“L’atto notarile non può essere ricevuto dal notaro se non in presenza delle parti”.
Questa affermazione, contenuta nell’apertura dell’articolo 47 della legge notarile, è da sempre apparsa scontata e chiara, tanto da non aver interessato granché gli studiosi di cose notarili.
E ciò ha forse narcotizzato la dottrina notarile, che non ha indagato con frequenza sulla possibilità che gli atti notarili potessero essere privi di parti, orientando così la prassi, da sempre propensa a aderire ad interpretazioni difensive (da cui l’orrenda locuzione “tuziorismo”), ad inventarsi “parti “anche quando esse non erano necessarie ai fini della formazione del documento.
Ma poi è arrivata la pandemia che, è quasi stucchevole ripeterlo, ha sconvolto abitudini consolidate e provocato ripensamenti destinati a cambiare la vita quotidiana.
Ci si è trovati nella necessità di chiedersi, questa volta purtroppo partendo da fattispecie concrete che vedevano coinvolti soggetti impossibilitati a presenziare, in quali casi l’atto notarile non necessitasse l’intervento e quindi la sottoscrizione delle parti e quali potessero essere le possibili estensioni rispetto ai pochi casi frequentati dalla prassi.
Ed è infine arrivato l’articolo di Luca Iberati recentemente pubblicato su questa rivista, sapiente ricostruzione scientifica del tema che, con questo contributo, si vorrebbe arricchire con una casistica.
Il primo pensiero, parlando di atto senza parti, va necessariamente all’articolo 59 bis della legge notarile per il quale “Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell’esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato”.
È questo un atto pubblico, formato dal notaio senza l’intervento e la sottoscrizione di alcun altro soggetto, introdotto dal legislatore nel 2010 per consentire al notaio di provvedere alla correzione di errori od omissioni materiali (caso emblematico il nome o la data di nascita di una delle parti o l’identificativo catastale di un immobile altrimenti con certezza individuato), prescindendo dalla collaborazione delle parti stesse e quindi anche in caso di irreperibilità, sopravvenuta incapacità o morte.
Non capita frequentemente, nella carriera di un notaio, di essere chiamato a redigere un verbale di offerta reale ai sensi dell’articolo 1209 del Codice civile. Come spesso accade quando ci si trova di fronte ad un atto di frequentazione non abituale si corre a consultare, oltre alle norme di legge (e quindi gli articoli 73, 74 e 75 delle disposizioni di attuazione al Codice civile), il formulario degli atti notarili che ogni notaio tiene sul tavolo. Il più utilizzato di questi formulari, il Lovato – Avanzini – Iberati, costruisce il verbale di offerta reale come atto senza parti. La ragione è chiara: ci troviamo nell’ambito della mora del creditore e quindi di fronte ad un creditore non collaborativo, che rifiuta di accettare l’offerta o non presente, come previsto dal terzo comma dell’art. 74 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. Il richiamo che la stessa norma fa al processo verbale di cui all’articolo 126 cpc (“Il processo verbale deve contenere l’indicazione delle persone intervenute e delle circostanze di luogo e di tempo nelle quali gli atti che documenta sono compiuti; deve inoltre contenere la descrizione delle attività svolte e delle rilevazioni fatte, nonché le dichiarazioni ricevute”) consente di concludere che, anche nel caso di presenza del creditore all’offerta reale e pure in ipotesi di sua accettazione, sia sufficiente che sia indicata la sua presenza e non che egli intervenga come parte dell’atto.
L’articolo 71 della legge cambiaria, ma anche l’articolo 63 della legge sugli assegni, ci dice che l’atto pubblico di protesto deve contenere: la data; il nome del richiedente; l’indicazione dei luoghi in cui è fatto e la menzione delle ricerche eseguite a termine dell’art. 44; l’oggetto delle richieste, il nome delle persone richieste, le risposte avute o i motivi pei quali non se ne ebbe alcuna; la sottoscrizione del notaro o dell’ufficiale giudiziario o del segretario comunale. Siamo di fronte ad un altro evidente e testuale caso di autosufficienza del notaio nella formazione di un atto pubblico.
La dottrina notarile da oltre 50 anni (L.A. Miserocchi “La verbalizzazione nelle Società per Azioni” Padova, 1969) si è interrogata sulla natura del verbale che, rappresentando un processo di formazione collegiale della volontà, documenta i fatti che si svolgono sotto il controllo del verbalizzante e le delibere assunte dagli organi di società di capitali. Rinviando per un’approfondita disamina della questione al commento di F. Laurini, relativo all’articolo 2375 in “Commentario alla riforma delle società” a cura di P. Marchetti, L.A Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, si possono riassumere le conclusioni della dottrina più recente ed oggi prevalente affermando che il verbale notarile è un atto senza parti che svolge la sua funzione nella documentazione di fatti che non rivestono la forma di dichiarazioni negoziali. Conseguenza di ciò è che il presidente dell’assemblea (o comunque chi sottoscrive l’atto nelle diverse ipotesi previste dall’articolo 2379 terzo comma cc) non è parte dell’atto e che il verbale non necessita della sottoscrizione di soggetti diversi dal notaio.
Che il verbale notarile possa non essere sottoscritto dal presidente, pur rappresentando questa un’ipotesi eccezionalmente frequentata dalla pratica fino all’entrata in vigore dell’articolo 106 del DL 18/2000, è opinione suffragata sia dal Consiglio Nazionale del Notariato (studio 5916/I del 28 ottobre 2005 a firma Nicolò Abriani) per il quale “il verbale potrà essere redatto anche in assenza del presidente e sarà sottoscritto dal solo notaio” che dalla Massima 45 del Consiglio Notarile di Milano, approvata in data 19 novembre 2004, dalla cui motivazione è utile estrapolare un passaggio.
“Proprio la (ora testualmente riconosciuta) liceità del verbale non contestuale accresce il rischio che il presidente dell’assemblea non possa sottoscriverlo a causa di eventi verificatisi tra la conclusione della riunione e la redazione del verbale. A tale impossibilità quasi mai può porsi sicuro rimedio attraverso la sottoscrizione del verbale da parte dei soggetti (presidente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza) menzionati, come alternativi al presidente dell’assemblea, nell’art. 2379, comma 3°, al fine di evitare la nullità della deliberazione per “mancanza del verbale”: quei soggetti potrebbero del tutto mancare (per mancanza delle relative cariche, se la società ha un amministratore unico), coincidere con il presidente dell’assemblea (che normalmente è, per scelta statutaria, il presidente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza) o essere assenti in assemblea (ed è quantomeno dubbio che abbia valore giuridico la sottoscrizione di un soggetto che, in quanto assente, non è in grado di verificare l’esattezza e la completezza del verbale). Quando il verbale è redatto con atto notarile, tuttavia, l’art. 2375, comma 1°, c.c. (ed ora anche l’art. 2379, comma 3°, c.c.), non diversamente da quanto avveniva prima della riforma, si presta ad essere letto – alla luce della “ratio” dell’intervento del notaio e della funzione dal medesimo svolta – nel senso della sufficienza della sottoscrizione notarile in ordine alla validità del verbale e della delibera. Si è infatti più volte osservato che la logica dell’intervento notarile nell’assemblea straordinaria è riposta nella garanzia di una ricostruzione documentale imparziale del fatto assembleare nell’interesse generale (della società, di tutti i soci, dei terzi variamente interessati), una ricostruzione documentale dotata dell’efficacia di piena prova che mal si presta ad essere condizionata nel suo venire ad esistenza e nella determinazione del suo contenuto da un soggetto tutt’altro che imparziale (in quanto nominato dai soci di maggioranza) quale di norma è il presidente dell’assemblea (e, ora, gli altri soggetti menzionati dall’art. 2379, comma 3°, c.c.). Donde la deduzione che il verbale notarile è in realtà un atto pubblico senza parte, nel senso che non vi è alcun soggetto (tanto meno l’assemblea complessivamente considerata, che in sostanza si risolverebbe nella sua interna maggioranza) che, a fatti svolti, possa “disporre” della relativa verbalizzazione notarile, impedendone la realizzazione (in assoluto o in modo non conforme ai propri desideri) attraverso la negazione della propria sottoscrizione. Il notaio incaricato della redazione del verbale ha perciò il potere/dovere di procedervi quand’anche il presidente dell’assemblea (o altro soggetto di cui all’art. 2379, comma 3°, c.c.) non possa o non voglia sottoscrivere il verbale, nel qual caso – alla luce della comune prassi di raccogliere la sottoscrizione del presidente – può ritenersi opportuno che si faccia menzione, nel verbale, delle cause della mancata sottoscrizione”.
L’articolo 591 – bis cpc, nel regolare la delega alle operazioni di vendita nel processo esecutivo, delega che può essere conferita ad un notaio (fino al 2005 in via esclusiva, ed oggi anche ad avvocati e commercialisti), elenca le operazioni delegabili prevedendo che: “Il professionista delegato provvede altresì alla redazione del verbale delle operazioni di vendita, che deve contenere le circostanze di luogo e di tempo nelle quali le stesse si svolgono, le generalità delle persone presenti, la descrizione delle attività svolte, la dichiarazione dell’aggiudicazione provvisoria con l’identificazione dell’aggiudicatario. Il verbale è sottoscritto esclusivamente dal professionista delegato ed allo stesso non deve essere allegata la procura speciale di cui all’articolo 579, secondo comma.”
La prassi notarile relativa a tali verbali è stata non omogenea. In alcune zone di Italia, per ridurre gli oneri a carico dell’aggiudicatario o della procedura, si è optato per una verbalizzazione “non notarile” da inserire nel fascicolo delle esecuzioni, mentre in altra parte del territorio, anche su sollecitazione informale del consiglio di amministrazione della Cassa interessato ad un incremento del gettito, i verbali d’asta venivano redatti per atto pubblico. E, pertanto, conformemente al dettato della legge, senza altre sottoscrizioni che quella del notaio.
Appare quindi chiaro, dall’esame di questa casistica sulla quale non sembrano poter essere mossi dubbi, che l’atto notarile debba essere ricevuto obbligatoriamente alla presenza delle parti quando le parti ci siano, mentre esistono ipotesi di atti notarili che non prevedono intervento di parti.
La pandemia, e la frequenza con cui le persone si trovavano in situazione di quarantena o di isolamento fiduciario, hanno posto il notaio di fronte alla domanda, concreta, della possibilità di stipulare altri, rispetto a quelli indicati, atti notarili, magari urgenti ed il cui differimento sarebbe stato economicamente dannoso, senza far intervenire parti impossibilitate ad avere contatti col notaio e con altri.
Per cercare di dare una risposta a questa domanda è necessario verificare se gli atti di cui si è sopra scritto abbiano qualcosa in comune e individuare altre eventuali fattispecie che presentino gli stessi tratti in comune e nei quali la presenza delle parti è più frutto di abitudine che di una reale necessità. Insomma, se sia possibile ricevere altre tipologie di atti in assenza delle parti o con la sola indicazione delle stesse, senza un loro formale comparizione e senza che siano sottoscritti da altri oltre il notaio, senza incorrere in violazioni dell’articolo 47 della legge notarile.
Il principale elemento comune è l’assenza di dichiarazioni negoziali necessariamente provviste di forma.
Ciò è evidente nell’atto di cui all’articolo 59-bis LN, utilizzabile solo al fine di correggere errori ed omissioni.
Il verbale di offerta reale documenta un adempimento, la cui natura giuridica ormai da tempo è considerata non negoziale.
L’atto di protesto non contiene certamente dichiarazioni negoziali.
I verbali di assemblea o di riunione di altri organi collegiali di società (ma anche quelli relativi all’esperimento delle operazioni d’asta) non rivestono di forma la delibera, né le dichiarazioni rese dai presenti (o le offerte per ottenere l’aggiudicazione), ma sono il resoconto dei fatti che si svolgono davanti al verbalizzante.
Ma è altresì interessante notare come l’autosufficienza della sottoscrizione notarile serva a disinnescare comportamenti ostruzionistici che potrebbero paralizzare l’efficacia dei procedimenti cui l’atto notarile è funzionale.
Prima dell’introduzione nella legge notarile dell’articolo 59 bis, la mancata collaborazione di una delle parti poteva rendere improcedibile la correzione di errori ed omissioni. E ciò accadeva anche in presenza di errori evidenti e incontestabili, con strumentali rifiuti alla correzione ogniqualvolta i rapporti tra le parti si fossero deteriorati a valle dell’atto notarile.
Se per la validità dell’offerta reale fosse necessaria la costituzione come parte del creditore nel relativo verbale, ne risulterebbe vanificato lo scopo nella quasi totalità dei casi.
E così è difficile immaginare un debitore ben disposto a sottoscrivere l’atto di protesto.
Per quanto riguarda i verbali di assemblea l’intoppo potrebbe verificarsi ogni qualvolta il presidente dell’assemblea fosse “messo in minoranza” e si rifiutasse di sottoscrivere o, nel caso (non infrequente e comunque espressamente regolato dalla riforma) di verbale non contestuale, fosse nell’impossibilità sopravvenuta di sottoscrivere il verbale. Chi dovesse ritenere il presidente come parte necessaria del verbale, dovrebbe anche concludere che la mancanza della sua sottoscrizione (salve le ipotesi di sostituzione previste dal 3° comma dell’articolo 2379) ne determini la nullità ai sensi della legge notarile. Chi dovesse invece leggere l’avversativa “o” che chiude il già menzionato terzo comma come alternativa tra la firma del notaio e quella del segretario, anziché come alternativa tra il procedimento privato e quello pubblico-notarile di verbalizzazione, dovrebbe anche concludere che la mancanza di sottoscrizione del presidente determini la mancanza del verbale e quindi la nullità della delibera (articolo 2379 c.c.).
Quali altri atti notarili allora, pur normalmente costruiti con la presenza di una o più parti, condividendo queste caratteristiche, potrebbero essere allora validamente sottoscritti dal solo notaio?
In ottemperanza a quanto dispone l’articolo 621 c.c. “Il testamento segreto deve essere aperto e pubblicato dal notaio appena gli perviene la notizia della morte del testatore”.
Diversamente da quanto dispone l’articolo 620 c.c. riguardo alla pubblicazione del testamento olografo (“chiunque è in possesso di un testamento olografo deve presentarlo a un notaio per la pubblicazione, appena ha notizia della morte del testatore”) la legge non rappresenta la necessità di un soggetto che si rivolga al notaio per chiedere la pubblicazione, ma descrive delle azioni, l’apertura e la pubblicazione, che il notaio può e deve compiere, senza indugio e senza necessità di impulso esterno (che del resto potrebbe essere improbabile in ragione della segretezza del testamento), in autosufficienza senza che nessun soggetto sia costituito come parte dell’atto.
Frammentata e non esaustiva la disciplina dell’atto con cui viene passato il testamento pubblico dal repertorio degli atti di ultima volontà a quello degli atti tra vivi.
L’articolo 623 c.c. prevede che “Il notaio che ha ricevuto un testamento pubblico, appena gli è nota la morte del testatore, … comunica l’esistenza del testamento agli eredi e legatari di cui conosce il domicilio o la residenza”. Il che significa, a contrario, che nel caso non siano noti al notaio (o, cosa ancor più probabile, al Sovraintendente dell’Archivio Notarile dopo la cessazione del notaio) domicilio o residenza di eredi o legatari essi non potrebbero venire per tale mezzo a conoscenza del testamento.
Dal sistema emerge forte un favore per la pubblicazione del testamento e togliere un autonomo impulso al notaio potrebbe vanificare l’intento del legislatore.
Il notaio potrebbe anche essere depositario di un testamento olografo, sia formalmente che fiduciariamente. Per questi casi il quarto comma dell’articolo 620 prevede che “Nel caso in cui il testamento è stato depositato dal testatore presso un notaio, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario.”
Anche qui (nonostante nella pratica si costruisca il verbale di pubblicazione con una costituzione formale di parte, il richiedente, che può essere lo stesso notaio depositario che si rivolge ad altro notaio) la lettera della norma fa pensare ad una pubblicazione che il notaio può eseguire in autosufficienza.
Rimanendo nel campo del diritto successorio, si può passare ai verbali di inventario, esaminando le norme contenute nel capo del Codice di procedura civile a ciò dedicato e che, in forza di quanto disposto dall’articolo 777 c.p.c. “si applicano a ogni inventario ordinato dalla legge, salve le formalità speciali stabilite dal Codice civile per l’inventario dei beni dei minori”.
L’esame di queste norme evidenzia la centralità del notaio nel processo di inventario. L’articolo 771 c.p.c. individua le persone che hanno diritto, e quindi non l’obbligo, di assistere all’inventario. Queste persone, in quanto aventi diritto, devono essere avvisate dal notaio incaricato dell’inventario o rappresentate nel caso non abbiano eletto domicilio nella circoscrizione del tribunale, nella quale si procede all’inventario.
Cosa succede se nessuno degli aventi diritto ad assistere si presenta alle operazioni di inventario? Il pubblico ufficiale può ugualmente procedere con l’eventuale assistenza del perito?
Seguendo la scansione temporale descritta dal Codice di procedura civile il notaio entra in gioco (anche se questa non è l’ipotesi più frequente) quando si deve procedere alla rimozione dei sigilli. Quando occorra l’inventario, infatti, la rimozione dei sigilli è eseguita dal pubblico ufficiale che ad esso procede. E “non si può procedere alla rimozione dei sigilli senza che ne sia stato dato avviso, nelle forme stabilite nell’articolo 772, alle persone indicate nell’articolo 771.” Ciò significa che per procedere alla rimozione dei sigilli e all’inventario (che deve essere immediato perché non perda di utilità l’apposizione dei sigilli stessi) è sufficiente l’avviso e che si dovrà (e non potrà) procedere anche qualora non sia presente alcun avente diritto ad assistere.
Ciò che autorizza a concludere che per la formazione del verbale di inventario il notaio sia autosufficiente e che pertanto non si richieda la presenza e la sottoscrizione di altri soggetti. Conclusione suffragata dall’articolo 775 n. 5 c.p.c. per il quale il processo verbale d’inventario contiene “la descrizione delle carte, scritture e note relative allo stato attivo e passivo, le quali debbono essere firmate in principio e in fine dall’ufficiale procedente” senza che sia fatto riferimento alle firme delle persone che abbiano (eventualmente) assistito all’inventario.
Da un punto di vista puramente pragmatico si pensi al caso di operazioni di inventario iniziate alla presenza di alcuni o tutti gli interessati, ma non concluse; la loro continuazione è quindi rinviata a un giorno prossimo ai sensi dell’articolo 774 c.p.c. Questo giorno potrebbe anche essere prossimo al termine entro il quale debba essere concluso l’inventario pena la decadenza dal relativo beneficio (art. 485 e 487 c.c.). L’impossibilità a presenziare alla conclusione delle operazioni di inventario, magari per ragioni di salute o per la necessità di stare in quarantena o isolamento, può davvero portare, senza via di uscita, alle gravi conseguenze della decadenza oppure l’inventario può essere completato con l’autosufficiente opera del notaio? La risposta, alla luce di quanto sopra, non può che essere la seconda.
Seppure è discussa la natura del Certificato Successorio Europeo, che l’Agenzia delle Entrate (Risposta n. 563 del 27 novembre 2020) qualifica “come un atto pubblico, nel quale la firma e il contenuto sono attestati come autentici da un notaio, che è una autorità pubblica”, mentre il Consiglio Nazionale del Notariato nel suo Vademecum esclude possa essere ritenuto un atto notarile, per concludere che “esso sia un atto sui generis (se si vuole qualificato come “pubblico” onde significarne la provenienza da un’autorità pubblica)”, non si può negare di essere in presenza, comunque, di un atto formato da notaio senza l’intervento di una parte.
E, analogamente, non possono essere ritenute parti dell’atto di notorietà né gli attestanti né il richiedente che, nella prassi, neppure è generalizzato.
Infine, per una volta invertendo il troppo citato adagio anglosassone “last but not least”, si può richiamare il marginalissimo caso del verbale di oltraggio a notaio (articolo 53 R.D. 1326/1914), che anche il formulario notarile di Gaetano Petrelli costruisce come atto senza parti. La norma prevede che “Quando il notaro nell’esercizio delle sue funzioni sia ingiuriato o trovi resistenza, ne fa processo verbale, invitando le persone presenti a sottoscriverlo” ed appare chiaro che l’invito a sottoscrivere possa incontrare un accoglimento ma anche un rifiuto e che quindi l’atto possa perfezionarsi con la sola sottoscrizione del notaio oltraggiato.
Confermata quindi la regola dettata dall’articolo 47 della legge notarile, per la quale “L’atto notarile non può essere ricevuto dal notaro se non in presenza delle parti”, si può anche concludere che, in via di eccezione, l’atto notarile possa essere formato in assenza delle parti ogniqualvolta non sia destinato a documentare dichiarazioni negoziali che richiedono una forma ad substantiam.
Nel caso di presenza di uno o più soggetti interessati il notaio potrà, se lo ritiene opportuno e se essi acconsentono, ugualmente costituirli in atto con le formalità e le indicazioni previste dalla legge notarile e farle sottoscrivere, ma potrà anche dare atto della loro presenza disapplicando quelle formalità che derivano dalla presenza di almeno una parte sostanziale: la formale costituzione con indicazione delle generalità di cui all’art. 51 n. 3 L.N., la dichiarazione di certezza dell’identità personale, la lettura dell’atto e la sottoscrizione dello stesso ed infine, altro elemento che può spingere per l’abbandono di abitudini consolidate, richiedere l’intervento dell’interprete di cui agli articoli 55, 56 e 57 L.N.
AUTORE

Milanese di nascita, Arrigo Roveda consegue la laurea in Giurisprudenza nel 1985 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi in Diritto Civile sul contratto di leasing. Dal 1990 è notaio. Docente dal 1990 presso la Scuola di Notariato della Lombardia, è stato responsabile dei corsi “Obbligazioni e Contratti” e “Contratto in generale”. Collabora tutt’ora al Corso per i Giuristi d’Impresa tenuto dall’Università Bocconi. Nella sua lunga carriera ha svolto un ruolo attivo in importanti enti di categoria. In particolare, ha rivestito l’incarico di Presidente del Consiglio Notarile di Milano dal febbraio 2013 al febbraio 2017. Attualmente risiede nella per l’elaborazione dei principi uniformi in tema di società del Consiglio Notarile di Milano. Arrigo Roveda è autore di articoli e note a sentenza in materia civile e fiscale pubblicate, tra le altre, sulla rivista Notariato e sulla versione cartacea di Federnotizie, e di cultura generale sul mensile Giudizio Universale (2005/2009) di cui è stato cofondatore e redattore. Partecipa come relatore a numerosi convegni giuridici in materia di Diritto Commerciale, Civile e Tributario.