Qualche anno fa venni invitata a tenere un seminario sulle tecniche delle narrazione presso la sede di Federnotai Lombardia. Forse qualcuno, leggendo oggi, si ricorderà dell’articolo meravigliato che scrissi al termine della conferenza proprio su queste pagine: sapevo pochissimo (quasi nulla, lo ammetto) della delicata professione del notaio, ma ciò che mi colpì durante quel primo incontro fu il patto di lealtà e di fiducia sottinteso a ogni attività notarile. Inoltre, cosa che non avrei giurato prima di conoscervi, mi divertii (niente azzeccagarbugli né montagne di scartoffie, per intenderci) e inaugurai dei rapporti di amicizia e di stima che proseguono ancora oggi.
Tanti avvenimenti sono accaduti da quella sera a Milano. Ho scritto tre libri, tra le altre cose. Di tutti ho avuto l’opportunità di parlarne qui (La lingua geniale e La misura eroica), su Federnotizie (i notai portano fortuna, almeno alla sottoscritta). Ecco perché, non appena ho pubblicato Alla fonte delle parole, il mio nuovo libro dedicato alle etimologie come richiesta di rispetto per il nostro linguaggio, ho desiderato dedicare a voi notai una delle novantanove parole che narro nel mio saggio.
Questa etimologia non può che essere fiducia. Consideratelo pure il mio bizzarro modo di dirvi grazie per tutto ciò che ho avuto la fortuna di imparare conoscendo il mondo del notariato.
Fiducia
In italiano si dice fiducia. Io preferisco invece la voce medievale fidanza.
“(…) L’affetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
così m’ha dilatata mia fidanza,
come ‘l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant’ell’ha di possanza.”
(Dante, Paradiso, XXII, vv. 52-57)
Da una radice indoeuropea *bheidh- oppure *bihidh- deriva l’atto di abbassare le difese e di consegnarci, fiduciosi, al prossimo. Il significato della radice si ritrova anche nel verbo greco πείθομαι (pheìthomai), forma medio-passiva del verbo πείθω (pheìtō), “persuadere”, “convincere”.
Il greco “prestar fede” non è dunque né attivo né passivo.
Basta questa diatesi che sta “nel mezzo” per chiarire che la fiducia non è mai a senso unico: io mi fido di te solo se anche tu ti fidi di me.
Siamo medi, sospesi tra il mio esistere e il tuo. Siamo alleati, dantesco patto di “affetto” in quell’avventura che è la vita, “rosa quando è aperta”.
La fiducia è però data una volta sola, lo sappiamo bene -non c’è nulla che si possa fare a riguardo, se perduta. Solo toppe che presto si rivelano peggio del buco.
L’etimo originario di questa parola si è presto smarrito nelle lingue in significati lontani – scettici, perplessi, dubbiosi.
Più semplicemente, sfiduciati.
Il latino fidere ha dato origine alla parola fides, che in un paio di secoli si è presto tramutata nel concetto divino di “fede” – ovvero la fiducia in qualcosa di più grande di noi, verso un dio che se tradisce non può essere incolpato, solo accettato.
E che sempre di noi abbia misericordia.
Significato, quello di fiducia come “atto di fede”, che vive oggi nel russo e nel serbo-croato poverenje, che rimanda direttamente alla viera, la “religione”, come nel tedesco Vertrauen, “pieno affidamento”.
“Vulgare amici nomen, sed rara est fides”, scrisse il favolista latino Fedro seguendo le orme del greco Esopo: molti sono coloro che si professano amici, ma la fiducia è rara.
Quante volte ci siamo sentiti così, soli e spersi nello scorrere la rubrica del telefono piena zeppa di (veri o presunti) “conoscenti” senza sapere chi chiamare in soccorso per avere una briciola di coraggio o un sincero consiglio?
In inglese la radice ordinaria *bheidh- / *bihidh- si è evoluta in to bid, “io ti ordino” – confidenza a domicilio, fidati di me come le consegne via internet.
Meravigliosi sono il francese e lo spagnolo, che sanno dire la fiducia con i lemmi confiance e confianza, provenienti dall’unione del prefisso latino cum e del verbo fidere: “fidiamoci insieme”, io di te e tu di me.
Ecco perché amo l’ormai desueta voce medievale fidanza: porta con sé, senza bisogno di troppe parole, il significato di patto suggellato tra due parti, andata e ritorno, fiducia mai scontata ma che affonda le sue radici in una reciproca promessa.
Più sinteticamente, significa affidamento: ti dò il meglio e anche il peggio di me. Abbine cura, e non tradirmi mai – le mie parole non sono fido, pochi spiccioli in prestito da riscattare al banco dei pegni.
Dalla stessa parola fidanza deriva il termine fidanzato. Che non è certo il belloccio che ci porta a cena una volta sola per poi scaricarci sul portone di casa – vocabolario alla mano, fiducia è promessa.
Perenne esempio saranno i fidanzati Renzo e Lucia, i Promessi Sposi del Manzoni.
Quante volte ho smarrito la fiducia in chi ho amato – e quante volte ho sporcato di fango la mia.
Diffidate, come diceva Catone, di chi si spertica in lodi per ottenere la vostra lealtà. Che stia zitto e vada a comprare l’affetto, misurabile in chilogrammi di parole, altrove, al mercato.
La fiducia non richiede molto – solo schiettezza e lealtà.
Accettazione, risate, tenerezza quando serve e altrettanti moniti, con tirata d’orecchie annessa, quando cadiamo in ingenui errori – quando ci buttiamo via.
Sempre però fiducia a doppio senso di marcia.
(Tratto da Alla fonte delle parole. 99 etimologie che ci parlano di noi, Mondadori)

AUTORE

Andrea Marcolongo è storyteller di professione in ambito politico e aziendale, con contratti di consulenza presso UniCredit, Allianz, enti di ricerca biomedica, fondazioni culturali e musei. Articolista per Gli Stati Generali. Nel biennio 2013-2015 ha collaborato con Matteo Renzi per attività legate al ruolo prima di sindaco di Firenze e poi di Presidente del Consiglio dei Ministri come ghostwriter, speechwriter, storyteller.
LIVORNESE fierissima, si è laureata con lode in lettere classiche presso l’Università di Milano. Si è poi specializzata in storytelling con un master biennale alla Scuola Holden di Torino, a Parigi e a Londra con un tirocinio specifico a The Guardian. Su twitter è @AndreaMarcolong.