di Ciro Caccavale e Massimo Caccavale
1. La questione preliminare dell’omogeneità dei compiti, spettanti al giudice e al notaio, in materia di v.g.
La normativa, contenuta nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (di attuazione della legge delega 26 novembre 2021, n. 206), che attribuisce al notaio la competenza a rilasciare autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e delle scritture private autenticate dei quali sia parte un soggetto incapace di agire o che abbiano ad oggetto beni ereditari, è entrata in vigore soltanto da qualche mese[1]. Realizza però un obiettivo che già da tempo veniva promosso da una parte della dottrina, e aveva già ispirato alcuni progetti di riforma elaborati in ambito ministeriale, quale quello di contribuire al decongestionamento della giustizia – sovraccaricata notoriamente da una esorbitante mole di lavoro -, mediante il coinvolgimento, negli affari di volontaria giurisdizione, appunto del notaio.
È questa, invero, una figura professionale esperta della materia e, in virtù della sua legge ordinamentale, deputata ad agire in posizione di terzietà: proprio, dunque, nelle condizioni di serenità, distacco, indipendenza di giudizio e equilibrio che sono richieste nell’esercizio dei compiti rimessi al giudice.
La riforma in esame si preannuncia di grande impatto sul piano operativo, ma suscita molto interesse anche sul piano teorico e per la riconduzione a sistema del nuovo assetto, talché ne è sorto subito un infervorato dibattito. Al centro della disputa viene posta la natura stessa della nuova funzione affidata al notaio, discutendosi, in particolare, se questa condivida o no, con la corrispondente funzione del giudice, la medesima natura giurisdizionale.