I rapporti tra il Notariato e la Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sono stati complessi. Anzi il Notariato partiva da una posizione che addirittura escludeva che questi rapporti dovessero esserci. Poi le vicende sfociate in contrapposizioni anche giudiziarie hanno portato alcuni punti fermi: la definizione di un perimetro dell’attività d’impresa che comprende anche le professioni intellettuali, l’estraneità dell’attività disciplinare dei Consigli Notarili dal sindacato dell’AGCM ed altro ancora. È giunto il momento di consolidare questi punti fermi, passando dalla contrapposizione al dialogo. Federnotizie è al lavoro per aprire il dialogo.
Con sentenza 29 gennaio 2021 n. 874, la VI sezione del Consiglio di Stato ha definito una vicenda che ha visto protagonisti, su fronti contrapposti, da un lato l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo, breviter, l’Autorità o l’AGCM) e dall’altro il Consiglio notarile di Roma (in prosieguo, breviter, il Consiglio o il CND) e ASNODIM – Associazione Notariato Romano Dismissioni Immobiliari (in prosieguo, breviter, l’Associazione).
A cura di Anselmo Barone
I fatti
Con il provvedimento n. 26625 adottato nella riunione del 30 maggio 2017, l’Autorità, ritenuto che il Consiglio e l’Associazione fossero responsabili di un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 2 della l. n. 287/90, irrogava loro una sanzione amministrativa, imponendo a entrambi, inoltre, l’obbligo di assumere misure atte a porre termine all’illecito riscontrato e di astenersi, in futuro, dal porre in essere comportamenti analoghi a quello sanzionato.
A giudizio dell’AGCM, il Consiglio e l’Associazione avrebbero posto in essere un’intesa unica, complessa, articolata e continuata nel tempo, avente per oggetto e per effetto di eliminare ogni possibile spazio di confronto competitivo tra i notai del distretto nel settore delle dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti pubblici e previdenziali e di fissare, nel medesimo settore, i prezzi dei servizi notarili.
L’anzidetta finalità illecita sarebbe stata conseguita attraverso una pluralità di condotte tra cui, in particolare: a) l’adozione, da parte del CND, della delibera 29/5/2006, n. 2287 (la quale attribuiva al medesimo CND il potere di designare, in maniera vincolante, i notai che avrebbero dovuto stipulare i singoli atti dei processi di dismissione); b) la stipula di protocolli d’intesa con gli enti proprietari (ai quali erano allegate tabelle degli onorari in forma fissa); c) un’attività di monitoraggio sui singoli notai; d) l’esercizio strumentale del potere disciplinare.
Al raggiungimento del fine anticompetitivo avrebbe cooperato l’Associazione, coadiuvando il CND nell’opera di designazione dei notai, nell’attività di monitoraggio e nella ripartizione dei corrispettivi tra gli associati.
La condotta illecita avrebbe avuto inizio con l’adozione della delibera n. 2287/2006 e sarebbe risultata ancora in corso, quanto meno con riguardo ai profili concernenti i tariffari allegati ai protocolli d’intesa, al momento di emanazione del provvedimento sanzionatorio.
Ritenendo quest’ultimo illegittimo, il Consiglio e l’Associazione lo impugnavano con ricorso al T.A.R. Lazio – Roma il quale, con sentenza n. 6105/18, pur giudicando fondati alcuni profili di censura, respingeva il gravame reputando che il provvedimento, in sostanza, resistesse ai motivi di doglianza articolati dai ricorrenti.
Avverso la sentenza il CND e l’Associazione proponevano appello che il Consiglio di Stato, con la decisione in commento, ha pressoché integralmente respinto, accogliendo solo la censura relativa al capo di pronuncia di primo grado recante la condanna dei ricorrenti per lite temeraria.
La decisione del Consiglio di Stato
Per quanto qui interessa, la pronuncia ha anzitutto rilevato che la normativa primaria applicabile alla fattispecie (D.Lgs. n. 104/1996 e D.L. n. 351/2001) non assegna ai Consigli notarili alcun ruolo nelle procedure di dismissione e, in particolare, non attribuisce agli stessi il potere di individuare il notaio rogante. Né la condotta contestata può trovare giustificazione, per il Consiglio di Stato, nell’art. 35 del codice deontologico adottato dal Consiglio Nazionale del Notariato con delibere n. 1/1625 del 25/3/2004 e n. 4/1628 del 15/4/2004; tale disposizione, infatti, nel prevedere che “Nelle ipotesi di rilevanti fenomeni di vasta contrattazione riguardanti il patrimonio di enti pubblici o degli enti ad esse assimilati (c.d. privatizzazioni o dismissioni), i Consigli notarili distrettuali – in considerazione del superiore interesse pubblico che li caratterizza e in accordo con detti enti – possono organizzare l’assunzione e la distribuzione degli incarichi fra i notai del Distretto che si dichiarino disponibili”, fa, comunque, “salva la facoltà del singolo acquirente di designare tempestivamente un notaio diverso”.
Peraltro, per i giudici di Palazzo Spada, l’addebito anticoncorrenziale sussisterebbe quand’anche la condotta contestata potesse trovare giustificazione nelle disposizioni contenute nella menzionata normativa primaria o negli altri atti più sopra indicati posto che, in tal caso, dette disposizioni risulterebbero in contrasto con i principi di cui all’art. 101 TFUE e sarebbero quindi da disapplicare.
A fondamento di tale enunciazione la decisione in rassegna ha posto anzitutto il richiamo alla giurisprudenza, sia eurounitaria che nazionale, secondo la quale “la nozione europea di impresa include anche l’esercente di una professione intellettuale, con la conseguenza che il relativo Ordine professionale può essere qualificato alla stregua di un’associazione di imprese ai sensi dell’art. 101 TFUE. In particolare, si è rilevato che un’organizzazione professionale, quando adotta un atto come il codice deontologico, «non esercita né una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà né prerogative tipiche dei pubblici poteri». Essa «appare come l’organo di regolamentazione di una professione il cui esercizio costituisce, peraltro, un’attività economica» (Corte di giustizia, sentenza 18 luglio 2013, C-136/12, “Geologi”; Cons. Stato, sez. VI, 22 gennaio 2015, n. 238, Sez. VI, 22 marzo 2016, n. 1164).
Sottolineato, quindi, che tanto in base alla giurisprudenza della Cassazione, quanto alla stregua degli orientamenti dei giudici nazionali, l’attività notarile, in quanto prestazione in forma indipendente e stabile di servizi professionali dietro corrispettivo, costituisce attività economica soggetta, in linea di principio, al rispetto delle norme in materia di concorrenza, senza che rilevi, in contrario, lo status di pubblico ufficiale del notaio, il Collegio della VI sezione ha ritenuto che i Consigli notarili distrettuali, in quanto enti rappresentativi ed organi di regolamentazione di una professione il cui esercizio costituisce un’attività economica, sono qualificabili, ai fini della normativa antitrust, come associazioni di imprese quando adottano atti idonei ad incidere sul profilo economico dell’attività professionale svolta dai singoli notai (limitando la concorrenza, nella specie, in relazione alla distribuzione della clientela per le dismissioni immobiliari e la determinazione dei “prezzi” delle correlate prestazioni notarili).
“Solo l’esercizio del potere disciplinare da parte dei Consigli notarili” – ha precisato la sentenza in esame – “si sottrae a norme e principi sulla concorrenza, come puntualizzato dalla Corte regolatrice, secondo cui le norme sulla concorrenza devono ritenersi inapplicabili agli organi del Consiglio notarile, quando esercitano la funzione disciplinare, posto che in tal caso non regolano l’attività economica svolta dai notai nell’offrire servizi sul mercato, ma, con prerogative tipiche dei pubblici poteri, adempiono, in sostanza, a una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà.
Tale acquisizione giurisprudenziale trova ora espresso riscontro nell’art. 93-ter della L. 16/2/1913, n. 89 (recante disposizioni “Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili”), il cui comma 1-bis, aggiunto dall’art. 1, comma 495, lett. c), della L. 27/12/2017, n. 205, stabilisce che “Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’articolo 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287”, norma quest’ultima che, per l’appunto, prevede che “Le disposizioni di cui ai precedenti articoli non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati”.
Il Consiglio di Stato ha concluso affermando che “la necessità del rigoroso rispetto delle norme sulla concorrenza, mentre non incide sul potere dei consigli notarili di sanzionare sul piano disciplinare eventuali abusi o mancanze che dovessero essere accertati, esclude, invece, che i detti organi possano porre in essere interventi il cui oggetto o il cui effetto sia quello di alterare, nella sostanza, la libera competizione tra i professionisti e ciò anche laddove, come nella fattispecie, gli stessi siano motivati con riferimento alla dichiarata esigenza di disciplinare, nel preminente interesse pubblico, fenomeni, come quello della dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, caratterizzati dalla presenza di un’imponente mole di atti da stipulare in tempi ristretti”.
Notariato e concorrenza
Esorbita dai limiti di queste brevi note una analisi approfondita del decisum del Consiglio di Stato.
In linea di prima approssimazione, può comunque rilevarsi come, in principio, la sentenza si ponga in continuità rispetto ad orientamenti giurisprudenziali, nazionali ed eurounitari, allo stato consolidati.
Tale conclusione vale anzitutto, in termini generali, sia per la sussuzione dell’esercizio delle attività professionali nell’alveo della nozione funzionale di impresa rilevante ai fini della applicazione della normativa antitrust (così, già, Corte giust. 19 febbraio 2002, causa C-309/99, Wouters), sia per l’inquadramento degli ordini professionali tra le associazioni di imprese ai medesimi fini, a prescindere dalla natura pubblica di tali enti.
La Corte di giustizia si è espressa al riguardo nella causa C-136/12 del 18 luglio 2013 (causa Geologi), sostenendo il principio della scindibilità delle funzioni secondo il quale un ordine professionale deve essere considerato un’autorità pubblica non sottoposta alle norme sulla concorrenza quando la sua attività si ricollega all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri, mentre invece deve essere considerato un’associazione di imprese (le cui decisioni sono vietate dall’art. 101 TFUE se non giustificate da obiettivi di interesse collettivo ovvero non necessarie né proporzionate al conseguimento degli stessi), quando agisce quale organo di regolamentazione di una professione il cui esercizio costituisce un’attività economica.
Alla stregua dei suesposti principi, condivisi dalla giurisprudenza amministrativa (così, per esempio, Cons. Stato n. 238/15 e n. 1164/16), sia il Tar Lazio che il Consiglio di Stato (ex multis, Tar Lazio n. 8349/14 e Cons. Stato n. 1794/19) hanno affermato il principio, già enunciato dalla Cassazione (sent. n. 3715/13), secondo cui “i notai, nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali, esercitano la loro professione in condizioni di concorrenza; e la circostanza che le attività notarili perseguono obiettivi di interesse generale […] non è sufficiente a far considerare quelle attività come una forma di partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri” (ciò che le sottrarrebbe all’applicazione delle norme a tutela della concorrenza).
A fondamento di tale enunciazione, peraltro, la Suprema Corte aveva richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla condizione di nazionalità per l’accesso al notariato (apprezzata alla stregua delle norme del Trattato sulla libertà di stabilimento), secondo cui “nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali, i notai esercitano la loro professione […] in condizioni di concorrenza, circostanza che non è caratteristica dell’esercizio dei pubblici poteri” (così Corte giust. 24 maggio 2011, causa C-47/08 ed altre coeve pronunce della stessa Corte).
Al riguardo, in dottrina si è osservato che il riferimento alle citate sentenze sulla condizione di nazionalità per giustificare l’assoggettamento dell’attività del notaio e dei Consigli notarili all’applicazione delle norme sulla concorrenza sarebbe “non perfettamente pertinente e, comunque, insufficiente”, sia perché le anzidette pronunce, pur escludendo che la professione notarile partecipi dei pubblici poteri ai sensi dell’art. 51 TFUE, non negano che essa svolga funzioni e persegua interessi di natura pubblicistica riconducibili nell’ambito dell’art. 106, comma 2, TFUE che disciplina i c.d. servizi di interesse economico generale, sia perché occorre non confondere il profilo collegato alla libera circolazione dei servizi da quello inerente alla concorrenza, trattandosi di due aspetti complementare ed entrambi funzionali al mercato comune pur nelle loro specificità (così V. CAPUANO, Tariffe notarili e disciplina della concorrenza: una soluzione dall’ordinamento giuridico dell’Unione europea?, in Quaderni di diritto mercato tecnologia n. 3, 3 luglio/settembre 2013, 12 ss.).
Va comunque notato, conclusivamente sul punto, che anche la posizione della Commissione Europea è nel senso della soggezione, in principio, dei notai alle norme sulla concorrenza, così come risulta dalla Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali del 9 febbraio 2004.
È appena il caso di osservare che, in argomento, un definitivo chiarimento potrebbe ora pervenire dalla Corte di giustizia, investita della questione della qualificabilità dei notai come imprese ai sensi delle norme europee sulla concorrenza, a seguito del rinvio pregiudiziale operato dal Consiglio di Stato lituano con ordinanza del 17 febbraio 2021.
Anche sotto il profilo della possibile rilevanza anticoncorrenziale delle norme deontologiche la decisione in rassegna si conforma ad indirizzi consolidati in ambito eurounitario e nazionale.
Invero, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, quando elabora regole deontologiche un ordine professionale non esercita né una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà, né prerogative tipiche dei pubblici poteri, ma agisce ed è qualificabile come un’associazione di imprese ai sensi dell’art. 101, par. 1, TFUE.
Conseguentemente, l’adozione di tali regole costituisce una decisione ai sensi dello stesso art. 101 TFUE idonea, in funzione del contenuto delle singole prescrizioni, a produrre effetti restrittivi della concorrenza nel mercato interno e, in quanto tale, vietata, a meno che le restrizioni imposte dalle regole di cui trattasi siano limitate a quanto necessario al conseguimento di obiettivi legittimi (così Corte giust. 18 luglio 2013, causa C-136/12, cit.).
In senso adesivo ai suesposti principi si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa nazionale: la citata Cons. Stato, sez. VI, n. 238/15, per esempio, in applicazione dei dicta della ripetuta pronuncia della Corte di giustizia (resa su rinvio pregiudiziale dalla stesso Consiglio di Stato operato), ha ritenuto che alcune disposizioni del codice deontologico adottate dal Consiglio Nazionale dei geologi (ed in particolare quella secondo cui a garanzia della qualità delle prestazioni il geologico deve sempre commisurare il compenso al decoro professionale) fossero restrittive della concorrenza e dovessero essere perciò sanzionate, in quanto non necessarie al perseguimento di obiettivi legittimi.
E la scrutinabilità, sotto il profilo antitrust, delle disposizioni deontologiche emanate da un ordine professionale è stata, quindi, implicitamente riconosciuta dalla successiva pronuncia n. 167/16 della VI sezione del Consiglio di Stato.
Se, dunque, sotto il profilo dell’inquadramento teorico della fattispecie, la pronuncia qui esaminata si conforma ad orientamenti (allo stato, ripetesi) consolidati, non può non cogliersi una certa apoditticità che inficia la motivazione della decisione relativa alla questione della contrarietà alle norme antitrust della delibera consiliare controversa.
È, infatti, appena il caso di ripetere che, così come poc’anzi ricordato, non ogni decisione di un’associazione di imprese (ovvero, nella specie, di un ordine professionale) restrittiva della concorrenza ricade necessariamente sotto il divieto sancito dall’art. 101 TFUE, ma solo quelle che risultino non giustificate da obiettivi legittimi o, comunque, si rilevino non necessarie né proporzionate al loro conseguimento.
In questa prospettiva, la pronuncia di primo grado (Tar Lazio n. 6105/18), a prescindere dalla condivisibilità della soluzione propugnata, appare certamente motivata in modo più congruo con il rilievo secondo cui l’esigenza di garantire una veloce ed efficace predisposizione delle ricerche e delle attività propedeutiche alla stipula, con conseguente rispetto della tempistica, spesso incalzante, dei processi di dismissioni pubbliche, trova il suo “punto di equilibrio”, anche sotto il profilo della proporzionalità, con il riconoscimento e la salvaguardia della facoltà dell’acquirente di scegliere il notaio di propria fiducia nel rispetto dei principi di concorrenza, mediante la previsione di una comunicazione “tempestiva” della scelta di altro professionista.
E infatti, per i giudici di prime cure, anche a voler ritenere che l’attività di designazione fosse finalizzata ad evitare fenomeni di accaparramento da parte di singoli professionisti di interi blocchi di atti di dismissione, “deve rilevarsi come il medesimo risultato può essere conseguito senza prevedere nomine vincolanti e stabilendo un adeguato anticipo per la comunicazione della scelta diversa da parte dell’acquirente, ferma la perseguibilità in via disciplinare degli eventuali illeciti deontologici in cui si concretizzi l’accaparramento” (così Tar Lazio n. 6105/18, cit.).
Considerazioni conclusive
La sentenza in commento segna, forse, la fine di una stagione di contrapposizioni fra le istituzioni notarili e l’AGCM che si è sviluppata con particolare asprezza a partire dal 2013.
Senza voler ripercorrere le tappe ed indagare le cause di tale contenzioso, appare evidente che lo stesso si sia inserito in un quadro caratterizzato da una certa tendenza dell’AGCM – non condivisibile anche se, purtroppo, spesso recepita pure in altri ambiti – a far coincidere la promozione di maggior concorrenza nelle professioni con il ridimensionamento del ruolo che gli ordini professionali esercitano nella disciplina dell’attività degli iscritti (così A. GENOVESE, Regolazione e concorrenza nell’offerta di servizi notarili, in www.orizzontideldirittocommerciale.it, 2013, 10 ss.).
Di certo, è plausibile ipotizzare che maggiore è il ruolo che svolge l’ordine professionale nella disciplina della concorrenza attuale e potenziale a cui sono esposti gli iscritti, maggiore è il rischio che tale disciplina sia finalizzata più a proteggere, più gli interessi degli incumbents che quelli della generalità dei consociati. Non si può però confondere il rischio di un abuso di autorità, in termini di deviazione dell’intervento dalla finalità per le quali il potere è attribuito, con la ragion d’essere (o meno) di una tale autorità che, dall’interno più appropriatamente che dall’esterno, può regolare una specifica attività, comunque sottratta alla libera concorrenza in senso pieno.
La tendenza sopra descritta, perciò, oltre che avulsa dalle esperienze di diritto comunitario in tema di regolazione delle professioni (comunemente ritenuta prerogativa anche degli ordini professionali), è pericolosa perché rischia di radicalizzare lo scontro fra l’Autorità preposta alla tutela della concorrenza e gli ordini professionali, in chiave ideologica e aliena dalla comprensione dei problemi reali da affrontare (in tal senso, A. Genovese, op.loc.cit.).
Quanto appena descritto si è verificato anche nell’ambito dei rapporti fra la disciplina della professione notarile e le regole della concorrenza in cui si è non di rado assistito ad uno scontro fra opposti manicheismi: quello dell’AGCM per la quale, anche nell’ambito della regolamentazione delle attività professionali ed a prescindere dalle specifiche connotazioni dello statuto di ogni singola professione, l’unico valore da preservare è quello della concorrenza, che impone di sacrificare – perché restrittiva di questa – ogni regola volta a salvaguardare il corretto esercizio della professione (una sorta di panconcorrenzialismo); quello di alcune parti del mondo notarile per le quali, invece, la concorrenza e le liberalizzazioni ad essa ispirate sono come la peste di Don Ferrante (né “sostanza” né “accidente”) e quindi non esistono, almeno per i notai.
È auspicabile che una simile contrapposizione non si riproduca ora sulle questioni ancora aperte nel rapporto fra Notariato ed Autorità.
Basti pensare, ad esempio, alla delimitazione dei confini e, più in particolare, alla individuazione dell’esatta portata della nozione di “atti funzionali al provvedimento del procedimento disciplinare” alla quale fa riferimento il comma 1 bis dell’art. 93 ter L. not., di cui anche la decisione del Consiglio di Stato in rassegna ha significativamente riconosciuto la valenza ricognitiva di un principio costituente diritto vivente (per un primo commento della norma cons. E: MARASA’-O. POLLICINO, Nuovo articolo 93-ter, comma 1 bis, della Legge Notarile: esenzione totale dei notai dalle regole di concorrenza? Contrarietà ai principi comunitari? Niente affatto, in Media Laws, Law and policy). Oppure si rifletta sulle connesse tematiche relative al monitoraggio (v. A. ROVEDA, “Monitoraggio: capitolo chiuso o nuova stagione?“, in Federnotizie.it, 6 novembre 2019), sulle quali da sempre si registra una diversa sensibilità del giudice ordinario rispetto all’impostazione dell’AGCM e del giudice amministrativo.
Si tratta di nodi ancora irrisolti, come dimostra lo stesso provvedimento dell’Autorità n. 27874 del 24 luglio 2019, conclusivo del procedimento contro il Consiglio notarile di Milano, in cui, se è vero che sono state abbandonate le contestazioni afferenti ai procedimenti disciplinari (la cui cognizione, così come da ultimo ribadito da Tar Lazio n. 498/21, appartiene alla giurisdizione dell’Ago), è stata tuttavia ribadita con forza la pretesa dell’AGCM di sindacare il monitoraggio “a tappeto” avente ad oggetto “dati concorrenzialmente sensibili”. Impostazione, questa, che rischia di avere riflessi di non poco momento sull’effettività dell’attività di vigilanza consiliare, riducendo significativamente l’operatività di uno degli strumenti più incisivi a disposizione dei Consigli nell’esercizio della funzione di controllo sull’attività degli iscritti.
Anche nell’affrontare le questioni anzidette occorre, dunque, individuare un punto di equilibrio, coerente tanto con il quadro ordinamentale di matrice eurounitaria, quanto con la peculiare connotazione pubblicistica del munus notarile.
Il “bisogno di concorrenza” che investe anche le attività libero professionali, invero, non elimina il fatto che l’attività notarile continua a caratterizzarsi anche come esercizio di una pubblica funzione (Cass. n. 26146/15), il cui buon andamento, rispondendo ad un interesse della collettività, va garantito anche attraverso la fissazione di limiti allo svolgimento dell’attività e la predisposizione di adeguati controlli al suo corretto disimpegno.
Come icasticamente statuito, “la libertà di operare non significa che la medesima debba essere del tutto svincolata da regole e limiti: così la concorrenza tra notai ben ne può incontrare a tutela dell’ordinato ed efficiente svolgimento della funzione notarile, costituente un interesse pubblico di pregnante rilevanza” (così TAR Lazio n. 10363/13). Principio, questo, già in precedenza affermato dalla Corte di Cassazione che, pronunciandosi in relazione al previgente art. 147 L. not., ha sempre riconosciuto come tale disposizione “non pone una limitazione della concorrenza tra i notai, che anzi implicitamente riconosce, nel momento stesso che ne vieta solo le forme illecite”, precisando altresì che le norme della legge antitrust (n. 287/90) ed i principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria sulla concorrenza “tutelano la libertà di concorrenza, ma non le ipotesi di concorrenza illecita. Anzi, proprio il sanzionamento della concorrenza illecita, effettuata da un notaio, costituisce una delle forme di tutela della concorrenza lecita” (così già Cass. n. 19/00).
Postilla
Nelle more della pubblicazione del presente contributo, in argomento è intervenuta la pronuncia 12 marzo 2021 n. 7051 della II sezione civile della Corte di Cassazione.
Per quanto qui interessa, la decisione ha, anzitutto, ritenuto infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati in relazione all’art. 93 ter, comma 1 bis, L. not., considerata disposizione “ricognitiva di un principio costituente diritto vivente, senza con ciò negare che l’esercizio della professione del notaio costituisce impresa secondo il diritto unionale” e che “I Consigli notarili, in quanto enti rappresentativi di imprese che offrono sul mercato in modo indipendente e stabile i propri servizi professionali, sono associazioni di imprese, che possono perciò rendersi promotrici di intese restrittive della libera concorrenza, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 10 ottobre 1990, n. 287”.
Per la Cassazione, inoltre, è “da escludere in radice (e così non potrebbe non essere ove si intenda scongiurare un corto circuito istituzionale intollerabile) che la circostanza che il collegio notarile rappresenti associazione di imprese (costituita dai notai del distretto) impedisca allo stesso il promovimento dell’azione disciplinare e degli atti istruttori ad esso propedeutici o che una tale attività, doverosa per legge, debba previamente o successivamente essere sottoposta al controllo antitrust”.
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La Redazione di Federnotizie è composta da notai di tutta Italia, specializzati in differenti discipline e coordinati dalla direzione della testata, composta dai notai Arrigo Roveda e Domenico Cambareri.