“Conformità catastale” dopo il D.L. 50/2017

Sommario:

  1. Normativa di riferimento e sua “ratio”
  2. Conformità catastale oggettiva: presupposti e casistica
  3. Contenuto della dichiarazione di conformità: posizioni divergenti
  4. Nullità
  5. Uno sguardo alle pronunce CO.RE.DI.
  6. Confermabilità degli atti nulli
  7. Falsità della dichiarazione di conformità: responsabilità anche penale?
  8. Conformità catastale soggettiva: nozione di intestatario e ruolo del Notaio
  9. Dispensa del Notaio dall’obbligo delle visure: è ancora possibile?

  1. Normativa di riferimento e sua “ratio”

L’Art. 29 al comma 1-bis della Legge 27 febbraio 1985 n. 52, sulla meccanizzazione delle Conservatorie dei Registri immobiliari, (come introdotto dall’Art. 19 comma 14 del dell’art. 19, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, e come modificato dalla relativa legge di conversione – in vigore dal 1 luglio 2010), così recita:

Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.”

La prima parte della norma ha ad oggetto la “conformità oggettiva” degli immobili (conformità degli immobili alle risultanze catastali), prescrivendo che gli atti debbano contenere, a pena di nullità: 1) l’identificazione catastale; 2) il riferimento alle planimetrie depositate in Catasto; 3) la dichiarazione resa dall’ “intestatario” della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie – o in alternativa l’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.

La seconda parte della norma ha ad oggetto la “conformità soggettiva” degli immobili (corrispondenza tra risultanze del Catasto e risultanze dei Registri Immobiliari), la cui sussistenza deve essere verificata dal Notaio, senza previsione di sanzioni, salva la responsabilità professionale del Notaio.

Il Legislatore nel 2017 ha poi previsto la possibilità di “conferma” degli atti nulli perché privi delle dichiarazioni sulla conformità catastale, aggiungendo al predetto Art. 29, il comma 1-ter (introdotto dall’Art. 8, comma 1-bis del D.L. 24 aprile 2017, n. 50  (convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 2017, n. 96in vigore dal 24 giugno 2017), che così recita:

Se la mancanza del riferimento alle planimetrie depositate in catasto o della dichiarazione, resa dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, ovvero dell’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato non siano dipese dall’inesistenza delle planimetrie o dalla loro difformità dallo stato di fatto, l’atto può essere confermato anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga gli elementi omessi. L’atto di conferma costituisce atto direttamente conseguente a quello cui si riferisce, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.”

Il fondamento della novella sulla conformità catastale ha natura squisitamente pubblicistica.

Da un lato, come statuito anche dalla Suprema Corte nella sentenza 11 aprile 2014 n. 8611, si vuole migliorare la qualità delle banche dati catastali e di pubblicità immobiliare, realizzando una perfetta simmetria dei dati che individuano l’immobile, sia in termini di coerenza formale (profilo soggettivo) che di coerenza sostanziale (profilo oggettivo), così da creare un archivio perfettamente in “sincro” ed allineato, le cui risultanze siano effettivamente rispondenti al dato reale (la c.d. Anagrafe Immobiliare Integrata).

Da un altro lato, si vuole far emergere possibili fenomeni di elusione ed evasione fiscale (vedi fabbricati fantasma): con un’esatta individuazione degli immobili urbani produttivi di reddito e dei relativi proprietari si avrebbe, nel settore impositivo immobiliare, una duplice certezza sia in termini di entrate (maggior redditività rispetto a quanto risultante oggi dal solo catasto) sia in ordine agli effettivi soggetti tenuti al pagamento delle imposte, con pieno raggiungimento dell’obiettivo fiscale.

  1. Conformità catastale oggettiva: presupposti e casistica

Il tema de quo è stato oggetto di molteplici interventi da parte di Colleghi, Studiosi e da parte dell’Ufficio Studi del Notariato.

Con il presente lavoro, senza pretesa di esaustività, si vuole riportare, in sintesi, tali orientamenti già autorevolmente espressi.

Per una migliore disamina delle problematiche e della casistica in tema di conformità, si parte da un preliminare e “istituzionale” esame dei presupposti formali e sostanziali di applicazione della norma.

1) Forma: la norma fa espresso riferimento agli atti pubblici e alle scritture private autenticate “tra vivi” (titoli idonei ai fini della trascrizione e della voltura catastale).

La scrittura privata non autenticata resta, quindi, fuori dall’ambito di previsione della norma.

Non vi rientrano espressamente gli atti giudiziari (trasferimenti derivanti da sentenza) (Si veda, però, al riguardo quanto recentemente statuito dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 17990 del 14 settembre 2016, infra riportata).

Benchè la normativa sulla conformità catastale non contenga una disposizione analoga a quella di cui all’Art. 30 comma 6 del D.P.R. n. 380/2001 (“Per gli atti formati all’estero, le disposizioni di cui agli artt. 30 e 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, e successive modificazioni, si applicano all’atto del deposito presso il Notaio e le conseguenti menzioni possono essere inserite nel relativo verbale”, deve ritenersi che, in caso di atti stipulati all’estero, le eventuali carenze di dati, dichiarazioni o documentazioni possano essere integrate nel verbale di deposito ex Art. 106 n. 4 L.N.

2) Tipologie di negozi: La nuova disciplina si riferisce agli atti “aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali”, “ad esclusione dei diritti reali di garanzia”.

L’elencazione richiama quella di cui all’Art. 46 D.P.R. 380/2001 in materia urbanistica, fatta eccezione per gli “atti costitutivi di servitù”, qui non espressamente esclusi.

3) Ambito oggettivo: La novella prende in considerazione gli atti relativi agli immobili che possano qualificarsi come “fabbricati già esistenti” e costituiscano “unità immobiliari urbane”.

Per una corretta definizione occorre partire dalle norme in materia urbanistica e dalle norme che regolano il Catasto.

Per la prima nozione (fabbricati già esistenti), vale il disposto dell’art. 28 del Regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito in Legge 11 agosto 1939, n. 1249, secondo cui “i fabbricati nuovi ed ogni altra stabile costruzione nuova che debbono considerarsi immobili urbani, a norma dell’art. 4, devono essere dichiarati all’Ufficio tecnico erariale entro trenta giorni dal momento in cui sono divenuti abitabili o servibili all’uso cui sono destinati” (norma da ritenersi parzialmente abrogata, quanto al termine – trenta giorni – di denuncia al catasto, dagli Artt. 24 4° comma e 25 1° comma del D.P.R. 380/2001 – si veda in tal senso “La normativa in materia di conformità dei dati catastali D.L. 78/2010” di G. Rizzi).

Dal combinato disposto delle sopra citate norme deriva che, per i fabbricati “esistenti ed ultimati” (quindi idonei ad essere dichiarati agibili), la richiesta di accatastamento deve essere presentata entro 15 giorni (e non più entro trenta giorni) dall’ultimazione dei lavori di finitura (termine prescritto dalla legge per la presentazione della domanda di rilascio del certificato di agibilità).

L’unità immobiliare urbana viene, per converso, definita nella normativa catastale come “ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio” (art. 5 del citato r.d.l. n. 652/1939), e più precisamente come unità immobiliare costituita da “una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale” (art. 2, comma 1, D.M. 2 gennaio 1998, n. 28).

L’ “unità urbana” è una categoria più ristretta rispetto a quella di “fabbricato esistente”; tutti i fabbricati esistenti hanno un loro identificativo catastale, ma solo le “unità urbane”, in quanto produttive di reddito, sono rappresentate con una planimetria catastale e hanno una rendita catastale.

Per individuare l’esatto ambito applicativo della normativa sulla conformità occorre, quindi, mettere in stretta correlazione le nozioni sopra illustrate: rientrano, pertanto, nella normativa sulla conformità catastale gli immobili iscritti al catasto urbano e produttivi di reddito, nonché quelli per i quali sussiste l’obbligo della loro dichiarazione al catasto urbano (Circolare n. 2/2010 del 9 luglio 2010 dell’Agenzia del Territorio).

Sono esclusi dalla normativa de qua:

  • i fabbricati iscritti in Catasto con attribuzione della categoria F/2 (unità collabenti), F/3 (unità in corso di costruzione), F/4 (unità in corso di definizione), F/5 (lastrici solari).

Si è ritenuto che in caso di fabbricato in corso di ristrutturazione (non accatastato nel gruppo F ed ancora iscritto in catasto con una categoria catastale con attribuzione di rendita), per il quale siano state rilasciate licenze, concessioni o autorizzazioni per restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia, non sia applicabile la normativa sulla conformità catastale, in quanto, l’unità immobiliare non sarebbe più identificabile con quella originaria e, limitatamente al periodo di validità del provvedimento urbanistico, l’immobile non avrebbe ex Art. 36, comma 3, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 capacità reddituale, non venendo, per altro, lo stesso utilizzato (Quesito CNN N. 514-2011/C)

  • le unità immobiliari iscritte al catasto Fabbricati con attribuzione della categoria F/1 che per loro natura non sono fabbricati (giardini, corti urbane, orti…)
  • i terreni inedificati
  • i fabbricati per i quali la legge (Art. 6 R.D. Legge 13 aprile 1939 n. 652) esclude l’obbligo di dichiarazione in catasto (i fabbricati destinati all’esercizio dei culti, i fabbricati della Santa Sede, i cimiteri…). Con riguardo agli edifici di culto, si è precisato che qualora siano iscritti in catasto con attribuzione di rendita, sono esclusi dall’ambito applicativo della norma solo se destinati esclusivamente all’esercizio di culto, in quanto ex Art. 36 2° comma D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 le predette unità immobiliari “non si considerano produttive di reddito, se non sono oggetto di locazione”
  • le cessioni degli immobili effettuate dallo Stato, dagli altri enti pubblici nonché dalle società di cartolarizzazione di cui al Decreto Legge 25 settembre 2001 n. 351, come previsto dall’Art. 3 commi 10 e 11 del Decreto Legge 31 ottobre 2013 n. 126 (in vigore dal 31 ottobre 2013)
  • i beni comuni non censibili (parti comuni condominiali, quali cortili, scala, pianerottolo, … identificati in catasto mediante elaborato planimetrico)
  • i beni comuni censibili (parti comuni condominiali, quali alloggio del portiere, cantina condominiale … unità immobiliari dotate di autonoma capacità reddituale e denunciate in catasto mediante planimetria).

Al riguardo l’Agenzia del Territorio nella Circolare n. 3/2010 del 10 agosto 2010 ha espressamente statuito che le unità immobiliari con rendita catastale comuni a tutti i condomini e intestate alla partita speciale “beni comuni censibili” sono escluse dall’ambito di applicazione della norma in commento. E’ stato affermato da Autorevole Dottrina (Rizzi Giovanni “La normativa in materia di conformità dei dati catastali D.L. 78/2010”) che tale esclusione debba essere riservata anche alle unità immobiliari comuni, accatastate ma non intestate sotto la partita speciale “beni comuni censibili” (si pensi alle unità immobiliari intestate pro quota ai singoli condomini o al Condominio), in quanto, essendo destinate a servizio del condominio, vengono trasferite ex lege unitamente al bene principale, a prescindere da un’espressa volontà delle parti manifestata in atto.

Stante quanto sopra detto in generale, si riporta stralcio delle opinioni emerse in Dottrina e dei principali orientamenti espressi dall’Ufficio Studi del Notariato (già raccolti in “Questioni di conformità catastale” di Marco Bellinvia in Focus 5/2015 a cura dell’Ufficio Studi Settore Pubblicistico) in ordine alle seguenti particolari fattispecie:

Stralcio di quota divisionale (o divisione soggettivamente parziale: il comunista assegnatario viene definitivamente estromesso dalla comunione con conseguente modifica quantitativa delle quote di compartecipazione dei soggetti stralcianti sui beni residui) : la dottrina prevalente ritiene applicabile la nuova normativa anche nel caso in cui il bene assegnato a titolo di stralcio non sia un fabbricato, se ed in quanto tra gli altri beni rimasti in comproprietà tra i comunisti vi sia almeno un “fabbricato già esistente”; infatti, in tale caso, si tratterebbe pur sempre di una divisione parziale che coinvolge tutti i beni costituenti oggetto della comunione.

Assegno in conto futura divisione (assegnazione a favore di uno o più comunisti di beni oggetto di comunione, con l’intesa che il valore di quanto assegnato sarà imputato alla quota di diritto dell’assegnatario al momento della futura divisione mentre i beni non assegnati rimangono in comunione tra gli stessi comunisti nelle medesime quote originarie): la nuova disciplina dettata in materia di conformità catastale si applica solo con riferimento al bene immobile oggetto di assegnazione in conto, poiché solo questo è interessato dal relativo effetto traslativo.

Costituzione di servitù: la Dottrina prevalente (tra cui G. Rizzi, opera cit.) ritiene che la normativa in parola si applichi soltanto se “fondo servente”, sia un “fabbricato già esistente”, e non invece se il “fabbricato già esistente” sia il “fondo dominante” in quanto: la costituzione del diritto di servitù avviene sul fondo servente ed è a questo solo che occorre guardare anche con riguardo al disponente del diritto che deve rendere la dichiarazione di conformità; altra Dottrina è, invece, orientata in senso contrario, e cioè nel senso di ritenere applicabile la nuova normativa anche nel caso in cui il “fabbricato già esistente” sia costituito dal “fondo dominante”.

Contratti preliminari: Anche se la normativa sulla conformità catastale riguarda esclusivamente atti “aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali” su fabbricati esistenti, e non contratti produttivi di soli effetti obbligatori, è quanto mai opportuno inserire in atto le prescritte menzioni.

In particolare, nel caso in cui si rinvengano irregolarità catastali sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, occorre prevedere clausole ad hoc dalle quali risulti l’obbligo del promittente venditore di provvedere prima del definitivo alla sistemazione delle difformità catastali e, come talvolta accade in correlazione o in conseguenza, anche quelle edilizie.

La conformità catastale deve sussistere al momento del contratto definitivo e non necessariamente al momento del preliminare.

Stante quanto sopra, quid iuris in caso di preliminare senza “menzioni sulla conformità catastale” qualora segua poi l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo ex Art. 2932 c.c.?

La risposta è strettamente correlata all’applicabilità’/non applicabilità della normativa sulla conformità catastale anche ai provvedimenti giudiziari.

Secondo l’opinione del Consiglio Nazionale del Notariato, “la disposizione in commento non trova … applicazione agli atti mortis causa ed ai trasferimenti derivanti da sentenza “ (Si veda: M. Leo-A. Lomonaco- A. Ruotolo, La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 (cd. Manovra Economica). Prime note – Circolare CNN, in Studi e Materiali, n. 1/2011, 10 e con riferimento alla vendita forzata E. GASBARRINI, Vendita forzata e nuova normativa in materia di conformità di dati catastali, in Studi e materiali, n. 2/2011, 451 ss).

In tal senso si è espressa anche buona parte della dottrina intervenuta sul punto (si veda G. Rizzi, La normativa in materia di conformità dei dati catastali (d.l. 78/2010); G. Di Transo, La conformità catastale: casi pratici e spunti di politica del Notariato, in La conformità catastale: riflessi operativi sull’attività notarile, in Atti del Convegno tenutosi a Roma il 26 marzo 2011 – Milano 2011).

Secondo altra autorevole dottrina “qualsiasi titolo rientrante tra quelli “soggetti a trascrizione” debba avere i contenuti prescritti dalla novella per essere trascrivibile, e che in mancanza dei riferimenti e dichiarazioni riguardo alla conformità oggettiva, prescritti dal primo periodo del comma 1-bis dell’art. 29, nella scrittura privata o in alternativa nella sentenza di accertamento delle sottoscrizioni, il conservatore possa e debba rifiutare la trascrizione, anche se si tratta di scrittura privata non autenticata con firme giudizialmente riconosciute”.

Ciò varrebbe anche “con riferimento ai provvedimenti giudiziari, non contemplati dalla disposizione in esame”, ivi comprese le “sentenze costitutive, emanate a norma dell’art. 2932 c.c.”; ciò in quanto, se, per un verso, “è vero che le eventuali nullità della sentenza sono coperte dalla preclusione del giudicato (che copre sia il dedotto che il deducibile)”, per altro verso “la oggettiva inidoneità del titolo giudiziario ai fini della trascrizione – argomentabile come sopra – permane nonostante qualunque sanatoria. Per di più, l’inapplicabilità delle prescrizioni del comma 1-bis potrebbe consentire l’elusione della relativa disciplina, nei casi in cui le parti stipulassero appositamente un contratto preliminare di immobile catastalmente non regolare, ed operassero quindi in modo da ottenere una sentenza, sostitutiva del contratto definitivo non concluso” (G. Petrelli, Allineamento catastale e pubblicità immobiliare: l’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, in www.gaetanopetrelli.it. Analogamente, Id., Conformità catastale e pubblicità immobiliare, Milano, 2010, 15-16; M. Ceolin, La conformità oggettiva e soggettiva nel D.L. 31 maggio 2010 n. 78 (conv. in L. 31 luglio 2010 n. 122) e il problema della nullità degli atti, in Riv. not., 2011, 339-340; A. Busani-U. Morello, Passaggio in catasto per i nuovi requisiti di forma ad substantiam degli atti immobiliari, in I Contratti, 2010, 919, nt. 8).

In giurisprudenza si riporta quanto recentemente statuito dalla Suprema Corte di Cassazione.

Con la sentenza n. 17990 del 14 settembre 2016 la Cassazione che ha avuto modo di occuparsi di questo problema con riferimento ad una sentenza costitutiva di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto avente ad oggetto un bene immobile in relazione alla quale il ricorrente lamentava “la nullità e/o invalidità della sentenza per omessa indicazione della conformità catastale o alternativa attestazione (violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto)”. In altri termini, secondo il ricorrente, “la sentenza, ai fini del trasferimento immobiliare, sarebbe nulla perché non conterrebbe, come avrebbe dovuto, le indicazioni richieste dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis” (si veda: Segnalazioni Novità Giurisprudenziali “Conformità catastale e provvedimenti giudiziari. La sentenza della Corte di Cassazione del 14 settembre 2016, n. 17990” di Ernesto Fabiani).

La Cassazione, pur ritenendo infondato detto motivo di ricorso, dopo aver preliminarmente evidenziato come “secondo un orientamento diffuso in dottrina la norma di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, introdotto con D.L. n. 78 del 2010, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, si riferisce solo agli atti pubblici e alle scritture private (unici titoli idonei alla trascrizione e alla voltura catastale), ma, non anche ai provvedimenti giudiziari di trasferimento di diritti reali, i quali, invece, null’altro dovrebbero contenere se non l’indicazione dei dati catastali, non essendo immaginabile che un atto giudiziario contenga alcuna dichiarazione e/o attestazione di un tecnico”, ha ritenuto che, “tuttavia, considerato che la ratio legis è quella di assicurare la c.d. congruenza o coerenza oggettiva e soggettiva delle risultanze catastali rispetto ai dati ricavabili dai registri immobiliari, “l’esclusione”, appena indicata, non appare condivisibile, almeno nella forma assoluta, per gli inevitabili inconvenienti che ciò potrebbe comportare. Piuttosto, appare ragionevole ritenere che, per gli atti giudiziari di trasferimento di diritti reali (sentenza o decreti), l’accertamento richiesto dalla legge, più che essere riferito nell’atto giudiziario, è necessario che sia stato acquisito al processo. Con la conseguenza che, il mancato riferimento, nell’atto giudiziale di trasferimento, dei dati di cui alla normativa in esame non determinerebbe un vizio dell’atto giudiziario, nel caso in esame, della sentenza, ma l’omesso accertamento di un fatto decisivo per il giudizio”.

Aree attrezzate: si ritiene che la normativa de qua si applichi non solo ai fabbricati in senso stretto ma anche alle aree attrezzate solo se suscettibili di autonomia funzionale e reddituale. Si pensi alle aree attrezzate con attrezzature sportive (cat. D/6 o cat. C/4), alle aree attrezzate con impianti di risalita (cat. D/8),  alle aree attrezzate a campeggio o a sosta caravan (cat. E/4, se prive di attività di tipo commerciale o cat. D/8 in caso contrario), alle aree per autoparchi (cat. D/7), alle aree per deposito di rottami inerti o altro (cat. D/7 o cat. D/8 se si tratta di aree adibite a stoccaggio) e alle aree scoperte appositamente attrezzate con strutture e stand amovibili per esigenze espositive, attrezzate unicamente con semplici costruzioni destinate a soddisfare le esigenze primarie, quali biglietteria, servizi igienici, accoglienza ecc. (cat. E/4) (si veda: Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 846-2014/, Stato dell’arte in tema di coerenza catastale oggettiva, approvato dall’Area scientifica studi civilistici, 19 febbraio 2015, e dal CNN 1-2 ottobre 2015, est. Coscia, in Cnn Notizie del 27.10.2015).

Posti auto: I posti auto di proprietà esclusiva, sia coperti che scoperti (in quest’ultimo caso, ove partecipanti della disciplina urbanistica dei fabbricati), a differenza delle aree urbane, costituiscono a tutti gli effetti unità urbane produttive di reddito (con attribuzione alla categoria catastale C/6), rientrando quindi a pieno titolo nell’ambito della normativa sulla conformità catastale.

Diversamente, per i posti auto realizzati nel cortile condominiale (beni comuni a tutti i condomini per le rispettive quote millesimali ai sensi dell’art.1117 c.c.), non si applica la normativa de qua, ancorché censiti e classati, in quanto beni improduttivi di reddito.

Lo stesso dicasi per i posti auto in uso promiscuo di tutti i condomini o in uso esclusivo ai singoli condomini a titolo di “diritto di utilizzo esclusivo di natura obbligatoria”.

Qualora, invece, l’uso esclusivo, venga costituito a favore di un singolo condomino o di un estraneo, e sia qualificabile come diritto reale di servitù o di uso, dall’atto dovrà risultare la menzione sulla conformità catastale.

Aree scoperte pertinenziali: Le aree scoperte non costituiscono unità immobiliari urbane. Se però sono pertinenza di un’altra unità incidono sulla sua consistenza catastale (e sulla relativa rendita), e quindi la planimetria dell’unità principale deve rappresentare anche l’area scoperta annessa perché in mancanza non si può dire avverata la conformità (Si veda Circolare del CNN “La legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del D.l. 30 maggio 2010, n. 78 in materia di circolazione immobiliare. Novità e aspetti controversi”, estensori Mauro Leo, Annarita Lo Monaco, Giampiero Monteleone e Antonio Ruotolo, del 6 dicembre 2010 e “La conformità catastale: casi pratici e spunti di politica del Notariato” di Giuseppe di Transo in I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato).

Lo stesso dicasi per i Terrazzi e lastrici.

Rinunzia abdicativa ad un diritto reale: benchè nell’Art. 29 al comma 1-bis della Legge 27 febbraio 1985 n. 52, non vi sia alcun riferimento espresso a vicende negoziali “estintive” o “modificative” dei diritti reali di godimento ma vi sia la sola previsione di quelle “costitutive”, la dottrina prevalente ritiene che si applichi la normativa sulla conformità (Quesito CNN N. 260-2012/C).

Rinunzia al legato immobiliare: Partendo dal dato testuale (art. 649 c.c.) secondo il quale il legato si acquista automaticamente senza bisogno di accettazione, per cui l’acquisto del medesimo avviene ipso iure, deve affermarsi, in adesione a dottrina e giurisprudenza maggioritarie, che l’atto di rinuncia al legato individua un’ipotesi di rinunzia abdicativa con effetti risolutivi retroattivi di un acquisto già verificatosi; pur trattandosi di un atto inter vivos la sua natura meramente dismissiva e non, stricto sensu, traslativa, fa propendere per l’idea della non applicabilità della normativa de qua»  (Quesito CNN N. 109-2014/C; in tal senso anche: M. Ceolin, La conformità oggettiva e soggettiva del D.l. 31 maggio 2010 n. 78 (conv. In L. 31 luglio 2010 n. 122) e problema della nullità degli atti, in Riv. not. 2011, p. 335 e G. Rizzi, La normativa in materia di conformità dei dati catastali D.L. 78/2010, cit., p. 7.)

Accordi di separazione tra coniugi omologati dal giudice:

Secondo la Suprema Corte (Cassazione 15 maggio 1997 n. 4306 in Vita not. 1997 p. 842) gli accordi di separazione “in quanto inseriti nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assumono forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichino il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituiscono, dopo l’omologazione che li rende efficaci, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi”.

L’effetto traslativo deriva dal consenso espresso dalle parti e non dall’omologa, con la conseguenza che questi accordi, in quanto contenuti nel verbale omologato (atto pubblico), rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 29, comma 1-bis, L. n. 52/1985 (Quesito CNN N. 465-2011/C).

Verbale di conciliazione redatto dal Giudice di pace:

Qualora il verbale di conciliazione sia redatto in sede contenziosa, e abbia ad oggetto la costituzione, il trasferimento o la modificazione di un diritto reale su un bene immobile, costituendo, in quanto atto pubblico, titolo esecutivo e valido titolo per la trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c., allo stesso deve essere riconosciuta natura negoziale con conseguente obbligo delle menzioni di cui all’art. 29, comma 1-bis, in tema di conformità catastale.

Nel caso in cui, invece, il verbale di conciliazione venga redatto in sede non contenziosa e la controversia non rientri nella competenza del Giudice di Pace, l’accordo raggiunto avrà valore di semplice scrittura privata riconosciuta in giudizio ma non di scrittura privata autenticata o accertata in giudizio. Non costituendo titolo idoneo, l’accordo non potrà essere trascritto né considerarsi opponibile ai terzi, ma spiegherà i suoi effetti esclusivamente tra le parti (Quesito CNN N. 408-2012/C).

Vendite “coattive” di beni immobili in ambito giudiziale:

Sono escluse dalla normativa sulla conformità catastale le vendite forzate in sede esecutiva, le vendite ex art. 788 c.p.c. nel giudizio divisionale e le vendite fallimentari attuate dal Giudice Delegato ex art. 107, primo o secondo comma, l. fall. (Si veda Studio Esecuzioni Immobiliari n. 1-2011/E “Vendita forzata e nuova normativa in materia di conformità dei dati catastali” di Elisabetta Gasbarrini Approvato dal Gruppo di Studio sulle Esecuzioni Immobiliari e Attività Delegate il giorno 11 marzo 2011).

Né a diversa conclusione si può giungere anche dopo la sentenza della Cassazione Civile n. 17990 del 14 settembre 2016, nella quale si afferma un principio sicuramente non estensibile al differente contesto del processo di espropriazione forzata, ove, evidentemente, non sussiste alcun “accertamento di un fatto decisivo per il giudizio”. In tal caso, come affermato da autorevole dottrina (“Conformità catastale e provvedimenti giudiziari. La sentenza della Corte di Cassazione del 14 settembre 2016, n. 17990” di Ernesto Fabiani in Segnalazioni Novità Giurisprudenziali CNN), ci si muove in un contesto non di accertamento di un diritto (se del caso accompagnato da una pronuncia costitutiva, come nel caso del giudizio promosso ai sensi dell’art. 2932 c.c.) ma di esecuzione di un diritto già consacrato in un titolo esecutivo.

Vendita di bene immobile in sede fallimentare tramite procedure competitive ex art. 107 l. fall..

L’espressione “procedure competitive” in ambito fallimentare indica dei procedimenti di liquidazione del patrimonio del soggetto fallito, gestiti dal curatore fallimentare secondo modalità meno rigide di quelle prescritte dal c.p.c. per le vendite coatte.

Ci si è chiesto se nel caso in cui il notaio come libero professionista sia stato incaricato della vendita, sia applicabile la normativa sulla conformità catastale.

Nulla dice la legge fallimentare quanto alla forma che deve rivestire l’atto traslativo finale del procedimento di vendita competitiva a cui la consolidata opinione riconduce gli effetti traslativi veri e propri.

Se si ritiene che esso possa rivestire la forma di decreto di trasferimento del G.D. nulla quaestio rispetto a quanto fin qui detto (non applicabilità della normativa sulla conformità catastale); il caso che si presenta, però, con maggiore frequenza e come maggiormente problematico è quello in cui l’atto traslativo finale e perfezionativo della vendita rivesta la forma, non di decreto di trasferimento, bensì di atto notarile stipulato tra il curatore fallimentare e l’acquirente, individuato a mezzo di procedure competitive.

Secondo una tesi (minoritaria) le procedure competitive di ultima generazione realizzerebbero una nuova forma di vendita fallimentare secondo schemi giuridici privatistici o, comunque, modulabili dall’ufficio esecutivo, sì da sottrarre l’atto finale di vendita alla disciplina propria della vendita forzata (artt. 2919-2929 c.c.) e a ricondurla nell’ambito di una vendita di diritto comune. In questa logica la correttezza del procedimento e gli eventuali vizi di autorizzazione potrebbero rilevare, una volta stipulato l’atto, solo sotto il profilo della legittimazione del curatore alla stipula e potrebbero/dovrebbero essere fatti valere secondo le impugnative negoziali.

Se si aderisse a questa ricostruzione della vendita attuata in sede fallimentare, come vendita realizzata fuori da uno schema processuale giurisdizionale, l’ufficio esecutivo dovrebbe sempre verificare la conformità catastale e procedere ad eventuali regolarizzazioni dei beni, prima di procedere alla loro vendita, e la stipula negoziale finale sarebbe soggetta alla disciplina tipica di un atto negoziale privato (quindi, anche al comma 1-bis dell’art. 29 L. 52 del 1985).

La tesi opposta (assolutamente maggioritaria), invece, che conduce a ritenere inapplicabile la disposizione del comma 1-bis alle vendite fallimentari, anche quando attuate a mezzo di stipula notarile, si basa sulla concezione tradizionale secondo cui la vendita fallimentare è sempre stata e resta ancor oggi una vendita coattiva, attuata in ambito giurisdizionale e funzionale all’attuazione dei diritti dei creditori del fallito, mediante apprensione e liquidazione del di lui patrimonio (Si veda Studio Esecuzioni Immobiliari n. 1-2011/E “Vendita forzata e nuova normativa in materia di conformità dei dati catastali” di Elisabetta Gasbarrini Approvato dal Gruppo di Studio sulle Esecuzioni Immobiliari e Attività Delegate il giorno 11 marzo 2011).

Vendita di bene immobile da parte di liquidatore in sede di concordato preventivo

L’equiparabilità delle vendite attuate attraverso procedure competitive nell’ambito del concordato preventivo a quelle effettuate nel fallimento consente di estendere le predette conclusioni anche al caso di specie (Quesito di Impresa ed Esecuzioni Immobiliari n. 299-2013/I_E “Trasferimento posto in essere dal liquidatore di un concordato preventivo e normativa sulla conformità catastale, urbanistica ed edilizia” di Daniela Boggiali e Ernesto Fabiani).

Usucapione accertata in accordo raggiunto in sede di mediazione:

Si ritiene applicabile la disciplina di cui all’art. 29 co. 1 bis l. 52/1985 anche nell’ipotesi di accordo di mediazione avente ad oggetto il riconoscimento di intervenuta usucapione, in tal caso però con riguardo alla sola cd. conformità catastale oggettiva (Studio n. 718-2013/C “La trascrizione dell’accordo conciliativo accertativo dell’usucapione” di Marco Krogh – Approvato dall’Area Scientifica – Studi Civilistici il 24 ottobre 2013 Approvato dal CNN il 31 gennaio 2014).

La parte che dovrà rendere le relative dichiarazioni non potrà essere l’”intestatario catastale”, né l’usucapito, privo del possesso da oltre il ventennio, ma l’usucapiente, ossia colui che afferma e rivendica la disponibilità ed il possesso del bene a titolo di proprietà o di altro diritto reale.

Non dovranno invece essere applicate per “disallineamento fisiologico” le norme che impongono la verifica dell’allineamento tra banca dati catastale e registri immobiliari (cd. conformità catastale soggettiva): Detta verifica sarebbe destituita di ogni fondamento in quanto il soggetto usucapito non ha più proprietà e possesso del bene e l’accordo di mediazione serve proprio per sancire la perdita della proprietà e del possesso del bene stesso con efficacia retroattiva con decorrenza dall’inizio del possesso da parte dell’usucapiente stesso (si veda in tal senso la circolare del CNN del 28 giugno 2010).

Multiproprietà:

E’ assoggettato alla disciplina in commento qualsiasi atto di trasferimento, costituzione o scioglimento di comunione di diritti in multiproprietà su fabbricati già esistenti (c.d. multiproprietà immobiliare sia nel caso in cui il multiproprietario acquisti una quota di una specifica unità immobiliare temporalmente definita, facente parte di un maggior complesso condominiale, con attribuzione del diritto di goderne e fruirne in un particolare periodo dell’anno e della quota millesimale delle parti comuni dell’edificio, sia nel caso in cui il multiproprietario acquisti una quota indivisa di comproprietà dell’intero complesso condominiale, unitamente ai servizi comuni in proporzione ai millesimi e con il diritto di godere specificamente di una determinata porzione esattamente individuata che del maggior fabbricato è parte per un certo periodo di tempo).

E’ invece esclusa dall’applicazione della disciplina de qua la multiproprietà societaria.

Con riguardo alla multiproprietà alberghiera, avendo questa caratteristiche proprie della multiproprietà societaria e di quella immobiliare, deve ritenersi che solo ove il contratto abbia carattere “reale”, si applichino le norme in esame in materia di conformità catastale (Studio Civilistico n. 426-2011/C “La multiproprietà e la coerenza ipocatastale” di Giuseppe Trapani – Approvato dalla Commissione Studi Civilistici del 14 luglio 2011).

  1. Contenuto della dichiarazione di conformità: posizioni divergenti

La cd. “coerenza oggettiva” richiede precise menzioni in atto (“identificazione catastale” e “riferimento alle planimetrie depositate in catasto”) nonchè dichiarazioni (“dichiarazione resa in atti dagli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie”).

In atto devono essere indicati gli estremi di identificazione catastale (Comune, eventuale sezione, foglio, numero di mappale ed eventuale subalterno).

In mancanza di particolari indicazioni normative, non vi è alcun obbligo di allegazione delle planimetrie catastali all’atto, anche se l’allegazione è quanto mai opportuna quale strumento di chiarezza tra le parti.

Ci si è chiesti se “il riferimento alle planimetrie depositate in catasto” che deve essere inserito nell’atto notarile – così come previsto dall’articolo 29 comma 1 bis della legge 27 febbraio 1985, n. 52 – imponga al notaio di indicare anche gli estremi della planimetria depositata in catasto. Al quesito è stata data risposta negativa (Si veda Quesito Civilistico n. 331-2012/C “Indicazione in atto delle planimetrie depositate in catasto” di Mauro Leo in CNN del 5.02.2013).

Altra Dottrina ritiene che, in mancanza di allegazione, occorra indicare in atto gli estremi di registrazione al Catasto Fabbricati delle planimetrie (G. Rizzi, opera cit). Al riguardo non sono richieste particolari modalità redazionali.

Con riguardo alla “dichiarazione resa in atti dagli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie”, il comma 1-bis non richiede che la dichiarazione debba essere resa con il rispetto di particolari formalismi, nemmeno con la forma della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, né peraltro che debba essere veritiera.

La dichiarazione di “conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie” deve essere resa dai c.d. “intestatari”.

Il riferimento all’“intestatario” che deve rendere la dichiarazione di conformità deve essere letto alla luce della finalità perseguita dalla seconda parte della norma, ossia la realizzazione “prima della stipula” di un allineamento soggettivo, nei limiti appresso precisati, fra il catasto e i registri immobiliari (dai quali deve risultare il proprietario o il titolare dei diritti reali sul bene immobile). Tale lettura consente di ritenere che l’“intestatario” che deve rendere la dichiarazione di conformità sia colui che può disporre del diritto sul bene. A tal fine, però, è necessario intendere gli “intestatari” non solo come i soggetti che formalmente già risultino tali dai registri (catastali ed immobiliari) ma anche come coloro che tali dovrebbero risultare per effetto dell’allineamento soggettivo. Il dato normativo consente di ritenere che l’“intestatario” che deve rendere la dichiarazione di conformità sia il soggetto titolare del diritto di proprietà o del diritto reale limitato.

Il Consiglio Nazionale del Notariato e l’Agenzia del territorio sono pervenuti ad una nozione più estesa di “intestatario”, facendola coincidere con il soggetto “titolare del potere di disposizione sugli immobili oggetto dell’atto”, stante le ipotesi di c.d. “disallineamento fisiologico” tra Catasto e Registri immobiliari.

Non viene richiesto al Notaio un accertamento circa l’effettiva corrispondenza della situazione di fatto alle risultanze catastali bensì un riscontro tra i dati catastali e le planimetrie e la loro menzione in atto. Il Notaio dovrà, con un’attività di “verificazione”, consultare preliminarmente la banca dati catastale, accertarsi che la planimetria si riferisca all’unità immobiliare di cui sono stati indicati in atto i dati di identificazione catastale e che la stessa sia regolarmente depositata in Catasto.

All’intestatario è riconosciuta la facoltà di sostituire la dichiarazione con l’attestazione di un tecnico, da allegare all’atto.

Si è posto il dubbio su come vada inteso l’ultimo inciso, introdotto in sede di conversione del decreto legge, secondo il quale la conformità deve sussistere “sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”.

L’interpretazione preferibile è che la dichiarazione debba essere prestata alla luce della normativa catastale e della prassi amministrativa posta a base dei vari obblighi di denuncia di variazione in catasto (si veda Quesito n. 423-2011/C): trattasi di quelle denunce e variazioni che necessariamente devono essere presentate in catasto dopo che, a seguito di interventi edilizi, vi è stata una modifica dello stato dei luoghi incidente su consistenza, categoria e classe.

Secondo tale impostazione, avallata anche dalle circolari dell’Agenzia del Territorio del 2010, sono “disposizioni vigenti in materia catastale” quelle vigenti al momento in cui è avvenuto l’ultimo aggiornamento in catasto, in assenza di mutamenti che obblighino a presentare ulteriore denuncia, nonostante nel frattempo sia mutata la normativa catastale.

La specificazione “sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale” non è prescritta in funzione della completezza della dichiarazione, quanto invece in relazione al contenuto sostanziale della stessa, con la conseguenza che è stata ritenuta non obbligatoria la sua menzione in atto (si veda Quesito n. 174-2011/c).

Circa il contenuto della dichiarazione sulla conformità catastale si registrano in Dottrina due antitetici orientamenti.

Da una parte l’orientamento più rigoroso, avallato anche dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, che richiamandosi al dato letterale della norma, non ammette dichiarazioni equipollenti o “relatio formali”; dall’altra parte l’orientamento meno restrittivo che sulla base di una diversa lettura della norma ne ammette la possibilità.

Segue un breve excursus delle principali pronunce, nelle quali la Suprema Corte ha statuito in ordine alla inammissibilità di dichiarazioni di conformità “equipollenti”. Secondo la Cassazione, infatti, non è sufficiente una dichiarazione (della parte intestataria dell’immobile) che si limiti a confermare la conformità della planimetria dell’immobile allo stato di fatto dello stesso ma occorre che la dichiarazione abbia ad oggetto anche la conformità allo stato di fatto dei dati catastali relativi alla identificazione ed alla capacità reddituale del bene.

La dichiarazione richiesta dall’Art. 19 14° comma del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 […] riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali; l’omissione determina la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi dell’Art. 28 1° comma legge 16 febbraio 1913 n. 89” (Cassazione civile n. 8611 del 11 aprile 2014).

In ipotesi di omissione della dichiarazione richiesta dall’art. 29 comma 1-bis della legge n. 52/1985 di conformità allo stato di fatto dei dati catastali relativi all’identificazione ed alla capacità reddituale del bene, va affermata la responsabilità del notaio ex art. 28, 1° comma, legge n. 89/1913, per aver redatto un atto espressamente proibito dalla legge senza che a tal fine possa rilevare la sola dichiarazione di conformità della planimetria dell’immobile, a sua volta recante i dati catastali identificativi” (Cassazione civile n. 11507 del 3 giugno 2016).

La dichiarazione di conformità dell’immobile ai dati catastali non può essere surrogata dalla mera dichiarazione di conformità delle planimetrie corredanti gli atti. Pertanto, il notaio che redige l’atto senza inserire la dichiarazione di conformità catastale incorre in una nullità ai sensi dell’art. 28 della legge not.” (Cassazione civile n. 20465 del 11 ottobre 2016).

Si riportano anche le massime di due pronunce della giurisprudenza di merito, una del Tribunale di Udine del 29 gennaio 2015 ove si afferma che “Il generico riferimento alle planimetrie depositate presso gli uffici dell’Agenzia del Territorio, senza alcuna indicazione delle relative formalità che ne consentano l’individuazione, viola il dettato dell’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985 n. 52 […], dove si prescrive, a pena di nullità, il riferimento alla documentazione depositata in catasto; di conseguenza, attraverso il mero rinvio di stile ad un atto non identificato nei suoi estremi, la cui menzione è volta a consentire il controllo dell’allineamento dei dati catastali con lo stato di fatto delle realtà immobiliari (conformità oggettiva), le parti non possono dichiarare la conformità allo stato di fatto delle planimetrie che non sono specificamente individuate” e una del Tribunale di Trieste del 19 gennaio 2012 ove si afferma che “Le categorie di immobili in relazione alle quali sussiste l’obbligo della dichiarazione di conformità ex art. 19 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 vanno individuate nei fabbricati comprensivi delle aree su cui insista la costruzione ultimati e soggetti ad accatastamento con attribuzione di rendita”.

Anche la prevalente Dottrina ritiene che il tenore letterale della norma sia insuperabile affermando che la dichiarazione resa dalle parti debba essere duplice avendo ad oggetto sia la planimetria che i dati catastali, discutendo, poi, circa l’effettiva identificazione di questi ultimi (In tal senso: V. BARLESE, Note sulla coerenza oggettiva e soggettiva ex d.l. 78/2010 e l. 122/2010, in Riv. not., 2012, p. 218; A. BUSANI e U. MORELLO, Passaggio in catasto per i nuovi requisiti di forma ad substantiam degli atti immobiliari (commento al d.l. 31 maggio 2010 n. 78, coordinato con la l. di conversione 30 luglio 2010 n. 122), in Contratti, 2010, p. 916; G. PETRELLI, Conformità catastale e pubblicità immobiliare – L’art. 29, 1º comma bis, l. 27 febbraio 1985 n. 52, Milano, 2010, p. 50.).

Di diverso avviso è l’opinione di altra Autorevole Dottrina che ha considerato il termine di riferimento della conformità allo stato di fatto “dei dati catastali e delle planimetrie” come una “endiadi” nel senso che il legislatore non avrebbe voluto alludere a due concetti distinti ma ad un unico concetto espresso con due termini coordinati. (in tal senso, cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 846-2014/, Stato dell’arte in tema di coerenza catastale oggettiva, approvato dall’Area scientifica studi civilistici, 19 febbraio 2015 e dal CNN 1-2 ottobre 2015, est. Giovanna Coscia, in Cnn Notizie del 27.10.2015).

Secondo la predetta opinione, sarebbe irragionevole chiedere che il contribuente-disponente debba attestare la conformità allo stato di fatto di dati catastali, che esulano dalla propria sfera di conoscenza e di potere, che egli non può decidere ma eventualmente solo proporre ma che sono rimessi in via esclusiva alla pubblica amministrazione, l’unica ad avere il potere di accertamento e classamento catastale (si veda decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701): infatti, il contribuente-disponente dovrebbe attestare, a pena di nullità, la conformità allo stato di fatto di dati catastali che subito dopo la dichiarazione, l’Amministrazione potrebbe modificare.

Tenuto conto che i dati catastali rilevanti a fini fiscali costituiscono l’esito della denuncia catastale e la planimetria la premessa ovvero la documentazione grafica e descrittiva dell’immobile negoziato che, in quanto corrispondente allo stato di fatto, ha giustificato quell’esito, la dichiarazione di conformità che pretende il legislatore è la dichiarazione che attesti la corrispondenza della “planimetria depositata per la denuncia dei dati catastali” con lo stato reale dell’immobile. Non è un caso del resto che in nessuna delle due circolari emanate a ridosso delle novità recate dal d.l. 78/2010 e dalla relativa legge di conversione n. 122/2010 dall’allora Agenzia del Territorio (sicuramente addentro alla materia) si accenni minimamente alla dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali” (Studio n. 846-2014/, Stato dell’arte in tema di coerenza catastale oggettiva, approvato dall’Area scientifica studi civilistici, 19 febbraio 2015 e dal CNN 1-2 ottobre 2015, est. Giovanna Coscia).

L’agenzia delle Entrate, a seguito di espressa richiesta del Consiglio Nazionale del Notariato circa l’interpretazione del comma 1-bis all’art. 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, ha espresso parere (Parere Prot. n. 2016/50397 del 6 aprile 2016), in ordine al contenuto della predetta dichiarazione, fornendo un’interpretazione sostanziale della norma che trova fondamento nella considerazione che dalla planimetria catastale possono desumersi quegli elementi che consentono di far ritenere rispettata la dichiarazione circa la c.d. “conformità oggettiva” (“relatio  per tabulas”), con la conseguenza che una dichiarazione resa in atto che faccia riferimento alla sola planimetria catastale sarebbe sufficiente a non fare ritenere l’atto viziato da nullità.

L’Agenzia ha tuttavia, concluso, auspicando che, comunque, “al fine di evitare incertezze interpretative suscettibili di eventuali contenziosi, […] venga posta la massima attenzione affinché, negli atti, la dichiarazione resa dalle parti riporti testualmente il dettato normativo, anche in considerazione della generica locuzione «dati catastali» che […] potrebbe ricomprendere anche ulteriori elementi”.

  1. Nullità

L’art. 29, comma 1-bis della legge 27 febbraio 1985, n. 52, sanziona con la nullità gli atti individuati dalla norma stessa che non contengano l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione di conformità oggettiva.

Secondo la Dottrina prevalente si tratterebbe di nullità c.d. formale, assoluta, imprescrittibile e, prima del 24 giugno 2017, anche insanabile, che si verifica per il sol fatto dell’assenza in atto degli elementi prescritti dalla legge (in tal senso sono anche le principali pronunce Co.Re.Di.), che non inciderebbe sulla validità della trascrizione dell’atto.

La giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile n. 8611 del 11 aprile 2014; Cassazione civile n. 11507 del 3 giugno 2016; Cassazione civile n. 20465 del 11 ottobre 2016) e di merito (Tribunale di Udine del 29 gennaio 2015; Tribunale di Trieste del 19 gennaio 2012) ha confermato, per il caso di ricevimento o autenticazione di un atto nullo per violazione dell’Art. 29 comma 1-bis della Legge n. 52/1985, la responsabilità del notaio a norma dell’art. 28 n. 1 della legge not.

Secondo altra Autorevole Dottrina (Petrelli “Conformità catastale e pubblicità immobiliare”, Milano, 2010, p. 56 e seg.), si tratterebbe invece di nullità “documentale”, che priverebbe il documento del requisito dell’autenticità, con la conseguenza che la scrittura privata passerebbe da “autenticata” a “non autenticata”, con conseguenze solo in termini di validità della trascrizione dell’atto. Sulla scorta di tale premessa l’Autore argomenta per escludere l’applicabilità al notaio della sanzione disciplinare dell’Art. 28 n. 1 della legge not. in quanto una “trascrizione invalida” non potrebbe mai costituire nullità rilevante ai sensi della predetta norma.

 

  1. Uno sguardo alle principali pronunce CO.RE.DI.

Tutte le pronunce delle Commissioni Regionali di Disciplina hanno concordemente affermato, sia in relazione al chiaro tenore lessicale della norma, sia in relazione alla sua “ratio legis”, il principio secondo cui gli atti in cui manca la dichiarazione di conformità sono affetti da nullità formale, assoluta e non suscettibile di conferma, stante, asseriscono le Commissioni, il chiaro ed inequivoco tenore letterale della norma, con conseguente punibilità del notaio ai sensi dell’art. 28 della legge notarile (si vedano in tal senso le seguenti decisioni tutte consultabili sulla Banca Dati di Deontologia del CNN: Co.Re.Di. Lazio Zona VII 2 ottobre 2012; Co.Re.Di. Sicilia – Zona XV 14 giugno 2013; Co.Re.Di. Sicilia – Zona XV 30 ottobre 2013; Co.Re.Di. Calabria – Zona XVI 25 maggio 2012; Co.Re.Di. Puglia Zona XII 15 novembre 2013; Co.Re.Di. Marche e Umbria Zona IX 18 settembre 2014; Co.Re.Di. Lazio – Zona VII 15 ottobre 2013; Co.Re.Di. Marche e Umbria Zona IX 19 marzo 2014; Co.Re.Di. Campania e Basilicata 16 settembre 2013; Co.Re.Di. Lazio 30 maggio 2013; Co.Re.Di. Lazio – Zona VII 22 ottobre 2013; Co.Re.Di. Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige 21 febbraio 2014).

In particolare nella pronuncia della Co.Re.Di. del Lazio del 23 ottobre 2012 e del 17 dicembre 2013, nonché nella pronuncia della Co.Re.Di. della Toscana – Zona VI del 10 aprile 2014 è stato affermato che l’atto è nullo anche quando la dichiarazione di conformità sia parziale (riferita solo alla planimetria catastale e non anche ai dati catastali).

Al riguardo, occorre segnalare, di segno opposto, la pronuncia Co.Re.Di. Lombardia n. 176 del 3 marzo 2016 ove la Commissione, “in ragione di elementi presenti negli atti del notaio”, ha irrogato allo stesso notaio una sanzione disciplinare pecuniaria, non ravvisando ipotesi di nullità degli atti e, dunque, non ritenendo applicabile l’art. 28 comma 1 della Legge not. Secondo la Commissione “la non corrispondenza alla fattispecie astratta, può dar luogo per altri versi a responsabilità disciplinare quando si tratti di fatti non occasionali”. “Essendo la formulazione contestata contenuta in un numero rilevante di atti ed essendo lo stesso comportamento stato ripetuto anche dopo la pronuncia della Cassazione del 2014 in materia”, la Commissione ha ritenuto violati “i principi di cui all’art.1 comma secondo del Codice Disciplinare (“Il notaio deve svolgere con correttezza e competenza la funzione di interpretazione e di applicazione della legge in ogni manifestazione della propria attività professionale, ricercando le forme giuridiche adeguate agli interessi pubblici e privati affidati al suo ministero”) e di cui all’art. 50 lettera c del Codice Disciplinare” (“50. – Per soddisfare le esigenze di chiarezza e di completezza il notaio deve curare che dal testo dell’atto, normalmente risultino: … c) gli elementi utili per individuare con esattezza i beni e i diritti in oggetto, in modo da offrirne la chiara e non equivoca percezione, anche con allegazione che si richiede più frequente – di documenti grafici”)

Interessante è poi ricordare una pronuncia della Co.Re.Di. Lazio – Zona VII 17-12-2013 ove il Notaio era stato sanzionato, in quanto, l’aver apposto in numerosi atti postille finali redatte prima della chiusa, aventi tutte identità di contenuto ossia le dichiarazioni di nullità – avrebbe determinato la presunzione dell’inserimento della postilla dopo il perfezionamento dell’atto e come tale considerata non apposta.

  1. Confermabilità degli atti nulli

Per quanto attiene al profilo patologico, prima del 24 giugno 2017 (data di entrata in vigore della Legge 96/2017) non era prevista nell’ambito della disciplina di cui all’art. 29, comma 1-bis, L. 52/1985 una norma che in caso di mancanza in atto delle dichiarazioni ivi previste, consentisse di “sanare” la nullità.

Di conseguenza, l’unica via per recuperare il negozio era la sua ripetizione o rinnovazione. (Si veda Quesito n. 862-2013/C).

La legge 21 giugno 2017, n. 96 (in GU. del 23 giugno 2017 n. 144, S.O. n. 31) ha convertito, con modifiche, il Decreto legge 24 aprile 2017, n. 50. Tra le disposizioni da questo introdotte, di grande rilevanza per l’attività notarile, vi è l’integrazione dell’art. 29 della legge 27 febbraio 1985 con il comma 1 ter, che così recita: “Se la mancanza del riferimento alle planimetrie depositate in catasto o della dichiarazione, resa dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, ovvero dell’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato non siano dipese dall’inesistenza delle planimetrie o dalla loro difformità dallo stato di fatto, l’atto può essere confermato anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga gli elementi omessi. L’atto di conferma costituisce atto direttamente conseguente a quello cui si riferisce, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”.

E’ stata prevista, pertanto, la possibilità di confermare gli atti pubblici e le scritture private autenticate carenti del riferimento alle planimetrie depositate in catasto, della dichiarazione sulla conformità catastale, nonché, dell’attestazione di conformità resa dal tecnico abilitato, il tutto a condizione che tali “mancanze” non siano dipese dall’inesistenza delle planimetrie o dalla loro difformità dallo stato di fatto.

Fondamento: La norma si preoccupa di ovviare ad errore o dimenticanza in sede di stipula dell’atto, avendo come obiettivo la corretta circolazione del bene.

La norma de qua ricorda sotto molteplici aspetti, salvo alcune differenze, di cui si dirà oltre, la disciplina sulla conferma degli atti nulli per difetto delle dichiarazioni urbanistiche di cui all’Art. 40 3° comma della Legge n. 47/1985 e agli artt. 30 comma 4-bis e 46 4° comma del D.P.R. n. 380/2001, atti per i quali la conferma è possibile a condizione che i provvedimenti urbanistici formalmente omessi, esistano sotto il profilo sostanziale alla data dell’atto.

Nella fattispecie di cui al nuovo comma 1–ter dell’art. 29 della Legge n. 52/1985, condicio sine qua non, perché l’atto nullo possa essere confermato è che, prima dell’atto da confermare, la planimetria dell’immobile risulti regolarmente depositata in catasto; che alla data di stipula dell’atto, l’immobile sia conforme alle risultanze della planimetria depositata e dei dati catastali.

Natura ed effetti: occorre avvertire che non si tratta di una reiterazione dell’atto, né di una fattispecie a formazione complessa, nella quale, se manca un elemento, gli effetti non si verificano; ma si tratta di recuperare l’atto, sostanzialmente cancellando la nullità precedente e facendolo rivivere. Il che conduce alla conclusione che gli effetti costitutivi o traslativi di diritti reali, una volta intervenuta la sanatoria, decorrono “ex tunc” e non “ex nunc”. L’atto nullo, insomma, sarà improduttivo di effetti immediatamente, a causa della nullità, ma gli effetti decorreranno dalla data della sua stipulazione una volta intervenuto l’atto di sanatoria.

Quanto alla forma dell’atto di conferma e al soggetto legittimato ad intervenire allo stesso, si precisa che l’atto di conferma dovrà rivestire la stessa forma dell’atto da confermare e quest’ultimo potrà essere confermato anche da una sola (e qualsiasi) delle parti (conferma unilaterale), così come previsto anche per la conferma c.d. “urbanistica”. Si segnala, al riguardo, che, diversamente da quanto statuito dall’Art. 30 comma 4 bis del D.P.R. n. 380/2001, il nuovo comma 1-ter dell’art. 29 della Legge n. 52/1985 non ha testualmente previsto la possibilità della conferma anche ad opere degli “aventi causa” di una delle parti.

Nulla quaestio” per chi succede “mortis causa”, il quale risulta legittimato ad intervenire all’atto di conferma, in quanto successore universale della parte.

Pubblicità nei Registri Immobiliari: l’atto di conferma è soggetto a trascrizione ex Art. 2644 c.c. e non ad annotamento, non trattandosi di un atto di convalida di negozio annullabile.

Aspetti fiscali: Occorre preliminarmente distinguere tra atti di conferma con o senza corrispettivo ex Art. 30 T.U.R.

L’atto di conferma, qualora sia senza corrispettivo, rientrando tra gli atti non aventi contenuto patrimoniale, è soggetto a registrazione in termine fisso ed ad imposta di registro in misura fissa (Art. 11 Tariffa Parte prima T.U.R.). Poiché l’Art. 29 della legge 27 febbraio 1985 comma 1-ter dispone che “L’atto di conferma costituisce atto direttamente conseguente a quello cui si riferisce, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”, occorre distinguere, quanto ad imposta ipotecaria, imposta di bollo e a tassa ipotecaria, tra atti nulli, stipulati fino al 31 dicembre 2013 e atti per i quali non si applica la disciplina di cui all’Art. 10 commi 1 e 2 del D.lgs n. 23/2011, per i quali è dovuta un’imposta ipotecaria nella misura fissa di Euro 200,00, un’imposta di bollo di Euro 155,00 ed una tassa ipotecaria di Euro 35,00; ed atti nulli, stipulati dopo il 1 gennaio 2014, per i quali (in quanto atti direttamente conseguenti all’atto confermato) è dovuta la sola imposta ipotecaria nella misura fissa di Euro 50,00, essendo gli atti stessi esenti da bollo, tassa ipotecarie e tributi speciali.

La conferma non dà luogo a voltura catastale e non è dovuto il relativo tributo.

Invece l’atto di conferma con corrispettivo è soggetto a diverso regime tributario, a seconda che il corrispettivo sia posto a carico dell’alienante o dell’acquirente, e a seconda che sia versato contestualmente o soltanto promesso (Art. 30 2° comma T.U.R.).

Quanto alla responsabilità disciplinare del notaio, la conferma dell’atto nullo ai sensi dell’Art. 29 comma 1-ter della citata Legge esclude la sua punibilità ex Art. 28 della Legge not.

Diversamente da quanto previsto dall’Art. 30 comma 5 del D.P.R. n. 380/2001 (“Possono essere confermati, ai sensi delle disposizioni introdotte dal comma 4, anche gli atti redatti prima della data di entrata in vigore della presente legge [16 dicembre 2005], purchè la nullità non sia stata accertata con sentenza divenuta definitiva prima di tale data”), il Legislatore non ha dato per la conferma in oggetto precise indicazioni temporali in ordine all’applicabilità della normativa in tema di conferma.

 

  1. Falsità della dichiarazione di conformità: responsabilità anche penale?

In caso di dichiarazione mendace si ritiene che la stessa non possa determinare la nullità dell’atto non potendosi equiparare la dichiarazione non veritiera alla mancanza di dichiarazione.

La nullità prevista dall’art. 29, comma 1-bis, ha, secondo la dottrina, natura puramente documentale e non sostanziale. Una eventuale erroneità o falsità della dichiarazione del disponente non assume rilievo sotto il profilo della validità dell’atto.

Diverso è il problema relativo alle conseguenze (diverse dalla nullità) dell’eventuale dichiarazione erronea o falsa.

Oltre ai profili di responsabilità civile verso il compratore, laddove ne ricorrano i presupposti, una dichiarazione non veritiera potrebbe assumere rilevanza penale?

Al riguardo si registrano posizioni opposte nella giurisprudenza di legittimità, con riferimento al reato di cui all’art. 483 c.p.

Secondo alcune pronunce non vi sarebbe reato, non essendo la dichiarazione resa sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio e non facendo di regola l’atto pubblico prova della veridicità delle dichiarazioni delle parti (In tal senso Cassazione S.U., 15 dicembre 1999, n. 28, in Foro it, 2000, II, 463, secondo cui “Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico è configurabile nel solo caso in cui una specifica disposizione di legge – non importa se penale, civile, amministrativa o processuale – attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto stesso al dovere del dichiarante di affermare il vero”.

Secondo altre pronunce vi sarebbe un obbligo del privato di dire la verità, in relazione all’interesse pubblico sotteso alle norme in questione, la cui violazione integrerebbe il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico (In tal senso Cassazione 3 giugno 2008, n. 35999, in Rep. Foro it., 2009, Falsità in atti, n. 60, secondo cui “Integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico la condotta del privato, parte di un contratto di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità dell’immobile alle caratteristiche previste dalla concessione ed ivi autorizzate, in quanto, in tal caso, sussiste a carico del privato l’obbligo giuridico di dire la verità in ordine alla condizione giuridica dell’immobile oggetto d’alienazione e alla corrispondenza dello stesso agli estremi della concessione, trattandosi d’obbligo preordinato alla tutela d’interessi pubblici, connessi all’ordinata trasformazione del territorio, prevalenti rispetto agli interessi della proprietà, mentre nessun obbligo di verificare la corrispondenza di tali dichiarazioni al vero incombe sul notaio rogante, tenuto solo a recepire le dichiarazioni del privato in ordine all’esistenza e agli estremi della concessione”).

 

  1. Conformità catastale soggettiva: nozione di intestatario e ruolo del Notaio

La normativa de qua richiede al notaio, prima della stipula, di individuare relativamente agli “atti interessati”, gli intestatari catastali e di verificare la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

Il Notaio deve, senza possibilità di deroghe e/o dispense, fare le visure ipo-catastali per accertare l’intestazione dei fabbricati.

Il mancato rispetto da parte del Notaio delle predette attività di accertamento e di verifica esporrà lo stesso a responsabilità disciplinare, benchè non si abbia nullità dell’atto.

Quid iuris in caso di mancanza di conformità tra intestazione catastale e risultanze dei registri immobiliari?

Qualora la non corrispondenza dipenda da un “disallineamento catastale” (ad es. omessa voltura/mancata registrazione da parte dell’Ufficio di un precedente atto) o da un “disallineamento ipotecario” (ad es. mancata trascrizione di un’accettazione tacita di eredità in presenza di un titolo dispositivo già trascritto) che può essere sistemato, prima della stipula dell’atto, occorrerà procedere in tal senso, al c.d. pre-allineamento catastale/ipotecario, ristabilendo corrispondenza tra intestatari catastali e soggetti titolari del potere dispositivo sugli immobili oggetto dell’atto (mediante presentazione della voltura o di istanza al Catasto nel primo caso, e trascrizione dell’accettazione tacita di eredità sulla base di titolo già trascritto nel secondo caso).

Se, invece, alla “non corrispondenza” non può ovviarsi prima della stipula dell’atto richiesto, si ritiene comunque possibile procedere alla stipula dell’atto, se per effetto del medesimo atto, si raggiunga a posteriori la corrispondenza tra intestazione catastale e intestazione ipotecaria.

Si ricorda che la norma richiede che l’attività di “accertamento e verifica di conformità” venga effettuata dal Notaio “prima della stipula dei predetti atti” ma non anche che tale conformità sussista prima della stipula dell’atto. Ciò che conta è il risultato finale. In tal caso, la conformità soggettiva verrà conseguita ex post, utilizzando appunto l’atto stesso.

Sono state individuate in Dottrina (si veda in particolare G. Rizzi, opera cit, pag. 38), ipotesi di “disallineamento c.d. fisiologico”, ossia fattispecie relativamente alle quali il mancato aggiornamento delle banche dati sarebbe da ricercare “in re ipsa”, derivando da ragioni di carattere sistematico.

In particolare, è stato ritenuto possibile, per il notaio:

stipulare i c.d. “atti a cascata” (ad esempio la permuta che segua all’atto di divisione con il quale il bene venduto è stato appena assegnato al permutante. Anche in questo caso il permutante non risulta come unico titolare del diritto di cui dispone dai registri immobiliari al momento della vendita; ma tale corrispondenza è garantita dall’attività del notaio che procederà nei termini di legge a trascrivere e volturare a nome dei condividenti/permutante il precedente atto di divisione da lui ricevuto contestualmente alla permuta);

stipulare gli atti con provenienza un trasferimento mortis causa non ancora trascritto ai Registri immobiliari (se lo stipulando atto costituisca il primo titolo idoneo per la trascrizione dell’accettazione tacita; in questo caso la corrispondenza è garantita dall’attività del notaio che procederà nei termini di legge a trascrivere l’accettazione tacita di eredità).

stipulare gli atti di vendita di bene che il venditore abbia acquistato per usucapione non accertata giudizialmente (acquisto a titolo originario per il quale è irrilevante la pubblicità immobiliare e che prescinde dalla precedente titolarità) (si veda al riguardo “Usucapione ventennale: questioni vetera et nova di interesse notarile” di Antonio Musto – a cura dell’Ufficio Studi Settore Civilistico in Focus 2/2016 e Quesito CNN n. 370-2013/C.);

stipulare gli atti di vendita di bene altrui (art. 1478 c.c.), per chi ritiene applicabile la disciplina in commento anche alla vendita di bene altrui, benchè trattasi di contratti ad effetti obbligatori e non traslativi; in tal caso, il venditore non corrisponde né all’intestatario catastale né all’intestatario effettivo.

A volte i registri immobiliari non sono sufficienti per individuare l’intestatario del diritto reale (si veda “La conformità catastale: considerazioni su alcuni aspetti della normativa incidenti sulle tecniche redazionali” a cura di Luca Iberati, in Notariato, 2012, 2, p. 149), occorrendo incrociare le risultanze di questi con quelle di altri registri.

Si pensi ai registri dello stato civile qualora si debba risalire al coniuge non stipulante, in caso di acquisto di immobile in comunione legale dei beni con intervento in atto da parte di uno solo dei coniugi (coniuge stipulante).

Al fine di accertare la morte dell’usufruttuario e la conseguente estinzione del diritto, occorre consultare i registri degli atti di morte.

Così anche per talune vicende societarie, quali la modifica della denominazione o della ragione sociale, la trasformazione, la fusione e la scissione, occorre incrociare i dati ipotecari con le risultanze del Registro delle Imprese.

La legge non prevede menzioni in ordine agli accertamenti ipotecari e catastali eseguiti dal notaio; ciò nonostante si ritiene opportuno che il notaio, in maniera più o meno sintetica, indichi nell’atto che gli accertamenti sono stati eseguiti, magari con indicazione del periodo di riferimento, e quali ne sono stati gli esiti.

 

  1. Dispensa del Notaio dall’obbligo delle visure: è ancora possibile?

Dopo l’introduzione della normativa sulla conformità catastale ci si è chiesti se sia ancora possibile che le parti dispensino il Notaio dalle visure ipotecarie.

Ricordiamo che il Notaio nell’ambito del rapporto contrattuale con il cliente ha l’obbligo di effettuare le visure ipotecarie e che la dispensa costituisce un fatto eccezionale (ad es. urgenza), di cui il Notaio deve espressamente rendere edotte le parti, evidenziando, in particolare, le conseguenze della mancata effettuazione delle ispezioni ipotecarie.

Da autorevole Dottrina (G. RIZZI, op. cit.) si ritiene che dopo il 1 luglio 2010, non sia più possibile per il Notaio, relativamente agli atti ai quali è applicabile la normativa sulla conformità catastale, essere dispensato dalle parti contrattuali dalle c.d. attività di verifica ed accertamento (visure ipo-catastali), stante la natura pubblicistica della normativa sulla conformità catastale, come in precedenza evidenziato.

Una volta ritenuto l’obbligo delle visure funzionale non solo al soddisfacimento di un interesse di parte, come tale disponibile, ma ad un interesse pubblico, ne viene meno la disponibilità da parte delle parti con conseguente impossibilità di consentire ogni qualsivoglia dispensa.

Il notaio, quindi, sarebbe ora sempre tenuto non solo a verificare l’attuale conformità tra intestatario catastale e intestatario per i Registri immobiliari, ma anche alle visure ventennali e alla verifica della continuità delle trascrizioni.

Secondo altra Autorevole Dottrina (G. PETRELLI, op. cit., p. 81) l’atto ricevuto senza aver eseguito le visure non sarebbe un atto vietato per il quale opera il divieto di cui all’art. 28 L.N. ed il notaio non potrebbe rifiutare di riceverlo ai sensi dell’art. 27 L.N.

L’Autore ritiene, pertanto, che resti comunque possibile ricevere atti in casi di “eccezionale e dichiarata urgenza”, applicando analogicamente l’art. 2, comma 4, del D.M. 19 aprile 1994, n. 701 che impone al notaio di fare menzione, nell’atto che dà origine a variazione di diritti censiti in catasto, dei titoli che hanno dato luogo ai trasferimenti intermedi o delle discordanze, norma che nel nostro caso farebbe venir meno ex lege l’obbligo del notaio (Si veda “La conformità catastale: casi pratici e spunti di politica del Notariato” di Giuseppe di Transo in “I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato”).

Secondo un’altra Opinione (“L’obbligo delle visure ipotecarie e catastali alla luce del D.l. n. 78/2010” di N.A. CIMMINO, in Notariato, 2011, 1, p. 13 e ss.) la dispensa resterebbe consentita soltanto relativamente alle indagini sulle formalità pregiudizievoli, che la nuova disciplina non prende in considerazione, mentre sarebbe non dispensabile l’accertamento finalizzato all’individuazione degli intestatari catastali e alla verifica della loro conformità con le risultanze dei Registri immobiliari.

 

 

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“Conformità catastale” dopo il D.L. 50/2017 ultima modifica: 2017-11-30T07:55:46+01:00 da Daniela Riva
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