Chiarimenti in tema di tassazione degli atti di cessione d’azienda

  1. La fattispecie

È dell’8 gennaio scorso la nota di chiarimento emanata dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Lombardia – Settore Servizi e consulenza, Ufficio Gestione Tributi, avente ad oggetto “Chiarimenti in tema di tassazione degli atti di cessione d’azienda”. La problematica, già dibattuta nell’ambito del Tavolo regionale intorno al quale si riuniscono periodicamente i rappresentanti della Direzione regionale e quelli dei Consigli notarili lombardi, è quella della corretta determinazione della base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro dovuta in caso di cessione di azienda comprensiva di debiti inerenti all’attività della stessa.

In particolare, la nota interviene sul tema della determinazione della base imponibile della cessione d’azienda con passività nel T.U. dell’imposta di registro, sulla scorta della regola, ivi prevista, della valorizzazione al netto delle passività aziendali. Con segnato riguardo alla stesura dell’atto notarile, il riferimento è all’utilizzo di espressioni “fuorvianti” che possono, cioè, indurre un’errata interpretazione dell’atto da parte dell’ufficio. In effetti, la cessione d’azienda presenta dal punto di vista redazionale una varietà di clausole che, soprattutto con riferimento alla sorte dei debiti aziendali, sembra dover essere valutata ai fini fiscali nell’ambito del criterio di valorizzazione “al netto” chiaramente risultante dalla disciplina dell’imposta di registro ed in particolare dall’art. 51, comma 4, D.P.R. 131/1986.

Come appena accennato, la nota in esame fa riferimento al caso di “cessione di azienda comprensiva di debiti inerenti all’attività della stessa”. In realtà, la compendiosa espressione utilizzata assomma in sé due distinte questioni:

(i) la questione relativa al trattamento riservato dal legislatore del registro alla cessione di azienda comprensiva di passività;

(ii) la questione relativa alla inerenza delle passività all’azienda ceduta quale requisito per lo scomputo delle stesse dalla base imponibile.

  1. Il trattamento della cessione di azienda comprensiva di passività nel Testo Unico dell’imposta di registro

Con riguardo alla prima questione, deve anzitutto osservarsi che, in linea generale, il quadro disciplinare dell’imposta di registro è caratterizzato dal principio della tassazione dei beni oggetto di contratti a titolo oneroso traslativi di diritti reali sulla base del loro valore “al lordo”. Tanto risulta dal disposto dell’art. 43, comma 2, D.P.R. 131/1986, a mente del quale i debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile. La ratio di tale disposizione si ravvisa nella considerazione che, nei trasferimenti a titolo oneroso, il complessivo vantaggio ritratto dal cedente è rappresentato non solo dal corrispettivo incassato, ma anche dall’ammontare dei debiti soddisfatti o da soddisfarsi a carico dell’acquirente, i quali, pertanto, concorrono egualmente a rappresentare il valore dei beni trasferiti. La previsione dell’art. 43, comma 2, citato, sarebbe, secondo alcuni, complementare a quella dell’art. 21, comma 3, D.P.R. 131/1986, per cui non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni. Tale norma avrebbe infatti la funzione di chiarire che gli accolli di debiti connessi ad una compravendita non sono autonomamente tassabili, in quanto già assoggettati ad imposta sotto forma di prezzo della vendita stessa, evitando così un’inammissibile duplicazione ([1]).

Tale essendo il principio, il legislatore del registro non disconosce, comunque, la peculiarità dell’azienda quale oggetto di contratti traslativi a titolo oneroso, dettando specifiche regole per la sua valorizzazione ai fini fiscali. In particolare, viene in rilievo il disposto dell’art. 51, comma 4, D.P.R. 131/1986, a norma del quale il valore dell’azienda è dato dalla somma dei valori delle “attività”, ossia dei valori dei beni materiali e immateriali compreso l’avviamento, al netto delle passività aziendali esistenti al momento del trasferimento, risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile. La disposizione precisa che non sono deducibili dal valore dell’azienda le passività che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere, posto che le stesse, restando estranee al compendio ceduto, non rilevano ai fini della valorizzazione delle predette “attività” ([2]).

In sostanza, con l’imposta di registro il legislatore ha inteso colpire la ricchezza trasferita, vale a dire quello che costituisce un sicuro incremento di valore per il ricevente; alla luce di tale considerazione, la base imponibile ai fini dell’imposta di registro non può che essere determinata tenendo conto del valore netto dei beni trasferiti ([3]).

I debiti aziendali trasferiti nell’ambito della vicenda circolatoria dell’azienda concorrono dunque a determinare, in negativo, il valore dell’azienda oggetto di cessione, senza che possa trovare applicazione rispetto ad essi il principio di cui all’art. 43 comma 2, citato. Ne deriva che, a sensi dell’art. 51, comma 1, D.P.R. 131/1986, l’imposta di registro deve essere applicata alla cessione di azienda sulla base del valore dichiarato in atto o (in mancanza o se superiore) del corrispettivo pattuito, che le parti possono parametrare al valore netto dell’azienda trasferita.

  1. Gli orientamenti giurisprudenziali sull’art. 51 del Testo Unico dell’imposta di registro

Gli orientamenti giurisprudenziali sul punto non sono univoci.

La Corte di Cassazione, pronunciando sul tema del cosiddetto accollo dei debiti aziendali nel caso di un trasferimento di azienda (nella specie un conferimento), ne ha escluso l’autonoma tassabilità in quanto «il conferimento d’azienda implica, per sua stessa natura, l’attribuzione alla società conferente di un valore patrimoniale che corrisponde alla somma algebrica delle attività e delle passività dell’azienda conferita, onde ne consegue, anche indipendentemente da qualsiasi atto negoziale ulteriore, la successione della conferitaria nei debiti facenti capo al precedente titolare dell’azienda» ([4]).

Quanto alla giurisprudenza di legittimità più recente, la Corte di Cassazione, in una fattispecie di cessione di azienda effettuata per un corrispettivo indicato in atto per un ammontare complessivo in cui era compreso anche l’importo delle passività accollate al cessionario, ha ritenuto che l’imposta di registro debba applicarsi al corrispettivo dichiarato, a sensi dell’art. 51, comma 1, D.P.R. 131/1986, mentre il successivo comma 4 avrebbe rilievo solo sussidiario, nell’ipotesi in cui l’Ufficio eserciti il suo potere di controllo del valore dichiarato in atto dalle parti. La Corte conclude, pertanto, nel senso che «come regola generale per stabilire la base imponibile, si deve fare riferimento alla maggior somma risultante tra il corrispettivo ed il valore accertato, per cui nessuna rilevanza può attribuirsi alle modalità con cui gli stessi contraenti hanno convenuto il pagamento del corrispettivo per la cessione dell’azienda, corrispettivo che nel caso di specie era costituito dall’accollo da parte dell’acquirente dei debiti dell’azienda» ([5]).

Su un distinto piano si colloca la posizione espressa dalla Cassazione che, nel ricordare che l’art. 51, comma 4, D.P.R. 131/1986, non pone deroghe al criterio generale dell’accertamento del valore secondo il parametro del valore venale in comune commercio previsto nel comma 2 dello stesso articolo, ha statuito che l’imponibile di una cessione di azienda «lungi dal ricavarsi dalla somma algebrica sopra indicata [ndr, delle attività e delle passività], va definito in funzione della ricognizione del “valore venale in comune commercio” del complesso aziendale, che non è necessariamente espresso dalla sommatoria delle sue componenti positive e di cui, come prospettato dall’ufficio, ben può costituire significativo indice sintomatico il valore dei debiti aziendali che il cessionario si sia esplicitamente accollato in aggiunta al corrispettivo versato (Cass. n. 18150/04); valore dal quale vanno poi dedotte le passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa» ([6]).

Da ultimo, la suprema Corte, nel limitare la deducibilità alle passività inerenti (su cui meglio infra) in sede di controllo dell’Ufficio a sensi dell’art. 51, comma 4, D.P.R. 131/1986, ha stabilito che per i debiti estranei all’azienda, pur risultanti da libri contabili obbligatori, la responsabilità dell’acquirente ex art. 2560, comma 2, c.c. non possa che «configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accollo da parte del cessionario del debito del cedente […] Senonché tale accollo non rappresenta che una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore attribuito dalle parti all’azienda; il quale dovrà pertanto essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al netto, ma al lordo della passività non inerente (Cass. n. 12215/2008)» ([7]).

Pur nella loro eterogeneità, dalle sentenze sopra riportate sembrano tuttavia emergere alcuni principi di fondo:

– la rilevanza del corrispettivo dichiarato dalle parti nell’atto ai fini della determinazione della base imponibile;

– la rilevanza delle passività aziendali quale componente negativa ai fini della determinazione di tale corrispettivo; e, di contro,

– la inclusione nella base imponibile di tali passività qualora l’accollo delle stesse – lungi dal concorrere a determinare (in negativo) l’ammontare del corrispettivo – emerga quale semplice modalità di pagamento dello stesso.

  1. L’inerenza delle passività quale requisito per lo scomputo delle stesse dalla base imponibile

Questione distinta ma collegata è quella relativa alla inerenza delle passività all’azienda ceduta quale requisito per lo scomputo delle stesse dalla base imponibile.

La Cassazione ha, infatti, affermato che «le passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie, o da atti aventi data certa a norma del codice civile, debbono essere dedotte dalla base imponibile dell’imposta di registro solo se inerenti all’azienda, non essendo sufficiente la loro registrazione nelle scritture contabili». All’uopo viene esplicitata una distinzione tra inerenza (solo) contabile e inerenza “operativa” della posta passiva, che assume portata condizionante la deducibilità del relativo ammontare, tanto che «la contestazione dell’amministrazione finanziaria non [riguarda] l’esistenza in sé del debito, ma unicamente la sua pertinenza alle esigenze e finalità aziendali» ([8]).

In sostanza, secondo i supremi giudici, ai fini della valutazione della sussistenza o meno del predetto collegamento funzionale, debbono essere considerati elementi (non solo contabili, ma anche) fattuali, quali l’estemporaneità dell’indebitamento e la sua imminenza rispetto alla cessione dell’azienda, la funzionalità di tale finanziamento alle esigenze non già dell’azienda ceduta, ma del cedente (eventualmente pressato da esigenze finanziarie conseguenti alla dilazione del pagamento della cessione) ed alla insussistenza di una contropartita attiva di cassa.

Da ultimo, la Cassazione ha distinto tra debiti qualificabili come passività, in quanto relativi all’esercizio dell’azienda, e debiti propri dell’imprenditore, lasciando intendere la rilevanza esclusiva del piano sostanziale (in ragione del collegamento funzionale all’attività) piuttosto che dell’appostazione contabile ([9]).

In definitiva, la sussistenza del “collegamento funzionale” di cui sopra è il tratto discretivo, da valutarsi caso per caso, al fine di considerare meramente descrittivo lo strumento formale utilizzato (evidenza contabile, clausola negoziale, ecc.), senza che questo possa assumere valenza determinante ai fini della valutazione del presupposto d’imposta. Qualora tale collegamento funzionale manchi, il passaggio del debito dal cedente al cessionario potrà rilevare, se mai, in quanto elemento esterno alla cessione dell’azienda, ai fini delle modalità di pagamento del prezzo della cessione stessa, con conseguente inclusione del relativo ammontare nella base imponibile a sensi dell’art. 43, comma 2, D.P.R. 131/1986 ([10]).

  1. Conclusioni e soluzioni operative

Alla luce di quanto precedentemente illustrato, pare possibile trarre alcune conclusioni:

– agli effetti dell’applicazione dell’imposta di registro, la base imponibile della cessione di azienda si determina in base al valore netto dei beni trasferiti (i.e. attività meno passività);

– a tal fine, il corrispettivo dichiarato dalle parti nell’atto (cui è riferita l’iniziale liquidazione dell’imposta a sensi dell’art. 51, comma 1, D.P.R. 131/1986), deve essere parametrato a tale valore netto;

– eventuali passività aziendali accollate all’acquirente, ma non scomputate dal corrispettivo concorrono a formare la base imponibile a sensi dell’art. 43, comma 2, D.P.R. 131/1986;

– il controllo in merito alla inerenza al compendio aziendale trasferito delle passività oggetto di scomputo, pur non esimendo il notaio da un’attenta valutazione della fattispecie, è tendenzialmente rimesso all’esercizio del potere di accertamento da parte degli Uffici fiscali.

Dal punto di vista operativo, non si può che suggerire l’adozione di clausole contrattuali che, a prescindere dalla concreta formulazione, siano idonee ad evitare un’errata interpretazione dell’atto da parte dell’ufficio con conseguenti fraintendimenti in sede di accertamento; a tal fine, conformemente alle conclusioni sopra esposte, sembra opportuno evitare clausole contrattuali:

– che deducano l’accollo delle passività aziendali quale semplice modalità di pagamento del corrispettivo;

– che rechino la dichiarazione di un corrispettivo “al lordo” delle passività trasferite;

– che indichino quale “valore dell’azienda” l’”attivo aziendale” o che equiparino l’”attivo aziendale” al “corrispettivo”.

([1]) Studio del C.N.N. n. 99-2017/T del 26 ottobre 2017.

([2]) Quesito tributario n. 86-2014/T del 23 dicembre 2014.

([3]) Risoluzione A.E. n. 145/E del 5 ottobre 2005.

([4]) Cass. n. 2849 del 28 marzo 1996, riportata in studio del C.N.N. cit.

([5]) Cass. n. 12215 del 15 maggio 2008, riportata in studio del C.N.N. cit.

([6]) Cass. n. 20691 del 30 luglio 2008, riportata in studio del C.N.N. cit.

([7]) Cass. n. 10218 del 18 maggio 2016, riportata in studio del C.N.N. cit.

([8]) Cass. n. 10218 del 18 maggio 2016, riportata in studio del C.N.N. cit.

([9]) Cass. n. 22099 del 31 ottobre 2016 (ordinanza), riportata in studio del C.N.N. cit.

([10]) Studio del C.N.N. n. 99-2017/T del 26 ottobre 2017.

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Chiarimenti in tema di tassazione degli atti di cessione d’azienda ultima modifica: 2018-03-12T10:18:28+01:00 da Marco Borio
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