Con il varo del ddl “concorrenza” del 20 febbraio il Governo italiano manifesta ancora una volta la volontà di mettere in discussione le caratteristiche basilari del sistema delle libere professioni nel nostro Paese.
L’attacco, questa volta, si indirizza in modo preminente verso i notai (che vedrebbero ridurre drasticamente il loro ambito di attività in ambito immobiliare e societario), gli avvocati (con il paventato ingresso dei soci di capitale nelle loro società professionali) e i farmacisti (i quali, malgrado qualche opinione tanto festante quanto frettolosa, rischiano di essere inseriti all’interno delle catene commerciali della grande distribuzione).
Contrariamente a quanto è avvenuto in passato, non si tratta di più del tentativo di soddisfare le mire espansionistiche di una categoria a discapito di un’altra.
Tutti i ceti professionali devono considerarsi il bersaglio di un progetto che risponde ad una logica – di derivazione anglosassone – in base alla quale la redistribuzione delle funzioni, delle qualificazioni e delle competenze è strumentale ad un unico scopo: consentire a grandi gruppi del mondo finanziario e assicurativo, nonché della grande distribuzione, di includere l’offerta dei servizi professionali nell’ambito della più ampia offerta di servizi e prodotti che già oggi sono in grado di esprimere sul mercato.
Non per caso, si tratta di una tendenza che si registra contemporaneamente in più Paesi europei: si tratta di fronteggiare un vero e proprio attacco al diritto e alla tradizione continentali.
Per riuscirci, occorre domandarsi chi tragga vantaggio da questo attacco.
Certamente non il cittadino (neanche ove lo si consideri nella sola sua dimensione di consumatore): a fronte di una sicura perdita di certezza e di qualità dei servizi, è molto probabile che chi fruisce dei servizi professionali non ottenga in prospettiva alcun risparmio, e che – al contrario – ai costi iniziali più elevati si accompagnino ulteriori costi elevatissimi, necessari per rimediare ad errori e manchevolezze.
Certamente non gli Stati: affidare ai professionisti talune funzioni pubbliche e (allargando lo sguardo oltre l’ambito notarile) l’esercizio di attività a sostegno della Pubblica Amministrazione ha rappresentato fino ad oggi un’esplicazione molto conveniente del principio di sussidiarietà, basata sulla perizia e la professionalità di chi quelle attività svolge continuativamente.
Affidare le stesse attività al singolo cittadino o imprenditore, o a figure professionali prive di specializzazione o dotate di competenze diverse da quelle che servirebbero, significa esporre lo Stato al rischio di gravi irregolarità, di mancata percezione del gettito, di una esplosione del contenzioso.
Infine, non ne sono certamente avvantaggiati i professionisti (in particolare quelli più giovani): le presunte “liberalizzazioni” – anziché facilitare la concorrenza all’interno delle categorie professionali – determinano al contrario una distorsione della concorrenza, come avviene ogni volta che vengano messi in competizione tra loro soggetti chiamati ad operare in base a regole (di selezione, di controllo e di responsabilità) completamente diverse. I professionisti giovani, in particolare, rischiano di dover considerare la loro inclusione in strutture finanziate da terzi, e quindi etero-dirette quale unico sbocco professionale possibile.
Il vero obiettivo è quindi quello di mascherare come misure liberalizzatrici iniziative che aggrediscono il sistema di regole e di diritti che ha dimostrato di funzionare, bene e con costi molto contenuti, a beneficio di tutti gli utenti.
Per realizzare l’obiettivo, è necessario privare i professionisti della loro indipendenza e della loro libertà, abbattendone la qualità attraverso la svalutazione assoluta dei titoli e delle specializzazioni.
I professionisti, e i notai in particolare, possono difendersi prima (e invece) di diventare professionisti “non liberi”?
Per prima cosa, non bisogna perdere di vista una realtà evidente: i decisori politici sono altri, e in questa fase storica sono schierati dalla parte degli avversari.
Per convincerli a cambiare campo occorre incidere sull’unico metro di valutazione che interessa loro: il consenso.
L’operazione è difficilissima, perché l’avversario ha tre vantaggi notevolissimi: può destinare a questa “guerra di conquista” risorse finanziarie vastissime; dispone di reti che coprono l’intero territorio, già perfettamente funzionanti e integrate, che deve solo utilizzare per nuove offerte di servizio; ha un rapporto con il pubblico degli utenti continuativo e caratterizzato da una notevole varietà delle prestazioni.
Più soldi, più struttura, più clienti.
In più, oggi il “consenso” di cui i decisori politici hanno bisogno non si manifesta tanto nell’orientamento elettorale del pubblico, quanto nell’orientamento delle scelte di investimento e di consumo del pubblico.
Non illudendoci di competere sul piano delle disponibilità finanziarie, la guerra deve essere combattuta sugli altri due fronti: occorre che tutti i notai si considerino quali terminali di una unica rete e si comportino come tali; occorre dimostrare al pubblico che investire in prestazioni notarili e “consumarle”, ove non sia necessario, sia decisamente conveniente.
In questi giorni la categoria discute molto al suo interno della necessità di una autoriforma da elaborare e da proporre al decisore politico in luogo della temuta pseudo-liberalizzazione. Federnotai persegue da anni l’obiettivo di una riforma del Notariato che ne determini l’adeguamento alle esigenze di questa epoca senza snaturarne i caratteri essenziali, quindi non posso che concordare con chi sosterrà un tale rinnovamento.
Osservo però come la guerra in atto imponga di ricondurre anche la sfida per l’autoriforma del Notariato (più di ogni altra) alla strategia unitaria nella quale il Consiglio Nazionale del Notariato ha deciso – per la prima volta nella storia della nostra categoria – di coinvolgere la categoria tutta e le associazioni che essa esprime.
Un tema così importante non potrà che originare il confronto tra opinioni e impostazioni diverse che devono essere coordinate e guidate verso una sintesi.
Se il dibattito diventasse scontro e motivo di divisione, aggiungerebbe alla vulnerabilità esterna della categoria una fragilità interna da cui solo i nostri avversari trarrebbero beneficio.

AUTORE

Notaio nel distretto di Milano, Busto Arsizio, Lodi, Monza e Varese. Già presidente di Federnotai.