarsi da ogni tentazione burocratica, al tempo stesso si deve sfuggire ad un errore che tutti – anche alla luce delle discussioni di oggi – rischiamo di commettere: quello di credere che i cittadini interessati ad esprimere le DAT siano disponibili e propensi al compimento di questo atto con atteggiamenti superficiali.
Al contrario, credo che noi ci troveremo di fronte a persone che si rivolgeranno a noi al termine di un percorso molto approfondito e, ahimè, anche molto sofferto (soprattutto nei casi di patologie già in atto) e che saremo noi a dover colmare un vuoto di informazione e di approfondimento. Motivo in più per coltivare al meglio la relazione notaio – dichiarante quale relazione che si pone in necessaria complementarietà con la relazione medico – paziente.
Il legislatore – non è il primo caso e non sarà l’ultimo, come l’esperienza di questi anni dimostra ampiamente – si appresta a far entrare in vigore una normativa che lascia molte “maglie” aperte: questo significa che la prassi notarile diventerà una fonte di diritto secondaria ma decisiva.
I nostri comportamenti concreti, che nasceranno come “regole di fatto” si evolveranno in “regole di diritto” permettendo di distinguere ciò che funziona e ciò che non funziona, ciò che è valido e ciò che non lo è.
A questo mi riferivo quando invocavo una interpretazione e una applicazione moderna e sociale dei concetti di indagine della volontà e di adeguamento della stessa alle regole dell’ordinamento; a questo mi riferivo invocando l’abbandono sul nascere di ogni tentazione tendente alla standardizzazione e alla burocratizzazione del nostro operato.
Due ultime considerazioni: l’ipotesi che oggi è la più verosimile e con la quale dobbiamo misurarci è che il disegno di legge venga approvato così come è oggi.
La competenza notarile non sarebbe quindi una competenza esclusiva, ma concorrente con la possibilità per il cittadino di redigere una dichiarazione in forma privata e di consegnarla materialmente all’ufficiale dello stato civile del suo Comune.
Sarà quindi necessario – attraverso attività di comunicazione apposite e molto incisive, come pure attraverso la relazione diretta con i nostri clienti – evidenziare chiaramente le differenze tra una soluzione che prescrive l’indagine della volontà e il suo adeguamento (con le tutele che ne derivano per la persona interessata, anche in termini di certezza della validità della DAT e della sua tenuta nel tempo) e una soluzione che prescinde totalmente da quella indagine e da quella attività di adeguamento.
Quanto alla creazione di un registro nazionale in luogo dei registri regionali contemplati nel disegno di legge, vorrei sottolineare come questa previsione non dipenda dalle riserve di competenza che la Costituzione accorda alle Regioni, ma esclusivamente dalla “clausola di invarianza” in base alla quale il disegno di legge deve essere approvato – se verrà approvato – senza aggravio per le finanze dello Stato.
E che la Corte Costituzionale, nel dicembre del 2016, ha bocciato la norma che istituiva il registro regionale delle DAT del Friuli Venezia Giulia non solo per la possibile violazione del principio di uguaglianza che si verificherebbe ove i registri regionali venissero disciplinati in modo difforme, ma soprattutto per la violazione della riserva che la Costituzione accorda allo Stato centrale laddove si tratti di legiferare sui principi fondamentali in materia sanitaria, quale è certamente il principio del consenso informato.
Alla luce di questo, ritengo che il percorso che – come categoria – dovremo coltivare sia quello di chiedere l’istituzione del registro nazionale, e di offrire il nostro contributo alla sua creazione grazie alle infrastrutture e alle competenze di cui già disponiamo, sapendo che nella prossima Legge di Bilancio lo spazio per il finanziamento di nuove voci di spesa potrà esserci.
Dovremo seguire questo percorso sottolineando – anche all’indirizzo dell’opinione pubblica – come un sistema di conservazione basato su registri regionali rischi di determinare gravissime disuguaglianze sulla base di circostanze del tutto casuali: la conoscibilità, e quindi il rispetto della dichiarazione anticipata, rischierebbero di dipendere dal luogo in cui è stata espressa e dal luogo in cui il dichiarante si troverà nel momento in cui – per effetto di una malattia o di un infortunio – si trovasse nella condizione di paziente non in grado di esprimersi.
Non essendo accettabile che una legge – per sua natura generale ed astratta – rischi di essere applicata o meno a seconda di circostanze del tutto casuali e riferite al caso concreto, dobbiamo credere nel successo della nostra proposta.

AUTORE

Notaio nel distretto di Milano, Busto Arsizio, Lodi, Monza e Varese. Già presidente di Federnotai.